Marano, Angela (2016) MALATTIE INFIAMMATORIE INTESTINALI: VALUTAZIONE DEL RUOLO DEI COMPARTIMENTI INTESTINALI NELLA RISPOSTA IMMUNO MUCOSALE NELLA MALATTIA CELIACA, ANALISI MEDIANTE LASER CAPTURE MICRODISSECTION. STUDIO DEL RUOLO DI CEPPI AIEC NELL’EZIOPATOGENESI DEL MORBO DI CROHN. [Tesi di dottorato]

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Tipologia del documento: Tesi di dottorato
Lingua: Italiano
Titolo: MALATTIE INFIAMMATORIE INTESTINALI: VALUTAZIONE DEL RUOLO DEI COMPARTIMENTI INTESTINALI NELLA RISPOSTA IMMUNO MUCOSALE NELLA MALATTIA CELIACA, ANALISI MEDIANTE LASER CAPTURE MICRODISSECTION. STUDIO DEL RUOLO DI CEPPI AIEC NELL’EZIOPATOGENESI DEL MORBO DI CROHN
Autori:
AutoreEmail
Marano, Angelaangymar85@libero.it
Data: 31 Marzo 2016
Numero di pagine: 171
Istituzione: Università degli Studi di Napoli Federico II
Dipartimento: Biologia
Scuola di dottorato: Scienze biologiche
Dottorato: Biologia applicata
Ciclo di dottorato: 28
Coordinatore del Corso di dottorato:
nomeemail
Ricca, Ezioericca@unina.it
Tutor:
nomeemail
Ricca, Ezio[non definito]
Data: 31 Marzo 2016
Numero di pagine: 171
Parole chiave: crohn, celiachia, citochine, aiec
Settori scientifico-disciplinari del MIUR: Area 05 - Scienze biologiche > BIO/19 - Microbiologia generale
Depositato il: 08 Apr 2016 10:54
Ultima modifica: 31 Ott 2016 09:21
URI: http://www.fedoa.unina.it/id/eprint/10900

Abstract

Durante il percorso di dottorato è stato preso in esame il ruolo della risposta immunitaria nell'eziopatogenesi di due patologie infiammatorie intestinali: la malattia celiaca (MC) ed il morbo di Crohn. Il progetto è stato suddiviso in due parti: nella prima fase si è analizzato il ruolo dei compartimenti mucosali nella risposta immunitaria al glutine, mediante l'utilizzo di una tecnica innovativa, la microdissezione laser. Nella seconda fase si è cercato di chiarire il ruolo di ceppi patogeni AIEC di E. Coli nell'eziopatogenesi del morbo di Crohn e della risposta immunitaria ed infiammatoria che si instaura nella mucosa intestinale dei pazienti affetti dalla malattia. PARTE 1 - MALATTIA CELIACA: RUOLO DEI COMPARTIMENTI INTESTINALI NELLA RISPOSTA IMMUNE MUCOSALE La malattia celiaca (MC), o enteropatia glutine-sensibile, è un’ intolleranza permanente alle gliadine del grano ed alle prolammine corrispondenti di altri cereali, quali orzo e segale. Essa è responsabile nei soggetti geneticamente suscettibili del grave danno della mucosa intestinale. Secondo dati recentemente presentati all’Associazione Italiana Celiachia, in Italia l’incidenza di questa intolleranza è stimata in un soggetto ogni 100/150 persone. I celiaci potenzialmente sarebbero quindi 400.000, ma ne sono stati diagnosticati intorno agli 85.000. Ogni anno vengono effettuate 5.000 nuove diagnosi e nascono 2.800 celiaci, con un incremento annuo di circa il 10%. Si stima che, su circa 380.000 pazienti affetti da malattia celiaca, l’85% dei pazienti è affetto da malattia celiaca asintomatica non diagnosticata, mentre il 15% soffre di una malattia celiaca sintomatica e quindi conclamata. Di questi ultimi solo il 60% ha già ricevuto specifica diagnosi. Ne consegue che la celiachia, pur essendo una malattia nota da molti anni, solo in tempi recenti viene riconosciuta come un problema piuttosto comune e, quindi, riceve una maggiore attenzione anche da parte dei produttori di alimenti e dei ristoratori. Le Citochine Infiammatorie nella MC Nel paziente celiaco, in fase florida della malattia, l’epitelio della mucosa intestinale risulta costituito da enterociti immaturi ed è infiltrato da linfociti T CD8+ ad azione citotossica (IELs). Nella lamina propria invece, sono aumentati e attivati i linfociti T CD4+ (LPLs). I meccanismi che conducono al danno della mucosa intestinale del celiaco, sembrano in parte ascrivibili alla produzione di citochine proinfiammatorie del tipo Th1, tra cui l’interferone gamma (INF-γ), rilasciate soprattutto dai linfociti CD4+ della lamina propria . Paradossalmente l’IL-12, la citochina più coinvolta nella polarizzazione in senso Th1 della risposta immune, non è stata dimostrata nella mucosa intestinale del paziente celiaco. Altri studi dimostrano il coinvolgimento di altre citochine infiammatorie nel danno mucosale, principalmente TNF-α, IL-15 e IL-21. TNF-α (Tumor Necrosis Factor) è una citochina proinfiammatoria prodotta oltre che dai macrofagi attivati, da linfociti T e B, neutrofili, eosinofili e basofili, mastociti, cellule NK, astrociti, cellule della microglia e cellule di Kuppfer. In particolare nella MC attiva c’è un’ iperproduzione di TNF-α, principalmente da parte dei linfociti T attivati, che determina, insieme alle altre citochine proinfiammatorie, apoptosi e iperproliferazione cellulare con conseguente appiattimento della mucosa intestinale. Per quanto concerne l’IL-15, essa è presente in gran quantità nella mucosa intestinale del celiaco ed è prodotta da cellule mieloidi, cellule epiteliali ma non da cellule linfoidi (salvo in particolari condizioni), quindi non è espressione di una risposta immune T-dipendente. L’IL-15, sembra avere un ruolo importante nella patogenesi della MC in quanto, è capace di turbare l’omeostasi mucosale del paziente celiaco in differenti modi. Prodotta dall’enterocita del celiaco in seguito al contatto con il peptide 31-43, l’IL-15 induce l’espressione autocrina del MICA e dell’HLA-E sugli enterociti, e del NKG2D/CD94 