UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II” FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE ARCHEOLOGICHE E STORICO-ARTISTICHE INDIRIZZO ARCHEOLOGICO XXIV CICLO Tesi di dottorato I luoghi di culto della Campania centro-settentrionale dall’età arcaica alla tarda età repubblicana: analisi tipologica e topologica COORDINATORE Ch.mo Prof. Carlo Gasparri TUTOR Ch.ma Prof.ssa Giovanna Greco CANDIDATA Dott.ssa Marialucia Giacco ANNO ACCADEMICO 2010/2011 INDICE GENERALE Introduzione » 3 Parte I -Questioni di metodo CAPITOLO I -SACRO E TERRITORIO 1.1. Luoghi di culto e territorio: il problema storiografico » 8 1.2. La formazione del concetto di paesaggio religioso » 11 1.3. La dimensione dello spazio in archeologia. Storia degli studi » 12 1.4. Rapporti tra siti e principali modelli di indagine territoriale » 16 1.5. Il concetto di topologia e la rappresentazione grafica delle relazioni spaziali » 22 CAPITOLO II -METODOLOGIA DI INDAGINE 2.1. La schedatura dei siti » 24 2.2. La cartografia e il posizionamento dei siti » 27 Parte II -La documentazione CAPITOLO III -CUMA 3.1. L’antica Cumae: storia e topografia della città e del territorio » 31 3.2. I santuari di Cuma: culti, tipologia e distribuzione territoriale » 40 3.3. I luoghi di culto di Cuma -Catalogo » 46 CAPITOLO IV -CAPUA 4.1. L’antica Capua: storia e topografia della città e del territorio » 63 4.2. I santuari dell’antica Capua: culti, tipologia e distribuzione territoriale » 78 4.3. I luoghi di culto di Capua -Catalogo » 90 CAPITOLO V -LA MESOGEIA 5.1. La pianura a Sud del fiume Volturno e l’ager Campanus » 103 5.1.1. Calatia » 105 5.1.2. Suessula » 109 5.1.3. Nola » 112 5.1.4. Abella » 116 5.2. I luoghi di culto dell’ager Campanus: tipologia e distribuzione territoriale » 119 5.3. I luoghi di culto dell’ager Campanus -Catalogo » 126 CAPITOLO VI -IL TERRITORIO AUSONE/AURUNCO 6.1. Cales e l’ager calenus » 136 6.2. L’ager Sinuessanus » 139 6.3. I luoghi di culto del territorio ausone/aurunco: tipologia e distribuzione territoriale » 142 6.4. I luoghi di culto -Catalogo » 152 CAPITOLO VII -TEANO 7.1. Teano e l’ager sidicinum » 173 7.2. I luoghi di culto di Teano: tipologia e distribuzione territoriale » 177 7.3. I luoghi di culto -Catalogo » 184 CAPITOLO VIII -LA MEDIA E ALTA VALLE DEL VOLTURNO 8.1. Il territorio tra il Matese e il Monte Maggiore » 199 8.1.1. Cubulteria » 199 8.1.2. Trebula Balliensis e il comparto dei Monti Trebulani » 202 8.1.3. Presenzano e l’ager Rufranus » 205 8.1.4. Il territorio alifano » 207 8.2. I santuari della valle del Volturno: tipologia e distribuzione territoriale » 209 8.3. I luoghi di culto -Catalogo » 218 Parte III -Analisi dei dati CAPITOLO IX -ANALISI DELLA DOCUMENTAZIONE 9.1. Alcune considerazioni sull’universo religioso della Campania centro-settentrionale » 231 9.1.1. L’organizzazione sacra del territorio di Cuma » 236 9.1.2. L’organizzazione sacra del territorio di Capua » 239 9.1.3. L’organizzazione sacra dell’ager Campanus » 242 9.1.4. L’organizzazione sacra del territorio dell’antica Cales » 245 9.1.5. L’organizzazione sacra dell’ager Sinuessanus » 248 9.1.6. L’organizzazione sacra del territorio di Teano » 249 9.1.7. La media e alta valle del Volturno » 251 9.2. Considerazioni conclusive sulla distribuzione spaziale dei santuari in prospettiva diacronica » 253 Abbreviazioni bibliografiche » 283 3 INTRODUZIONE Negli ultimi anni l’attenzione della ricerca archeologica si è indirizzata in maniera preponderante alla problematica del sacro, affrontata da diversi punti di vista, privilegiando ora le dinamiche legate alla distribuzione spaziale dei luoghi di culto e alla logica sottesa alla delimitazione dello spazio consacrato, ora le modalità e le forme del culto e del rito vero e proprio. A partire dalla fine degli anni Novanta si sono, infatti, affermati diversi e autonomi filoni di studio, ognuno dei quali rivolto a indagare determinati aspetti della realtà del sacro, limitatamente a un preciso ambito territoriale, etnico, culturale o cronologico, senza peraltro trascurare le valenze ideologiche, politiche e sociali di cui i luoghi di culto sono portatori. Uno dei primi lavori pioneristici, nell’ambito delle problematiche legate al sacro, nato in seno allo strutturalismo, è quello della B. Bergquist, che ha esaminato a più riprese i principi fondamentali alla base della nascita e della durata spazio-temporale del santuario greco1. Da questa ricerca restavano però estranei alcuni elementi correlati di fondamentale importanza quali il rapporto con la realtà territoriale circostante e la dimensione spaziale del sacro, tematiche queste, affrontate in anni recentissimi da F. Veronese, in uno studio sistematico dei luoghi di culto delle fondazioni coloniali siceliote di età arcaica, finalizzato a evidenziare le forti interrelazioni tra realtà del sacro e territorio, tra religione e politica2. Più strettamente legato all’indagine delle forme del rito è un progetto promosso dal CNR3, dall’Istituto di Studi sulle Civiltà Italiche e del Mediterraneo Antico in collaborazione con la CSIC - Escule Espanola de Historia y Arqueología en Roma e con École Française de Rome, incentrato sulle modalità di delimitazione e di rappresentazione dello spazio consacrato e delle pratiche rituali proprie di quelle civiltà del Mediterraneo antico sviluppatesi precedentemente o indipendentemente rispetto al mondo greco e romano4. 1 BERGQUIST 1967; BERGQUIST 1992, 109-152. 2 VERONESE 2006. L’intento della studiosa è stato quello di tentare una ricostruzione del paesaggio “invisibile” - che si configura come un vero e proprio “paesaggio di potere” - creato dai Greci di età arcaica, che dalle coste della Sicilia si sono spinti nell’entroterra indigeno, erigendo diversi luoghi di culto nei territori toccati dalla loro avanzata e poi posti sotto il loro diretto controllo. 3 Saturnia Tellus 2008. 4 Molteplici sono stati gli approcci metodologici adottati: dalla disamina puntuale di singoli luoghi di culto, dal punto di vista topografico e strutturale, all’analisi dei comportamenti rituali finalizzati all’individuazione e alla definizione di Un’ulteriore impostazione metodologica è alla base di un terzo progetto “Fana, Templa, Delubra. Corpus dei luoghi di culto dell’Italia antica” diretto da J. Scheid e da O. de Cazanove, allo scopo di rendere più agevole lo studio delle religioni dell’Italia antica, attraverso la raccolta di tutte le fonti religiose databili tra il VII sec. a.C. e il VII sec. d.C., classificandole in base ai luoghi di culto5. Questa ricerca si inserisce sulla scia di tali filoni di studio. Essa è stata finalizzata alla definizione delle complesse e articolate interrelazioni tra paesaggio antico e manifestazioni del sacro nell’ambito della Campania centro-settentrionale, in un arco cronologico compreso tra l’età arcaica e la tarda età repubblicana (VII/VI-I sec. a.C.), prendendo spunto, appunto, dai più recenti e attuali filoni della ricerca archeologica che per lo studio dei luoghi di culto e delle valenze ideologiche, politiche e sociali a essi sottese, prediligono sempre più un approccio multi-settoriale, avvalendosi di assunti teorici e metodologie di indagine propri delle discipline matematiche e informatiche, rielaborate in seno all’Archeologia dello spazio e all’Archeologia dei paesaggi. L’obiettivo primario della ricerca, in particolare, è stato individuare e comprendere la logica e le modalità dell’infrastrutturazione sacra di un territorio, delle modalità, cioè, con cui, attraverso la dislocazione dei luoghi di culto, le varie comunità umane si sono relazionate allo spazio circostante fino a trasformarlo in un vero e proprio “paesaggio sacro”, all’interno del quale i santuari costituiscono i principali indicatori di una determinata organizzazione socio-politica. Il lavoro è stato suddiviso in tre parti sezioni, la prima delle quali è dedicata alla messa a punto critica delle riflessioni metodologiche applicate nel lavoro; sono state discusse le più recenti analisi sulla natura, forme, significati e funzioni dei luoghi di culto, sull’aspetto storico e antropologico del paesaggio e sull’elaborazione del concetto di paesaggio religioso; lo spazio non è più così inteso come un semplice scenario asettico e immobile entro cui l’uomo si un determinato tipo di spazio (naturale o edificato, reale o rappresentato, urbano o extraurbano), ai problemi riguardanti l’iconografia e la terminologia dello spazio consacrato fino alle dinamiche intrinseche a ciascun luogo di culto, attraverso l’analisi dei rituali, della tipologia e della distribuzione delle offerte, delle articolazioni architettoniche e dell’arredo. Di impostazione analoga è il recente lavoro di DE LA GENIÈRE et alii 2010. 5 Partendo dall’assunto fondamentale che le religioni dell’Italia antica non possano essere considerate come delle suddivisioni locali di un’unica religione, italica o romana, ma come dei micro-sistemi omologhi ma autonomi, le testimonianze della vita religiosa vengono analizzate in base al loro contesto geografico, istituzionale e sociale, secondo un criterio topografico. Come quadro di riferimento generale sono state scelte le regioni augustee e, all’interno di queste, una prima suddivisione è fornita dalle città di epoca romana, le uniche entità geografiche e istituzionali di cui si conoscono con esattezza i limiti. Nell’ambito di questo progetto è stato pubblicato l’inventario dei luoghi di culto del Lazio meridionale: GATTI-PICUTI 2008. 4 muove, ma come frutto esso stesso della creazione dell’uomo, derivato da rapporti complessi e interrelazioni molteplici tra uomo e ambiente e tra uomo e uomo nell’ambiente. Tali assunti di base hanno costituito le premesse per la scelta dei limiti cronologici della ricerca (VII/VI-I sec. a.C.) e dell’area geografica della Campania centro-settentrionale, (da Cuma alla foce Garigliano, lungo il litorale tirrenico, e nell’entroterra i centri della pianura campana fino al confine con l’attuale Molise a Nord, e a Est fino ai limiti attuali del Sannio e dell’Irpinia), un ambito geografico in cui hanno convissuto e si sono sovrapposte popolazioni di origini e culture diverse che hanno prodotto dinamiche di popolamento differenziate sin dall’età del Ferro e dove il sacro assume una decisiva valenza identitaria e rappresentativa delle varie comunità. La seconda parte della ricerca è stata dedicata alla presentazione dei dati della documentazione archeologica, scaturiti dall’esame delle pubblicazioni edite, dal carattere piuttosto eterogeneo, perché prodotte in momenti differenti e spesso per scopi diversificati, di cui è stato realizzato uno screening ragionato, inserendo i dati all’interno di un sistema strutturato e coerente, per un numero totale di 64 attestazioni. L’intera area d’indagine è stata suddivisa in sei differenti comprensori (Cuma; Capua; la Mesogeia; il territorio ausone/aurunco; Teano e il territorio dei Sidicini; l’alta e media valle del Volturno). Ciascuno di questi comparti è stato oggetto di una trattazione autonoma, specifica, nella quale sono stati presentati, di volta in volta, estensioni e limiti territoriali, configurazione geo-morfologica, dinamiche di popolamento, sviluppo topografico e vicende storiche e politico-istituzionali dei centri principali. Ciascun luogo di culto è stato esaminato in maniera analitica, in successione diacronica e sempre in relazione al territorio circostante, sulla base delle fonti letterarie ed epigrafiche, delle evidenze architettoniche e della documentazione materiale. Il catalogo ha privilegiato quegli elementi topografici e tecnici funzionali alla ricostruzione del paesaggio antico (posizione rispetto al centro principale; contesto geomorfologico, socio-morfologico, posizione topografica, caratteri ambientali, articolazione architettonica e spaziale, materiali votivi, titolarità del culto, frequentazione/abbandono). La terza fase del lavoro è stata dedicata all’elaborazione e all’analisi critica dei dati acquisiti. Per ogni singolo comparto geografico e in prospettiva diacronica, secondo una scansione cronologica per secoli, si è tentato di ricostruire, laddove possibile, l’universo religioso di riferimento, attraverso una lettura integrata e sistematica dei dati acquisti, e la 5 logica sottesa alla definizione e alla delimitazione dello spazio sacro, attraverso l’individuazione dei fattori e delle caratteristiche più rilevanti che possano aver condizionato il rapporto tra territorio, città e santuari e aver influito, dunque, su determinate scelte insediative. I dati sono stati, infatti, elaborati mediante software CAD e ArcGIS, che hanno consentito, innanzitutto, di posizionare tutte le evidenze in uno spazio geo-referenziato, e in seconda istanza, attraverso particolari e complesse elaborazioni fisiografiche, dell’esposizione, clivometriche e hillshading, dapprima su grid in formato raster bidimensionale e poi su TIN tridimensionale per una visione ancora più dettagliata delle modalità di organizzazione spaziale, hanno rilevato la frequenza e le modalità di distribuzione delle aree sacre nelle diverse epoche storiche. Ringraziamenti Desidero ringraziare la Prof.ssa Giovanna Greco che ha promosso, incoraggiato e sostenuto il lavoro, in ogni sua fase, con la sua grande disponibilità scientifica e umana; il Prof. Gasparri, coordinatore della Scuola di Dottorato in Scienze archeologiche e storico artistiche e tutti i membri del Consiglio di Dottorato, per i preziosi suggerimenti e i continui stimoli alla ricerca. Un ringraziamento particolare va al dott. Luigi Cicala, alla dott.ssa Bianca Ferrara e alla dott.ssa Antonella Tomeo, per il sostegno costante e per gli illuminati consigli metodologici, alla dott.ssa Valeria Sampaolo, direttrice del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, per la grande gentilezza e cortesia. Sono molto grata ai miei genitori e a mio fratello che mi hanno supportato sempre e in ogni modo; a Bianca, amica e sorella maggiore, per la sua guida paziente e il suo costante incoraggiamento; ad Antonella per la sua grande disponibilità e sollecitudine, a Teresa, con la quale ho condiviso questo percorso e che mi è stata vicino nei momenti più difficili. Desidero, infine, esprimere la mia gratitudine a Marianna, Serena e a tutti gli amici che hanno avuto la pazienza di ascoltarmi. 6 Parte I -Questioni di metodo CAPITOLO I SACRO E TERRITORIO 1.1. Luoghi di culto e territorio: il problema storiografico I molteplici aspetti relativi alla dimensione del sacro, da quelli strutturali e architettonici a quelli legati alle forme del culto e del rito o alle valenze ideologiche e politiche di cui i luoghi di culto sono investiti, hanno da sempre occupato un posto di particolare rilievo nell’ambito della letteratura storica e archeologica. A partire dalla metà del secolo scorso un ampio dibattito ha animato la critica circa la definizione stessa di santuario, genericamente indicato come «una struttura variamente evidenziabile in cui prevale una funzione cultuale»1. Numerose e molteplici le opinioni avanzate che hanno posto, di volta in volta, l’accento sui quei fattori ritenuti specifici ed esclusivi di un luogo di culto. Secondo W. Herrmann per santuario si deve intendere una realtà architettonica strutturata; santuari sono, infatti, «quei luoghi in cui la venerazione ha creato un insieme organico di edifici con diverse funzioni […]; un singolo tempio o un altare è potenzialmente un santuario»2. Di parere di segno completamente opposto è, invece, M. Casevitz per il quale può essere considerato santuario qualsiasi luogo che venga consacrato3, indipendentemente dalla sua strutturazione architettonica4, o ancora, privilegiando un approccio di tipo socio-antropologico, qualsiasi luogo destinato allo svolgimento di determinate ritualità5. Una lunga e feconda tradizione di studi si è a lungo interrogata sulla problematica cruciale riguardante la rilevante funzione svolta dai luoghi di culto nell’acquisizione e nella strutturazione socio-politica degli spazi di una città o di un territorio6; in particolare, 1 GUZZO 1987, 378. Sulla definizione di santuario e le sue molteplici accezioni cfr. anche: GLINISTER 1997, 61-80. Per il mondo romano: SCHEID 1997, 51-59. 2 HERRMANN 1965, 47. 3 Sul concetto dello spazio consacrato: Saturnia Tellus 2008. 4 CASEVITZ 1984, 82; cfr. anche EDLUND 1987, 34-35; GRECO E. 1990, 159. 5 MARINATOS 1993, 228-229. 6 Sul concetto di spazio sacro e della sua strutturazione, tra la vasta bibliografia sull’argomento, per il mondo greco e magno-greco vanno ricordati i contributi di BERGQUIST 1967; VALLET 1968, 67-142; NENCI 1979, 459-477; DE POLIGNAC 1991; BERGQUIST 1992, 109-152; GRECO E. 1992, 55-66; DE POLIGNAC 1994, 3-18; MORGAN 1994, 105-142; DE POLIGNAC 1999, 209-229; CAMASSA 2000, 189-195; GRECO E. 2009, 11-28. Per il mondo romano, tra la bibliografia più recente: SCHEID 1995, 424-432; VAUCHEZ 2002; SCHEID 2006, 439-448; GRUEL et alii 2008, 35-42; COARELLI 2009, 249-252; PÉCHOUX 2010. 8 nell’ambito della più ampia riflessione metodologica sulle forme e i modi del fenomeno coloniale in Magna Grecia, grande spazio è stato dedicato, da un lato, alla definizione della natura e delle funzioni dei santuari in relazione alla presa di possesso e all’organizzazione dello spazio urbano e della chora, dall’altro, a livelli diversi, ai rapporti che legano i santuari stessi, variamente dislocati in città e nel territorio circostante7. La costante e multiforme presenza di luoghi di culto nei territori di pertinenza delle diverse poleis, ha suscitato numerosi tentavi di interpretazione delle caratteristiche distintive, delle funzioni e delle finalità di tali aree sacre. Una preliminare distinzione di carattere topografico è stata realizzata, alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, da G. Vallet che ha proposto una differenziazione tra santuari suburbani, se collocati a meno di 1 km dal centro urbano, e santuari extraurbani se ubicati, invece, a una distanza compresa tra i 7 e i 10 km8. Sulla scia di questa impostazione metodologica, studi successivi hanno avanzato ulteriori proposte di classificazione. C. Parise Presicce ha suddiviso i santuari della chora in santuari limitrofi o peripolitici se ubicati ai margini del territorio su cui la polis esercita il proprio controllo diretto; in santuari periferici o periurbani se situati immediatamente a ridosso del perimetro urbano e in santuari centrali o civici se ubicati all’interno del terreno regolarmente diviso9. Più recente in ordine di tempo è, infine, la suddivisione elaborata da R. Leone che, sulla base delle differenti funzioni assolte dal territorio in cui sono dislocati, ha riconosciuto luoghi di culto periferici, rurali e di frontiera. I luoghi di culto periferici sarebbero rappresentati da aree sacre, dall’articolazione più o meno complessa, nella maggior parte dei casi contemporanee alla fondazione della polis di riferimento, collocate presso il limite del tessuto urbano; i santuari rurali si configurerebbero come luoghi di culto ubicati in zone nevralgiche del territorio e punti di incontro per gli abitanti della chora; i santuari di frontiera, infine, coinciderebbero con i luoghi di culto ubicati in corrispondenza del confine tra due poleis o tra due diverse realtà culturali ed etniche10. 7 Come è ormai noto, già al momento della fondazione si procedeva alla suddivisione funzionale degli spazi, riservando ab initio determinate aree al culto, sancendo in questo modo l’avvenuta presa di possesso del territorio e trasformando uno spazio indifferenziato in “luogo”: MALKIN 1987, 337. 8 VALLET 1968, 81-94. Tale ripartizione, seppur con qualche modifica, risulta tuttora valida in quanto basata su un principio di classificazione oggettivo costituito dalla misura della distanza lineare dalla cinta muraria. 9 PARISE PRESICCE 1984, 107. 10 LEONE 1998, 31-35. 9 Altrettanto numerose sono le teorie che hanno tentato di spiegare le origini e le prerogative, non solo religiose, di tali complessi sacri11. Una prima ipotesi interpretativa è stata avanzata, nella prima metà del Novecento, da E. Ciaceri che ha proposto di riconoscere nei santuari extraurbani precedenti luoghi di culto indigeni, successivamente assorbiti dalle nuove comunità greche12. Tale teoria è stata però, in anni più recenti, fortemente ridimensionata in quanto il mondo greco, certamente dotato di un sistema del sacro più articolato rispetto a quello del mondo indigeno, non avrebbe avuto la necessità di ricorrere a divinità esterne al proprio pantheon per legittimare un principio di acquisizione territoriale; inoltre, dal punto di vista della documentazione archeologica, non è mai stata rilevata, in modo sistematico, una netta sovrapposizione tra le due realtà che, oltretutto, si sarebbe potuta spiegare solo presupponendo una perfetta omogeneità tra le manifestazioni religiose greche e quelle indigene13. A questa tesi sono state mosse ulteriori critiche che hanno, invece, sostenuto come l’origine dei santuari extraurbani possa essere legata a questioni di ordine topografico, dal momento che la maggior parte di essi è ubicata in punti nevralgici e strategici del territorio, per esempio, su promontori, fungendo, quindi, da punti di orientamento, o in prossimità di luoghi di sbarco, di rifornimento o di ricovero per le navi14, o lungo percorsi, terresti e fluviali, di comunicazione con l’entroterra15. Altre prospettive di ricerca prediligono un approccio di tipo politico, riconoscendo ai luoghi di culto extraurbani una fondamentale manifestazione di sovranità, configurandosi come strumento attraverso il quale il mondo greco, soprattutto quello coloniale, ha proclamato la presa di possesso e di controllo di un territorio, in quanto la loro fondazione, molto spesso contemporanea alla nascita della polis, risulta strettamente connessa alla definizione dei suoi confini territoriali. I santuari extraurbani vengono investiti, così, da una spiccata valenza politica e culturale, assolvendo alla funzione precipua di marcare i confini tra gli spazi culturalizzati dalla presenza greca e quelli incolti, dominati dalla natura, divenendo baluardo di difesa contro tutto ciò che rappresenta l’ “altro”, il “diverso”, il “non civilizzato”, 11 Fondamentali messe a punto della problematica sono in ASHERI 1988, 1-15 e GRECO G. 1999, 231-247. Una sintesi recente è proposta in VERONESE 2006, 28-35 e in B. Ferrara, I santuari di Hera in Occidente. Si può definire un modello?, in AttiAcPontan, in corso di stampa. 12 CIACERI 1940, II, 19-22. 13 PUGLIESE CARRATELLI 1962, 241-246; PUGLIESE CARRATELLI 1965, 19-45; VALLET 1968, 87-88; PUGLIESE CARRATELLI 1988, 149-158 (in cui si sostiene un’origine micenea dei santuari extraurbani magno-greci). 14 GIANGIULIO 1996, 251-271; PAPISCA 2006, 161-171. 15 Un esempio fra tutti, il santuario di Hera alla foce del Sele, per il quale cfr., da ultimo: DE LA GENIÈRE-GRECO 2010. 10 identificabili, di volta in volta, ora con la natura selvaggia e ostile, ora come una diversa realtà sociale, etnica o culturale da tenere sotto controllo16. Al contempo, essi possono anche costituire principali luoghi di incontro, comunicazione e scambio tra differenti entità politiche e culturali17. Dalle teorie fin qui esposte emerge un quadro estremamente variegato dei significati e delle funzioni sottese ai luoghi di culto che, pur nella molteplicità e nella diversità delle loro manifestazioni, evidenziano una generale concezione del sacro come essenziale strumento di comunicazione politica e ideologica, configurandosi come aree privilegiate di incontro, di controllo, di potere, di mediazione e di interscambio. 