D'Albore, Filomena (2009) CAMPI DI STRAIN IN AREE VULCANICHE: MODELLI ANALOGICI CON APPLICAZIONE AI CAMPI FLEGREI. [Tesi di dottorato] (Inedito)

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Tipologia del documento: Tesi di dottorato
Lingua: Italiano
Titolo: CAMPI DI STRAIN IN AREE VULCANICHE: MODELLI ANALOGICI CON APPLICAZIONE AI CAMPI FLEGREI.
Autori:
AutoreEmail
D'Albore, Filomenamdalbore@virgilio.it
Data: 21 Novembre 2009
Numero di pagine: 147
Istituzione: Università degli Studi di Napoli Federico II
Dipartimento: Scienze della Terra
Scuola di dottorato: Scienze della Terra
Dottorato: Scienze della Terra
Ciclo di dottorato: 22
Coordinatore del Corso di dottorato:
nomeemail
Mazzoli, Stefanosmazzoli@unina.it
Tutor:
nomeemail
Luongo, Giuseppeluongius@unina.it
Scarpati, Claudiocscarpat@unina.it
Data: 21 Novembre 2009
Numero di pagine: 147
Parole chiave: CAMPI FLEGREI, CALDERA, MODELLO ANALOGICO
Settori scientifico-disciplinari del MIUR: Area 04 - Scienze della terra > GEO/10 - Geofisica della terra solida
Depositato il: 01 Dic 2009 14:17
Ultima modifica: 30 Apr 2014 19:40
URI: http://www.fedoa.unina.it/id/eprint/4056
DOI: 10.6092/UNINA/FEDOA/4056

Abstract

I processi fisici di generazione magmatica, le forze che causano la risalita del magma, i diversi stili eruttivi risultano ben correlati, da un punto di vista generale, alla tettonica globale, invece i caratteri principali di ogni singolo edificio vulcanico sono ancora oggetto di importanti dibattiti. Recentemente, è stato possibile ottenere nuovi dati utilizzando i modelli analogici che riproducono eventi naturali in laboratorio. Il modello analogico è efficace solo se ben vincolato con parametri fisici ed elementi geometrici o strutturali che possono essere definiti solo dopo un’attenta analisi dell’area investigata. In questo lavoro di ricerca, è stata studiata la caldera dei Campi Flegrei allo scopo di modellizzare le sue strutture e le sue dinamiche. L’area flegrea è il centro di un importante dibattito scientifico riguardante i bordi calderici: negli ultimi decenni i limiti delle due caldere sono stati continuamente modificati, sia a terra che a mare, ed, in alcuni casi, sono stati tracciati senza tener conto di alcun vincolo geologico, soprattutto nella parte sommersa. Questa situazione riguarda soprattutto la caldera esterna detta dell’Ignimbrite Campana. Nella prima fase di lavoro si analizzano dati provenienti da una ricca bibliografia, che abbraccia gli ultimi 30 anni e si deduce che il bordo della caldera esterna è stato ben ricostruito solo a terra, ma non esistono prove circa l’esistenza della sua porzione sommersa. La mancata certezza di un bordo meridionale ci porta a ricercare un nuovo meccanismo per interpretare l’eruzione dell’Ignimbrite Campana, la più grande dell’area esaminata, utilizzando i modelli analogici. A tale scopo si costruisce un modello in gelatina per analizzare la deformazione dell’overburden correlata all’incremento di pressione nella sorgente di stress in profondità. La gelatina è stata scelta da diversi autori come mezzo analogo alla crosta terrestre: si tratta di un materiale derivante dall’idrolisi parziale del collagene, una proteina insolubile presente nei vertebrati, e si presenta come un solido chiaro, trasparente, con comportamento viscoelastico, ad una temperatura maggiore di +7°C, che tende a divenire fragile ad una temperatura di poco inferiore (+5°C). L’utilizzo della gelatina permette di realizzare modelli analogici definibili unici sia per la loro versatilità che per l’immediatezza dei risultati. La fase sperimentale è divisa in due parti: determinazione di alcuni parametri reologici della gelatina e costruzione dei modelli. Dai risultati della prima fase si decidono le concentrazioni che le soluzioni di gelatina devono avere in funzione delle caratteristiche del mezzo che si vuole scalare; si programma il numero degli strati, il loro spessore e la loro posizione. La seconda fase sperimentale consiste nella realizzazione di modelli a sorgente puntiforme ed a sorgente estesa. I risultati del modello a sorgente estesa sono in accordo con un plume magmatico in ascesa che produce tumescenza crostale, una frattura eruttiva tripartita e detumescenza. Un modello simile è già stato proposto, per i Campi Flegrei: partendo dall’equazione generale di Marsh, che governa la deformazione in un processo di detumescenza crostale, è stato realizzato un modello analitico (Luongo et al., 1991) con il quale si calcola la pressione necessaria per ottenere, nell’area flegrea, un processo di risorgenza calderica. Un calcolo simile si esegue anche con l’utilizzo del modello analogico a sorgente estesa ed il valore di pressione ottenuto è uguale a quello prodotto dal modello analitico: la similitudine dei due valori indicherebbe che il modello analogico possa fornire una rappresentazione attendibile del processo esaminato. Il modello a sorgente estesa è stato utilizzato anche per determinare le dimensioni del corpo magmatico, responsabile del lungo processo di deformazione dell’area flegrea, ed i valori del sollevamento del suolo sia lungo la verticale passante per il centro del plume che a distanze variabili dal punto di massimo sollevamento. Dalla combinazione dei risultati del modello analogico a sorgente estesa e del modello analitico preesistente si ipotizza un nuovo meccanismo di eruzione dell’Ignimbrite Campana e si giunge alla conclusione che l’attività dei Campi Flegrei possa essere associata con una giunzione tripla generata dalla risalita di un plume magmatico. In tal caso, i Campi Flegrei si troverebbero al centro della frattura tripartita da cui partono i rami: il ramo orientale attraversa il vulcanismo della città di Napoli sviluppandosi fino al Vesuvio; il ramo occidentale non ha soluzioni di continuità dall’area flegrea ad Ischia attraverso Procida; il ramo settentrionale è abortito o potrebbe essere associato ad un vulcanismo più antico, i cui prodotti sono rinvenuti nei pozzi dell’area Parete – Villa Literno.

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