sui linfociti CD8+ citotossici intraepiteliali. L’interazione tra il MICA e l’NKG2D e tra HLA-E e il CD94 trasforma i linfociti T CD8+ intraepiteliali in cellule NK, con conseguente rapida lisi delle cellule epiteliali mediante apoptosi. Recentemente nella mucosa intestinale di pazienti celiaci in fase attiva di malattia, è stata dimostrata una forte produzione di un’altra citochina proinfiammatoria: IL-21. Inoltre gli stessi autori hanno evidenziato, nel modello in vitro della coltura d’organo intestinale di pazienti celiaci, che la neutralizzazione dell’IL-21 riduce la produzione di IFN-gamma. Pertanto anche l’IL-21 sembrerebbe essere coinvolto nel differenziamento di tipo Th1. Le Citochine Antinfiammatorie nella MC Durante la risposta immune mucosale nella celiachia, oltre alle citochine proinfiammatorie vengono prodotte anche citochine con azione antinfiammatorie principalmente IL-10 e TGF-beta. E’ ormai noto che in condizioni normali, il sistema immune, attraverso un meccanismo noto come “tolleranza orale” riconosce grandi quantità di proteine introdotte all’interno del tratto gastrointestinale con la dieta. I meccanismi alla base della tolleranza orale agli alimenti sono complessi e coinvolgono un meccanismo di soppressione mediato da cellule T regolatorie (T reg). Queste cellule regolatorie, giocano un ruolo fondamentale nell’omeostasi immunologica in quanto, in condizioni normali, la capacità di risposta immunitaria di un individuo è in equilibrio con la capacità di regolare tale risposta. Diverse sono le cellule Treg coinvolte nella tolleranza immunologica: - le cellule Tr1, in grado di sopprimere la risposta immune di tipo Th1 in vivo ed in vitro attraverso la secrezione di IL-10 e TGF-β; - le cellule Th3, che producono esclusivamente TGFβ ; - cellule Treg naturali che esprimono in modo specifico il gene Foxp3, che viene definito come un repressore trascrizionale di diversi promotori di citochine proinfiammatorie. Il fattore di trascrizione Foxp3 rappresenta un marker delle cellule Treg CD4+CD25+ ed risulta essere essenziale per la loro funzione regolatoria. IL-10 è un’importante citochina immunoregolatoria che agisce sulle cellule presentanti l’antigene, inibendo la sintesi di citochine infiammatorie e l’espressione di molecole costimolatorie e MHC di classe II, inoltre IL-10 interferisce direttamente con la proliferazione e il differenziamento delle cellule T. Il TGF-beta, l’altra principale citochina regolatoria, appartiene alla superfamiglia dei fattori di crescita, è prodotto dalle cellule emopoietiche, dai linfociti Th3 e dalle cellule Treg e nei processi infiammatori svolge un'attività chemiotattica per i monociti in un primo stadio, mentre in una fase successiva attiverebbe le stesse cellule per il rilascio di altri mediatori (es. IL-1). Il TGF-beta è anche dotato di un potenziale immunosoppressivo in quanto inibisce la proliferazione linfocitaria sia in vitro che in vivo. Gli effetti principali del TGF-beta sarebbero quelli di inibire i processi infiammatori facilitando quelli riparativi attraverso il rilascio di svariati mediatori. La Microdissezione Laser: un approccio innovativo Diversi approcci sono stati usati per studiare il pattern di citochine espresse nella celiachia ( RT-PCR,ELISA, ELISPOT, citofluorimetria, ibridizzazione in situ, etc) che spesso hanno portato a risultati contraddittori. Tuttavia, ad oggi non vi è uno studio riportante la produzione di citochine da parte delle singole popolazioni cellulari e/o dei compartimenti costituenti la mucosa intestinale dei celiaci. L’eterogeneità cellulare dei campioni di tessuto è un fattore problematico nella determinazione dei livelli di analiti in tipi cellulari specifici. La microdissezione a cattura laser (LCM) è una tecnologia rivoluzionaria, ideata da un gruppo di ricercatori diretti da Lance Liotta, Robert Bonner e Michael Emmert-Buck del National Institutes of Health (NIH), la quale consente di raccogliere sottopopolazioni omogenee di cellule intatte da sezioni solide di tessuto per l’esecuzione di analisi molecolari. Le cellule possono essere selezionate sulla base di caratteristiche morfologiche o immunoistologiche. Il microdissettore laser è uno strumento di precisione che vuole conciliare un dominio più tecnico e grossolano, quello istologico, con uno più complesso e per molti versi fragile, come quello molecolare. La stazione di LCM integra un microscopio invertito di ricerca, un laser a infrarossi(IR) a basso potenziale, uno stativo controllato con un joystick ed il meccanismo di manipolazione dotato di monitor per il controllo. Le tecniche molecolari applicate ai campioni di cellule selezionate con la LCM includono: l’amplificazione in RT-PCR, la LOH, l’instabilità dei microsatelliti, l’esecuzione del gene profiling differenziale, le microarray di cDNA, l’analisi dei prodotti proteici tramite elettroforesi bidimensionale su gel di poliacrilamide (2D-PAGE), ed il Western blotting. SCOPO Lo scopo del presente progetto di tesi è stato quello di indagare il pattern di citochine espresse in compartimenti diversi della mucosa intestinale di pazienti celiaci, selezionati mediante la tecnica della microdissezione laser. La microdissezione laser è stata combinata con la real time PCR per ottenere il profilo trascrizionale dei geni per le citochine analizzate, nei due compartimenti mucosali, epitelio e lamina propria. In virtù di