1.2. La formazione del concetto di paesaggio religioso I concetti di spazio e di paesaggio appaiono, per la loro stessa natura, estremamente mutevoli e variabili, in quanto strettamente dipendenti dalla percezione che di essi hanno, in una prospettiva diacronica, i diversi attori sociali. Ne consegue, quindi, che la cognizione moderna di tali categorie di pensiero non corrisponde a quella che di essi si aveva nell’antichità e, soprattutto, che il concetto di “paesaggio religioso” costituisce una elaborazione speculativa recente, del tutto estranea alla strutture cognitive delle società antiche in cui ogni singolo luogo, soprattutto nel mondo romano, veniva in qualche modo consacrato18. Gli studi sulle religioni antiche hanno a lungo focalizzato l’attenzione sulla ricostruzione dei sistemi religiosi, secondo un approccio di tipo funzionale e strutturalista, così come testimoniato dai lavori di G. Dumezil e da quelli di J. P. Vernant e M. Detienne negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Contemporaneamente le ricerche di C. Lévi- Strauss hanno conferito una dimensione spaziale al mito, facendolo rivivere tra le popolazioni indigene dell’America19. La sua rappresentazione nell’ambito delle diverse strutture sociali, le pratiche degli scambi matrimoniali, le cerimonie di iniziazione hanno contribuito a mettere in evidenza la concezione di uno spazio culturalmente orientato e fortemente gerarchizzato. 16 GUZZO 1987, 373-379; DE POLIGNAC 1991, 60-61, 103-120. Contra, da ultimo, alla funzione di punto di incontro e scambio assunta dai santuari extraurbani nella fase di frequentazione più antica: TORELLI 2011, 57-58. 17 TORELLI 1977, 49-50. 18 SCHEID-DE POLIGNAC 2010, 427. 19 LÉVI-STRAUSS 1966-71. 11 Queste riflessioni, unitamente alla messa a punto dei concetti di margine e di confine, di centro e di periferia, di territorio e di frontiera20 insieme a quella dei riti di passaggio21 e alle nozioni di integrazione ed esclusione, di pubblico e privato22, hanno condotto alla progressiva elaborazione della dimensione spaziale del sacro che ruota intorno alla definizione stessa di santuario23. L’analisi integrata dei dati della documentazione archeologica e iconografica e delle fonti storiche ha consentito un approccio ampio e multi-disciplinare allo studio dei sistemi religiosi e dei luoghi di culto del mondo greco-romano. L’insieme di tutte le evidenze materiali e immateriali legate al sacro e le loro reciproche interrelazioni costituiscono quello che viene ormai definito un “paesaggio religioso”, da intendersi come il riflesso di specifiche identità culturali. Il concetto di paesaggio religioso scaturisce, dunque, dalla costatazione che il culto e i riti non esistono se non all’interno di uno spazio ben definito; i templi e le aree sacre, in tutte le loro manifestazioni, costituiscono l’ “armatura” religiosa di un territorio alla quale può essere sottesa una precisa dimensione politica e sociale24. 1.3. La dimensione dello spazio in archeologia. Storia degli studi Negli ultimi decenni, nel vasto panorama della ricerca archeologica italiana, si sono progressivamente affermati diversi filoni di indagine spaziale e territoriale che, prendendo le mosse dalle teorie della Spatial Archaeology25, elaborate in seno alla scuola anglo-americana nel corso degli anni Settanta del secolo scorso, hanno sviluppato e applicato allo studio dei paesaggi antichi modelli teorici multi-settoriali ancora non definitivamente codificati e in continua evoluzione; tali modelli applicativi, che utilizzano impostazioni metodologiche diverse e perseguono obiettivi differenti, rientrano nell’ambito delle più ampie discipline dell’Archeologia dello spazio e dell’Archeologia dei paesaggi. La prima indaga principalmente le relazioni spazio-temporali tra l’uomo e i molteplici elementi di un contesto archeologico; la seconda mira alla ricostruzione del paesaggio antico e delle azioni e degli interventi realizzati dall’uomo su di esso; entrambi i filoni di studio si prefiggono l’obiettivo primario di definire la logica sottesa alla distribuzione spaziale dei fenomeni culturali, nel tentativo di 20 VIDAL NAQUET 1991; VIDAL NAQUET 2006. 21 BRELICH 1969; BRELICH 2009. 22 DE POLIGNAC 1991; DE POLIGNAC-SCHMITT PANTEL 1998, 5-13. 23 SCHEID-DE POLIGNAC 2010, 428-429. Cfr., supra. 24 SCHEID-DE POLIGNAC 2010, 431. 25 Restano ancora fondamentali, in quest’ambito, i lavori di HODDER-ORTON 1976; CLARKE 1977. 12 comprendere appieno le modalità con cui le comunità umane, nel corso del tempo, si sono relazionate allo spazio circostante fino a trasformarlo in “luogo” e quindi in territorio26. In questa prospettiva, lo spazio non appare come una semplice cornice inerte e statica ma diviene, invece, un elemento attivo di primaria importanza in quanto oggetto della continua e prolungata azione dell’uomo che lo permea e lo modifica per assecondare le proprie esigenze di sopravvivenza e di adattamento all’ambiente27. Le manifestazioni sociali e culturali di una comunità umana sono, dunque, da considerarsi come i principali agenti di trasformazione dello spazio in paesaggio che, in ultima istanza, risulta quindi plasmato dalla cultura di un determinato gruppo, prodotto di un processo costitutivo sociale e culturale, un «vero e proprio manufatto»28 e in quanto tale mutevole, variabile e variegato perché strettamente dipendente dalla natura e dalla connotazione peculiare degli attori sociali che vi interagiscono29. I prodromi della moderna Spatial Archaeology sono da ravvisarsi, in ambito britannico, già nel corso degli anni Venti del secolo scorso, in alcuni lavori di Fox, Crawford e Hawkes i quali hanno condotto, su scala regionale, indagini rivolte alla definizione delle relazioni esistenti tra specifiche evidenze archeologiche e determinati tipi di suoli30. A partire da questo momento e per i decenni successivi si assiste al fiorire di numerosi studi e ricerche che, pur accomunati dal prevalente interesse per la dimensione spaziale dell’archeologia, hanno adottato prospettive e metodologie diversificate i cui risultati, nella maggior parte dei casi non supportati da un valido confronto scientifico, si sono rilevati estremamente discontinui e desultorî. In seguito a questi approcci preliminari e sperimentali, non ancora codificati all’interno di un modello metodologico ben definito, è solo a partire dagli inizi degli anni Quaranta del secolo scorso che la disciplina comincia a essere sistematizzata in via definitiva con la progressiva affermazione della scuola statunitense prima e della scuola britannica poi, che hanno sviluppato ed elaborato gran parte dei principi teorici tuttora utilizzati31. L’indirizzo di ricerca di tradizione britannica si è dedicato principalmente alla messa a punto di modelli teorici di riferimento che potessero essere universalmente validi32; l’interesse 26 VERONESE 2006, 41-42. 27 RAFFESTIN 1981, 149; TAYLOR 1985, 106-111; FORTE 2002, 122-123; VERONESE 2006, 42-43. 28 LAI 2000, 20-21; BURKERT 2003, 17-54; TURRI 2008,153-157; GEYER 2010, 13-15. 29 TILLEY 1994, 11; BARCELÓ-PALLARÉS 1998, 55-61. 30 CARDARELLI 1982, 11. 31 VERONESE 2006, 43. 32 HODDER-ORTON 1976; CLARKE 1977. 13 della scuola nord-americana è stato rivolto, invece, in maniera particolare allo studio delle forme di organizzazione socio-politica di diverse comunità umane sulla base delle loro scelte insediative33. A queste principali tendenze di studio può essere associata una terza che, affermatasi qualche anno più tardi in Europa settentrionale, sulla scia dello sviluppo dell’archeologia insediamentale a cavallo tra le due guerre, si occupa prevalentemente della ricostruzione dei paleo-ambienti34. La tradizione britannica, che ha preso le mosse dalle ricerche svolte nell’ambito della geografia locazionale35 e degli studi di ecologia nati in seno alla New Geography, ha focalizzato la propria attenzione principalmente sulla elaborazione di assunti teorici generali, applicabili allo studio e all’interpretazione di qualsiasi contesto archeologico. Opere pioneristiche, in questo ambito, sono quelle di I. Hodder e C. Orton36 e di D. Clarke37, padri fondatori della Spatial Archaeology, definita come la disciplina finalizzata allo studio del rapporto esistente tra la distribuzione spaziale delle evidenze archeologiche e gli effetti dell’attività umana, riconoscibili sia attraverso i manufatti sia attraverso le strutture, analizzati singolarmente o nella loro reciproca articolazione38. Questi studiosi hanno sperimentato e sviluppato, da un lato, alcuni modelli teorici geografici e statistico-matematici rivolti a un univoco e corretto posizionamento dei punti nello spazio, dall’altro, hanno messo a punto alcuni strumenti interpretativi per comprendere il livello di significatività della dislocazione dei siti rispetto a una distribuzione casuale. Tali teorie e assunti metodologici, d’altro canto, sono stati talvolta utilizzati e applicati in maniera indiscriminata e automatica, senza il supporto di un rigoroso criterio scientifico e senza tenere conto delle differenze culturali e spazio-temporali tra i vari contesti, nel tentativo di perseguire un’assoluta oggettività, producendo come conseguenza fondamentale un deciso impoverimento della prospettiva storica delle ricerche39. Tuttavia il merito principale della Spatial Archaeology sta nell’aver sottolineato la notevole complessità dei processi culturali e dei sistemi insediativi che da questi dipendono, ribadendo l’assoluta necessità, nello studio dell’organizzazione spazio-temporale dei diversi contesti, di un approccio quanto mai vario e articolato che tenga conto, in una prospettiva 33 SCHIFFER 1976. 34 BERGONZI 1982, 5-10; da ultimo, VERONESE 2006, 43-44. 35 Disciplina che studia l’organizzazione del territorio in relazione alla dislocazione delle risorse, secondo il principio della «massima razionalità per il minimo dispendio di energia»: HAGGETT 1965. 36 HODDER-ORTON 1976. 37 CLARKE 1977. 38 CLARKE 1977, 9. 39 CAMBI-TERRENATO 1998, 205. 14 diacronica, delle molteplici variabili alla base di determinate scelte insediative, nella convinzione fondamentale che il paesaggio costituisca «l’esito dinamico e cumulativo di una molteplicità di paesaggi dovuti all’interazione tra uomo-uomo, uomo-ambiente, ambiente- ambiente, a diversi livelli di risoluzione spazio-temporale-funzionale»40. La tradizione di studi statunitense, inaugurata dai lavori di G. Willey, ha prediletto un approccio metodologico ancora più ampio rispetto a quello adottato dalla scuola britannica, avvalendosi dell’apporto fondamentale di numerose discipline, quali l’archeologia, la geografia e l’etnografia e ha avuto il merito fondamentale di aver definito la nozione di modello insediativo, inteso come «l’insieme delle relazioni geografiche e fisiografiche di un gruppo di siti coevi nell’ambito di una singola cultura», e quella di sistema insediativo considerato come «l’insieme delle relazioni funzionali tra i siti»41. Tali indirizzi di studio, che hanno posto le basi per i successivi sviluppi della ricerca, hanno rilevato i due aspetti nodali da tener presente in qualsiasi tipo di analisi spaziale e territoriale: l’individuazione delle relazioni tra i singoli siti e l’ambiente circostante e, a un livello superiore, il riconoscimento dei rapporti di interdipendenza tra i diversi siti al fine, da un lato, di comprenderne le relazioni gerarchiche, dall’altro, la strutturazione socio-politica ed economica delle società oggetto di indagine42. Ogni sistema insediativo, quindi, può essere considerato quale diretta espressione dei processi culturali che lo hanno prodotto, risultato dell’interazione tra fattori complessi e articolati quali le modalità di popolamento, il livello tecnologico e le caratteristiche ambientali e tale complessità può essere indagata tramite il ricorso alle teorie statistico- matematiche sviluppate dalla Spatial Archaeology, da applicare non in maniera astratta e meccanicistica ma sempre in una dimensione contestuale e storicizzata. In tale prospettiva, a partire dall’ultimo ventennio, si è progressivamente affermato un nuovo filone di ricerca, denominato Landscapes of Power (o Powerscape), che, attraverso metodi di indagine propri di diverse discipline, quali l’archeologia sociale, l’antropologia e la geografia, cerca di definire modelli analitici che riproducono la strutturazione politica dello spazio antico. Tale ambito di studi ha conosciuto una notevole applicazione anche in Italia, dove è stato elaborato il concetto di Paesaggio di potere. L’intento di tale settore disciplinare è, anche in questo caso, comprendere le modalità dell’organizzazione politica dello spazio antico 40 DE GUIO 1992, 349. Una recente sintesi di tali approcci metodologici in VERONESE 2006, 44-45. 41 WINTERS 1969, 110; MORANDI BONACOSSI 1996, 19; VERONESE 2006, 45. 42 CAMBI-TERRENATO 1998, 236. 15 attraverso l’applicazione di due principi fondamentali: il principio della dominanza che indica il rapporto di dipendenza gerarchica tra i siti sulla base della distanza, e quello dell’asimmetria43. 1.4. Rapporti tra siti e principali modelli di indagine territoriale Lo studio dei rapporti fra siti e delle loro relazioni gerarchiche, politiche ed economiche richiama un’ulteriore concentrazione del potere, a sua volta, regolato dal principio dell’asimmetria, in quanto esso generalmente viene esercitato da una cerchia ristretta di persone intorno alle quali ruota l’intero sistema. Per comprendere allora le dinamiche alla base dell’esercizio del potere, l’Archeologia dello spazio ha mutuato dagli studi di economia geografica un primo modello applicativo costituito dalla cui, in un sistema territoriale moderno, basato su rapporti gerarchici, beni e servizi tendano a distribuirsi in centri diversi. Secondo questa teoria, all’interno di un paesaggio uniforme, senza montagne, fiumi o variazioni nella distribuzi determinata regione si dis situazione non riscontrabile in natura e certamente difficilmente applicabile allo studio dei siti antichi le cui scelte insediative, nella maggior parte dei casi, derivano da esigenze di carattere difensivo e militare o di approvvigionamento delle risorse e non dal principio del minimo sforzo che regola invece la 43 DE GUIO 1991, 191; Paesaggi di potere 44 JOHNSON 1977, 49-50; RENFREW Fig. 1.1. Modello della Central Place Theory RENFREW-BAHN 2006). 16 categoria di pensiero, rappresentata dall’indicazione della Central Place Theory, finalizzato alla definizione dell distribuzione delle risorse, gli insediamenti d sporebbero in maniera regolare. I centri maggiori, di natura e dimensioni analoghe, verrebbero a trovarsi a una st gli uni dagli altri, circondati da una serie di centri minori, a loro volta costellati da insediamenti ancora più piccoli; in questo modo, il territorio controllato da ciascun centro assumerebbe la configurazione di un esagono regolare e i siti di livelli differenti darebbero vita a un intricato sistema di relazioni Si tratta ovviamente di un modello puramente teorico e astratto, riferibile a una ti Central Place Theory. Tuttavia, tale teoria ha il merito di 2000; VERONESE 2006, 47. RENFREW-BAHN 2006, 170-171; VERONESE 2006, 47-48. (da , delle modalità con one di una stessa distanza ti relazioni44. aver messo in evidenza come molte città, sia antiche che moderne, siano costellate da centri di dimensioni minori e separate da una distanza regolare e costante. I rapporti gerarchici derivati dalle differenti dimensioni si rifletterebbero anche sulla dislocazione spaziale degli insediamenti, influenzando, di conseguenza, le relazioni di tipo politico ed economico, in base alle quali il centro principale tende a fornire determinati beni e servizi ai centri minori, ricevendone in cambio degli altri, secondo un principio di reciproca interdipendenza45. Uno dei metodi più efficaci per analizzare le correlazioni tra siti e le modalità della loro distribuzione territoriale consiste nel considerarli semplicemente come punti su uno spazio piano, senza particolari caratterizzazioni, dimensioni o rapporti gerarchici. Una volta ubicati i diversi punti, essi possono essere elaborati attraverso l’applicazione di diversi metodi teorici tra i quali quello che ha conosciuto una più ampia diffusione è rappresentato dai poligoni di Thiessen, finalizzati alla identificazione del territorio di pertinenza di ciascun punto. A ognuno di essi viene attribuito lo spazio più vicino: viene individuata la linea che congiunge due siti contigui e ne viene tracciata la perpendicolare; il punto di incontro tra le varie perpendicolari determina la formazione dei poligoni, all’interno di ciascuno dei quali verrà a trovarsi sempre un unico punto/sito, del quale l’area del poligono rappresenta il territorio di afferenza. I poligoni rilevano, dunque, la porzione di spazio pertinente a ciascun punto, fornendo un modello teorico per la definizione delle possibili aree di influenza o di diffusione, nonché di quelle di approvvigionamento46. Tuttavia, ancora una volta, si tratta di un modello puramente teorico e astratto, dal momento che tiene conto esclusivamente delle distanze lineari tra i siti, collocati all’interno di un paesaggio isotropico, e non dei loro rapporti gerarchici, delle loro diverse dimensioni o delle 45 RENFREW-BAHN 2006, 171; VERONESE 2006, 49. 46 CAMBI-TERRENATO 1998, 237-238; RENFREW-BAHN 2006, 171-172; VERONESE 2006, 53-54. Fig. 1.2. Applicazione dei poligoni di Thiessen sulla Sicilia greca (da VERONESE 2006). 17 possibili variabili di natura politica, economica o demografica. Per applicare un modello più vicino alla realtà, sono stati proposti alcuni accorgimenti che hanno preso in considerazione anche la configurazione fisica del territorio e il “peso”, ossia le dimensioni dei vari siti47, ma sono rimaste, tuttavia, escluse le eventuali forme di dominanza di un sito sugli altri. Queste ultime possono essere, invece, indagate attraverso il ricorso al modello centro-periferia particolarmente idoneo allo studio dei rapporti intrasito48. Tale modello, applicato soprattutto negli studi di geografia politica49, in realtà è utilizzato da più discipline per l’estrema versatilità e duttilità a cui si prestano i concetti stessi di centro e periferia; con il termine centro generalmente si indica un’area molto vitale dal punto di vista economico, densamente popolata e dotata di una grande capacità di controllo politico e di gestione delle risorse; il concetto di periferia, al contrario, presume caratteristiche del tutto complementari rispetto a quelle ora indicate, implicando anche una forte connotazione di marginalità50. Si tratta di un metodo molto dinamico perché a ogni singola variazione di ciascuno degli elementi che regolano il rapporto tra le due realtà, può mutare completamente la loro reciproca relazione gerarchica; inoltre, è un modello espansivo perché consente il progressivo ampliamento, in senso diacronico, dell’estensione della periferia, pur determinando, in questo caso, problemi di controllo da parte del centro a causa dell’accresciuta distanza51. Se la creazione del paesaggio 47 CARDARELLI 1982, 15; VERONESE 2006, 54, 48 Il modello centro-periferia ha conosciuto una prima applicazione già nel corso dell’Ottocento nell’ambito degli studi del geografo tedesco Von Thünen che ha proposto un modello di sviluppo dell’interland di una città, osservando come le attività produttive intorno a essa siano fortemente condizionate dalla distanza dal luogo di produzione dal centro, con una progressiva diminuzione della produzione man mano che ci si allontana da esso: CAMBI-TERRENATO 1998, 240-241. Sulla scia di questo studio preliminare, negli anni Settanta del secolo scorso, è stato sviluppato il concetto di World System che analizza le possibili relazioni gerarchiche nell’ambito del sistema economico mondiale e utilizzato da economisti, storici e antropologi che lo applicano allo studio delle economie del passato: CHAMPION 1989, 5-9. 49 TAYLOR 1985, 98-106. 50 HODGES 1987, 123. 51 CHERRY 1987, 65. Fig. 1.3. Visualizzazione schematica dell’interazione tra comunità paritarie (da RENFREW 1986). 18 deriva dalla stratificazione di più processi culturali e sociali, nei quali giocano un ruolo fondamentale le correlazioni tra i diversi siti, per definire il principio della dominanza e, quindi, i paesaggi di potere nella loro articolazione sociale e politica52, ai metodi e alle teorie fino a qui elencate, appare necessario aggiungere ulteriori considerazioni sulla «grammatica spaziale»53 alla base delle elaborazioni metodologiche dei Landscapes of Power. Per poter procedere, infatti, alla disamina dell’organizzazione socio-politica di determinati territori e allo studio della loro reciproca articolazione, occorre tener presente, innanzitutto, come ogni comunità eserciti un controllo continuo sul proprio territorio di afferenza e come ogni territorio sia generalmente gestito da un’unica autorità. Generalmente, le capitali di ogni distretto amministrativo presentano dimensioni maggiori, controllando un territorio molto più ampio rispetto ai centri di dimensioni minori54. Per la ricostruzione di qualsiasi paesaggio di potere risulta, inoltre, necessario focalizzare l’attenzione su alcune caratteristiche precipue quali l’asimmetria, la configurazione a rete simile a quella dei gangli neuronali, in cui ogni elemento è strettamente connesso all’altro da legami di reciprocità o di subordinazione, la natura metastabile, ossia suscettibile di possibili alterazioni degli equilibri tra le varie parti, dovute a eventi esterni di rottura, e, infine, il loro estrinsecarsi secondo opposizioni binarie: conciliazione/conflitto; benevolenza/coercizione; accentramento/ridistribuzione delle risorse55. Sulla base di tali premesse, dunque, per l’analisi di un paesaggio di potere, in via preliminare, bisogna in primo luogo definire il valore di grandezza del sito (intesa come estensione territoriale, come capacità demografica o come indice delle attività produttive) e la distanza intersito56. Questi due valori, grandezza e distanza intersito, sono alla base del modello X-TENT o modello a tenda, elaborato nei primi anni Ottanta da Renfrew e Level, nell’ambito di uno studio dei santuari di età neolitica nelle isole di Malta e Gozo57. Tale modello teorico si fonda sul principio fondamentale secondo cui l’influenza esercitata da un centro sia direttamente proporzionale alla sua grandezza e inversamente proporzionale alla distanza tra i siti. Per l’applicazione di tale principio occorre soddisfare solo due parametri essenziali: lo slope 52 DE GUIO 2000 a, 10-11. 53 DE GUIO 2000 b, 224. 54 DE GUIO 1991, 151. 55 DE GUIO 2000 a, 16. Una recente sintesi in VERONESE 2006, 59-60. 56 Se la distanza tra due siti è relativamente breve, il centro di minori dimensioni rientrerà nella sfera di influenza di quello maggiore; una distanza elevata implica l’autonomia dei due centri: VERONESE 2006, 61. 57 RENFREW 1984, 64-67. 19 parameter che misura l’influenza di un sito rispetto alla distanza e la distanza stessa, calcolata sia come semplice distanza topografica sia in giorni di viaggio, misura che tiene conto anche dell’incidenza della configurazione fisica del territorio58 Fig. 1.4. Schematizzazione dell’applicazione del modello X-TENT (da RENFREW 1984). Con il modello X-TENT è possibile, quindi, creare con un numero minimo di informazioni, mappe dell’influenza esercitata dai singoli centri e pur riflettendo una situazione ideale, nei casi in cui esso è stato applicato ha prodotto un risultato non molto dissimile dalle condizioni reali59. Esso, inoltre, ha costituito il presupposto basilare per lo sviluppo, in anni più recenti, di nuove metodologie analitico-simulative, anch’esse finalizzate alla ricostruzione dei paesaggi di potere. Tra queste va segnalata per lo sviluppo in ambito italiano il cd. PERC-model o modello di percolazione60. Originariamente elaborato in Francia da studiosi di economia politica, il modello ha ricevuto una nuova applicazione in Italia, attraverso una riformulazione dell’algoritmo di base e un suo adattamento al modello della pattern recognitions61. Il modello della percolazione si basa sul principio secondo cui «esiste una diretta connessione fra la nozione naturale di gruppo e la nozione matematica e astratta di zone unimodali in distribuzione n-dimensionale»62. L’algoritmo di percolazione è stato, quindi, sviluppato per definire zone uni-modali in relazione a una funzione di densità derivata dal rapporto tra grandezza ed estensione. Se si considerano i siti come punti disposti su uno 58 Insediamenti che rientrano nella sfera di influenza di un centro maggiore non avranno un territorio indipendente; nel caso in cui, invece, un punto non rientri nel territorio di influenza di nessun centro viene considerato terra di nessuno, mentre la linea tra la zona di minima influenza tra due centri corrisponde al confine tra i due territori: RENFREW-BAHN 2006, 172-174; VERONESE 2006, 62. 