quanto detto, lo scopo della prima parte del mio percorso di dottorato è stato quello di indagare il pattern di citochine espresse in compartimenti diversi della mucosa intestinale di pazienti celiaci, selezionati mediante la tecnica della microdissezione laser. La microdissezione laser è stata combinata con la real time PCR per ottenere il profilo trascrizionale dei geni per le citochine analizzate, nei due compartimenti mucosali, epitelio e lamina propria, cercando di far luce così sul ruolo di questi ultimi nella patogenesi della malattia. MATERIALI E METODI Sono stati reclutati, dal reparto di gastroenterologia dell’Ospedale “San G. Moscati” di Avellino, 30 pazienti; 15 di essi erano celiaci in fase attiva della malattia, mentre i restanti 15 soggetti erano rappresentati da controlli non celiaci, con presenza di lieve dispepsia. Da ciascun paziente sono stati prelevati, mediante gastroendoscopia intestinale, diversi frammenti bioptici di mucosa digiunale. I campioni bioptici congelati sono stati tagliati al criostato. Il taglio è stato effettuato a 8 μm e per ogni campione si sono ottenute 6 sezioni che sono state adagiate su un vetrino dotato di una membrana di polietilene naftalato (PEN), precedentemente incubato per 2 ore in cappa a flusso laminare sotto raggi UV per garantirne la sterilità. A questo punto si è proceduto alla fissazione, colorazione e disidratazione delle sezioni di tessuto tagliate, seguendo il seguente protocollo: • Asciugatura all’aria a temperatura ambiente per 2 minuti • Fissazione in acetone per 2 minuti a 4°C • Idratazione in tampone tris salino (TBS) per 1 minuto • Colorazione in Ematossilina Carazzi per 1 minuto. • Disidratazione. Questa fase ha previsto 3 passaggi in una serie crescente di alcoli: :  Alcool 70 per 90 secondi  Alcool 95 per 90 secondi  Alcool 100 per 2 minuti • Asciugatura all’aria a temperatura ambiente per 5 minuti I vetrini fissati, colorati e disidratati sono stati posizionati uno alla volta sul supporto portavetrini del microdissettore (Leica DM6000, Leica Microsystem). Il taglio del compartimento epiteliale veniva preceduto dal taglio del compartimento della lamina propria. I compartimenti prima selezionati, poi tagliati, venivano raccolti, per gravità, separatamente, in due eppendorf, posizionate al di sotto del supporto porta vetrini, contenenti buffer di estrazione (30 μl) fornito dal PicoPure® RNA Isolation Kit (Life technologies, Italia) e inibitore di RNasi (1 μl). Terminata la microdissezione, le due eppendorf contenenti le cellule provenienti rispettivamente dall’epitelio e dalla lamina propria, venivano incubate in un termiciclatore a 42°C per 30 minuti, centrifugati a 16.000xg per 1-2 minuti, e conservati a -80°C fino al momento dell’estrazione dell’RNA. L’ RNA totale è stato estratto dai campioni LCM utilizzando il sistema Arcturus, PicoPure® RNA Isolation Kit (LIFE TECHNOLOGIES, ITALIA) seguendo il protocollo descritto della casa produttrice. Il protocollo di retrotrascrizione, opportunamente ottimizzato, è basato sui protocolli di Foley et al. (1993) e Leonard et al. (1993). Il cDNA è stato ottenuto dalla retrotrascrizione di 10 μl di RNA in un volume finale di 20 μl, tramite il kit VILO (Variable Input Linear Output) reverse transcriptase (LIFE TECHNOLOGIES, ITALIA) utilizzando Random Primers. I reagenti sono stati ottimizzati per ottenere il range dinamico nell’intervallo da 1 pg a 2,5 µg di RNA totale. Il cDNA è stato diluito 1:10 in TE (Tris EDTA) ed ogni campione così ottenuto è stato suddiviso in diverse aliquote in modo da evitare ripetuti stress termici. I campioni sono stati conservati a -20°C e scongelati all’occorrenza. Per l’analisi in Real Time-PCR (qPCR) si è scelta la chimica SYBR® Green, per la sua maggiore flessibilità operativa, utilizzando la Master Mix PowerSYBR Green PCR (LIFE TECHNOLOGIES, ITALIA) e come normalizzatore del segnale, il sistema ROX. La reazione di amplificazione è avvenuta in piastre da 96 pozzetti (Applied, Biosystems, Italia) ed è stata allestita in un volume finale di 35 μl, con 10 μM primer, forward e reverse trascritto specifici, e 2 μl di cDNA e l’espressione genica è stata normalizzata rispetto al trascritto della GAPDH. Una volta ottenuti i dati, si è proceduto ad effettuare l'analisi statistica degli stessi. RISULTATI L’espressione dei trascritti per il TNF-alfa e per l’IL-15 è stata quantificata, mediante qPCR, in campioni di epitelio (Ep) e di lamina propria (LP) da biopsie digiunali ottenute da 15 pazienti celiaci e 15 controlli sani. Dall’analisi dei dati è emerso che tutti i pazienti celiaci presentavano una maggiore espressione del trascritto per il TNF-alfa e per l’IL-15 rispetto ai controlli; tale aumento si riscontrava sia confrontando i compartimenti epiteliali, sia confrontando i compartimenti della LP. Inoltre, nell’ambito del gruppo dei pazienti celiaci, il trascritto per il TNF-α era significativamente aumentato (p<0,05) nel compartimento epiteliale rispetto al compartimento costituito dalla LP (Fig. 1). FIG.1 Stesso trend si riscontrava per quanto riguarda l’espressione del trascritto per l’IL-15. Infatti, tale citochina nei celiaci rispetto ai controlli, risultava significativamente aumentata sia paragonando fra di loro i due compartimenti epiteliali ( p<0,01) sia confrontando tra di loro i due compartimento della LP (p<0,01). Altresì, all’interno del gruppo dei celiaci, il trascritto per l’IL-15 risultava significativamente incrementato (p<0,01) nel compartimento epiteliale rispetto al compartimento della LP (Fig. 2). FIG.2 Anche l’espressione dei trascritti per l' IFN-gamma e per l’ IL-21 è stata quantificata, mediante qPCR, in campioni di Ep e di LP da biopsie digiunali prelevate da 15 pazienti celiaci e 15 controlli sani. In particolare il trascritto per l’IFN-γ risultava significativamente più espresso (p<0,01) a livello dell’Ep dei soggetti celiaci rispetto all’Ep dei controlli. Anche a livello della LP il trascritto era significativamente aumentato (p<0,01) nei celiaci, rispetto ai controlli (Fig. 3.3). Nel gruppo dei celiaci risultava, inoltre, un significativo aumento (p<0,01) del trascritto a livello della LP, rispetto al compartimento epiteliale (Fig. 3). FIG.3 Per quanto riguarda il trascritto per l’IL-21 dall’analisi dei dati, è emerso, che tale citochina era significativamente più espressa (p<0,01) nella LP dei pazienti celiaci rispetto alla LP dei controlli; nessuna differenza statisticamente significativa si riscontrava invece paragonando il compartimento epiteliale dei due gruppi di soggetti. Nell’ambito dei pazienti celiaci, il trascritto risultava significativamente più alto (p<0,01) a livello della LP, in confronto al compartimento epiteliale (Fig. 3.4). Nell’ambito del gruppo dei controlli, invece, si notava una maggiore espressione, statisticamente significativa (p<0,05), del trascritto per l’IL-21 a livello epiteliale rispetto alla LP (Fig. 4). FIG.4 Infine è stata quantificata l’espressione dei trascritti per il TGF-β e per l’IL-10, mediante qPCR, dall’analisi dei dati è emerso che tutti i pazienti celiaci presentavano una maggiore espressione di entrambi i trascritti rispetto ai controlli, sia confrontando i compartimenti epiteliali, sia i compartimenti della della LP. In particolare confrontando i livelli di espressione del TGF- β nel compartimento epiteliale si notava un significativo aumento (p<0,01) degli stessi nell’Ep dei celiaci, rispetto ai controlli. Anche a livello del compartimento della LP, il trascritto risultava significativamente più espresso (p<0,01) nella LP dei celiaci rispetto alla LP dei controlli. Nell’ambito dei celiaci, pur risultando alta l’espressione del TGF-β in entrambi i compartimenti, non risultavano differenze statisticamente significative (p>0,05) nei livelli di trascritto paragonando i due compartimenti. Nei controlli, si notava un aumento statisticamente significativo (p<0,05) nei livelli di TGF-β a livello dell’Ep rispetto alla LP(Fig.5). FIG.5 Per quanto concerne l’IL-10, confrontando i livelli di espressione della citochina nell’Ep di entrambi i gruppi, si notava un significativo aumento (p<0,05) nel compartimento epiteliale dei celiaci rispetto ai controlli. Il trascritto risultava significativamente più alto (p<0,05) anche a livello della LP dei celiaci, in confronto alla LP dei controlli. Nell’ambito dei pazienti con MC, non si sono riscontrate differenze significative (p>0,05) tra i livelli di trascritto presenti nei due compartimenti mucosali, pur essendo presenti alti livelli di IL-10, rispetto ai controlli, in entrambi i compartimenti. Nel gruppo dei controlli, così come riportato per il TGF-β, anche per l’IL-10, si notava un aumento, statisticamente significativo (p<0,05) a livello epiteliale rispetto alla LP (Fig. 6). FIG.6 DISCUSSIONE I nostri dati dimostrano, una maggiore espressione dei trascritti sia delle citochine infiammatorie sia di quelle antinfiammatorie, nella mucosa intestinale dei pazienti celiaci rispetto ai controlli. Questi dati suggeriscono che sia l’epitelio che la lamina propria, nei celiaci in fase florida, hanno un ruolo, non solo nella risposta infiammatoria di tipo Th1, ma anche nella risposta immunoregolatoria; difatti, quest’ultima risposta si dimostrava mediante la produzione di citochine antinfiammatorie, quali IL-10 e TGF-β, le quali hanno il ruolo di controbilanciare l’infiammazione. Inoltre, nell’ambito del gruppo dei celiaci, in particolare per quanto riguarda le citochine infiammatorie, l’epitelio rappresentava la sede di maggior produzione dell’IL-15 e del TNF-α, mentre la lamina propria risultava essere la sede di maggior produzione di IFN-γ e IL-21. Questo dato dimostra che l’epitelio, per la forte produzione di IL-15 rispetto alla lamina propria, potrebbe essere maggiormente coinvolto nella risposta innata, mentre la lamina propria, per la forte produzione di IFN-γ rispetto all’epitelio, sembrerebbe sede primaria della risposta immunitaria adattativa. Per quanto riguarda la differenza di espressione delle citochine antinfiammatorie nell’ambito dei rispettivi gruppi, nei celiaci non risultava nessuna differenza statisticamente significativa nella produzione del TGF-β e dell’IL-10, confrontando i due compartimenti mucosali. Tuttavia è importante evidenziare che, nei celiaci in fase florida della malattia, la forte produzione del TGF-β e IL-10, rispetto ai controlli, sia nell’epitelio che nella lamina propria, suggerisce che entrambi i compartimenti sono parimenti coinvolti a ristabilire l’omeostasi immunologica della mucosa. CONCLUSIONI In conclusione i nostri dati confermano la presenza, a livello della mucosa intestinale dei celiaci in fase florida, di una risposta infiammatoria di tipo Th1. In particolare, abbiamo dimostrato che l'epitelio rappresenta la sede di produzione di