59 VERONESE 2000, 251-255. 60 VERONESE 2000, 255-269. 61 DE GUIO-SECCO 1988, 63-93. 62 DE GUIO 1991, 163. Con il termine moda in statica si intende il valore di massima frequenza di un elemento. 20 21 spazio piano e si collocano su un sistema di assi cartesiani in cui, sull’asse dell’ascisse (x) vengono distribuiti i valori della latitudine e sull’asse delle ordinate (y) quelli della longitudine, si ottiene la dimensione della densità (z) che indica la frequenza e il grado di concentrazione dei siti all’interno di una determinata area. Il calcolo della dimensione della densità risulta, infine, funzionale all’applicazione di altri due modelli statistici di tipo algoritmico: la cluster analysis e la survival analysis. La cluster analysis si configura come un metodo statistico multi-variato che determina l’associazione di oggetti e gruppi attraverso l’individuazione di somiglianze e differenze, in modo tale che gli elementi di un gruppo siano simili tra loro ma dissimili da quelli di altri gruppi63. La survival analysis, originariamente elaborata in ambito bio-medico, viene utilizzata per analizzare il comportamento e l’evoluzione di un sistema complesso nel corso del tempo e in riferimento alla sollecitazione di eventi esterni destabilizzanti quali catastrofi e terremoti64. Entrambi i sistemi sono finalizzati al calcolo della funzione di dominanza (DM) che è direttamente proporzionale alla grandezza e all’estensione dei siti e inversamente proporzionale alla loro distanza. Il calcolo di tale funzione si ottiene attraverso un algoritmo costituito da una serie di parametri ben definiti: la pesatura, ossia la grandezza del sito (W); la popolazione stimata (P); la distanza intersito (Dij) e il coefficiente di potere (K) che rappresenta una costante empirica, secondo la formula: n DMi = K* Wi* S 1/Dij * (Wi - Wj) / (Wi + Wj) j = 1 Tale algoritmo può dare risultati positivi, negativi o nulli. Con una distanza intersito breve e un’elevata differenza nelle misure della grandezza, il valore della dominanza sarà 63 RENFREW-BAHN 2006, 189, scheda n. 5.4. 64 RENFREW 1984, 366-387; VERONESE 2006, 68, nota 89. Fig. 1.5. Applicazione del modello X-TENT alle poleis siceliote di età arcaica con l’indicazione dell’area di influenza dei diversi centri (da VERONESE 2006). molto alto; qualora il valore di dominanza risulti pari a zero, allora si potrà parlare di indipendenza tra i siti65. 1.5. Il concetto di topologia e la rappresentazione grafica delle relazioni spaziali La topologia è un ramo della matematica che studia le proprietà qualitative delle figure geometriche e le loro reciproche relazioni spaziali, trascurando la quantificazione di distanze e misure66. Negli ultimi decenni tale disciplina ha conosciuto una sempre maggiore applicazione in ambito archeologico, in quanto essa consente di ottenere una numerosa serie di definizioni qualitative dello spazio (relazioni di intorno, di prossimità, di continuità, di connessione, di separazione, di chiusura e di successione) basate essenzialmente su una conoscenza intuitiva dello spazio stesso, insita nell’esperienza sensibile di ogni essere umano67. Lo studio delle relazioni spaziali, comune a numerosi indirizzi di ricerca scientifica, viene oggi realizzato grazie all’impiego di software spatial logics, symbolic arrays e semantic networks che permettono di formalizzare e indicare la natura dei rapporti esistenti tra diversi oggetti. In archeologia i metodi più diffusi sono quelli basati sulle teorie dei grafi come, per esempio, le cd. reti di costruzione spaziale (spatial constraint networks), un sistema di rappresentazione grafica, adottato anche dai software GIS, in grado di evidenziare le relazioni topologiche che contraddistinguono gli elementi di un insieme anche non omogeneo, indicando come nodi i singoli elementi e come archi le correlazioni spaziali più rilevanti68. A questo tipo di analisi può essere associato un sistema di codifica degli elementi distribuiti in una determinata area. Tale metodo, denominato 2D-G string, produce una sequenza di codici attraverso una “funzione di taglio”, disponendo tutti gli oggetti dell’insieme lungo assi cartesiani ed estraendo i relativi rapporti topologici attraverso il trattamento informatico della sequenza bidimensionale dei codici stessi. Particolarmente diffusi sono, infine, altri due metodi applicativi, il primo dei quali consiste nella creazione di una rete di matrici simboliche (symbolic arrays) in cui i vari elementi 65 Da ultimo, VERONESE 2006, 69-73, con esempi relativi dell’applicazione di tale modello algoritmico all’analisi dei santuari di età arcaica pertinenti al territorio di Gela; per i santuari di età classica della cuspide sud-orientale della Sicilia: ANNIBALETTO 2006, 117-131. 66 Sull’origine della disciplina: DI CRISTINA 2001, 7-13. 67 CATTANI-FIORINI 2004, 317. 68 CATTANI-FIORINI 2004, 319. 22 da mettere in relazione sono rappresentati da diversi livelli di astrazione, mentre l’altro modello teorico prevede l’identificazione di tutte le possibili relazioni spaziali tra due oggetti bidimensionali in uno spazio bidimensionale con successiva esplicazione in forma testuale dei tipi di legami individuati. Tale metodo che raggiunge il più alto grado di astrazione, consente tuttavia di definire uno schema di lavoro continuamente implementabile con un numero sempre maggiore di tipi di relazioni spaziali e temporali69. Fig. 1.6. Schematizzazione dell’elaborazione grafica delle relazioni spaziali. Insieme di parti interconnesse (da CATTANI-FIORINI 2004). 69 CLARAMUNT-JIANG 2000, 41-53; CLARAMUNT-JIANG 2001, 411-428; CATTANI-FIORINI 2004, 321. 23 CAPITOLO II METODOLOGIA DI INDAGINE 2.1. La schedatura dei siti L’area geografica oggetto della presente ricerca comprende il vasto e articolato territorio della Campania centro-settentrionale che ha rivestito, per posizione geografica e configurazione morfologica, un ruolo determinante nell’ambito dei contatti e degli scambi interculturali tra l’Italia centrale e meridionale, tra la costa tirrenica, le aree interne appenniniche e la costa adriatica fin dal I millennio a.C.; un’area, quindi, in cui hanno convissuto e si sono sovrapposte popolazioni di origini e culture diverse che hanno prodotto forme di popolamento differenziate sin dall’età del Ferro, determinando processi di trasformazione e di sviluppo differenziati fino al processo di romanizzazione1. Tale ambito di indagine è stato, a sua volta, suddiviso in sei differenti comprensori (Cuma; Capua; la Mesogeia; il territorio ausone/aurunco; Teano e il territorio dei Sidicini; l’alta e media valle del Volturno), di cui sono stati raccolti e analizzati i dati editi relativi alle evidenze del sacro. La schedatura dei siti è stata finalizzata alla raccolta sistematica e organica della documentazione sui diversi luoghi di culto in un arco cronologico compreso tra l’età arcaica e la tarda età repubblicana (VII/VI-I sec. a.C.), nel tentativo di pervenire a una visione il più possibile completa delle singole realtà e delle loro reciproche articolazioni. In via preliminare è stata, dunque, predisposta una scheda-sito2 in cui sono state inserite le informazioni ritenute utili e funzionali alla realizzazione di un’analisi di tipo territoriale e topografico. 1 Tra i lavori più recenti sull’articolazione politica, etnica e culturale della Campania centro-settentrionale: BONGHI JOVINO 2010 b, 1-2; SIRANO 2010, 101-125. 2 Per sito si intende il singolo complesso santuariale o votivo. L’impostazione adottata riflette, nelle linee essenziali, la metodologia utilizzata in lavori recenti di argomento analogo: ROMEO 1989, 5-54; LEONE 1998; MASTRONUZZI 2005; VERONESE 2006. 24 Fig. 2.1. La Campania antica. Limiti ed estensioni territoriali (da LAFORGIA 2003 a). Tendendo conto della vasta estensione del territorio oggetto di indagine e del carattere discontinuo ed eterogeneo della documentazione edita, si è ritenuto opportuno procedere a partire dai territori di Cuma e Capua, per il decisivo ruolo politico, economico e culturale rivestito dalle due città nell’ambito della progressiva strutturazione della Campania centro-settentrionale a partire dall’età del ferro, proseguendo, poi, secondo un criterio di vicinanza geografica, con l’area della pianura campana, soggetta al duplice e diretto controllo della polis greca e del centro etrusco, e continuando con i territori indigeni via via confinanti: il comprensorio ausone/aurunco, quello sidicino e infine, quello afferente al Sannio Pentro, in corrispondenza del massiccio del Matese. Ogni scheda-sito è articolata in differenti sezioni sulla base delle informazioni in esse contenute (dati tecnici e topografici, dati descrittivi e interpretativi, bibliografia). 25 Nella prima sezione della scheda la voce iniziale numero di catalogo corrisponde al numero progressivo convenzionale che contraddistingue ciascun luogo di culto indipendentemente dal legame con il centro o con il comparto territoriale di riferimento. Le due voci successive, centro di riferimento e scheda sito n., mettono in rilievo, invece, l’ambito culturale e territoriale in cui ricade ciascun santuario e la sua posizione rispetto agli altri luoghi di culto della stessa area3. Sotto la voce localizzazione vengono presentate, in forma sintetica, le caratteristiche salienti riguardanti la tipologia di luogo di culto, l’ubicazione topografica e i principali caratteri ambientali e morfologici. A questa segue l’identificazione del contesto geomorfologico del sito, per la quale si è fatto ricorso a parametri e definizioni univoci riferibili indistintamente a tutti i contesti esaminati. Per le alture sono state utilizzate le definizioni di rilievo e promontorio (se affacciato sul mare); per i rilievi a sommità spianata è stato utilizzato il termine pianoro, per le posizioni lungo le pendici quello di pendio, e infine, il termine “pianeggiante” per i siti ubicati in pianura. Nella seconda sezione vengono riportate tutte le informazioni di natura più strettamente tecnica: -l’ ubicazione geografica che indica il comune e la provincia in cui ricade attualmente ciascun sito; -le coordinate IGM, con l’indicazione del numero di foglio in scala 1:100.000 e tavoletta in scala 1:25.000; -le coordinate UTM; -la quota sul livello del mare (s.l.m.), calcolata sulla base dei dati editi o dalle isoipse e dai punti quotati di riferimento; -la distanza dal centro di afferenza, intesa come distanza orizzontale e lineare, espressa in m4; 3 I luoghi di culto sono stati ordinati, all’interno delle singole sezioni catalografiche, in base a un criterio di vicinanza dal centro, calcolata sulla base di distanze lineari. 4 Mentre per Cuma, l’unico contesto greco analizzato, le distanze sono state calcolate dall’acropoli, fulcro religioso della città, per gli altri insediamenti sono stati utilizzati altri parametri di riferimento: per Capua, le distanze sono state calcolate a partire dal settore sud-occidentale dell’insediamento, ritenuto l’Altstadt della città etrusca; per Cales e Teano, dalle rispettive arci, mentre per i siti della piana campana e della media valle del Volturno, di cui non si conoscono con esattezza estensione e perimetro urbano è stato definito un centro ideale, perfettamente equidistante dai tratti delle cinte murarie superstiti. Infine, per il territorio alifano e dell’alta valle del Volturno, in mancanza di dati certi relativi all’esistenza dei supposti villaggi sannitici cui farebbero riferimento alcuni depositi votivi individuati, le distanze sono state calcolate dal centro di Alife. 26 -la posizione rispetto al centro di afferenza per la quale si è fatto riferimento, secondo un’esigenza puramente catalografica, alla tradizionale suddivisione codificata da G. Vallet5, in santuari urbani, periurbani ed extraurbani6. La terza sezione, infine, viene dedicata alla descrizione dettagliata del luogo di culto, attraverso l’esame di tutte le caratteristiche note (l’articolazione planimetrica e monumentale, con la descrizione delle strutture note e delle reciproche relazioni; le modifiche e gli interventi realizzati nelle diverse epoche). Alla voce evidenze archeologiche viene indicato quanto ancora è visibile del luogo di culto analizzato e lo stato di conservazione delle strutture superstiti; a questa segue quella riguardante i materiali e le tecniche costruttive, alla quale vengono, da un lato, descritte le tecniche edilizie con le quali sono state realizzate le diverse strutture, dall’altro vengono presentati e descritti le terrecotte architettoniche e gli altri elementi decorativi rinvenuti nell’area. Alla voce materiali votivi vengono presentati, in maniera sintetica, per ciascun epoca storica, gli ex voto più significativi, attraverso i quali è possibile riconoscere le caratteristiche dei culti che venivano praticati. Vengono, infine, indicate, laddove possibile, le divinità tutelari del santuario; l’arco cronologico di vita di ciascun santuario, dalle prime tracce di frequentazione fino al definitivo abbandono che consente di mettere in rilievo dinamiche legate alla continuità e alla sopravvivenza di determinati culti. Eventuali annotazioni e riflessioni più generali sulle problematiche riscontrate nell’analisi dei siti sono state indicate alla voce note, alla quale segue l’apparato bibliografico relativo a ciascun luogo di culto. 2.2. La cartografia e il posizionamento dei siti Per il posizionamento dei siti secondo un sistema geo-referenziato, si è proceduto, preliminarmente, a una loro localizzazione e ubicazione sulla cartografia di riferimento. In particolare si è fatto ricorso alle tavole IGM, in scala 1:5.000, 1:25.000, 1:50.000, in formato 5 Cfr., supra. 6 Nell’ambito di questa ricerca sono stati però classificati come periurbani i santuari distanti dal centro fino a 3 km. 27 dwg e raster, utilizzate come base per le più elaborate realizzazioni grafiche, mediante software ArcGIS, presentate nel capitolo conclusivo. Le carte in scala 1:5.000 in formato dwg, geo-referenziate secondo il sistema Gouss Boaga, ed elaborate tramite applicativo CAD, hanno consentito il preciso posizionamento dei siti in esame e la realizzazione di planimetrie di dettaglio. Attraverso le carte in scala 1:25.000 e 1:50.000 in formato raster, sono state realizzate planimetrie di più ampio raggio che garantiscono una visione globale della dislocazione dei siti. Le coordinate dei siti sono state rilevate sulla base del reticolato chilometrico UTM (proiezione conforme Universale Traversa di Mercatore), un sistema di coordinate cartesiane di uso mondiale basato sulla suddivisione della terra in 60 fusi verticali e in 20 fasce orizzontali. L’incrocio di fusi e fasce determina la formazione di zone, ciascuna delle quali ripartita in quadrati di 100 km identificati da una coppia di lettere. La definizione di tali coordinate prevede, di volta in volta, l’indicazione del quadrato chilometrico di riferimento, il calcolo della distanza, in metri, rispetto al meridiano immediatamente più a Ovest (x o asse delle ascisse) e al parallelo immediatamente più a Sud (y o asse delle ordinate), con buon grado di approssimazione tra i 10 e i 20 m7. I dati così acquisiti sono stati utilizzati per il posizionamento dei siti mediante software ArcGIS, su modello digitale del terreno (DTM) in formato grid (formato raster bidimensionale). Tale software ha consentito la creazione di tematismi di basi dati, attraverso l’elaborazione dei loro elementi geografici e alfanumerici. In particolare sono state realizzate quattro tipologie di visualizzazioni, attraverso le quali è stato possibile individuare le caratteristiche ambientali, morfologiche, fisiografiche e altimetriche che possono aver influito sulle diverse scelte insediative: la visualizzazione fisiografica, quella dell’esposizione, la clivometrica e di tipo hillshading. La visualizzazione fisiografica, che rileva le connotazioni fisiche e geo-morfologiche del territorio, mette in evidenza le relazioni esistenti tra insediamenti e configurazione geo-fisica e ambientale. I dati così ricavati sono stati ulteriormente arricchiti dalla realizzazione della carta dell’esposizione dei luoghi di culto che presenta il rilievo come se fosse colpito da una fonte luminosa, con conseguenti effetti luce-ombra indicativi delle direzioni del massimo grado di pendenza; della carta clivometrica, che evidenzia le escursioni di quota rispetto alla distanza lineare e all’inclinazione delle superfici; e infine della visualizzazione hillshading che simula la 7 ARUTA-MARESCALCHI 1985; VERONESE 2006, 100-101. 28 presenza di una fonte luminosa radente la superficie, facendo risaltare i dettagli e creando un effetto tridimensionale8. Tali applicazioni hanno permesso di definire e chiarire alcuni aspetti salienti della Campania centro-settentrionale e hanno reso possibile seguirne l’evoluzione del paesaggio religioso attraverso una prospettiva diacronica. 8 Cfr., infra, capitolo conclusivo. 29 Parte II -La documentazione CAPITOLO III CUMA 3.1. L’antica Cumae: storia e topografia della città e del territorio L’antica Kyme si estende su un’ampia area compresa tra il promontorio del Monte di Cuma, sede dell’acropoli cittadina, a N/O, il Monte Grillo a Est, una collina leggermente digradante a S/O e la piana di Licola a Nord. Grazie ai risultati acquisiti dalle indagini realizzate in vasti settori dell’antico insediamento, per le fasi più antiche, è ora possibile definirne l’estensione originaria di circa dieci ettari, con una probabile organizzazione in nuclei sparsi a carattere familiare, estesi anche nella cd. città bassa, fino ai margini orientali dell’area del futuro foro1. La scelta insediativa è stata determinata dalla peculiare configurazione geomorfologica del territorio, caratterizzata da un lato, dalla presenza di una vasta zona palustrolagunare intorno al lago di Licola a Nord e il Fusaro a Sud, e dall’altro, da una serie di alture e colline che delimitano a Est e a Ovest un’ampia pianura: a N/O il Monte di Cuma, a Est il Monte Grillo, solcato da profondi valloni, e a S/O la cd. collina meridionale digradante verso Est e parallela alla linea di costa, la cui parete occidentale forma, a sua volta, un’insenatura chiusa a Sud da un promontorio sul quale all’inizio del VI sec. a.C. sorge un santuario probabilmente dedicato a Hera2. 1 Nell’area della Masseria del Gigante, oltre a numerosi materiali residuali rinvenuti nei livelli di riempimento su cui si impianta l’edificio di età imperiale, è stata, infatti, intercettata una sepoltura relativa all’insediamento indigeno, databile al IX sec. a.C. che contribuisce a smentire, insieme alle sepolture individuate all’esterno della porta mediana delle mura settentrionali, l’ipotesi della concentrazione dell’abitato indigeno solo sulla sommità dell’acropoli: NAVA 2007, 253257; BRUN-MUNZI 2007, 287-288; GRECO G. 2009, 13-14; BRUN et alii 2010, 355-382; GRECO G. 2010 a, 387 388. 2 FRATTA 2002, 21; RUFFO 2010, 278. Per il santuario di Hera presso il Fondo Valentino, cfr., infra. In riferimento a questa particolare morfologia del territorio, ha da sempre rivestito una rilevanza centrale, nell’ambito degli studi di topografia cumana, la problematica relativa alla ubicazione dell’antico porto della città, secondo una prima ipotesi di ricostruzione, collocato a Nord del Monte di Cuma, in una insenatura protetta da un cordone costiero e da una depressione da retroduna (PAGET 1968, 153-169); indagini geo-gnostiche hanno però dimostrato come il processo di insabbiamento di questa insenatura abbia avuto inizio già nel II millennio a.C. e non nel III-II sec. a.C. come supposto in precedenza, inficiando così la precedente ipotesi di localizzazione. In alternativa è stata supposta una sua dislocazione nella zona della pianura di Licola a Nord della città, caratterizzata dalla presenza di una laguna attiva per circa due millenni prima dell’era volgare, con caratteristiche idonee all’impianto di una struttura portuale: BRUN et alii 2000, 131-155; MORHANGE et alii 2002, 153-165; STEFANIUK et alii 2003, 398-432; STEFANIUK et alii 2008, 96-98; STEFANIUK-MORHANGE 2010, 305-319. 31 Fig. 3.1. Cumae. Perimetro ed estensione dell’antico abitato (da LA ROCCA et alii 1995). Per le più antiche fasi dell’insediamento coloniale, è possibile supporre un’estensione analoga a quella che la città raggiunge durante l’età arcaica, di poco superiore ai novanta ettari, all’interno di un perimetro di forma pressoché rettangolare, con orientamento E/O, al cui vertice N/O si dispone l’acropoli. Le cospicue attestazioni di ceramica greca della seconda metà dell’VIII sec. a.C. nell’area del futuro foro3, e l’individuazione di chiare tracce riferibili a capanne di età orientalizzante e di strutture relative a un’abitazione risalente alla fine dell’VIII o agli inizi del VII sec. a.C., probabilmente con destinazione artigianale4, indizia una decisa 3 GRECO-MERMATI 2007 a, 311-314; GRECO-MERMATI 2007 b, 143-150. 4 GRECO G. 2009, 20-25; GRECO G. 2010 a, 391-403. 32 occupazione a carattere abitativo della cd. città bassa almeno dal VII sec. a.C., peraltro confermata anche dai ritrovamenti nel settore compreso tra le mura settentrionali e le cd. Terme del Foro che restituiscono livelli di frequentazione di epoca alto-arcaica5, e, dai ritrovamenti effettuati alle pendici del Monte Grillo, per il quale si era ipotizzata, invece, una prima occupazione soltanto per l’età romana6. Che l’estensione e il perimetro della città siano stati definiti fin dalle prime fasi dell’insediamento lo si evince dalla circostanza che la più antica necropoli della città greca, databile alla fine dell’VIII sec. a.C., sia collocata proprio all’esterno della successiva linea di fortificazione settentrionale, il cui andamento rimane sostanzialmente invariato fino a età tardo-repubblicana7, e dalla presenza in età arcaica di alcuni luoghi di culto in posizione periubana, appena al di fuori del circuito murario8, indizi questi che, appunto, fanno propendere per una delimitazione dell’impianto urbano ab initio, secondo un ricorrente modello di fondazione coloniale9. Fig. 3.2. Area a Ovest del cd. Tempio con portico. Resti dell’abitato alto-arcaico (da GRECO G. 2009). 5 D’ACUNTO 2009, 81-84; D’AGOSTINO-D’ACUNTO 2010, 504-520. Il recupero di numerosi materiali ceramici databili tra la fine del Medio Geometrico II e l’inizio del Tardo Geometrico I forniscono ulteriori indizi a favore della fondazione della città tra la metà e il terzo quarto dell’VIII sec. a.C.: D’AGOSTINO 1999, 51-62; D’AGOSTINO 2006, 341-342; D’AGOSTINO 2010, 171-194. 6 D’AGOSTINO 2001, 40-41; FRATTA 2002, 68; D’ONOFRIO 2002, 136; FRATTA 2005, 207. 7 MALPEDE 2005, 23-65. 8 Per le aree sacre a Nord della porta mediana della fortificazione settentrionale, di Fondo Valentino, e della zona dell’anfiteatro, cfr., infra. 9 FRATTA 2002, 69, nota 243. 