citochine proinfiammatorie che hanno un ruolo nell'immunità innata, mentre la lamina propria risulta essere la sede di sintesi di citochine proinfiammatorie che hanno un ruolo nella risposta immunitaria adattativa. Infine, entrambi i compartimenti producono elevati livelli di citochine con dominante attività soppressoria, per controbilanciare la risposta infiammatoria che si innesca sia a livello dell’epitelio che della LP. Questo studio sottolinea l' importanza della LCM come un valido strumento per determinare, nella risposta immune mucosale, l’esatto ruolo dei vari compartimenti tissutali nonché delle singole popolazioni cellulari nella patogenesi della malattia celiaca. Tale tecnica, combinata alla qPCR, si è dimostrata valida per determinare il “trascriptional profiling” dei geni per le citochine e si può prevedere che possa essere estesa anche ad altre patologie infiammatorie croniche dell’intestino. PARTE 2 - RUOLO DI CEPPI AIEC NELL'EZIOPATOGENESI DEL MORBO DI CROHN La malattia di Crohn è, insieme alla rettocolite ulcerosa, una delle forme più comuni di MICI (Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali) o IBD (Infiammatory Bowel Disease), termini generici che descrivono condizioni in cui c’è una risposta immunitaria ed infiammatoria ricorrente e cronica a livello del tratto gastrintestinale. La malattia di Crohn è un'infiammazione cronica che può colpire teoricamente tutto il canale alimentare, dalla bocca all'ano, ma che si localizza prevalentemente nell'ultima parte dell'intestino tenue chiamato ileo (ileite) e/o nel colon destro/cieco (ileocolite) oppure solo il colon in una sua qualsiasi parte (colite). I tratti intestinali colpiti si presentano infiammati, ulcerati (con perdita di tessuto) con lesioni che interessano a tutto spessore la parete intestinale. Anche se ci possono essere delle variazioni da caso a caso, nella sintomatologia del morbo di Crohn sono predominanti i dolori addominali (talvolta, se acuti, possono simulare un attacco d'appendicite) associati a diarrea e talora febbre. Il dolore addominale si localizza prevalentemente in basso a destra (sede del cieco e dell'ultima ansa ileale, le zone più frequentemente colpite). Possono comparire, meno frequentemente, sangue e muco visibili nelle feci e sintomi extraintestinali quali dolori alle articolazioni, diminuzione dell'appetito con conseguente calo ponderale e anemia. L’ eziologia delle MICI non è ancora del tutto chiara, sicuramente la MC è una patologia multifattoriale in cui concorrono fattori genetici, infatti il 20-25% dei pazienti affetti da MC ha familiari stretti con la stessa patologia, in più sono stati trovati diversi loci genici associati alla MC. Accanto ai fattori genetici ci sono quelli ambientali, quali abitudini alimentari, stile di vita, fumo, che influenzano notevolmente l’eziopatogenesi della MC, a riprova di ciò ci sono diversi studi che mostrano una maggiore prevalenza della malattia nei paesi industrializzati e nelle aree urbane. In virtù del fatto che, ad oggi, l’ eziologia non è del tutto chiara, la terapia medica si limita al solo uso di farmaci che controllano l'infiammazione, quali salicilati, steroidei ed immunosoppressori che, tra l’ altro, sono efficaci solo su una percentuale di pazienti. L’ assenza di cure definitive ha aperto la strada a diversi studi atti a determinare nuove possibili strategie terapeutiche. Di recente è emerso che nei pazienti affetti da MICI è presente una disbiosi, ovvero un’ alterazione della normale composizione della flora intestinale, di conseguenza, il paziente perde la sua tolleranza intestinale ai batteri endogeni e si determina un continuo stimolo del suo sistema di difesa quindi attivazione sproporzionata come entità e protratta nel tempo del sistema immunitario e presenza di uno stato infiammatorio cronico a livello del tratto gastrenterico. Normalmente c’ è un equilibrio tra batteri simbionti e patogeni opportunisti, che fanno anch’ essi parte della flora intestinale; in presenza di una disbiosi, questo equilibrio si altera e i patogeni opportunisti possono prendere il sopravvento, viene meno l’ omeostasi immune mucosale e si instaura uno stato infiammatorio che può cronicizzare. In particolare, a livello delle lesioni intestinali dei pazienti affetti da MC, si è visto che c’ è un’ aumentata presenza di particolari ceppi di Escherichia Coli AIEC (Adesive Invasive Escherichia Coli), considerati patogeni opportunisti. Escherichia Coli AIEC Escherichia Coli è un batterio Gram negativo, asporigeno, flagellato, aerobio/anaerobio facoltativo, normale componente del microbiota intestinale. Esistono ben 171 sierotipi patogeni intestinali, suddivisi in gruppi sulla base del meccanismo con cui esplicano la loro virulenza. Uno di questi è il gruppo degli AIEC, cioè ceppi adesivi – invasivi, considerati patogeni opportunisti; in particolare, il sierotipo O83:H1 e il ceppo LF82, sembrano essere maggiormente coinvolti nella MC in quanto sono stati isolati dalle lesioni intestinali, precoci e croniche, dei pazienti affetti da morbo di Crohn con frequenza statisticamente significativa. L' idea che un batterio possa essere l'agente eziologico della MC ha preso piede da qualche anno, soprattutto in seguito alla scoperta che l' Helicobacter Pylori è l'agente eziologico dell' ulcera gastrica; in effetti le ulcerazioni e i danni mucosali tipici della MC, sono quasi sovrapponibili a quelli indotti dall' H. pylori a livello gastrico. Il meccanismo d’azione di tali batteri sembra essere il seguente: essendo ceppi adesivi – invasivi, il primo step è l’adesione del batterio alla cellula ospite, in particolare alle cellule M, agli enterociti, ai fagociti professionisti. In seguito all’adesione, il batterio viene fagocitato dall’ospite e permane vitale all’interno dei lisosomi di tali cellule, dove stimola la produzione e la secrezione di citochine proinfiammatorie quali TNF-alfa, IL-17, IFN-gamma, IL-12, IL-8, che determinano lo stato infiammatorio cronico con conseguente aumento della permeabilità intestinale e danno alla mucosa. La capacità del batterio di aderire ed invadere la mucosa intestinale e di permanere vitale all’interno della cellula ospite, dipende da fattori di virulenza legati al batterio stesso, ad esempio la presenza di un pilus di tipo 1, assente nei ceppi di E. Coli non patogeni, ma anche di fattori legati all’ospite. In particolare due molecole della cellula ospite sono da considerarsi i “cavalli di Troia” che il batterio sfrutta per esplicare la sua azione patogena: 1) CEACAM 6 (CarcinoEmbryonic Antigen – related Cellular Adhesion Molecule 6), una molecola di adesione intercellulare, presente su granulociti, macrofagi e cellule epiteliali. Essa funge da recettore per il pilus di tipo 1 dei ceppi AIEC di E. Coli, permettendo così al batterio di aderire alla cellula ospite; in effetti tale proteina risulta essere overespressa a livello delle lesioni ileali dei pazienti affetti da MC. 2) LAMP 1 (Lysosome Associated Membrane Protein 1) che è una glicoproteina altamente presente sulla membrana dei lisosomi, anch’essa riconosce il pilus di tipo 1 degli E. Coli patogeni, pertanto potrebbe essere responsabile della detenzione e della sopravvivenza del batterio nei lisosomi dell’ospite. Anche tale molecola risulta overespressa, in particolare in macrofagi e granulociti, a livello delle lesioni ileali dei malati di Crohn. La scoperta di queste molecole ed il fatto che per le MICI non ci siano ancora cure definitive, hanno aperto la strada a diversi studi atti a determinare l'eventuale agente eziologico e le nuove possibili strategie terapeutiche. SCOPO Proprio in virtù di quanto appena detto, nella prima parte di questa seconda fase, lo scopo del lavoro sarà quello di chiarire il ruolo dei ceppi AIEC nell’eziopatogenesi del morbo di Crohn ed eventualmente delle altre MICI; in effetti fino ad oggi, nessuno ha ancora chiarito se lo stato infiammatorio cronico, caratteristico della MC, nei soggetti geneticamente predisposti si instaura in seguito alla colonizzazione della mucosa intestinale da parte di questi batteri, oppure se è proprio questa infiammazione persistente che favorisce, ad esempio tramite un up-regulation del CEACAM 6, l’invasione della mucosa da parte dei patogeni. L’altra parte della sperimentazione, conseguente alla prima, sarà mirata alla sperimentazione di nuovi approcci terapeutici. A tal scopo si intraprenderanno due linee di ricerca: la prima, volta a sperimentare l'efficacia di una triplice miscela di antibiotici contro la capacità di tali ceppi di aderire ed invadere la mucosa intestinale, la seconda finalizzata alla valutazione degli effetti di ceppi selezionati di Lactobacillus casei e Lactobacillus rhamnosus e dei loro prodotti di secrezione (postbiotici), sulla colonizzazione della mucosa da parte degli AIEC e sullo stato infiammatorio cronico presente. In entrambe le fasi della sperimentazione, la tecnica sperimentale di elezione è stata e sarà quella della coltura d’organo in quanto essa permette di riprodurre condizioni sperimentali in vitro il più possibile vicine alle condizioni presenti in vivo, chiaramente ad essa si assoceranno metodiche per le analisi molecolari, in particolare immunoistochimica, immunofluorescenza e qPCR. MATERIALI E METODI Il primo step è stato quello di reclutare, presso la C. O. San G. Moscati di Avellino e presso la clinica Santa Rita di Atripalda, i pazienti; sono stati selezionati, fino ad oggi, 20 pazienti affetti da morbo di Crohn dai quali, previo consenso informato, sono stati raccolti 6 campioni bioptici di tessuto sano (colon) e 2 biopsie di tessuto infiammato, tramite colonendoscopia. Le biopsie raccolte, sono state trasportate in laboratorio all’interno di provette contenenti soluzione fisiologica e antibiotici (streptamicina e penicillina 1%), poste in un contenitore termico con ghiaccio secco. In laboratorio sono state allestite le colture d’organo: per ogni paziente sono state poste in coltura 4 delle 6 biopsie di tessuto sano, in condizioni sperimentali differenti, i campioni bioptici non utilizzati vengono congelati mediante l’ausilio dell’OCT e conservati in azoto liquido. Le piastre per la coltura d’organo sono dotate di un pozzetto centrale, all’interno del quale si pone il mezzo di coltura (DMEM/F12) privo di antibiotici. Ogni biopsia viene adagiata su una griglia sterile posta sul pozzetto della piastra, in modo che il tessuto venga imbibito, a livello basale, col terreno di coltura, senza esserne sommerso. I punti di coltura allestiti sono stati 4: 1) N, la biopsia viene posta in coltura con il solo mezzo, senza batteri; 2) NP, la biopsia viene posta in coltura con mezzo e, sulla parte apicale, il tessuto viene bagnato con una sospensione di E. Coli non patogeno ad una concentrazione di 108 CFU/ml (100 µl); 3) LF82, la biopsia è posta in coltura con mezzo e, sulla parte apicale, il tessuto viene bagnato con una sospensione di E. Coli AIEC, ceppo LF82, ad una concentrazione di 108 CFU/ml (100 µl); 4) O83:H1, la biopsia è posta in coltura con mezzo e, sulla parte apicale, il tessuto viene bagnato con una sospensione di E. Coli AIEC, sierotipo O83:H1 ad una concentrazione di 108 CFU/ml (100 µl). Le 4 colture d’organo così allestite vengono incubate a 37° C per 3 ore, dopo un’ora e mezza i batteri vengono risospesi. Dopo le 3 ore le biopsie vengono trasferite su nuove piastre di coltura e viene cambiato il mezzo che sarà uguale per tutti e 4 i punti di coltura: DMEM/F12 addizionato con antibiotici (streptamicina/penicillina 1% e gentamicina 1%), dopodichè le colture sono incubate in una cameretta all'interno della quale viene insufflato ossigeno (95%) e anidride carbonica (5%) e vengono poste dinuovo a 37° C per altre 3 ore. A questo punto si effettua l’ultimo cambio; viene rimosso il terreno vecchio, che viene sostituito da terreno fresco (DMEM/F12 addizionato solo con streptamicina/penicillina 1%), dopodichè le camera di incubazione viene insufflata e riposta in stufa a 37° C per le ultime 2 ore. A 8 ore si sono stoppate le colture e le biopsie sono state congelate mediante l’ausilio dell’OCT (Optimum Cutting Temperature) in azoto liquido, dove vengono conservate fino al momento dell’analisi. Le biopsie congelate sono state tagliate al criostato in modo da ottenere sezioni di tessuto dello spessore di 8 µm, sono state raccolte su appositi vetrini amilosati ed utilizzate per le analisi molecolari. In particolare sono stati valutati i livelli di espressione di due tipi di markers: 1) markers specifici, indicatori dell’invasione e della sopravvivenza del batterio, ovvero CEACAM 6 e LAMP 1, mediante la tecnica dell’immunofluorescenza; 2) markers di infiammazione e di attivazione immunologica, meno specifici, cioè HLA-DR e ICAM 1, mediante la tecnica dell’immunoistochimica. L’ analisi dei dati è semiquantitativa, basata sull’osservazione al microscopio (ottico e confocale) delle sezioni ottenute. A seguito dei risultati ottenuti da queste analisi, si è provveduto a formulare un' ipotesi e si è proceduto ad effettuare ulteriori analisi per validare quest' ultima. In particolare si è andati a valutare i livelli di espressione di tre delle principali citochine pro-infiammatorie coinvolte nella MC mediante qPCR: IFN-gamma, TNF-alfa e IL-8. A tal scopo le biopsie congelate di tutti i pazienti, sia quelle che sono state poste in coltura che quelle basali (tessuto sano e infiammato non posto in coltura ma congelato immediatamente dopo l'arrivo in laboratorio), sono state tagliate al criostato. Da ogni biopsia si sono ottenute 10 sezioni che sono state raccolte in un'eppendorf contenente 30 μl di buffer di lisi (Life Technologies, Italia) e 0,5 μl di inibitore delle RNasi (40 U/ μl, BioLabs inc.). Le eppendorf contenenti le sezioni bioptiche sono state poi incubate a 42°C per 30' e poi centrifugate a 3000xg per 2', dopodichè si è proceduto all'estrazione dell'RNA totale mediante in kit che sfrutta microcolonne di resina (PicoPure RNA Isolation Kit, Life Technologies, Italia). Tale kit permette di ottenere una resa, in termini di quantità e qualità del materiale estratto, pressocchè costante da tutti i campioni; la quantificazione del materiale estratto è stata effettuata al NanoDrop e sono stati ottenuti risultati quasi sovrapponibili da ogni campione; la quantità di RNA estratto è pari a circa 20 ng/μl in tutti i campioni. Il protocollo di retrotrascrizione, opportunamente ottimizzato, è basato sui protocolli di Foley et al. (1993) e Leonard et al. (1993). Il cDNA è stato ottenuto dalla retrotrascrizione di 10 μl di RNA in un volume finale di 20 μl, tramite il kit "VILO (Variable Input Linear Output) reverse transcriptase" (Life Technologies) utilizzando Random Primers. Il cDNA ottenuto è stato diluito 1:10 in TE (Tris EDTA) ed ogni campione così ottenuto è stato suddiviso in diverse aliquote in modo da evitare stress termici. I campioni sono stati conservati a -20°C e scongelati all’occorrenza. Per l’analisi in Real Time-PCR (qPCR) si è scelta la chimica SYBR® Green, per la sua maggiore flessibilità operativa, utilizzando la Master Mix PowerSYBR Green PCR (LIFE TECHNOLOGIES, ITALIA) e come normalizzatore del segnale, il sistema ROX. La reazione di amplificazione è avvenuta in piastre da 96 pozzetti (Applied Biosystems, Italia) ed è stata allestita in un volume finale di 35 μl, con 10 μM primer, forward e reverse trascritto-specifici, e 2 μl di cDNA. L’amplificazione/acquisizione è stata eseguita su un termociclatore ABI Prism 7000 Sequence Detection System (LIFE TECHNOLOGIES, ITALIA) equipaggiato con software versione 1.2.3. RISULTATI Buona parte del tempo è stata impiegata per ottimizzare il protocollo sperimentale, ovvero tessuto da scegliere (ileo o colon), tipo di mezzo da utilizzare, concentrazione batterica, tempi di coltura, markers da analizzare. Dopo questa fase progettuale si è giunti alla conclusione che il tessuto migliore per questo tipo di sperimantazione è il colon, il mezzo che permette di mantenere meglio la morfologia del tessuto è risultato essere il DMEM/F12, la concentrazione batterica ottimale è di 108 CFU/ml e si è preferita una coltura a 8 ore (oltre il tessuto perdeva buona parte della sua