33 Nel giro di poche generazioni la città estende il proprio controllo su un vasto territorio che, oltre a comprendere le zone gravitanti intorno al Gauro, i laghi di Averno, di Lucrino, Fusaro e Baiae, include l’intero golfo di Napoli, mentre sul versante settentrionale, assume un ruolo di rilevanza determinante nel processo di strutturazione della pianura campana, con la precoce costituzione di un asse politico-economico Cuma/Capua, coinvolte in reciproci rapporti di integrazione e di philia, all’origine del grande sviluppo e della floridezza raggiunta della città alla metà del VI sec. a.C.10 La potenza e la grande ricchezza acquisita dalla città costituiscono probabilmente la causa primaria di un’offensiva subita da Cumae da parte di una coalizione di Etruschi di area adriatica, Umbri e Dauni, nel 524 a.C.11, che vengono pesantemente sconfitti grazie alle efficaci manovre della cavalleria cumana, in cui si mette in luce il giovane Aristodemo che su questa vittoria fonda la sua successiva carriera politica12 poi trasformata in un vero e proprio regime tirannico dopo un’ulteriore vittoria ottenuta nel 504 a.C. contro gli Etruschi di Arrunte di Ariccia, protrattasi fino al 485-484 a.C., quando il regime viene rovesciato dagli esuli cumani rifugiatisi a Capua e dai discendenti dei membri dell’aristocrazia massacrati in occasione dell’avvento al potere del tiranno13. Alla politica di Aristodemo è ascrivibile una serie di importanti interventi monumentali all’interno della città, tra le quali si annovera il rifacimento della cinta muraria, documentato dalle strutture della cd. fase tardo-arcaica, individuate lungo tutto il circuito14. Tale rifacimento viene effettuato in relazione alle attività di bonifica che, in questa fase, interessano l’area del futuro foro e la pianura a Nord della città, attraverso la costruzione di un poderoso collettore fognario, largo più di 4 m, disposto diagonalmente al di sotto della linea di fortificazione settentrionale e probabilmente connesso a un fossato individuato 4 m a N, all’esterno delle mura15. Contemporaneamente, all’interno della città si registrano decisivi cambiamenti dell’assetto urbano con la definizione in senso pubblico e sacrale dell’area del futuro foro, dove presso il settore sud-occidentale sono state individuate le tracce di un complesso, forse di tipo cultuale, in uso dalla metà del VI e nel corso del V sec. a.C., che si sovrappone ai precedenti livelli di abitato16, e nella zona del futuro Capitolium, dove, 10 CERCHIAI 1995; CERCHIAI 2010, 59-64; MELE 2010 a, 109-117. 11 Dion. Hal. VII, 3, 1 12 MELE 2010 a, 124-150. 13 MELE 2010 a, 151-163. 14 Cuma 2005. 15 CERCHIAI 2000, 115-116; MALPEDE 2005, 34-37. 16 GRECO G. 2009, 33-38; GRECO G. 2010 a, 416-421; GRECO G. 2010 b, 20-21. 34 all’interno dei saggi realizzati nel pronao del tempio, è stata rilevata una struttura in blocchi squadrati di tufo e sono state recuperate terrecotte architettoniche chiaramente ascrivibili a edifici di carattere pubblico17. Allo stesso periodo risale un significativo intervento di risistemazione del tempio di Apollo con la realizzazione di un’ampia terrazza che accoglie la nuova costruzione templare, che, alla luce di alcune terrecotte architettoniche individuate nel riempimento su cui si impiantano le fondazioni, probabilmente sostituisce una struttura precedente18. Fig. 3.3. Cumae. L’area del foro in età sannitica (da Studi cumani 2). Dopo caduta di Aristodemo, la città, ora controllata da un’aristocrazia conservatrice, è investita da una decisa fase di recessione, dovuta a una politica di rigida chiusura che arresta bruscamente il grande sviluppo economico e produttivo conosciuto sotto il tiranno; ad approfittare di questa situazione di indebolimento sono ancora una volta gli Etruschi delle città costiere che, nel 474 a.C., nel tentativo di ristabilire gli antichi circuiti commerciali, attaccano nuovamente Cuma che questa volta è costretta a difendersi, chiedendo l’aiuto del tiranno Ierone di Siracusa, già vincitore a Himera contro i Cartaginesi nel 480 a.C., con il 17 RESCIGNO-CAPUTO 2006, 280-293; PETACCO-RESCIGNO 2007, 90; GRECO G. 2010 a, 420. 18 Cfr., infra. 35 quale riesce a ottenere la vittoria, ma uscendone fortemente ridimensionata nel suo ruolo di controllo del golfo, che ora viene assunto dalla nuova fondazione di Neapolis19. Nei decenni finali del V sec. a.C. Cumae viene coinvolta nel processo di conquista da parte dei Campani, cadendo subito dopo Capua nel 421 a.C.20, con la conseguente e progressiva “oscizzazione” dei costumi e della lingua. Le conseguenze di tale evento sono perfettamente riconoscibili all’interno del tessuto urbano, in particolar modo nell’area del futuro foro, dove, pur conservando una funzione pubblico e sacrale, la nuova fase è testimoniata da un nuovo orientamento architettonico e dalle evidenze relative alla demolizione degli edifici di età greca, che non vengono più riutilizzati, e dai resti di cerimonie di chiusura e di defunzionalizzazione dei precedenti complessi votivi21. Fig. 3.4. Cumae. L’area del foro in età repubblicana (da Studi cumani 2). Nel 338 a.C. la città ottiene la concessione della civitas sine suffragio, nell’ambito di un più ampio provvedimento politico e amministrativo che interessa anche Capua e altre città della pianura campana22. A questa occasione è forse da riferire l’edificazione, tra il 340 e il 19 Diod., XI, 51; CERCHIAI 2010, 95-98. 20 BELOCH 1989, 169-176. 21 PETACCO-RESCIGNO 2007, 91-92; GRECO G. 2009, 39; GRECO G. 2010 a, 422. 22 Liv. VIII, 14; cfr., infra. 36 320 a.C., al centro del limite occidentale del futuro foro, di un primo tempio (tempio A), ricostruibile grazie ai frammenti architettonici rinvenuti nel riempimento del podio del tempio che precede la costruzione del Capitolium23 e probabilmente dedicato ai Dioscuri, sulla scorta della testimonianza liviana che ricorda la donazione, nel 340 a.C., nel tempio dei Castori a Roma di una tavola bronzea che celebrava la concessione della cittadinanza romana ai cavalieri campani rimasti fedeli a Roma durante la guerra latina24. Alla stesso periodo possono essere ascritti anche alcuni interventi monumentali dell’acropoli che riguardano un nuovo ampliamento della terrazza del tempio di Apollo verso Nord e verso Est, che si accompagna a un nuovo periodo di vitalità dell’area sacra, probabilmente legata anche a un cambiamento del culto come indiziato dal ritrovamento di una stipe votiva a Nord del tempio che ha restituito una grande quantità di terrecotte figurate, soprattutto ex voto anatomici che potrebbero alludere all’acquisizione di una più spiccata valenza salutifera del culto di Apollo25. È in questo periodo che la piazza forense assume il suo assetto e orientamento definitivo con la costruzione dei porticati più antichi sui versanti meridionale e settentrionale della piazza26 mentre nel settore compreso tra le mura settentrionali e le cd. Terme del foro situate nell’angolo N/O della piazza, si registra una nuova fase di occupazione testimoniata dalla rasatura delle precedenti strutture e dalla realizzazione di un asse stradale con andamento N/S, a sua volta obliterato da successive strutture di età ellenistico-romana27. Al 318 a.C. risale l’istituzione della praefectura Capuam Cumas grazie alla quale viene ripristinato l’antico asse politico-territoriale di età arcaica che ora si lega al sistema romano di gestione prefettizia dei centri campani e che porterà progressivamente la città nell’orbita di Roma fino alla acquisizione, nel 180 a.C., del diritto di utilizzare il latino come lingua ufficiale, sebbene il riferimento di Livio all’attività dei banditori di aste lascerebbe piuttosto intendere che il ricorso alla lingua latina abbia avuto uno scopo essenzialmente economico e commerciale, legato a un tentativo di far fronte alla crisi suscitata all’interno della comunità sannitica dall’apertura del nuovo porto di Puteoli28 . 23 Cfr., infra. 24 Liv. VIII, 11. 25 Cfr., infra. Tra il IV e il III sec. a.C. risale anche la realizzazione del cd. Antro della Sibilla, un poderoso camminamento militare coperto, a valle della cinta muraria occidentale disposta lungo il crinale della cd. collina meridionale: PAGANO 1985-86, 83-120. 26 GASPARRI 2009, 131-132; GASPARRI 2010, 584-585. 27 D’ACUNTO 2009, 78-80. 28 DE CARO 2005, 646-647. 37 Fig. 3.5. Cumae. L’area del foro in età imperiale (da Studi cumani 2). Il processo di romanizzazione prosegue con la monumentalizzazione di molti settori della città e con la costruzione di nuovi edifici pubblici che prevedevano un notevole dispiegamento economico. Tra la fine del II e gli inizi del I sec. a.C. si data l’edificazione dell’anfiteatro, uno dei più antichi esempi di questo tipo architettonico in Campania, all’esterno delle mura, presso il versante meridionale della città, in prossimità della località Croce di Cuma. La sua costruzione, peraltro, si accompagna alla realizzazione di un altro edificio monumentale per spettacoli, probabilmente uno stadio, collocato all’esterno del lato occidentale della cinta muraria settentrionale, di cui l’evidenza più significativa è rappresentata da un’ampia gradinata sormontata da una struttura quadrangolare con basi e balaustre sagomate, interpretabile come un tribunal o un pulvinar, di cui sono state individuate diverse fasi costruttive dal II sec. a.C. alla piena età imperiale29. Tali apprestamenti precedono di qualche anno la nuova sistemazione del foro che ora viene circondato da un portico in tufo grigio a due ordini sovrapposti, dorico e ionico, decorato da un fregio con trofei e armi sull’epistilio e da maschere teatrali a rilievo sulle balaustre30. È in età giulio-claudia che vengono realizzati interventi radicali sugli degli edifici pubblici del foro, che ora riceve una nuova pavimentazione in lastre di calcare, con ulteriori 29 GIGLIO 2010, 615-632. 30 ADAMO MUSCETTOLA 2007, 209-228; CAPALDI 2007 a, 150-152; DI RE-POLLIO 2007, 229-234; GASPARRI 2009, 133; GASPARRI 2010, 585-586. 38 realizzazioni, ancora nel II sec. d.C., quando la piazza forense acquista il suo aspetto definitivo di età imperiale31. L’inaugurazione della Via Domitiana nel 95 d.C., che attraversa la città da Nord fino a circa metà del Monte Grillo, lungo il versante orientale in direzione di Puteoli, consente a Cumae di diventare uno snodo cruciale nell’ambito dei collegamenti primari terrestri tra Roma e l’area flegrea, inaugurando così per l’antica città greca un ultimo periodo di grande floridezza economica. La più imponente fase di urbanizzazione della città bassa si verifica tra I e II sec. d.C. quando sul versante occidentale della piazza vengono elevati il Capitolium, nella sua versione definitiva con la cella tripartita, la cd. Masseria del Gigante, destinato al culto imperiale, e le cd. Terme del Foro presso l’angolo N/O della piazza. A partire dalla tarda età imperiale in città si registrano i segni di un progressivo abbandono degli edifici dell’area del foro, probabilmente conseguente a eventi tellurici verificasi nel corso del IV sec. d.C., a cui fanno seguito fenomeni di spoliazione segnalati dall’impianto di calcare, sebbene sembri comunque persistere una continuità di vita come testimoniato dal fatto che le sepolture, nel settore settentrionale della città, vengono ancora realizzate all’esterno del circuito murario che nel VI sec. d.C. riceve un ultimo intervento di restauro32. La guerra greco-gotica, alla metà del VI sec. d.C., determinano il definitivo abbandono della città bassa e il ritiro degli abitanti sull’ acropoli che assume ora l’aspetto di un castrum fortificato, la dismissione del tracciato stradale E/O in terra battuta, realizzato in età tardo antica, sui livelli accumulatisi in seguito a fenomeni di alluvionamento, in prossimità del limite settentrionale del foro, per consentire il collegamento della parte orientale della città con la crypta romana e quindi con il porto. L’abitato continua a vivere sull’acropoli ancora nel VII sec. d.C. mentre nella parte bassa si avvia un progressivo processo di ruralizzazione33. In effetti, in questo periodo l’area della città bassa fa registrare la presenza di attività artigianali, legate soprattutto alla produzione di materiali da costruzione;a conforto di questa lettura basti pensare alle calcare e a tutte le fornaci trovate sparse per il foro e all’interno di alcuni edifici. 31 GASPARRI 2010, 588-602. A età giulio-claudia sono anche ascrivibili la riorganizzazione e il rifacimento del cd. Tempio di Giove e del santuario di Apollo: cfr., infra. 32 MALPEDE 2005, 72-75. 33 Da ultimo, RUFFO 2010, 290. 39 3.2. I santuari di Cuma: culti, tipologia e distribuzione territoriale Per l’analisi dei luoghi di culto cumani si è ritenuto opportuno procedere, secondo una dinamica centrifuga, dapprima dai santuari collocati sull’acropoli, fulcro religioso della città antica, proseguendo progressivamente con le aree sacre della città bassa e con quelle in posizione periurbana, immediatamente all’esterno del circuito murario, per un totale di otto luoghi di culto riconducibili al periodo compreso tra gli inizi del VI e il I sec. a.C. Il primo edificio preso in esame è il cd. tempio di Giove (cat. n. 1), collocato sulla cima più elevata del Monte di Cuma, sulla terrazza occidentale del promontorio, in posizione dominante rispetto al mare, alla città e al territorio circostante. Il tempio, già noto agli antiquari del Settecento e dell’Ottocento e portato alla luce da A. Maiuri tra il 1924 e il 193234, è stato tradizionalmente identificato come tempio “di Giove”, sebbene non sussistano elementi certi per l’attribuzione al dio35. In alternativa è stato riferito ai Dioscuri, dei patrii di Neapolis, colonia di Cuma, e quindi presumibilmente venerati anche nella metropoli36 o a Demetra, figura di rilievo nel pantheon della colonia euboica, per la peculiare struttura dell’edificio che, anche nella sua fase più antica, si sarebbe presentato chiusa verso l’esterno da un muro di recinzione continuo, con tre stretti ingressi sulla fronte e ampie navate laterali; questa singolare planimetria ha indotto a ipotizzarne la destinazione a un culto particolare, riservato a una cerchia ristretta di persone proprio come quello in onore di Demetra Thesmophoros, celebrato da sole donne37. Ma il cd. tempio di Giove ha ricevuto questo aspetto basilicale molto tardi, nell’avanzata età imperiale, se non addirittura nel V sec. d.C., con la trasformazione in chiesa cristiana38. Inoltre, una iscrizione, oggi perduta, risalente all’età augustea, che ricordava il restauro del tempio di Demetra per iniziativa della famiglia dei Luccei, menzionava, oltre al rifacimento del tempio, anche interventi sugli edifici e i portici 34 DE JORIO 1822, 113-114, che, sulla scorta dei versi virgiliani (Verg., Aen., VI, 9-19), attribuisce i resti da lui individuati sulla sommità dell’acropoli alla fase più antica del tempio di Apollo; MAIURI 1934, 121-122; PAGANO 1987, 79; BELOCH 1989, 186. 35 PAGANO 1987, 79-80. 36 PETERSON 1919, 66; BELOCH 1989, 186; CASTAGNOLI 1977, 49. 37 PAGANO 1987, 86-88. La dea è strettamente legata alla città fin dal momento della sua fondazione (Vell., I 4, 1) e il suo culto assume, sullo scorcio dell’età arcaica, una grande centralità politica in seguito alla caduta della tirannide di Aristodemo, favorita dall’intervento dalla sua stessa concubina, Xenocrite, la quale, una volta estromesso il tiranno, viene ricompensata con il conferimento della carica di sacerdotessa di Demetra (Plut., Mor., 262 A C); il culto, assume quindi in questo periodo, sulla scorta della testimonianza plutarchea, una duplice valenza: da un lato, la dea recupera il suo ruolo di protettrice delle messi e dei thesmoi, e quindi del sistema agrario della città, messo seriamente in pericolo dall’azione politica di Aristodemo, dall’altro, diviene garante e tutrice dei nomoi della città ritornata all’ordine: VALENZA MELE 1981, 122-124; MELE 1987, 157; CAPALDI 2007 b, 173; BREGLIA 2010, 262-264; MELE 2010 a, 137-139. 38 CAPUTO et alii 1996, 120-121; CARAFA 2008, 33-34. 40 circostanti39. Non si conosce l’esatta provenienza dell’iscrizione, ma da essa si deduce che il tempio in onore della dea dovesse far parte di un complesso architettonico ampio e monumentale che farebbe escludere una sua collocazione sulla terrazza più elevata dell’acropoli, piuttosto angusta e ristretta e limitata da ripidi pendii40. Allo stato attuale delle conoscenze, quindi, l’attribuzione del cd. tempio di Giove resta ancora incerta e dubbia. Il tempio è stato interessato da diverse fasi edilizie con numerosi interventi di restauro e di rifacimento fino alla definitiva trasformazione in basilica cristiana nel corso del V sec. d.C. L’esistenza di una fase arcaica è testimoniata, oltre che dal basamento in opera quadrata di tufo, dal rinvenimento di alcune terrecotte figurate nei pressi dell’edificio41. Il tempio, secondo una recente proposta di restituzione, è stato ricostruito, per la sua fase più antica, come un periptero a cella prostila con due file di sei colonne sulla fronte e due file di otto colonne sui lati lunghi, presentando evidenti analogie con l’impianto del tempio grande di Vulci, databile alla seconda metà del IV sec. a.C., il cui prototipo può esser fatto risalire, in ambito etrusco, al tempio B di Pyrgi datato al 500 a.C., commistione eclettica e originale di esperienze comuni maturate in ambito greco-etrusco, all’origine della successiva elaborazione del periptero sine postico. Sulla base di queste considerazioni, la costruzione del cd. tempio di Giove si collocherebbe tra gli inizi del V sec. a.C., negli anni immediatamente successivi alla realizzazione del tempio B di Pyrgi, prima attestazione di questa tipologia architettonica, e la seconda metà del IV sec. a.C., epoca alla quale risale il tempio grande di Vulci che rappresenta il confronto più immediato e diretto con l’edificio cumano, che secondo questa ricostruzione, sarebbe, quindi, da attribuirsi al momento dell’occupazione sannitica della città42. Il santuario di Apollo (cat. n. 2) è ubicato sulla terrazza inferiore dell’acropoli, sul versante orientale del Monte di Cuma, in corrispondenza della principale via d’accesso all’intera area sacra. L’attribuzione al dio è stata determinata dal ritrovamento, nel corso 39 CIL X, 3685; CAPALDI 2007 b, 172-174. 40 Il tempio in onore della dea era stato riconosciuto nel cd. Tempio con portico presso il lato sud-occidentale del foro (BERTOLDI 1973, 40), da riferire più correttamente a un edificio destinato al culto imperiale (GRECO G. 2007, 4647). In alternativa è stato supposto che il tempio dedicato alla dea sorgesse comunque sull’acropoli, probabilmente presso le pendici o sull’area pianeggiante lungo la Via Sacra, di fronte alla terrazza del tempio di Apollo: CARAFA 2008, nota 334. 41 CHRISTERN 1966-67, 235; SCATOZZA 1971, 62; RESCIGNO 1998, 207, nn. 29-30, tav. V: due frammenti di antefisse nimbate del tipo a palmetta dritta serie C2109 dalla cronologia piuttosto problematica e oscillante tra la metà del VI e gli inizi del V sec. a.C.: RESCIGNO 1998, 65-66, nota 42. 42 CARAFA 1999, 105-106; CARAFA 2008, 36-37. 41 dell’Ottocento, di un’iscrizione di età imperiale con dedica ad Apollo43, ma la sua presenza sull’acropoli di certo doveva rimontare a tempi antichissimi44, se non addirittura alla fondazione della città. Il dio venerato sull’acropoli presenta le caratteristiche dell’Apollo delio, archegete, il “dio degli inizi”, che regola il passaggio dal selvaggio all’addomesticato e che “apre le strade”, garante della nuova fondazione, con prerogative anche salutari che saranno esaltate solo in un secondo momento45. Il complesso architettonico a lui dedicato è costituito da una serie di edifici cultuali e strutture funzionali che abbracciano l’intero arco di vita della città. Sono state individuate con certezza almeno tre fasi costruttive, una fase di età greca, rifacimenti della prima età imperiale e la trasformazione in luogo di culto cristiano nel V sec. d.C. Le strutture oggi visibili sono relative, per la maggior parte, agli interventi realizzati durante l’età romana imperiale, ma la sistemazione della terrazza risale già alla metà del VI sec. a.C., tramite la costruzione, sul lato orientale, di un poderoso muro di terrazzamento, ad andamento curvilineo, che costituisce la più antica testimonianza della cinta di fortificazione dell’acropoli46. La terrazza già in questa fase accoglie il nuovo tempio che sembra sostituire una costruzione precedente, come documenterebbero alcune terrecotte architettoniche rinvenute nel livello di riempimento su cui si impiantano le fondazioni47. Un’ulteriore fase di monumentalizzazione, prima dei radicali interventi di età augustea, è costituita da un nuovo ampliamento della terrazza del tempio verso Nord e verso Est, nel periodo compreso tra il IV e il III sec. a.C., quando il culto del dio comincia ad assumere un carattere più spiccatamente salutifero come testimoniato dal ritrovamento di una stipe votiva, contenente soprattutto ex voto anatomici, rinvenuta a Nord del tempio48 e obliterata, alla fine del I sec. a.C., dalla costruzione di un piccolo tempietto, il cd. Tempio B, attribuito al culto di Diana Trivia49 o a quello di Magna Mater50. Passando alla cd. città bassa, il limite occidentale del foro è dominato dalla mole del Capitolium di età flavia (cat. n. 3), edificato sui resti di due precedenti edifici templari. Alla 43 DE JORIO 1822, 115; BELOCH 1989, 185. 44 L’attribuzione al dio della titolarità del culto sarebbe anche testimoniata da un frammento vascolare di VI sec. a.C. con iscrizione [––olo–] (CATUCCI et alii 2002, 113), e da un’iscrizione in osco su una basetta marmorea, confluita nella raccolta epigrafica del Museo Archeologico di Napoli e ora non rintracciabile: ANTONINI 1977, 341. 45 DETIENNE 1990, 301-311; BREGLIA 2010, 239-241. 46 JOHANNOWSKY 1959, 971; FRATTA 2002, 31-32. 47 JANNELLI 1999, 79-80; RESCIGNO 1998, 210, 214, n. 48; BORRIELLO 2006, 278-279; RESCIGNO 2008 a, 170 171: le terrecotte più antiche sono rappresentate da un’antefissa con gorgoneion, un doccione a testa di ariete attribuibile a una sima-geison, databili alla prima metà del VI sec. a.C. e riferibili a due sistemi di copertura diversi. 48 CATUCCI et alii 2002; CATUCCI-JANNELLI 2005, 517-524. 49 PAGANO 1992, 322-323. 50 PESANDO 2000, 171-177; DE CARO 2005, 648. 42 seconda metà del IV sec. a.C. risale un primo tempio (tempio A), distrutto da un incendio, i cui materiali sono poi stati utilizzati nel riempimento del podio della successiva struttura degli inizi del III sec. a.C. (tempio B1), realizzata in occasione della definitiva sistemazione del foro. Tra i numerosi frammenti architettonici recuperati si segnalano triglifi e metope figurate pertinenti a un fregio dorico con la rappresentazione di una centauromachia e antepagmenta con frammenti di cavalli, figure maschili con clamide e una figura femminile, a grandezza naturale, attribuibili al columen o a un gruppo acroteriale raffigurante probabilmente i Dioscuri; questo tipo di iconografia ha indotto a ipotizzare la pertinenza di questo primo tempio ai Castori51, soprattutto in relazione all’importanza politica che questo culto assume, proprio a partire dal IV sec. a.C., in segno di adesione e consenso nei confronti delle istituzioni politiche e culturali di Roma52. A questo primo edificio, già nei primi decenni del III sec. a.C., in concomitanza del definitivo assetto della piazza, si sostituisce un altro tempio che probabilmente non è ancora un vero e proprio Capitolium, sebbene non sia possibile definirne con certezza la divinità titolare del culto53. Nel settore sud-occidentale del foro, in corrispondenza del cd. Tempio con portico, sono state individuate evidenze relative a un’area sacra (cat. n. 5), le cui più antiche fasi rimontano con certezza agli inizi del VI sec. a.C. Esse sono rappresentate dai materiali rinvenuti in due fosse, 5 m a Ovest dell’abitazione di età arcaica individuata nella stessa zona, che si riferiscono a un complesso sacro, databile dalla fine del VII e nel corso del VI sec. a.C., defunzionalizzato e sigillato nella prima metà del III sec. a.C. A queste evidenze si associano quelle riconducibili a un’altra area sacra, risalente alla metà del IV sec. a.C., definita da un muro in blocchi di tufo squadrati al quale si lega un altare/trapeza modanato, in relazione con un’eschara individuata 15 m a Ovest, con chiare tracce di bruciato, piatto delle offerte in situ, due mense monoliti e una struttura anch’essa funzionale allo svolgimento dei rituali. Questo complesso votivo viene poi obliterato nei decenni iniziali del III sec. a.C., così come testimoniato da due fosse votive, rispettivamente a Ovest e S/E dell’altare, che hanno restituito materiali databili tra le fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. I materiali votivi, soprattutto ceramica a vernice nera e ceramica da mensa, dispensa e cucina indicano che, con 51 PETACCO-RESCIGNO 2007, 77-100; RESCIGNO 2008 c, 249-263; RESCIGNO 2009, 89-119; RESCIGNO 2010 a, 460-476; RESCIGNO 2010 b, 15-28. 52 Analoga situazione si registra a Capua dove è ipotizzabile l’esistenza di un tempio dedicato ai Dioscuri proprio nell’area del Foro. RESCIGNO-SENATORE 2009, 441-442; MELE 2010 a, 84; RESCIGNO 2010 a, 468. Cfr., infra. 53 RESCIGNO 2010 a, 475. Il tempio è stato anche attribuito al culto di Juppiter Flagius, il cui culto è attestato epigraficamente anche a Capua: JOHANNOWSKY 1959, 972. 43 ogni probabilità, la celebrazione dei rituali avveniva attraverso l’esposizione delle offerte e il consumo di pasti rituali, mentre la presenza cospicua di armi, punte di freccia e lance, potrebbe alludere anche a un tipo di culto legato a riti di passaggio54. Appena all’esterno della porta mediana della linea di fortificazione settentrionale è stata individuata un’area sacra (cat. n. 4), probabilmente dedicata a Demetra. Le prime tracce di un uso cultuale della zona sembrano risalire già alla fine del VII sec. a.C., come documentato da alcuni frammenti di terrecotte architettoniche rinvenuti in giacitura secondaria, mentre segni evidenti di una prima monumentalizzazione sono ascrivibili alla metà del VI sec. a.C. con la costruzione di un edificio orientato lungo un asse viario che dalla porta si dirige in direzione nord. Il santuario conosce un periodo di continuata e intensa frequentazione, con successivi interventi di restauro e risistemazione, funzionali alle diverse esigenze del culto, fino al I sec. a.C., quando si assiste a rifunzionalizzazione dell’area che ora riceve una destinazione esclusivamente funeraria55. Presso l’estremo sperone sud-occidentale del Monte di Cuma, 300 m a N/O dell’anfiteatro, appena fuori dalla mura e in prossimità del mare è ubicato il santuario di Fondo Valentino (cat. n. 7), di cui, allo stato attuale delle conoscenze, non si conservano strutture superstiti ma al quale sono riconducibili numerosi materiali votivi che rimandano al culto di Hera, la cui più antica attestazione a Cuma è costituita da un’iscrizione retrograda, in alfabeto calcidese, su un dischetto bronzeo della metà del VII sec. a.C. e che fa riferimento a una funzione oracolare della dea56. L’identificazione del santuario si deve a N. Valenza Mele che attraverso l’analisi delle fonti letterarie ed epigrafiche e della documentazione d’archivio è riuscita a ricostruire l’ubicazione esatta dell’antico luogo di culto, oggetto di una prima e sommaria indagine di scavo nella seconda metà dell’Ottocento57. Particolarmente indicativa la collocazione del santuario presso il mare che allude alla funzione precipua di Hera legata alla navigazione e agli scambi, guida per eccellenza di ogni nuova colonia58; ancora da chiarire resta, invece, la relativa breve durata del sito che, allo stato attuale della documentazione, sembra già esaurirsi agli inizi del V sec. a.C. 54 GRECO G. 2007, 38-42; TOMEO 2007, 49-76; GRECO G. 2008, 40-45; TOMEO 2008, 49-74; GRECO G. 2009, 35-36, 39; TOMEO 2009, 43-68; GRECO G. 2010 a, 416-426; GRECO G. 2010 b, 21-23. 55 Nova Antiqua Phlegrea 2000, 101-102; BRUN-MUNZI 2006, 342-349; BRUN-MUNZI 2007, 287-299; BRUN-MUNZI 2008, 137-156; BRUN-MUNZI 2010, 525-547. 56 SOGLIANO 1910, 101-109; GUARDUCCI 1946-48, 129-141. 57 Nova Antiqua Phlegrea 2000, 101-102; BRUN-MUNZI 2006, 342-349; BRUN-MUNZI 2007, 287-299; BRUN-MUNZI 2008, 137-156; BRUN-MUNZI 2010, 525-547. 58 BREGLIA 2010, 256-262. 44 Sempre in posizione periurbana, a Nord dell’anfiteatro di età romana, presso la cd. Palazzina Virgiliana, è possibile localizzare un altro luogo di culto (cat. n. 8), a cui sono da riferire i resti di un tempietto di età ellenistico-romana, individuati nel corso dell’Ottocento e solo in parte preservatisi nel muro di terrazzamento sul quale sorge la palazzina, e una serie di terrecotte architettoniche di età arcaica, rinvenuti in strati di livellamento e di interro connessi alla realizzazione del vicino anfiteatro59. Infine, all’imbocco dell’insenatura a Sud del Monte di Cuma, agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, sono venuti alla luce resti di alcune strutture presso l’entrata di quello che si riteneva fosse il porto romano della città. L’area esplorata si estende su una superficie di 480 mq e sono stati individuati resti di un complesso architettonico, il cui primo impianto è stato datato al 100 a.C. e che i materiali recuperati (tre sculture egiziane intenzionalmente decapitate: statua di Inaros come naoforo di Osiride in basalto nero, XXX dinastia una statua di Iside in basalto nero di I sec. a.C. in granito grigio di età tolemaica, insieme ad altri frammenti di sculture databili alla piena età imperiale) hanno fatto interpretare come un tempio dedicato a Iside60 (cat. n. 6). Non è del tutto chiarito se si trattasse di un culto privato, ma esso potrebbe essere stato introdotto per iniziativa di negotiatores cumani a Delo, tra la fine del III e gli inizi del I sec. a.C.; né è casuale la sua localizzazione sul litorale, dal momento che la dea era legata alla protezione della navigazione e che probabilmente proprio grazie a naviganti si diffonde il suo culto nella valenza di Pelagia o Euploia61. 59 TOCCO 1987, 158; BELOCH 1989, 189; CAPUTO 1993, 131; CAPUTO et alii 1996, 169; RESCIGNO 1998, 151-152; 192-193; CAPUTO 2002, 119-121; DE CARO 2005, 650, nota 16; CAPUTO 2006 a, 294-395; CAPUTO 2006 b, 109-110; CAPUTO-REGIS 2008, 172-177; CAPUTO-REGIS 2010, 723. 60 CAPUTO 1991, 169-172; DE CARO 1994 a, 11-15; CAPUTO et alii 1996, 174-176; Nova Antiqua Phlegrea 2000, 8990; CAPUTO 2003, 210-220. 61 CAPUTO 2003, 216. 45 3.3. I luoghi di culto di Cuma -Catalogo Numero di catalogo: 1 Centro di riferimento: Cuma Scheda sito n.: 1 Localizzazione: tempio cd. di Giove situato sulla terrazza superiore dell’acropoli di Cuma. Contesto geomorfologico: promontorio; acropoli. Ubicazione geografica: comune di Pozzuoli, provincia di Napoli -località Cuma. Coordinate IGM: 1:25.000, F 184 IV-S/O (Monte Di Cuma). Coordinate UTM: 33T 42004375 E -452247668 N Quota: 78,3 s.l.m. Distanza: 0 Posizione rispetto al centro: urbana. Descrizione: l’edificio sorge sulla terrazza superiore dell’acropoli, dominando dal punto più elevato del Monte di Cuma la città, il territorio e il litorale; il tempio è stato interessato da diverse fasi edilizie con numerosi interventi di restauro e di rifacimento fino alla definitiva trasformazione in basilica cristiana nel corso del V sec. d.C. Della fase più antica (fine VI -inizi V sec. a.C.) resta parte del basamento (39,60×24,60 m), di forma rettangolare, orientato E/O, in opera isodoma, costituito da tre assise -di cui una originariamente interrata -di blocchi squadrati di tufo giallo che ne disegnano il perimetro e, internamente, da quattro filari paralleli e longitudinali che delimitano cinque vani. Quanto è ancora visibile dell’elevato risale agli interventi realizzati in età augustea e in epoca tardo antica. Nella prima età imperiale il tempio viene dotato di un muro perimetrale con tre ingressi sul lato orientale; la cella in posizione centrale, stretta e allungata, è suddivisa in tre ambienti da brevi muri trasversali, con i lati lunghi scanditi da nicchie, successivamente murate, inquadrate da semicolonne in laterizio. Nel V sec. d.C. sulle strutture del tempio si impianta una basilica cristiana a cinque navate delimitate da quattro file di pilastri in laterizio che sorreggono basse arcate. A ridosso del muro di fondo del primo ambiente della cella viene costruito un altare rivestito di marmi policromi, oggi quasi completamente scomparso, e alle spalle di questo il fonte battesimale a pianta circolare, con tre gradini interni. Fosse per sepolture vengono ricavate nel basamento lungo le pareti della cella e in corrispondenza dagli intercolumnia dove vengono collocati anche dei piccoli altari, quasi non più riconoscibili. Probabilmente in epoca gotica o longobarda vengono chiusi gli accessi laterali della cella, con la creazione di una cappella absidata con funzione di martyrion; vengono altresì chiusi con muri in blocchetti di tufo alcuni tratti delle navate settentrionali per ricavarvi delle cappelle. Evidenze archeologiche: del tempio si conservano la poderosa platea al livello delle fondazioni e lacerti del muro perimetrale e dell’alzato. Materiali e tecniche costruttive: al più antico impianto (fine VI -inizi V sec. a.C.) vengono attribuiti alcuni tratti del basamento in opera isodoma in blocchi di tufo giallo, uniti senza malta, insieme con alcune terrecotte architettoniche di età arcaica rinvenute nell’area; un capitello ionico in tufo grigio (abaco: 0,70×0,70 m; diam.: 0,62 m; alt.: 0,30 m) riutilizzato nella scalinata di accesso al tempio viene considerato quale testimonianza di un fase sannitica del tempio, altrimenti difficilmente individuabile; in opera reticolata sono stati realizzati il muro perimetrale di età romana e le pareti degli ambienti; a questa si associa, per i lati lunghi della cella, una struttura in opera vittata scandita da lesene e specchiature, mentre i muri brevi che chiudono la cella sul lato orientale sono in opera listata; l’originaria pavimentazione di età romana, ancora visibile in alcuni punti delle navate laterali, è in signino con inserti di tessere marmoree bianche regolarmente disposte. Materiali votivi: Divinità titolari: Demetra (?); Dioscuri (?). Datazione: inizi V sec. a.C. -V sec. d.C. Note e confronti: il tempio, per la sua fase più antica, è stato ricondotto, per impostazione architettonica e planimetrica, al tempio grande di Vulci, risalente alla seconda metà del IV sec. a.C. e ricostruito come tempio periptero a cella prostila con due file di sei colonne sulla fronte e due file di otto colonne sui lati lunghi. Il prototipo di questo modello di edificio è stato riconosciuto, sempre in ambito etrusco, nel tempio B di Pyrgi datato al 500 a.C. e considerato quale elaborazione originale ed eclettica di matrice greco-etrusca, dalla quale sarebbe poi derivato il periptero sine postico. Sulla base di queste considerazioni, la costruzione 46 del cd. tempio di Giove è stata datata successivi alla costruzione del tempio B di Pyrgi questo caso, da terminus post quem l’erezione del tempio grande di Vulci che rappresenta il confronto più immediato e diretto cumano. A favore della cronologia bassa giocherebbe anche la particolare metrologia utilizzata per la sua costruzione, che si discosta nettamente da quella tipica del mondo greco per l’età arcaica e classica. l’ipotesi di restituzione proposta da P. Carafa, sulla base della scansione dei muri di fondazione, la facciata del tempio è stata ripartita in undici unità che consentono di ricostruire sulla fronte un colonnato esastilo. Considerando, inoltre, che le basi su cui dovevano poggi une dalle altre è stato supposto il ricorso a muri, secondo cui i due vani laterali risulterebbero larghi il doppio dei muri, quelli immed interni il triplo e il vano centrale il quad restituisce venti unità di base larghe 1,23 m. L l’identificazione di trentaquattro unità di base invece, stabilire l’unità di misura alla base di tale scansione: la larghezza di 1,23 m potrebbe corrispondere a 4,5 piedi osci di 0,275 m opp nel tempio di Apollo, oppure delle dimensioni, il tempio cd. di Giove lo stesso che si riscontra a Neapolis Bibliografia: MAIURI 1934, 121 SCATOZZA 1971, 62; COMFORT TOCCO 1987, 158; Campi flegrei CARAFA 2008, 33-38. Fig. 3.6. Planimetria del tempio cd. di Giove e ipotesi ricostruttiva della fase più antica CARAFA 2008). 47 tra gli inizi del V sec. a.C. - negli anni, quindi, Pyrgi, prima attestazione del tipo architettonico e che funge, in - e la seconda metà del IV sec. a.C., epoca alla quale si attribuisce ne poggiare le colonne sono poste a distanze differenziate le un modulo la cui unità di base è costituita dalla larghezza dei i quadruplo, secondo lo schema 1 - 2 -1 - 3- 1 - L’applicazione dello stesso schema sui lati lunghi rentaquattro per un totale di diciassette colonne. di ciascuna unità di base oppure a 3,5 piedi di 0,35 cioè 1,3 piedi di 0,275 a poco più di un piede ionico standard di 0,347 m. Inoltre, è caratterizzato da un rapporto tra lunghezza e larghezza di 1:1,6 per il tempio dei Dioscuri. 121-122; JOHANNOWSKY 1959, 971; CHRISTERN 1976, 251; DE CARO-GRECO 1981, 85-87; PAGANO 1990, 284-287; CAPUTO et alii 1996, 118-123; CARAFA nimetria (da , immediatamente , con l’edificio Secondo are immediatamente più 4 - 1 - 3 - 1 - 2 - 1 che ’applicazione consente Più difficile risulta, ure come . pur nella diversità , 1966-67, 232-241; 1987, 79-91; 1999, 104-106; Campi Flegrei 1990 e Numero di catalogo: 2 Centro di riferimento: Cuma Scheda sito n.: 2 Localizzazione: santuario di Apollo situato sulla terrazza inferiore dell’acropoli di Cuma. Contesto geomorfologico: acropoli; promontorio. Ubicazione geografica: comune di Pozzuoli, provincia di Napoli - località Cuma. Coordinate IGM: 1:25.000, F 184 IV-S/O (Monte Di Cuma). Coordinate UTM: 33T 42021819 E - 452235984 N Quota: 38 s.l.m. Distanza: 0 Posizione rispetto al centro: urbana. Descrizione: il santuario sorge sulla terrazza inferiore dell’acropoli, sul versante orientale del Monte di Cuma, in corrispondenza della principale via d’accesso all’intera area sacra. Il complesso architettonico è costituito da una serie di edifici cultuali e strutture funzionali che abbracciano l’intero arco di vita della città e di cui non è sempre risulta agevole una lettura omogenea e unitaria, per le modalità con cui, nei primi anni del Novecento, sono state condotte le indagini di scavo. Il tempio di Apollo (1), ubicato presso il settore meridionale della terrazza, è stato interessato, come il cd. tempio di Giove, da diversi interventi edilizi che ne hanno mutato l’assetto nel corso dei secoli. Sono state riconosciute con certezza tre fasi costruttive: fase di età greca, rifacimenti della prima età imperiale e trasformazione in luogo di culto cristiano nel V sec. d.C. Più difficilmente valutabili gli interventi effettuati in periodo sannitico. Dell’edificio più antico, probabilmente periptero e risalente agli inizi del V sec. a.C., si conserva solo il basamento rettangolare (31×18,30 m), orientato N/S e costituito da blocchi di tufo squadrati, di dimensioni diverse, disposti, in maniera regolare e ad altezza costante (0,40 m), su un piano di scaglie di tufo. Durante il periodo sannitico probabilmente viene realizzata una consistente opera di ampliamento (18 m) e consolidamento della terrazza su cui sorge il tempio, al cui lato breve meridionale viene aggiunto un piccolo vano rettangolare in blocchi di tufo, dal piano pavimentale leggermente rialzato rispetto a quello della cella, interpretato come adyton o come avancorpo di facciata al quale sarebbe stata annessa una scalinata d’accesso. In età augustea la struttura subisce radicali modifiche con la costruzione, in corrispondenza del lato lungo orientale, di un profondo pronao colonnato preceduto da scalinata centrale, in funzione di ingresso principale, che determina la rotazione dell’asse di 90° e un cambiamento dell’orientamento in senso E/O, assumendo l’aspetto di una tempio a cella trasversale. Dal pronao si accede alla cella circondata da una peristasi di sei colonne sui lati brevi e dieci o undici colonne sul lato lungo occidentale, mentre il pronao è caratterizzato da sei colonne in facciata e da quattro coppie di colonne ai lati. In età medio o tardo-imperiale la cella viene suddivisa in tre ambienti da due coppie di pilastri in trachite e viene inoltre dotata di altri due vani sul lato meridionale. Nel V sec. d.C. l’edificio viene trasformato in basilica cristiana con l’aggiunta, esternamente al podio, lungo il lato meridionale, di una struttura rettangolare e di fronte a questa il fonte battesimale a pianta ottagonale, mentre nel basamento e nel muro di contenimento di età greca, inglobato nell’ampliamento della terrazza, vengono ricavate novanta sepolture, nella maggior parte ad sanctos, con orientamento O/E. La cd. Cisterna greca (2), a N del tempio di Apollo, presso il settore N/O del santuario, si presenta come un ambiente rettangolare ipogeo (9,00×5,50 m), orientato E/O, a sezione trapezoidale; la struttura è costruita in opera isodoma, realizzata con grandi blocchi rettangolari di tufo giallo, di altezza regolare (0,43 m circa) ma di larghezza e spessore variabili, messi in opera attraverso il procedimento dell’anathyrosis, senza l’ausilio di grappe o malta. Le pareti sono formate da dieci filari di blocchi che raggiungono una profondità di oltre 4 m, mentre il fondo è costituito da una piattaforma sempre in blocchi di tufo, al di sotto della quale la struttura prosegue ulteriormente: sono stati, infatti, individuati altri tre filari di blocchi che si arrestano in corrispondenza di un’altra piattaforma di blocchi di tufo di estensione maggiore rispetto a quella soprastante. L’edificio, che per la tecnica costruttiva impiegata è stato datato tra il VI e il V sec. a.C., è probabilmente rimasta in uso o comunque in vista per l’intero arco di vita del santuario, come sembrano testimoniare alcuni risarcimenti in cementizio e i materiali recuperati nel terreno di riempimento della struttura (lastre marmoree, epigrafi, ceramica e lucerne databili al periodo della frequentazione cristiana). Ancora piuttosto incerta resta la funzione assolta dalla struttura che è stata interpretata ora come cisterna per il rinvenimento, sulla piattaforma superiore, di un foro circolare di 0,20 m di diametro e di due fori rettangolari sulla parete nord, interpretati come dispostivi per la decantazione e il convogliamento delle 48 acque, sebbene non siano state rinvenute tracce di impermeabilizzazione, ora come probabile sede oracolare della Sibilla, o come thesauros, interamente o parzialmente interrato con copertura lignea. A Est della cd. Cisterna greca sorge l’edificio (3), di cui restano solo le fondazioni costituite da due filari di blocchi squadrati di tufo giallo, disposti in senso N/S (13×11 m), parallelamente all’asse maggiore dell’acropoli, e intervallati, in senso E/O da altri blocchi posti perpendicolarmente, per una larghezza complessiva di 4 m; per l’individuazione di una canaletta di scolo sul lato est l’edificio è stato interpretato come un portico connesso alla struttura ipogeica o come una sorta di propylon che monumentalizzavs la principale via di accesso all’area sacra. La pavimentazione esterna di questo settore dell’acropoli, sempre in blocchi di tufo, poi ricoperti in cocciopesto, si raccorda perfettamente a quella su cui poggia un piccolo edificio semicircolare (4), esedra o schola di età ellenistica o romana o base di un tempietto a pianta circolare, dal diametro originario di 6,50 m, conservato solo al livello della prima assisa delle fondazioni, anche queste in opera isodoma, e situato presso l’angolo nord-occidentale del tempio di Apollo. All’estremità settentrionale del santuario è ubicato il cd. Tempio B, un tempio in antis su podio (5), dalle dimensioni di 19,40×14,20 m, orientato E/O e datato per la tecnica costruttiva a età tardo-repubblicana o all’età augustea, la cui edificazione ha richiesto il taglio dell’angolo nord-orientale dell’edificio (3). La struttura si compone di un vano centrale (13,40×9,20 m) che culmina, sulla parete di fondo, in una grande nicchia, fiancheggiata da un piccolo vano a sua volta preceduto da un altro ambiente, probabilmente in funzione di pronao (6×9,20 m), al di sotto del piano pavimentale del quale, per tutta la sua lunghezza, è stato rinvenuto un doppio filare di blocchi, orientato in senso E/O, relativo a una precedente linea di fortificazione poi inglobata in un’opera di ampliamento e consolidamento della parte settentrionale della terrazza realizzata probabilmente per la costruzione del tempio la cui fondazione poggia direttamente su un tratto delle fortificazioni di età greca dell’acropoli. L’edificio è circondato da un ambulacro scoperto, protetto da un basso parapetto, di cui restano frustuli dei pilastri in laterizio, sul lato sud e sul lato nord dove è stata rinvenuta, alla profondità di 1,30 m, frammista a terreno nerastro, grasso e con tracce di bruciato, una grande quantità di votivi relativi alla frequentazione di età ellenistica del santuario. Al di sotto del piano di calpestio di età augustea del pronao è stato, inoltre, rinvenuto un pavimento in cocciopesto con inscrizione musiva che fa riferimento all’attività dei magistrati locali M. Papirius M. f. e Cn. Carisius L. f., alla cui iniziativa si dovette la costruzione dell’edificio, che nella sua prima fase, in base ai caratteri paleografici dell’iscrizione, è stato, dunque, datato tra fine del II e la prima metà del I sec. a.C. Un altro edificio (8), a pianta rettangolare (10×13,70 m), era probabilmente un’aula coperta con volta a botte, con alle spalle un altro ambiente simile, ma più piccolo e copertura a doppio spiovente, è stato individuato nel settore meridionale della terrazza, tra lo scalone di accesso di età romana (9) e il fonte battesimale paleocristiano (10) e risale probabilmente a età imperiale avanzata, sebbene non sia possibile stabilirne con chiarezza la funzione. Sull’intera superficie della terrazza sono, infine, presenti cisterne (6) e vasche (7), funzionali allo svolgimento delle pratiche rituali del santuario, ubicate presso ciascun edificio dell’area sacra e collegate ai sistemi di raccolta delle acque meteoriche. Evidenze archeologiche: del podio di V sec. a.C. sono visibili alcuni tratti all’interno del basamento di epoca romana; età augustea: parte dei muri della cella, resti della pavimentazione della peristasi e del pronao in lastre di travertino. Materiali e tecniche costruttive: alla fase più antica della vita del santuario vengono fatte risalire le strutture realizzate in opera isodoma di blocchi di tufo squadrati utilizzata per la cd. Cisterna greca e per il podio del tempio di Apollo, alla cui decorazione, per questa fase, viene attribuita una serie di terrecotte architettoniche rinvenute soprattutto durante gli scavi Buchner all’interno del terrapieno su cui è stato impiantato il tempio, databili nella seconda metà del VI sec. a.C. e quindi terminus post quem per la realizzazione dell’edificio, alle quali vanno anche associati analoghi rinvenimenti effettuati dal Gabrici: antefisse a palmetta liscia, lastre di rivestimento lisce o con cortina pendula. Alla fase sannitica del tempio di Apollo vengono ricondotti alcuni elementi della peristasi e della trabeazione reimpiegati nell’edificio di età romana, in particolare alcune basi di colonna in trachite del tipo attico con doppio toro e scozia. alzato della cella del tempio di Apollo in opera reticolata con ammorsature in laterizio per la prima età imperiale e basamento del pronao in opera cementizia; le colonne, in mattoni o trachite -di cui tre unite a forma di trifoglio agli angoli del basamento e del pronao -sono rivestite in stucco bianco decorato da