integrità). Dall’immunofluorescenza è emerso che, sia il segnale del CEACAM 6 (fig. 1) che quello del LAMP 1 (fig. 2), risultano molto più forti nelle sezioni ottenute dal tessuto sano posto in coltura in presenza dei ceppi patogeni rispetto a quello presente in sezioni ottenute da biopsie non coltivate e biopsie coltivate in presenza del solo mezzo o in presenza del ceppi non patogeni (N/NP). Fig. 1 – Segnale del CEACAM 6 (in verde) ottenuto mediante IF. Come si evince dalle immagini il segnale è nettamente più forte nelle ultime due immagini (sezioni ottenute da biopsie poste in coltura con ceppi patogeni) ed in particolare nell’ultima immagine (sezioni di tessuto coltivate con il sierotipo O83:H1). Questi risultati suggeriscono che il CEACAM 6 viene indotto dai ceppi patogeni di E. Coli, maggiormente da quelli appartenenti al sierotipo O83:H1. Fig. 2 – Segnale del LAMP 1 (in verde) ottenuto con IF. Anche da queste immagini si evince che il segnale del LAMP 1 è più forte nelle sezioni ottenute da biopsie coltivate in presenza dei ceppi patogeni, ma in questo caso la fluorescenza risulta nettamente più intensa nelle sezioni ottenute da tessuti posti in coltura con il ceppo LF82. I risultati ottenuti dall’immunoistochimica mostrano un segnale più forte, sia per quanto concerne l’ HLA-DR (fig. 3) che l’ ICAM 1 (fig. 4), in sezioni ottenute da biopsie poste in coltura con i ceppi patogeni e, anche in questo caso, il segnale più forte si ottiene dalle sezioni di tessuto coltivato con il sierotipo O83:H1. Fig. 3 – Segnale (in rosso) dell’ HLA-DR ottenuto tramite IHC. Fig. 4 – Segnale (in rosso) dell’ ICAM 1 ottenuto mediante IHC. I risultati ottenuti dalla qPCR mostrano che i tracritti per le citochine analizzate (TNF-α, IFN-γ, IL-8) vengono indotti dai ceppi AIEC come si evince dal grafico (fig. 5), in particolar modo, le citochine risultano più espresse nei tessuti coltivati in presenza del sierotipo O83:H1, rispetto a quelli coltivati in presenza del ceppo LF82. Fig. 5 - Livelli dei trascritti di TNF-alfa, IL-8 e IFN-gamma nel basale sano (BL SANO), basale infiammato (BL INFIAMMATO), biopsia coltivata con solo mezzo (N), con E.coli non patogeno (NP), con il ceppo LF82 (LF82) e con il sierotipo O83:H1 (O83:H1). DISCUSSIONE Dall’ analisi dei dati ottenuti, sia dall’immunofluorescenza che dall’immunoistochimica, si può dedurre che nei tessuti coltivati in presenza dei ceppi patogeni di E. Coli, il segnale dei marcatori presi in esame è più forte, in particolare, tali batteri inducono nei tessuti l’espressione di CEACAM 6 e di LAMP 1, utili al batterio stesso per invadere le cellule e sopravvivere nei lisosomi, colonizzando così la mucosa, questo è un dato importante, in quanto si chiarisce per la prima volta che è il batterio ad up-regolare l’espressione di tali molecole nei tessuti. La presenza del batterio, inoltre, fa aumentare anche il segnale dei due markers infiammatori, HLA-DR e ICAM 1, di conseguenza, si confermano i dati presenti in letteratura, ovvero che questi ceppi di E. Coli aumentato l’infiammazione. Quindi i ceppi presi in esame si candidano ad essere possibili agenti eziologici della MC. In particolare, confrontando i segnali ottenuti dalle sezioni di tessuto coltivate con il sierotipo O83:H1 con quelli ottenute dalle sezioni di tessuto coltivato con il ceppo LF82, si nota che essi sono più forti nei primi per quanto concerne il CEACAM 6, l’ HLA-DR e l’ ICAM 1, mentre sono più forti nei secondi per quanto riguarda il LAMP 1. La mia interpretazione di questo dato è che, con molta probabilità, il sierotipo O83:H1 è più patogeno, in quanto, a parità di concentrazione e condizioni sperimentali, induce maggiormente lo stato infiammatorio, mentre il ceppo LF82 è più invasivo ma meno patogeno, in quanto, induce maggiormente il LAMP 1, segno che il batterio ha invaso le cellule e permane al loro interno, ma, a parità di carica, arreca meno danni (l'attivazione immunologica è di entità inferiore) rispetto al sierotipo O83:H1. A suffragio di tale ipotesi si aggiungono i dati ottenuti dalla qPCR che evidenziano un aumento, statisticamente significativo, dei trascritti di tre delle principali citochine pro-infiammatorie coinvolte nella MC: TNF-alfa, IFN-gamma e IL-8, in presenza dei ceppi patogeni, pertanto esse vengono indotte in seguito all'infezione da parte di entrambi i ceppi patogeni. In particolare, confrontando i livelli dei trascritti nei campioni coltivati in presenza di LF82 con quelli ottenuti dai campioni posti in coltura in presenza di O83:H1, si evince un aumento nettamente superiore in presenza del sierotipo O83:H1, a conferma dell' ipotesi suddetta ovvero che la patogenicità di quest' ultimo, a parità di condizioni, risulta essere maggiore rispetto al ceppo LF82, questi dati chiariscono per la prima volta un ruolo diverso dei due AIEC maggiormente coinvolti nella MC. PROSPETTIVE FUTURE In virtù dei risultati ottenuti, si comincia a far strada l' ipotesi che i ceppi AIEC giochino un ruolo fondamentale nell' eziopatogenesi della MC e si candidano ad essere il possibile agente eziologico della malattia. Pertanto gli aims della seconda fase progettuale prevedono la sperimentazione di nuove possibili strategie terapeutiche, mirate ad impedire a tali ceppi la colonizzazione della mucosa intestinale e a migliorare lo stato infiammatorio cronico.

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