scanalature come il basamento del fonte battesimale in opera cementizia con rivestimento in laterizio. A questa fase sono forse da riferire anche l’architrave e sei capitelli ionici in trachite, rinvenuti in posizione di 49 crollo in diversi punti dell’area motivi iconografici riconducibili alla sfera apollinea e alcune lastre marmoree con la raffigu lira e grifi rinvenute dal De Jorio e dal Gabrici. Fondazioni in cementizio e alzato in opera reticolata, pavimento in cocciopesto per il Materiali votivi: stipe votiva recuperata si compone di 226 terrecotte figurate del IV e il II sec. a.C. I reperti maggiormente attestati esemplari: arti superiori e frammenti di arti superiori; dita; arti inferiori e frammenti di arti inferiori; piedi e organi genitali maschili). Ugualmente consistente è il numer esemplari), panneggiate o nude, che in alcuni casi riprendo anche il tipo della terrecotte raffiguranti personaggi maschili (48 esemplari), con gli oggetti rinvenuti si annoverano anche una testa maschile e due frammenti di teste muliebri. Divinità titolari: Apollo Datazione: seconda metà VI/inizi V Note o confronti: nella zona a Sud tempio di Apollo in età alto costituiscono notevoli indizi della presenza in quest’area dell’abitato cumano di età post Cuma diviene un borgo fortificato. Bibliografia: JOHANNOWSKY 1 GALLO 1985-86, 121-210; PAGANO 1985 261-330; CAPUTO et alii 1996, 2002, 97-108; CARAFA 2008, 20 Fig. 3.7. Planimetria del santuario di Apollo 50 sacra. Alla decorazione dell’edificio vengono attribuiti rivestimenti fittili co al di sotto del piano pavimentale del cd. Tempio B omogeneamente databili in un arco cronologico sono rappresentati dai ). numero delle statuette di figure femminili stanti (53 kourotrophos manteltoga o schrägtoga - V sec. d.C. della cd. Cisterna greca e lungo la Via Sacra, a Ovest della terrazza del alto-medievale (VI-IX sec. d.C.) si sovrappongono diverse strutture abitative 1959, 971; COMFORT 1976, 251; DE CARO 1985-86, 115-120; Campi Flegrei 1990, 278 83-102; JANNELLI 1999, 79; PESANDO 2000, 163 20-33; RESCIGNO 2008 a, 170-171; RUFFO 2010, 308 .7. (da CAPUTO et alii 1996). con raffigurazione di una cd. Tempio B. che attualmente compreso tra la fine i votivi anatomici (123 o kourotrophos. Seguono le gtoga, nude o seminude. Tra post-classica, quando CARO-GRECO 1981, 85; 278-284; PAGANO 1992, 163-166; CATUCCI et alii 308. Numero di catalogo: 3 Centro di riferimento: Cuma Scheda sito n.: 3 Localizzazione: area sacra presso il Capitolium, in corrispondenza del limite occidentale del foro. Contesto geomorfologico: pianeggiante. Ubicazione geografica: comune di Pozzuoli, provincia di Napoli - località Cuma. Coordinate IGM: 1:25.000, F 184 IV-S/O (Monte Di Cuma). Coordinate UTM: 33T 42052388 E - 452236594 N Quota: 8/12 s.l.m. Distanza: 484 Posizione rispetto al centro: urbana. Descrizione: le ricerche condotte negli ultimi anni all’interno del Capitolium hanno consentito di chiarire le diverse fasi di costruzione del monumento nonché le modalità di occupazione del settore occidentale della piazza forense. È stato, innanzitutto rilevato come il Capitolium di età flavia (tempio B2) sia stato edificato sui resti di due precedenti costruzioni templari. Alla seconda metà del IV sec. a.C. risale un primo tempio (tempio A), distrutto da un incendio, i cui materiali sono poi stati utilizzati nel riempimento del podio della successiva struttura degli inizi del III sec. a.C. (tempio B1), realizzata in occasione della definitiva sistemazione del foro. Del tempio A, in tufo, legno e terracotta, si conservano solo due altari, non si conosce la pianta, mentre l’alzato può essere ricostruito sulla base dei materiali architettonici rinvenuti nel podio del tempio successivo B1. Quest’ultimo, databile con certezza nei primi decenni del III sec. a.C., sulla scorta dei materiali più recenti rinvenuti nel riempimento del podio del Capitolium di età flavia, si presentava come un periptero di 6×12 colonne, su alto podio, orientato E/O, con colonne su basi singole, cella allungata, probabilmente con podio centrale per la statua di culto, pronao e opistodomo (55,10×28,90 m), per il quale è stato adottato come un’unità di misura di 5 piedi osci ripetuta per tre come interasse tra le colonne; a esso andrebbe anche riferita l’iscrizione in osco, oggi perduta, rinvenuta nell’ambiente retrostante la cella di età romana e che ricordava due esponenti della famiglia dei Heii, promotori della nuova pavimentazione della cella. A questa struttura nel I sec. d.C. si sostituisce il definitivo impianto del tempio, probabilmente in quest’occasione trasformato in Capitolium (56,94×28,50 m), orientato E/O, su un poderoso podio, alto 5 m, costruito come pseudo periptero con cella allargata e tripartita sul cui fondo erano collocati i podi per le statue, con accesso favorito da un’ampia scalinata centrata su una terrazza, la cui realizzazione ha determinato il rifacimento della pavimentazione dell’area forense in lastre di calcare, realizzata in età augustea o proto-augustea. Tale sistemazione ha comportato la completa demolizione dell’alzato del tempio B1, a partire dalla metà dello pteron occidentale e conseguente risarcimento in opera reticolata e vittata delle parti intaccate. Evidenze archeologiche: del tempio si conservano l’imponente podio e lacerti dell’alzato dei muri della cella. Materiali e tecniche costruttive: dallo scarico del tempio A sono state recuperate terrecotte architettoniche relative a tutte le parti dell’edificio: elementi di cornice che lasciano ipotizzare la presenza di un podio; colonne e capitelli dorico-tuscanici in tufo grigio; fregio dorico dipinto con raffigurazione di una Centauromachia, lastra ad anthemion pertinente all’architrave; gronda aggettante ad antefisse e lastre sui lati lunghi del tetto displuviato, mentre i frontoni dovevano essere decorati con una cornice a giorno e antepagmenta di cui sono stati riconosciuti diversi moduli: un gruppo con frammenti di cavalli, figure maschili con clamide e una figura femminile, a grandezza naturale, attribuibili al columen o a un gruppo acroteriale raffigurante probabilmente i Dioscuri; un altro gruppo comprende figure dalle dimensioni di ¾ dal vero mentre un ultimo gruppo comprende figure grandi la metà del vero, nude, armate, ferite, con parti di carri, riferibili alla scena di un’ammazzonomachia che doveva decorare un fregio lungo i travetti del tetto; le pareti, infine, dovevano essere decorate da uno schema a ortostati in stucco dipinto. Il podio del tempio B1 è realizzato in opera quadrata di tufo. Per l’edificio di età flavia sono state adoperati opera reticolata, laterizio e opera mista. Materiali votivi: dal riempimento del podio del tempio di età flavia e relativo alla frequentazione del tempio B1 proviene ceramica a vernice nera (soprattutto coppe e piattelli a tesa bombata) databile omogeneamente ai primi decenni del III sec. a.C. Divinità titolari: Dioscuri (?), Juppiter Flagius (?) per il IV sec. a.C.; Triade Capitolina per l’età imperiale. Datazione: 340-320 a.C. (tempio A); inizi III sec. a.C. (tempio B1); I-V d.C. (Capitolium). 51 Note: i saggi realizzati all’interno del podio del tempio hanno consentito inoltre di mettere in luce una lunga sequenza stratigrafica che testimonia della complessa vicenda insediativa di questo settore della città bassa. I livelli più profondi sono costituiti da piani di frequentazione di età orientalizzante e alto-arcaica ai quali si sovrappone una struttura monumentale a carattere pubblico, in opera quadrata, di cui sono stati individuati resti di un ambiente e di un portico, allineata con la porta mediana della fortificazione nord e con alcuni assi viari della città bassa (28° E da N). Questa struttura viene distrutta nel V sec. a.C. al quale sono da ricondursi diversi piani di calpestio fino alla seconda metà del IV sec. a.C., periodo a cui risale la costruzione di una scala probabilmente associata insieme ai due altari al tempio A. Dai vari livelli di riempimento e di frequentazione provengono anche numerose terrecotte di età tardo arcaica e classica (tegole, antefissa nimbate, lastre di rivestimento), attribuibili a più edifici pubblici che dovevano insistere nell’area prima della definitiva organizzazione della piazza forense. Bibliografia: MAIURI 1938, 9-15; SGOBBO 1977, 231-264; CAPUTO et alii 1996, 149-153; GASPARRI 1999, 132-135; Nova Antiqua Phlegrea 2000, 94-97; GASPARRI et aliae 2001, 45-48; RESCIGNO-CAPUTO 2006, 280-293; PETACCO-RESCIGNO 2007, 77-100; RESCIGNO 2008 c, 249-263; RESCIGNO 2009, 89-119; RESCIGNO-SENATORE 2009, 441-442; RESCIGNO 2010 a, 460-476; RESCIGNO 2010 b, 15 28. Fig. 3.8. Planimetria del Capitolium con le diverse fasi costruttive (da PETACCO-RESCIGNO 2007). 52 Fig. 3.9. Elementi architettonici pertinenti alla decorazione del tempio A (340-320 a.C.) (da ZEVI et alii 2008). 53 Numero di catalogo: 4 Centro di riferimento: Cuma. Scheda sito n.: 4 Localizzazione: area sacra ubicata all’esterno della porta mediana della linea di fortificazione settentrionale. Contesto geomorfologico: pianeggiante. Ubicazione geografica: comune di Pozzuoli, provincia di Napoli -località Cuma. Coordinate IGM: 1:25.000, F 184 IV-S/O (Monte Di Cuma). Coordinate UTM: 33T 42051333 E -452265496 N Quota: 6 s.l.m. Distanza: 484 Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: area sacra individuata, al di sopra dei livelli della necropoli dell’età del ferro, già abbandonata nell’VIII sec. a.C. e interessata nel corso del VII sec. a.C. da una nuova fase di occupazione a carattere abitativo come testimoniato dal rinvenimento di pavimenti in terra battuta, buche di palo, piccoli canali e tracce di un asse viario orientato S/E-N/O. L’esistenza di un’area sacra in questo settore dell’antico abitato sembra risalire già alla fine del VII sec. a.C., come testimoniato dal ritrovamento, in giacitura secondaria, di frammenti di terrecotte architettoniche databili in età alto-arcaica. Una prima monumentalizzazione dell’area sacra può essere datata alla metà del VI sec. a.C. con la costruzione di un edificio orientato lungo un asse viario che dalla porta si dirige in direzione nord e collegato a una serie di pozzi per la captazione delle acque. Agli inizi del V sec. a.C. il santuario è interessato da una radicale risistemazione con l’obliterazione dei pozzi e la costruzione di un nuovo edificio che riutilizza in fondazione parte dei blocchi della struttura precedente; si tratta di un complesso costituito da almeno tre ambienti quadrangolari, all’interno di uno dei quali (3,50×4,00 m) è stato rinvenuto un blocco di tufo lavorato (0,65×0,70 m) con tracce di combustione, interpretato come un altare/eschara, nei pressi del quale è stata rinvenuta un’anfora a ogiva infissa nel terreno, lasciando ipotizzare, così, una funzione del vano come hestiatorion. Alla fine del IV sec. a.C. questo complesso viene smantellato come indicato da una consistente opera di livellamento che ha restituito migliaia di frammenti ceramici. Agli inizi del III sec. a.C. si procede alla costruzione di un altro edificio connesso a un pozzo e a una struttura costituita da quattro lastre infisse verticalmente nel terreno (1,40×0,70×0,60/0,70 m), interpretabile come un’eschara collocata in corrispondenza della fossa relativa alla dismissione dell’edificio di V-IV sec. a.C. Intorno a questa fossa sono stati, inoltre, individuati undici blocchi di tufo di forma rettangolare o quadrata, con uno o più incavi sulla faccia superiore. Essi sono stati ritrovati all’interno dello strato di distruzione dell’edificio, disposti in maniera caotica e chiaramente in giacitura secondaria, verosimilmente utilizzati, in un primo momento, come cippi o stele votive. L’edificio sacro cessa di esistere nel corso del I sec. a.C. quando si assiste all’abbandono dell’area sacra e a una sua completa rifunzionalizzazione con una destinazione esclusivamente funeraria e la costruzione di un collettore fognario. La dismissione dell’area sembra sia stata celebrata attraverso una cerimonia di chiusura documentata da una fossa circolare in cui sono stati recuperati materiali votivi riferibili a tutte le fasi di vita dell’area sacra. Evidenze archeologiche: pochi frustuli delle strutture a livello delle fondazioni. Materiali e tecniche costruttive: al VII sec. a.C. risale un’antefissa a testa femminile di tipo sub-dedalico; alla fase arcaica di frequentazione sono riferibili resti di una struttura muraria in blocchi squadrati di tufo che ammorsano altri filari di scapoli di tufo; i pozzi connessi a tale struttura sono ricavati nel limo e presentano un rivestimento interno costituito da cilindri in terracotta in cui sono ricavati gli incassi per le pedarole; a questa fase risalgono anche numerosi frammenti di terrecotte architettoniche databili nella prima metà del VI sec. a.C. (antefisse a testa femminile nimbata; antefisse nimbate a palmetta dritta e rovescia, acroteri a disco con gorgoneion); per l’edificio di V sec. a.C. sono stati utilizzati blocchi di tufo di piccole e medie dimensioni disposti in maniera pressoché regolare; alla seconda metà del stesso secolo sono databili alcune antefisse nimbate con figure di cavalieri e un’antefissa nimbata con figura di sfinge alata, mentre a una fase costruttiva di IV sec. a.C. sono rapportabili alcune antefisse del tipo con Atena Frigia con cornice di foglie d’acanto. La struttura di III sec. a.C. è realizzata in opera a telaio (opus africanum) con blocchetti di tufo di dimensioni diverse inseriti tra blocchi di grandi dimensioni, disposti sia verticalmente che orizzontalmente. Materiali votivi: alla fase di VI-V sec. a.C. sono riconducibili vasi attici a figure nere, ceramica a vernice nera (kylikes, skyphoi, coppette e coppe), olle da cucina, ceramica miniaturistica, attestata in particolare nella forma di piccoli calici, statuette di offerenti panneggiate con porcellino, con polos e di piccoli bovini e 54 cavalli, inquadrabili in una produzione di V sec. a.C.; alla fase di IV attestazioni di ceramica a vernice nera, soprattutto vasi potori thymiateria e ancora statuette di offerenti, anche maschili con alto copricapo conico. Divinità titolari: Demetra (?) Datazione: fine VII-I sec. a.C. Note: - Bibliografia: Nova Antiqua Phlegrea 287-299; BRUN-MUNZI 2008, 137 Fig. 3.10. Il settore nord periurbano (da D’ACUNTO 2009) 55 IV-III sec. a.C. risalgono numerose da cucina (caccabai 2000, 101-102; BRUN-MUNZI 2006, 342-349; BRUN 137-156; BRUN-MUNZI 2010, 525-547. . nord-occidentale della città bassa, con ubicazione del santuario 2009). caccabai, olle, anforette); BRUN-MUNZI 2007, Numero di catalogo: 5 Centro di riferimento: Cuma Scheda sito n.: 5 Localizzazione: area sacra nel settore sud-occidentale del foro, a Ovest del cd. Tempio con Portico. Contesto geomorfologico: pianeggiante. Ubicazione geografica: comune di Pozzuoli, provincia di Napoli - località Cuma. Coordinate IGM: 1:25.000, F 184 IV-S/O (Monte Di Cuma). Coordinate UTM: 33T 42055348 E - 4522322 N Quota: 10 s.l.m. Distanza: 502 Posizione rispetto al centro: urbana. Descrizione: le indagini condotte, nell’ultimo decennio, presso il versante meridionale del foro della città, in corrispondenza del cd. Tempio con portico, hanno portato alla luce una lunga e complessa sequenza stratigrafica che rimonta fino alle fasi iniziali della vita dell’insediamento. Le più antiche testimonianze di una prima destinazione cultuale dell’area sono rappresentate da due fosse votive, a una distanza di meno di 5 m dalla casa arcaica, sul versante occidentale. La prima, di forma subcircolare e dalla profondità di circa 1 m, ha restituito una grande quantità di materiale dal chiaro carattere votivo, omogeneamente databile dalla fine del VII e nel corso del VI sec. a.C. e riferibile a un complesso sacro defunzionalizzato e sigillato; la seconda fossa, posta 4 m a N/O della precedente, ha restituito, invece, esclusivamente terrecotte architettoniche; queste fosse sono state realizzate nella prima metà del III sec. a.C. per obliterare un’area sacra di età arcaica, impiantata a sua volta sull’abitato alto-arcaico. Pressoché contemporaneo ai materiali restituiti dalle due fosse è un imponente muro, a Ovest del cd. Tempio con portico, orientato E/O, in opera isodoma, costituito da blocchi di tufo di dimensioni regolari e di forma squadrata, con tracce di anathyrosis in facciavista, che poggiano di taglio su un’assisa di fondazione leggermente aggettante. Sebbene non sia possibile definirne con certezza una funzione cultuale, il muro è sicuramente pertinente a un edificio pubblico relativo alla monumentalizzazione di questo settore della città bassa nel VI sec. a.C. La struttura resta in uso fino per tutto il V sec. a.C., quando viene obliterato da un muro di terrazzamento orientato N/S, realizzato in età sannitica, che ridisegna l’intera area. Intorno alla metà del IV sec. a.C., l’area a S/O del foro accoglie un’area sacra, con orientamento S/E-N/O, definita da un muro in blocchi di tufo squadrati e ricoperti di intonaco biancastro, al quale si lega un altare/trapeza modanato (1,65×1,65m), intonacato e dipinto, con accanto un pilastrino monolite in tufo (0,76 m), con tracce di rasatura sulla superficie superiore. A una distanza di 15 m verso Ovest è stata individuata un’eschara con chiare tracce di bruciatura, con ancora il piatto delle offerte in situ, due mense monoliti parallele tra loro e un’altra struttura anch’essa funzionale allo svolgimento dei rituali. Questo complesso votivo viene poi obliterato e livellato da un altro muro in blocchi di tufo che nei decenni iniziali del III sec. a.C. ridefinisce nuovamente la piazza forense. Testimonianza della defunzionalizzazione sono due fosse votive, rispettivamente a Ovest e S/E dell’altare, che hanno restituito materiali databili tra le fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. Nel I sec. a.C. sulle precedenti strutture relative all’area sacra si sovrappone una serie di ambienti di ridotte dimensioni in opera cementizia e paramento in opera incerta di tufo da interpretare forse come ambienti di servizio di un più grande edificio pubblico. Evidenze archeologiche: le strutture individuate si conservano, in parte, solo a livello delle prime assise di fondazioni. Materiali e tecniche costruttive: le terrecotte architettoniche recuperate dalla seconda fossa relativa all’obliterazione di un edificio sacro di età arcaica sono rappresentate soprattutto da tegole e coppi dipinti che consentono di ricostruire un sistema di copertura basato sull’alternanza di tegole piane e coppi semicircolari mediante assemblaggio per imbocco, un tipo di copertura largamente attestato a Pithecusa e databile ai decenni finali del VI sec. a.C. Materiali votivi: dalla fossa pertinente alla defunzionalizzazione del complesso sacro di VI sec. a.C. provengono esclusivamente materiali ceramici, soprattutto forme aperte, rinvenuti impilati o infissi nel terreno: piattelli con decorazione a fasce, coppette monoansate, kotylai corinzie miniaturistiche sia d’importazione che di produzione locale, coppe ioniche e un’olpetta a corpo ovoide a decorazione lineare. Del piano dell’altare di età ellenistica sono stati recuperati vasetti miniaturistici, punte di lancia e di freccia; i depositi votivi relativi alla defunzionalizzazione del complesso agli inizi del III sec. a.C. hanno restituito ceramica a vernice nera, soprattutto vasi potori, una grande quantità di ceramica da mensa, dispensa e cucina, e in misura minore, unguentari, ceramica miniaturistica e pesi da telaio. 56 Divinità titolari: Datazione: VI-V sec. a.C.; IV-III sec. a.C. Note: Bibliografia: GRECO G. 2007, 38-42; TOMEO 2007, 49-76; GRECO G. 2008, 40-45; TOMEO 2008, 4974; GRECO G. 2009, 35-36, 39; TOMEO 2009, 43-68; GRECO G. 2010 a, 416-426; GRECO G. 2010 b, 21-23. Fig. 3.11. Area sacra di età sannitica presso il settore S/O del foro (da G. GRECO 2009). 57 Numero di catalogo: 6 Centro di riferimento: Cuma Scheda sito n.: 6 Localizzazione: tempio di Iside ubicato presso l’insenatura a Sud del Monte di Cuma. Contesto geomorfologico: pianeggiante; presso il mare. Ubicazione geografica: comune di Pozzuoli, provincia di Napoli -località Cuma. Coordinate IGM: 1:25.000, F 184 IV-S/O (Monte Di Cuma). Coordinate UTM: 33T 41995014 E -452182990 N Quota: 5 s.l.m. Distanza: 634,5 Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: in occasione di lavori per la costruzione di un metanodotto, agli inizi degli anni novanta del secolo scorso, sono venuti alla luce resti di alcune strutture presso l’entrata di quello che si riteneva fosse il porto romano della città. L’area esplorata si estende su una superficie di 480 mq e sono stati individuati resti di un podio rettangolare su quattro piccoli ambienti voltati con pareti in signino; una scale presso il lato nord; parte di un ambiente absidato presso il lato meridionale del foro, ma senza nessuna connessione con esso e con ingresso indipendente sul lato est; un ambiente quadrangolare a Est del podio; un corridioio a L, una vasca di fronte al lato nord del podio circondata da un portico. Del podio è stata, inoltre, riconosciuta una prima fase, di ampiezza analoga alla successiva ma costituita da due ambienti rettangolari voltati, che sulla base dell’associazione di ceramica a vernice nera campana A, può essere datata al 100 a.C.; a una fase successiva, databile alla seconda metà del I sec. a.C., si datano il secondo podio, la rampa di scale, l’ambiente quadrangolare, la vasca con il portico, mentre l’ambiente absidato è stato aggiunto tra la fine del I sec. a.C. e il I sec. d.C. Dopo il terremoto del 62 d.C., le pareti della vasca e il portico, decorato da un pavimento con mosaico bianco, vengono poi raddoppiate in altezza così come tutto il pavimento circostante, che riceve ora un rivestimento in opus sectile a motivi geometrici, mentre la parete nord della vasca viene arricchita da un ninfeo. Nel II sec. d.C. vengono aggiunti due pilastri in laterizio nell’ambiente a Est del podio. La distruzione del santuario può essere ascritta a un’azione dei Cristiani in un momento successivo all’editto di Costantino o alla distruzione del Serapeo di Alessandria nel 391 d.C. o all’editto di Teodosio. Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: podio superiore in opera quasi reticolata; opere testacea per l’ambiente absidato. Materiali votivi: tre sculture egiziane intenzionalmente decapitate (statua di Inaros come naoforo di Osiride in basalto nero, XXX dinastia una statua di Iside in basalto nero di I sec. a.C. in granito grigio di età tolemaica), insieme ad altri frammenti di sculture databili alla piena età imperiale. Divinità titolari: Iside (?) Datazione: inizi I sec. a.C.-IV/V sec. d.C. Note: Bibliografia: CAPUTO 1991, 169-172; DE CARO 1994 a, 11-15; CAPUTO et alii 1996, 174-176; Nova Antiqua Phlegrea 2000, 89-90; CAPUTO 2003, 210-220. 58 Fig. 3.12. Ubicazione del tempio di Iside (rielaborazione da CAPUTO 2003). 59 Numero di catalogo: 7 Centro di riferimento: Cuma. Scheda sito n.: 7 Localizzazione: santuario di Fondo Valentino situato a S/O dell’acropoli, 300 m a N/O dell’anfiteatro, presso le fortificazioni e la linea di costa. Contesto geomorfologico: pianoro. Ubicazione geografica: comune di Pozzuoli, provincia di Napoli -località Cuma. Coordinate IGM: 1:25.000, F 184 IV-S/O (Monte Di Cuma). Coordinate UTM: 33T 420227498 E -452180402 N Quota: 26 s.l.m. Distanza: 694,5 Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: l’area sacra, interessata da campagne di scavo nel corso dell’Ottocento, è nota solo attraverso materiali architettonici e votivi. Allo stato attuale della documentazione non sono state individuate strutture superstiti. Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: numerose sono le terrecotte architettoniche di età arcaica attribuibili ad almeno due sistemi di rivestimento: il primo, databile al pieno VI sec. a.C., risulta costituito da antefisse nimbate, tegole di gronda e sime rampanti bipartite; il secondo, databile a età tardo-arcaica, è costituito da un sistema di sime laterali e rampanti. Materiali votivi: ceramica proto-corinzia, sub-geometrica, ceramica chiota, ceramica corinzia, coppe ioniche, bucchero, ceramica attica, statuette votive e vasetti configurati di età arcaica. Tra ceramica attestata proverrebbero dall’area sacra di Fondo Valentino alcuni frammenti che recano iscritte dediche alla dea (un frammento di collo di oinochoe, ora a Bonn, frammenti di coppe ioniche, di kylikes e skyphoi attici a vernice nera e un frammento di ceramica attica a figure rosse). A questi si aggiungerebbe un’olletta acroma, databile, su base tipologica dalla fine del VII sec. a.C. che reca inciso il nome di Eracle, di cui N. Valenza Mele ha ricostruito la provenienza dalla zona di Fondo Valentino, ipotizzando un’associazione del culto della dea con quello di Eracle. Divinità titolari: Hera (?), in associazione con Eracle (?). Datazione: VI-inizi V sec. a.C. Note: piuttosto complessa è la problematica relativa all’ubicazione del santuario dedicato a Hera. Il tempio è presente nella pianta della città pubblicata dal De Jorio come un edificio rettangolare stretto e allungato, orientato E/O, ma successivamente se ne perdono le tracce. L’area di Fondo Valentino è fatta oggetto di una prima indagine di scavo nel 1860 per iniziativa del Principe Sayn Wittgenstein. I risultati di questo primo intervento vengono pubblicati dal Minervini che descrive, senza precisarne l’ubicazione esatta, il ritrovamento di «alcune fabbriche di greca costruzione» costituite da grandi blocchi squadrati di tufo, ricoperti da uno strato di terra e da un mosaico di età romana. Nei pressi di tale struttura vengono recuperati numerose terrecotte figurate, ceramica corinzia fra cui il collo di onoichoe con dedica a Hera. Successivamente, Emilio Stevens, partendo proprio dalle notizie riportate dal Minervini, riesce a individuare il luogo esatto dello scavo, posto 300 m a N/O dell’anfiteatro, presso le mura, su un pianoro proteso verso il Fusaro e verso il mare, luogo che corrisponde esattamente all’ubicazione di Fondo Valentino. I risultati degli scavi Stevens sono stati poi resi noti dal Gabrici il quale descrive il ritrovamento presso il Fondo Valentino di un edificio sacro molto antico, di VII-VI sec. a.C. e di una grande quantità di ceramica corinzia e di terrecotte votive, del tutto analoghe a quelle rinvenute precedentemente dal Principe Sayn Wittgenstein, e che il Gabrici, non trovandone notizia nei taccuini dello Stevens, attribuisce o alla necropoli settentrionale o proprio al santuario di Fondo Valentino. Bibliografia: GABRICI 1913, 14, 544-549, tav. I; VALENZA MELE 1977, 498-500; VAENZA MELE 1984, 51; VALENZA MELE 1991-92, 12-14; LA ROCCA et alii 1995, 51-79; RESCIGNO 1998, 193-194; DEL VERME-SACCO 2002-03, 262-265; CARAFA 2008, 87-89; LOMBARDI 2008, 180-181; RESCIGNO 2008 b, 180. 60 Fig. 3.13. Ubicazione del santuario di Hera presso il fondo Valentino (da LA ROCCA et alii 1995). 61 Numero di catalogo: 8 Centro di riferimento: Cuma Scheda sito n.: 8 Localizzazione: area sacra a monte, sul lato nord dell’anfiteatro, in corrispondenza del limite meridionale della città. Contesto geomorfologico: pianoro. Ubicazione geografica: comune di Bacoli, provincia di Napoli. Coordinate IGM: 1:25.000, F 184 IV-S/O (Monte Di Cuma). Coordinate UTM: 33T 42049555 E -452165169 N Quota: 24 s.l.m. Distanza: 941,3 Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: la presenza di un’area sacra presso l’anfiteatro della città era già stata rilevata alla metà dell’Ottocento quando, sulla terrazza sopraelevata sulla quale oggi sorge la Villa Virgiliana, vengono individuati i resti, di un piccolo tempio di età ellenistico-romana, costituito da un portico con quattro colonne doriche, rivestite in stucco, sulla fronte, al quale seguono un vestibolo di 4,70 m e la cella di 13,70 m di lunghezza, con sette pilastri lungo i lati lunghi e quattro sulla parete di fondo (lunga 9 m) e con al centro un altare rivestito in marmo. Sondaggi di scavo, realizzati in anni recenti in occasione del restauro dell’anfiteatro, hanno portato alla luce resti di strutture murarie, per una lunghezza di 13 m, delle quali sono state riconosciute più fasi edilizie dall’età arcaica fino al I sec. d.C. Questo muro è stato interpretato come peribolo e muro di terrazzamento che delimitava e livellava il limite orientale della terrazza su cui sorgeva il santuario, che quindi, si presentava in posizione sopraelevata e isolata rispetto al territorio circostante, in particolare rispetto alle due strade, che da questo lato, uscivano dalla città per dirigersi l’una, attraverso lo Scalandrone, verso il Lucrino e Pozzuoli, l’altra verso il Fusaro e Miseno. Evidenze archeologiche: parte del muro di terrazzamento di età romana inglobati dalla Palazzina Virgiliana, visibili sui lati nord e sud dell’edificio moderno. Materiali e tecniche costruttive: la fase più antica del muro di terrazzamento recentemente individuato è realizzato contro terra, con una cortina di blocchi di tufo squadrati con un riempimento di scaglioni di tufo, alla quale si addossano i successivi rifacimenti in opera quadrata, reticolata e vittata. Materiali architettonici e votivi rinvenuti, in giacitura secondaria, in strati di riempimento e di interro testimoniano un’occupazione sacrale dell’area fin dagli inizi del VI sec. a.C. Le terrecotte architettoniche recuperate sono suddivise in almeno tre sequenze tipologiche principali. A un sistema di copertura di inizi VI sec. a.C. apparterebbe un frammento di antefissa a palmetta dritta, mentre a una fase successiva di pieno VI sec. a.C. sono state ricondotte antefisse nimbate, sime a canne plastiche, tegole di gronda e lastre di rivestimento. Alla fine del VI sec. a.C. è stato, infine, datato un tetto con sime a maschera leonina e anthemion traforato. Dall’area sacra proviene anche un frammento di sima a testa di ariete, attribuito a un tipo di tetto con lastre di rivestimento a nastri sottili e occhielli. Materiali votivi: da strati di riempimento e livellamento, per l’età arcaica: ceramica corinzia, ceramica attica a figure nere, bucchero, ceramiche greco-orientali, a decorazione lineare; ceramica comune; pesi da telaio e dischi in lamina di bronzo sottile, interpretabili come borchie decorative, piatti miniaturistici o di piccoli scudi votivi. Al V sec. a.C. risale il piede di una coppa a vernice nera che reca l’iscrizione in greco [M]ELICH, da intendersi come riferimento a Zeus Melichios. Pochi i frammenti di età ellenistico romana: ceramica campana a vernice nera, di cui due frammenti di coppe con iscrizioni in osco, ceramica miniaturistica e un frammento di statuetta femminile in terracotta. Divinità titolari: Datazione: VI-I sec. a.C. Note: sulla base delle attestazioni materiali finora disponibili, sembrerebbe che l’aria sacra abbia vissuto un periodo di intensa frequentazione nel VI sec. a.C., cui segue nel secolo successivo una decisa contrazione, indicata dagli esigui reperti di V sec. a.C., mentre una ripresa, seppur modesta, si registra per l’età ellenistico-romana. Bibliografia: TOCCO 1987, 158; BELOCH 1989, 189; CAPUTO 1993, 131; CAPUTO et alii 1996, 169; RESCIGNO 1998, 151-152; 192-193; CAPUTO 2002, 119-121; DE CARO 2005, 650, nota 16; CAPUTO 2006 a, 294-395; CAPUTO 2006 b, 109-110; CAPUTO-REGIS 2008, 172-177; CAPUTO-REGIS 2010, 723. 62 4.1. L’antica Capua: storia e topografia della città e del territorio L’antica Capua, estesa Santa Maria Capua Vetere, Volturno e chiusa a N/E, alla distanza di circa 3 km, dalle alture dei Monti Tifatini e dalla gola di Triflisco, occupa campana. Essa sorgeva lungo la Valle del Sacco e del Liri, collegavano la Campania settentrionale al Lazio meridionale e interno, in particolar modo alla zona di Veio e all’area falisco sbocco di valichi appenninici, controllava le principali vie d’accesso al mondo sannitico e daunio1. 1 JOHANNOWSKY 1989, 11-12; 2 RUFFO 2010, 153. Fig. 4.1. Planimetria della città antica (da JOHANNOWSKY 1989). 63 CAPITOLO IV CAPUA su di una superficie di 200 ettari, tra gli attuali comuni di Curti e San Prisco, situata a circa 4 km dalla riva sinistra del occupava una posizione centrale e nevralgica all’interno de importanti direttrici fluviali e terrestri che, da un lato, attraverso falisco-capenate, dall’altro, post La fondazione della città Fin dalla fondazione Capua ha rivestito un ruolo determinan definizione degli assetti politici e territoriali e delle identità culturali di tutta la Campania antica2. La rilevanza politica e strategica della città emerge chiaramente dalla lettura delle fonti antiche che, a più riprese ne rilevano potenza e l’opulenza. Tito CERCHIAI 1995, 36-37; CERCHIAI 2010, 14; RUFFO 2010, 152. . della pianura posta allo nte e decisivo nella riprese, il prestigio, la Livio, riprendendo una tradizione storica precedente che faceva capo a Polibio3, non esita a definire Capua come la città più importante d’Italia dopo la sconfitta romana a Canne nel 216 a.C.4 e lo stesso giudizio viene ripreso e amplificato da Strabone che, per l’età arcaica, ne sottolinea il ruolo egemone nell’ambito della pianura campana, ponendola a capo di una lega di dodici città etrusche5. La preminenza da sempre esercitata da Capua sui vasti territori circostanti ha determinato, del resto, la formazione a posteriori di false e invalse etimologie dell’origine del suo nome che, da un lato, è stato fatto risalire al termine latino caput, anche in riferimento alla testimonianza straboniana del ruolo di metropoli della dodecapoli etrusca6, dall’altro, al termine campus (pianura), dal quale sarebbe a sua volta derivato il nome dell’intera regione7. Un’altra serie di fonti antiche tende, invece, a porre l’accento sullo stretto legame esistente tra la fondazione di Capua e il mondo etrusco-laziale, in particolare con l’area falisco-capenate8. Il nome della città deriverebbe dall’eroe eponimo Capys9, ora presentato come un personaggio di origine troiana in Ecateo di Mileto10 e identificato anche come padre di Anchise e quindi come nonno di Enea e bisnonno di Ascanio, Romolo e Romo11, ora come cugino di Enea o figlio di Capetus e avo di Tiberino12. L’esplicito richiamo agli avvenimenti collegati alle origini di Roma e ad alcuni episodi della leggenda troiana, talvolta precedenti la guerra di Troia, denota l’alta “antichità” della fondazione della città ricondotta alla presenza etrusca in Campania. 3 Pol. III, 91. Lo storico greco, nel descrivere la configurazione territoriale e l’assetto politico e amministrativo della Campania all’epoca del secondo conflitto romano-cartaginese, esalta l’eccezionale ricchezza della città e la sua centralità rispetto alle pianure circostanti, nonché, di rimando, la sua decisiva influenza sulle sorti e gli esiti politici e militari della guerra all’interno della regione. 4; Liv., XXIII, 11: «Capuam, … quod caput non Campaniae modo sed post adflictam rem Romanam Cannenis pugna Italiae sit…». 5 Strab. V, 4, 3 e 10; Paus., V, 12, 3. 6 Strab., V, 4,3; V, 4, 10; Liv. XXIII, 11: «caput non Campaniae modo …»; Flor. I, 16, 6; CERCHIAI 1995, 37; SACCHI 2002, 53-54. 7 BELOCH 1989, 341; Varr., l.l. X, 16; Liv. IV, 37: «Capuamque ab duce eorum Capye vel, quod propius vero est, a campestri agro appellatam»; Diod. Sic. XII, 31, 1; Plin. N.H., III, 63: «coloniae Capua, ab XL campo dicta»; Paul. Diac., Hist. Lang. II, 17: «Campania appellata est propter uberrimam Capuae planitiem»; SACCHI 2002, 53-54, nota 80. 8 CERCHIAI 1995, 39-40. 9 Verg., Aen., X, 145; «et Capys: hinc nomen Campanae dicitur urbi»; Liv. IV, 37; BELOCH 1989, 341; CERCHIAI 1995, 37-40; SACCHI 2002, 53-54, nota 80. 10 Steph. Byz., s.v. Capya. 11 Hom. Il. XX, 239; Dion. Hal. I, 73, 3: secondo lo storico greco, alla morte di Enea, Ascanio divide tutto il territorio dei Latini con i fratelli Romolo e Romo che avrebbe fondato poi Capua, così denominate in onore del bisnonno Capys. 12 Serv., ad Aen. X, 145. Questo chiaro legame rilevato dalle fonti storiche, peraltro suffragato dall’evidenza materiale, tra l’agro falisco e il territorio capuano, ha indotto gli studiosi a sostenere l’ipotesi di una stessa origine per i toponimi di Capua e Capena, dell’ethnos Kappanos-Kampanos e dell’antroponimo Capetus: CERCHIAI 1995, 40; RUFFO 2010, 154. 64 Le due principali fonti a riguardo, Velleio Patercolo e Marco Porcio Catone, se da un lato concordano con l’origine etrusca dell’abitato, dall’altro forniscono cronologie di fondazione completamente discordanti. Velleio propone una datazione alta, intorno all’800 a.C., Catone propende, invece, per una data precedente di 260 anni la conquista romana della città che generalmente si fa coincidere con la debellatio del 211 a.C.; la fondazione quindi, secondo la testimonianza di Catone, si collocherebbe intorno al 471 a.C.13 Le discrepanze nelle testimonianze storiche e i dati della documentazione archeologica hanno dato vita a un vivace dibattito circa la matrice etnica, la cronologia di fondazione della città e il suo più antico sviluppo urbanistico. Le ricerche archeologiche, condotte in maniera sistematica a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso nella vaste aree necropoliche settentrionali e nord-occidentali, nonché quelle realizzate nel settore orientale dell’abitato negli anni Ottanta, hanno consentito di ampliare notevolmente il quadro delle conoscenze acquisite, dando luogo, peraltro, a diversi indirizzi di ricerca sulle origini e lo sviluppo dell’antico abitato etrusco14. In seguito agli scavi eseguiti presso l’Alveo Marotta, nel settore orientale della città, che hanno portato alla scoperta di un quartiere abitativo di età arcaica, obliterato dalla costruzione della cinta muraria agli inizi del V sec. a.C.15, si è affermato un filone di pensiero secondo cui quello dell’Alveo Marotta sarebbe stato uno dei pagi indigeni che in epoca tardo- arcaica, sotto la spinta etrusca, si sarebbero aggregati, secondo un processo sinecistico, in una forma urbana con la costruzione della fortificazione più antica, in accordo con la cronologia bassa indicata da Catone, in un periodo compreso tra le due battaglie di Cuma (525/524 a.C. e 474 a.C.)16 e successivo all’avvento di Aristodemo17; prima di questa data Capua, al pari di Roma, sarebbe stata un grande agglomerato ellenizzante ed etruschizzante18, mentre solo dopo la sconfitta subita nelle acque di Cuma e con la fondazione di Neapolis si sarebbe decisamente rafforzata la componente etrusca in città. 13 Vell. I, 7, 2-4; Mela, II, 53: «Capua a Tuscis». Nel tentativo di rialzare la cronologia troppo bassa fornita da Catone, addirittura posteriore alla battaglia di Cuma del 524 a.C., sono state avanzate proposte alternative circa la data della conquista romana della città. Si è pensato al 343 a.C., anno di un’alleanza tra Roma e Capua all’epoca della prima guerra sannitica; al 338 a.C., anno a cui risale la concessione della civitas sine suffragio all’indomani della guerra romano- latina; al 314 a.C. o addirittura alla conquista campana nel 423 a.C., tutte date che consentirebbero di collocare la fondazione della città tra gli inizi del VII e gli inizi del VI sec. a.C.: LEPORE 1989, 19-20; RUFFO 2010, 154-155. 14 BELLELLI 2006, 113-122; BONGHI JOVINO 2010 a, 129-132. 15 ALLEGRO 1984, 514-517; CERCHIAI 1987, 51-52; ALBORE LIVADIE 1994, 876; RUFFO 2010, 155. 16 GROS-TORELLI 1994, 42; COLONNA 1991, 61-62; COLONNA 1992, 67-68; MELE 1991, 250; CRISTOFANI 1998, 172-173. 17 MUSTI 1992, 45-46. 18 COLONNA 1981, 165; COLONNA 2002-03, 191-204; BELLELLI 2006, 115; BONGHI JOVINO 2010 a, 129. 65 Un altro autorevole filone di studio, invece, sulla base delle indagini condotte da W. Johannowsky nella necropoli settentrionale, in cui è stata riscontrata una continuità d’uso dal IX al V sec. a.C., è propenso a collocare tra la fine del VII e gli inizi del VI sec. a.C., nell’orizzonte culturale dell’Orientalizzate recente, la strutturazione organica e compiuta in senso urbano dell’insediamento che comunque vive, senza soluzione di continuità e interruzioni, sin dall’età del ferro, in perfetto accordo con la cronologia alta riporta da Velleio19, peraltro, ipotizzando una sorta di processo poleogenetico del tipo Altstadt/Neustadt, postulato già per Pompei, in cui l’Altstadt è stata riconosciuta nel settore sud-occidentale dell’insediamento20. Questa prospettiva risulta oggi ulteriormente avvalorata dalla recente revisione dei corredi delle sessantaquattro tombe a inumazione rinvenute nell’area dell’anfiteatro, non lontano dalle pendici del Monte Tifata21. L’analisi ha evidenziato appieno le caratteristiche della facies locale del protovillanoviano e della prima età del ferro, segnalando, a partire dalla metà del IX sec. a.C., attraverso le numerose analogie con i corredi di Pontecagnano, di Tarquinia, Vulci e Cerveteri, il carattere unitario della presenza etrusca in Campania, con evidenti legami con l’area laziale, falisco-capenate e della Fossakultur. Sulla base di tali evidenze è stato possibile, quindi, ribadire con sicurezza l’etruscità di Capua, arricchita dell’apporto del substrato indigeno e delle «compresenze di altri popoli», fin dalle sue origini. È a partire dall’ultimo venticinquennio del VII sec. a.C. che si registra una profonda ristrutturazione dell’abitato, certamente sotto la spinta propulsiva degli Etruschi, che in questo periodo 19 JOHANNOWSKY 1983, 9-10; JOHANNOWSKY 1989, 25-29; JOHANNOWSKY 1992, 258-259; D’AGOSTINO 1994, 437; D’AGOSTINO 1996, 533-540; BONGHI JOVINO 2010 a, 129. 20 CASTAGNOLI 1956, 49; DE FRANCISCIS 1992, 28; BELLELLI 2006, 112. 21 OCCHIOLUPO 2011. Fig. 4.2. I limiti dell’impianto urbano e distribuzione delle necropoli dell’età del ferro e di età arcaica (da CERCHIAI 2010). 66 intensificano il rapporto con l’elemento indigeno e si fanno promotori dell’urbanizzazione di numerosi centri della Campania interna e costiera22. Dai dati della documentazione archeologica emerge con chiarezza «la vitalità della forza e dell’etruscità campana nell’Orientalizzante recente e, in secondo luogo, una cronologia più alta nella strutturazione di Capua etrusca»23. La ristrutturazione in forma organica dell’abitato, con l’adozione di un impianto regolare, poi obliterato durante la fase sannitica, con la contemporanea acquisizione di nuovi lotti per le sepolture a N/O e S/O, può essere ora datata con certezza tra la fine del VII e gli inizi del VI sec. a.C.24 Lineamenti della storia e dello sviluppo urbano Agli inizi del V sec. a.C., negli anni immediatamente successivi la disfatta navale subita dagli Etruschi nelle acque di Cuma nel 474 a.C. e la fondazione di Neapolis, in città si registra un deciso ripiegamento, dovuto a un netto ridimensionamento dell’asse politico- economico con Cuma e a una serrata della aristocrazia agraria che riprende il controllo della città che ora assume probabilmente il nome etrusco di Volturnum. Indicativi di questo brusco cambiamento di rotta sono, da un lato, la costruzione della cinta muraria che oblitera il quartiere abitativo presso l’Alveo Marotta, dall’altro il crollo della attività edilizia di carattere pubblico e della produzione artigianale25. Circa cinquant’anni dopo questo evento, nel 423 a.C., si verifica uno degli avvenimenti cruciali per la vita della città, la cd. conquista campana, chiaramente riscontrabile nell’abbandono, alla fine del V sec. a.C., delle più antiche aree di necropoli, in uso fin dal IX sec. a.C., a N/O, in località Fornaci, e a Nord dell’insediamento, in località Tirone. I nuovi arrivati, in ossequio probabilmente a qualche forma devozionale, scelgono di seppellire i propri defunti in aree diverse, sebbene non ancora identificate, dal momento che le sepolture sannitiche più antiche non risultano anteriori alla metà del IV sec. a.C.26 Da questo momento in poi, fino al II sec. a.C. le vicende che segnano la vita della città sono indissolubilmente legate a Roma. Dopo la prima guerra sannitica (343-341 a.C.) e il distacco dall’ager Falernus e dopo il conflitto romano-latino (340-338 a.C.), la città ottiene 22 CERCHIAI 1995, 99-101; BONGHI JOVINO 2010 a, 130-131, note 18-20; CERCHIAI 2010, 55. 23 BONGHI JOVINO 2010 a, 131. 24 SAMPAOLO 2008, 479; BONGHI JOVINO 2010 a, 131; CERCHIAI 2010, 55-57. 25 CERCHIAI 1995, 184; CERCHIAI 2005, 197-198; CERCHIAI 2010, 95-96. 26 JOHANNOWSKY 1989, 57-58; RUFFO 2010, 155-156. 67 nel 338 a.C. la concessione della civitas sine suffragio insieme con Cumae, Suessula e forse Calatia e Atella27, a cui segue qualche decennio più tardi la costruzione, nel 312 a.C., della Via Appia28. Nei decenni a cavallo tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C., grazie all’alleanza con Roma, Capua conosce un periodo di straordinario sviluppo e floridezza economica29 che si interrompe bruscamente quando, dopo la battaglia di Canne nel 216 a.C., la città si schiera, insieme con numerose altre città, tra cui Atella e Calatia, in favore dei Cartaginesi. Le vicende belliche culminano nel 211 a.C. con l’assedio di Capua da parte dei Romani, con conseguente resa e ingresso trionfale in città del comandante C. Fulvius attraverso la porta Jovis, una delle poche a essere menzionata dalle fonti. Da questo momento in poi Capua viene completamente privata dell’autonomia politica e giudiziaria; l’amministrazione della giustizia viene demandata a prefetti inviati annualmente da Roma e la città è costretta a subire l’esproprio della sua campagna e dei suoi edifici pubblici30. Questo rapporto di smaccata sudditanza termina, dopo circa un ventennio, con la concessione, tra il 189 e il 188 a.C., della cittadinanza romana, con l’acquisizione di pieni diritti politici e civili31. Con la concessione della cittadinanza e con la successiva istituzione della prefectura Capuam Cumas, protrattasi fino alla deduzione della colonia cesariana nel 59 a.C., Capua conosce un periodo di grande ripresa economica, tornando a essere il centro di riferimento nell’ambito della pianura campana32. La città nel II sec. a.C. è caratterizzata da un’intensa attività edilizia, assurta a simbolo di lusso e sfarzo eccessivi, secondo una testimonianza di C. Gracchus, per la presenza di due fori, l’uno destinato al Senato e l’altro al popolo33. La realizzazione di edifici pubblici, in città e nel territorio avviene con l’approvazione e sotto il controllo dei magistri Campani, menzionati in iscrizioni databili tra il 112/111 a.C. e il 71 27 Liv. VIII, 11 e 14; D’ISANTO 1993, 16; 28 J. Heurgon, sulla scorta di un altro passo liviano (Liv. XXXI, 31, 11: «foedere primum,, deinde conubio atque cognationibus, postremus civitate nobis coniunxissemus»), ritiene, che in realtà, Capua fosse un municipium foederatum di Roma, autonomo dal punto di vista amministrativo e gestito dai meddices tutici; secondo lo studioso la deditio del 343 a.C., preliminare alla prima guerra sannitica, sarebbe una semplice duplicazione di quella del 211 a.C., inventata per giustificare la rottura della alleanza che i Romani avevano stipulato con i Sanniti nel 354 a.C.: HEURGON 1970, 182-184; FREDERIKSEN 1984, 192-194; D’ISANTO 1993; 16-17; RUFFO 2010, 156. 29 Liv. XXIII, 7-8. 30 Molti cittadini vengono imprigionati o venduti come schiavi, altri subiscono la confisca dei propri beni: Liv. XXVI, 16 e 34; da ultimo, RUFFO 2010, 159. 31 Tra i quali lo ius conubii che conferisce la possibilità di sposare cittadine romane e di legittimare i matrimoni e i figli nati in precedenza: Liv. XXXVIII, 28; XXXVIII, 36. 32 JOHANNOWSKY 1989, 65. 33 Val. Max. IX, 5, ex 4; D’ISANTO 1993, 16 e nota 22. 68 a.C.34, sulle quali sono anche registrati interventi effettuati nei principali santuari della città e i nomi di alcune divinità titolari di luoghi di culto (Spes, Fide set Fortuna, Juppiter Optimus Maximus, Venus Jovia, Castor et Pollux, Mercurius Felix, Ceres, Juppiter Compages).35 Nel corso del I sec. a.C. Capua è interessata da una serie di fondazioni coloniali, alcune solo ipotizzate, che hanno determinato notevoli variazioni nell’organizzazione territoriale della città e nuovi interventi strutturali36. Il processo di romanizzazione della città si conclude con la fondazione della colonia cesariana37 che inaugura una nuova fase di rinnovamento edilizio. In questo periodo nel settore N/O della città, in corrispondenza dell’attuale Piazza San Francesco, viene strutturata l’area del foro, già precedentemente interessata da un luogo di culto segnalato dal ritrovamento di una serie di materiali votivi di età ellenistica38. Il settore settentrionale della piazza viene occupato da un santuario costruito su una terrazza sopraelevata sostenuta da un portico a tre bracci, aperto sul lato meridionale, all’interno del quale è stata ricava una crypta con copertura a volta (il cd. Criptoportico)39, identificato da A. De Franciscis come la sede del Capitolium di età tiberiana40 e inizialmente interpretato erroneamente come un complesso ginnasiale con terme annesse, sulla scorta della testimonianza liviana secondo la quale nel 216 a.C. alcuni cittadini sarebbero stati imprigionati all’interno dei balnea allora presenti in città41. La piazza forense è delimitata a Sud da un grande complesso architettonico presso la torre di Sant’Erasmo nel quale può essere riconosciuto in maniera più attendibile il Capitolium della città42. A Ovest il foro è chiuso dall’edificio teatrale, il cui primo impianto risale al II sec. a.C., con numerosi rifacimenti e manomissioni operate nel corso del 34 FREDERIKSEN 1959, 83-94; D’ISANTO 1993, 19-20. 35 FREDERIKSEN 1984, 265-266; D’ISANTO 1993, 19. Un passo liviano riporta, inoltre, una notizia relativa alla presenza di un tempio extraurbano dedicato a Marte che sarebbe distrutto, insieme al tempio di Fortuna e ad alcuni sepolcri, da un fulmine: Liv. XXVII, 23; RUFFO 2010, 159. 36 Nell’84-83 a.C. sarebbe stata fondata una colonia mariana da parte del tribuno M. Junius Brutus, vanificata dalla successiva fondazione sillana, di cui sono state individuate alcune tracce nella centuriazione del territorio, sebbene, comunque, più probabilmente l’intervento di Silla abbia interessato solamente il santuario di Diana Tifatina in seguito alla vittoria sul console C. Norbanus alle pendici del Tifata. Al 63 a.C. risale invece il tentativo del tribuno Servilio Rullo, fallito per la strenua opposizione di Cicerone: FRANCIOSI 2002 b, 21; RUFFO 2010, 159. 37 In occasione di questo evento vengono distribuiti 10 iugeri dell’Ager Stellatis a ventimila famiglie della plebe e a veterani di Pompeo: RUFFO 2010, 159. 38 Cfr., infra. 39 Oggi inglobato all’interno dell’attuale sede della Facoltà di Lettere della Seconda Università degli Studi di Napoli. 40 DE FRANCISCIS 1945, 46. 41 Liv. XXIII, 7; BELOCH 1989, 393-394. 42 JOHANNOWSKY 1989, 70; MELILLO 1991, 157-161; DE CARO et alii 1997-98, 18, nota 16. Il tempio, databile in età tiberiana, in parte inglobato all’interno del Museo Campano, è dotato di una cella tripartita su alto podio in opera laterizia. 69 Settecento e dell’Ottocento43, i cui resti sono oggi conservati all’interno dell’attuale Caserma Pica. Il limite orientale è, infine, definito, da una serie di botteghe e portici scoperti di età tardo-repubblicana tra cui un criptoportico con copertura a volta su cui si aprono vani commerciali44. Con l’avvento di Augusto45, Capua è interessata da una serie di interventi di munificenza, quali l’assegnazione di nuove terre, l’allacciamento di un acquedotto, l’Aqua Julia, proveniente dalle sorgenti del Tifata46, mentre in età giulio-claudia i principali assi viari, la Via Dianae a Nord, i segmenti della Via Appia in direzione di Casilinum e Calatia vengono monumentalizzate con l’elevazione di imponenti monumenti funerari che si dispongono, in sequenza continua, lungo i margini delle carreggiate47. Tra la fine del I e il II sec. d.C. si datano altri decisivi interventi di monumentalizzazione della città, nonostante i primi segnali di un ripiegamento economico conseguente all’apertura della Via Domitiana48. A questo periodo risale la costruzione dell’Anfiteatro a N/O della città, all’esterno del circuito murario, in sostituzione di un precedente edificio di età repubblicana, che viene successivamente interessato da restauri e rifacimenti sotto Adriano e Antonio Pio, e del Macellum, identificato nel settore centrale della città49, databile in età flavio-traianea, la cui presenza andrebbe a interrompere, così, l’assetto urbano supposto a Sud della Via Appia50. Tra il II e il III sec. d.C. la città vive ancora un momento di grande floridezza51 che continua anche sotto Diocleziano, quando la città riceve il titolo di Valeria e probabilmente quello di Concordia, come confermato dalle numerose dediche dei Collegia e delle Regiones nei 43 BELOCH 1989, 395; RUFFO 2010, 160. 44 JOHANNOSKY 1989, 70; MELILLO 1991, 157-191. Ancora al periodo della colonia cesariana può essere attribuito un edificio pubblico con trabeazione in calcare, il cui fregio decorato con armi e metope figurate è stato rinvenuto in frammenti in uno scarico all’esterno delle mura a Ovest del teatro (JOHANNOWSKY 1989, 68; CAPALDI 2005, 1564). 45 Dopo la morte di Cesare e nel periodo delle guerre civili Capua viene investita da nuove iniziative di fondazione coloniale: da parte di Antonio nel 44 e nel 41 a.C. quando la città acquisisce l’appellativo di Colonia Julia; da parte di Ottaviano nel 36 a.C., quando, dopo la battaglia di Nauloco, alla città viene conferito il titolo di Colonia Felix e forse di Concordia: RUFFO 2010, 161. 46 JOHANNOWSKY 1989, 70. 47 Ne sono testimonianza i complessi cd. delle Carceri e della Conocchia: JOHANNOWSKY 1970-71, 465; DE CAROGRECO 1981, 210-213; JOHANNOWSKY 1989, 70. 48 FREDERIKSEN 1959, 124; D’ISANTO 1993, 24; DE CARO-MIELE 2001, 561. 49 ZEVI 2004, 887-888; RUFFO 2010, 163. 50 SAMPAOLO 1999. A età flavia risale anche la costruzione a Ovest della città, lungo la Via Appia, in direzione di Casilinum, dell’arco onorario noto come Arco Felice: JOHANNOWSKY 1975 a, 20, nota 75; JOHANNOWSKY 1989, 72. 51 Vengono costruiti nuovi edifici pubblici e terme nel settore N/O della città, lussuose case private e un Mitreo alle spalle del Capitolium: JOHANNOWSKY 1989, 72-73. 70 confronti delle personaggi illustri della città che avevano favorito opere di abbellimento e monumentalizzazione52. In epoca costantiniana viene costruita una basilica Apostolorum presso l’attuale chiesa di Santa Maria delle Grazie o nella chiesa di San Pietro al Corpo, favorendo così la diffusione del Cristianesimo53. Dopo un primo abbandono a seguito delle invasioni vandaliche di Genserico del 456 d.C., alle quali segue un ulteriore momento di ripresa e rifiorita, la città viene definitivamente abbandonata nell’841 d.C. a causa delle invasioni saracene che determinano il trasferimento della popolazione nella vicina Casiliunum54. L’assetto urbanistico La città antica, compresa tra gli attuali comuni di Santa Maria Capua Vetere, Curti e San Prisco è caratterizzata da una lunga e complessa vicenda insediativa che, senza soluzione di continuità, si snoda fino a oggi. Essa si estende su una superficie di 200 ettari e presenta una pianta pressoché rettangolare che si sviluppa per 1,4 km in senso N/S e per 1,5 km in senso E/O. Le indagini archeologiche degli ultimi anni, pur nella difficoltà degli interventi che avvengono spesso in condizioni di emergenza, hanno consentito di far luce su alcuni aspetti ancora controversi dell’assetto urbanistico, in particolar modo quelli riguardanti la perimetrazione della città in relazione allo sviluppo delle necropoli e della cinta muraria. Infatti, mentre le evidenze archeologiche finora riscontrate e gli innesti nel tessuto urbano della strada proveniente da Sud, da Atella e Pozzuoli, e di quelli della Via Appia a Est e a Ovest della città, che divergono nettamente dall’orientamento astronomico dei tracciati viari cittadini, accertano la presenza di una cinta muraria a partire dagli inizi del V sec. a.C., non si possiede invece alcune dato documentario relativo a una cinta muraria più antica. Dal momento che le necropoli dell’età del ferro e di età arcaica sono dislocate a Nord, N/O, N/E, S/O e S/E del futuro anfiteatro, è plausibile che la cinta, pur in assenza di elementi diretti, sia stata costruita piuttosto presto, rimanendo pressoché inalterata nelle epoche successive55. 52 D’ISANTO 1993, 25. 53 RUFFO 164. Il battistero della basilica è stato ricavato all’interno di un’aula termale della media età imperiale, originariamente interpretato come catabulum connesso con il vicino anfiteatro: ALBORE LIVADIE 1994, 878. 54 D’ISANTO 1993, 26; RUFFO 2010, 64. 55 JOHANNOWSKY 1983, 10; JOHANNOWSKY 1989, 27-28. 71 Sulla base delle indagini archeologiche eseguite nell’ultimo trentennio si posseggono elementi più precisi per la definizione delle più antiche modalità insediative e per l’estensione dell’abitato arcaico. Per gli anni finali del Bronzo recente e l’inizio dell’età del ferro è possibile ipotizzare una forma di occupazione del territorio basata su nuclei sparsi ma ravvicinati, alla luce del villaggio in località Cappuccini, circa 2 km a N/O della città e situato immediatamente a S/O rispetto all’Appia, documentato da una necropoli e da un buco per palo rinvenuto nell’area dell’Italtel56. Le quaranta tombe recuperate, disturbate nel settore orientale dalla sovrapposizione di sepolture di età sannitica, coprono un arco cronologico compreso tra la fine del IX e l’VIII sec. a.C., con una completa dismissione agli inizi del VII sec. a.C. Alla stessa fase si riferisce la necropoli individuata 2 km a N/O del centro antico, in prossimità del Volturno, in località Mattatoio, confermando così la cronologia alta della fondazione tramandata da Velleio. Le necropoli in località Cappuccini e in località Mattatoio potrebbero far riferimento a villaggi “satelliti” del centro principale o a una precedente scelta insediativa, modificata già nel corso dell’età del ferro57. Della precoce urbanizzazione di Capua già nel VII sec. a.C. costituisce una testimonianza significativa l’abitato arcaico, indagato per una superficie di 11.000 mq, nell’area del cd. Siepone, nel settore N/E della città ed esteso fino al cd. Alveo Marotta dove sono stati messi in luce edifici rettangolari orientati N/O-S/E, con fondazioni in blocchi di tufo, alzato in mattoni crudi, focolare e cortile con pozzo abbandonato intorno alla metà del V sec. a.C.58 Questa porzione dell’abitato si riconnette perfettamente alle strutture abitative individuate negli anni Ottanta del secolo scorso presso l’Alveo Marotta59, situate 250 m a Est, costituendo così un unico settore dell’impianto urbano vero e proprio, perfettamente organizzato, il cui abbandono agli inizi del V sec. a.C. potrebbe essere stato causato dall’indebolimento dell’elemento etrusco dopo la battaglia di Cuma del 474 a.C. o dalla progressiva affermazione dell’elemento campano60. 56 ALBORE LIVADIE 1994, 877; NAVA 2007, 234-236; ALLEGRO-SANTONIELLO 2008. 57 CERCHIAI 2010, 14-15. 58 SAMPAOLO 2005, 671; NAVA 2006, 586; SAMPAOLO 2008, 470-483; CERCHIAI 2010 55-57. 59 ALLEGRO 1984, 515-517. 60 SAMPAOLO 2008, 479. 72 Fig. 4.3. Planimetria della città con ricostruzione dell’andamento della linea delle fortificazioni settentrionali e con le strutture di età arcaica individuate nel settore N/E (da SAMPAOLO 2008). Quindi solo agli inizi del V sec. a.C. risalgono le tracce più antiche della fortificazione che unitamente ai dati della documentazione archeologica relativa alle necropoli e ai resti dell’abitato, consentono di definire con sicurezza l’estensione e le dimensioni dell’insediamento antico. Grazie ai risultati di indagini recenti è possibile ipotizzare una lieve divergenza rispetto alla precedente ricostruzione61. Il limite nord-orientale del perimetro urbano è stato fissato in corrispondenza del cd. Siepone, messo in luce per una lunghezza di 60 m, al quale si ricollega un tratto di muro in reticolato messo in luce per una lunghezza di 15 m presso l’attuale Via Sturzo62. Queste evidenze, riconducibili con sicurezza alla fortificazione settentrionale, hanno permesso di confutare una precedente identificazione con un tratto della cinta muraria di una struttura individuata nell’area della Villa Comunale63, dove sono stati scoperti resti di abitazioni di età tardo-repubblicana in Via Santa Maria delle Grazie64 e di un’altra domus di età tardo-repubblicana utilizzata fino al IV sec. d.C., nell’area 61 ALBORE LIVADIE 1994, 875. 62 SAMPAOLO 1999, 139. 63 ALBORE LIVADIE 1994, 875. 64 CIACCIA-SAMPAOLO 1996, 76-82; SAMPAOLO 1999, 142, nota 6. 73 tra Via Galatina e Via Sturzo che hanno evidenziato come questo settore della città antica sia fortemente urbanizzato fino alla linea delle fortificazione settentrionale, ricadendo perfettamente all’interno del perimetro urbano65. La cinta muraria settentrionale si allinea perfettamente a Sud con le strutture individuate in proprietà Vollaro e a Est con la porta urbica orientale in corrispondenza del castellum aquae, lungo il segmento dell’Appia verso il Ponte di San Prisco66. Del tracciato meridionale delle mura si dispone di informazioni più limitate. A Ovest dell’attuale Via Ricciardi, lungo Via Allende, è stata individuata, per una lunghezza di 30 m, una struttura muraria in opera cementizia, con sei contrafforti posti all’estremità meridionale a una distanza di 4 m l’uno dall’altro, analoghi a quelli identificati anche presso il versante occidentale della cinta. L’esito negativo dei sondaggi praticati all’esterno di questa struttura ha suggerito l’ipotesi che essa possa costituire traccia della linea di fortificazione meridionale, databile, sulla base di confronti tipologici all’avanzato IV sec. a.C.67 A Occidente l’andamento della cinta muraria è stato ricostruito intercettando il punto in cui la Via Appia piega verso N/O, in una zona a Est del decumano massimo della centuriazione, seguendo l’allineamento dello stesso decumano e lasciando all’esterno del perimetro urbano la necropoli individuata presso il cd. Arco Felice e una tomba di età sannitica rinvenuta da A. De Franciscis 400 m a Sud dell’Anfiteatro più antico68. Alla luce dei dati fin qui esposti l’estensione della città può essere calcolata in 180 ettari, con il sistema degli assi viari non perfettamente ortogonali e in parte coincidenti con il tracciato attuale69. 65 Oltre il lato settentrionale della fortificazione, a Sud del Lazzaretto, è stata individuata una fascia di rispetto di circa 200 m, costituita da riempimenti di materiali di risulta, che precede la necropoli utilizzata dal V sec. a.C. al III sec. d.C.: SAMPAOLO 1999, 142. 66 Le mura sono costituite da una doppia cortina di blocchi collegati da briglie trasversali in blocchi di tufo disposti a coltello, databili al V sec. a.C., mentre la cortina esterna, risalente al IV sec. a.C., è realizzata in blocchi di tufo disposti in piano. In occasione del secondo conflitto romano-cartaginese a questo lato della cinta viene addossato un agger interno: JOHANNOWSKY 1989; 58; ALBORE LIVADIE 1994, 875; SAMPAOLO 1999, 139. 67 SAMPAOLO 1999, 139. 68 SAMPAOLO 1999, 142. Il limite occidentale così ricostruito di Capua preromana viene superato già nel corso del I sec. a.C. con la costruzione del primo anfiteatro e di abitazioni in opera reticolata, allineate lungo l’Appia, e di una serie di cisterne e pozzi per la raccolta delle acque, in analogia con quanto si riscontra all’esterno del perimetro settentrionale dove viene costruita una grande dimora con giardino a cavallo della cinta. 69 Da ultimo, RUFFO 2010, 169. 74 Fig. 4.4. Planimetria della città e del territorio con le principali direttrici viarie (da SAMPAOLO 2001). 75 Delle porte urbiche le fonti antiche riportano solo tre nomi: una porta Romana70, da collocarsi presumibilmente lungo il lato ovest, in corrispondenza dell’uscita dalla città della Via Appia; una porta Volturni a Nord dalla quale si dipartiva la Via Dianae che conduceva al santuario di Diana Tifatina71 e una porta Jovis dalla quale fece il suo ingresso trionfale il console C. Flavius nel 211 a.C.72 Una porta doveva essere collocata sicuramente a Nord, attraversata dalla strada che conduceva al tempio di Diana, strada che il ricalca il tracciato di un decumano, in direzione N/S, proseguendo a Sud nella Via Atellana e attraversando così tutta la città. Si potrebbe quindi ipotizzare verosimilmente l’esistenza di una porta connessa a questo asse viario N/S, da identificare nella porta Volturni o Dianae73. In occasione di lavori nell’area della Cooperativa Nuovo Mondo, nel settore settentrionale della città, a Nord dell’Appia, è stata rinvenuta, per un tratto di 25 m, una strada glareata, posteriore al IV sec. a.C., larga 5 m e orientata in senso N/E con una angolazione di 45° e che prosegue in alcune stradine in località Bersaglio, alle pendici del Monte Tifata, in una zona che ha restituito testimonianze relative a un quartiere artigianale e a una necropoli74. Questo tracciato risulta perfettamente allineato con un tratto stradale, individuato a E di Via Galatina. I due assi si intersecano con le mura all’altezza dell’ ex Via Alifana, nel luogo in cui sono stati rinvenuti tratti della cinta muraria, in località di Tella, in corrispondenza della quale potrebbe, appunto, collocarsi la porta Jovis, attraversata da una via sacra che dal foro conduceva al santuario di Giove Tifatino75. Il tracciato diagonale di Via Galatina risulta, quindi, decisamente divergente rispetto all’orientamento astronomico del tracciato urbano, lasciando, così, ancora aperta la definizione cronologica dell’impianto. Lo stesso orientamento viene ripreso verso Sud, all’esterno della cinta muraria, dalla strada che da San Tammaro conduce alla costa, strada, che se idealmente prolungata, raggiunge la zona a Sud di Liternum, dove è possibile localizzare, sulla scorta della testimonianza liviana76, il santuario extraurbano di Hamae, in posizione diametralmente opposta al santuario di Giove Tifatino77. Sulla base di queste 70 Liv. XL, 45, 3-4. 71 CIL X, 3913. 72 Liv. XXVI, 14. 73 SAMPAOLO 1999, 143. Verso questa porta, inoltre, doveva confluire anche una strada, individuata presso la prosecuzione dell’attuale Via Marotta, lungo la quale in occasione di lavori nella zona della cooperativa Nuovo Mondo mausolei di età imperiale. 74 SAMPAOLO 1999, 143; SAMPAOLO 2001, 3-4. 75 SAMPAOLO 1999, 146; RUFFO 170. 76 Liv. XXIII, 35. 77 SAMPAOLO 1999, 146. 76 considerazioni è possibile, dunque, supporre che proprio il santuario di Giove Tifatino abbia rappresentato un punto di riferimento imprescindibile per l’organizzazione territoriale dell’area a Nord delle mura, imperniata probabilmente su una divisione in lotti di 45° E e su un sistema viario omogeneo, come testimoniato dai tratti stradali della Cooperativa Nuovo Mondo. Questa sistemazione, alla quale potrebbe ricondursi anche un altro tratto di strada basolata suburbana78, può essere riferita al III sec. a.C., in un momento sicuramente successivo alle vicende del 216 a.C. Il tracciato diagonale di età ellenistica, che conduce al santuario di Giove Tifatino, si andrebbe a sovrapporre al più antico impianto urbano con orientamento astronomico, per il quale un terminus ante quem è rappresentato dall’adeguamento a esso della Via Appia alla fine del IV sec. a.C. e di cui sono stati individuati molti tratti in diversi punti della città79. L’ipotesi di una cronologia alta per la realizzazione dell’impianto ortogonale si basa sulla presenza, nel settore N/O della città, di alcune strutture murarie della fine del VII sec. a.C., con zoccolo in pietre miste ad argilla e pavimenti in battuto di argilla e pozzolana, dotate di orientamento astronomico80 come le successive strutture di età sannitica e romana che a esse si sovrappongono81. Altri dati significativi riguardanti l’assetto più antico della città provengono dalle indagini in località Curti, a Sud dell’attuale Via Melorio, in corrispondenza di un ipotetico asse E/O, che hanno evidenziato una complessa sequenza stratigrafica. Sono stati individuati un livello di età arcaica testimoniato, oltre che da una notevole quantità di materiali, anche da una sepoltura a ustrinum di un giovane, insolitamente collocata all’interno di un contesto urbano e databile alla seconda metà del VI sec. a.C.82; alla fase di epoca sannitica sono da ricondurre strutture in tufo, alcune delle quali risalenti anche al V sec. a.C., alle quali si associano altre evidenze strutturali di età tardo-ellenistica, rimaneggiate e rimaste in uso fine al V sec. d.C.83 La stessa sequenza stratigrafica è stata riconosciuta nella stessa zona, in località Petrara, dove ai livelli di VI sec. a.C., rappresentati soprattutto da reperti ceramici, segue una fase ellenistica e una più decisa occupazione di età romana, con abitazioni e impianti artigianali in uso fino a età tardo-antica84. A questi dati si aggiungono quelli dell’abitato 78 RESCIGNO-SENATORE 2009, 423. 79 ZEVI 2004, 886-890; SAMPAOLO 2005, 671-673; RESCIGNO-SENATORE 2009, 427 e nota 110; RUFFO 2010, 174. 80 Per altro, presentando un orientamento leggermente divergente rispetto a quello degli edifici arcaici in località Siepone a N/E della città, disposti in senso N-N/O con un’angolazione di circa 25°: SAMPAOLO 2008, 474. 81 CIACCIA-SAMPAOLO 1996, 76-82. 82 CERCHIAI 1987, 51; ALBORE LIVADIE 1994, 876. 83 ALBORE LIVADIE 1994, 876. 84 MELILLO 1991, 157-161. 77 individuato a N/E in località Alveo Marotta, dove le strutture abitative vengono abbandonate nel V sec. a.C. per la costruzione della cinta muraria. Da questo momento in poi la zona a Nord dell’Alveo viene utilizzata come sepolcreto di età sannitica mentre l’area a Sud dell’Alveo, ricadente all’interno del perimetro urbano, conserva una destinazione abitativa dal IV fino al I sec. d.C. quando l’area viene occupata dalla costruzione di un complesso termale. In particolare, nella zona di confine tra i comuni di Santa Maria Capua Vetere e San Prisco sono state rilevate quattro diverse fasi di occupazione. L’abitato arcaico è documentato da strutture in blocchi di tufo, battuti di terra e da una fornace; nel IV sec. a.C. a queste strutture si sostituisce una necropoli che rispetta l’orientamento delle strutture più antiche, mentre, in seguito alla fondazione della colonia cesariana del 59 a.C., l’area cambia nuovamente destinazione d’uso e viene utilizzata come cava di pozzolana, con la costruzione di grandi fosse che vengono poi colmate soltanto nel I sec. d.C.85 Una sequenza stratigrafica analoga a quella riscontrata press l’Alveo Marotta è stata riconosciuta 250 m a Nord dall’uscita orientale della Via Appia, dove i livelli di VI sec. a.C. sono testimoniati da buche per palo e battuti di terra alle quali, nel corso del IV sec. a.C., si sovrappone un quartiere, a probabile destinazione artigianale, con gli ambienti in opera a telaio blocchi squadrati e blocchetti di tufo, allineati lungo un asse N/S, con una continuità di vita fino all’età imperiale. L’area viene abbandonata nel I sec. a.C. e poi rioccupata a scopo abitativo solo per un breve periodo, per esaurirsi definitivamente in seguito al terremoto del 79 d.C.86 Altre indagini archeologici lungo il versante N/O della città hanno contribuito, infine, a definire le diverse fasi di occupazione del sito antico dall’età arcaica fino a età medievale87. 4.2. I santuari dell’antica Capua: culti, tipologia e distribuzione territoriale L’analisi dei luoghi di culto dell’antica Capua è stata strutturata secondo un percorso centrifugo, a partire dalle aree sacre ricadenti all’interno del perimetro urbano, per proseguire con quelle periurbane ed extraurbane. 85 ALLEGRO 1984, 514-517; ALLEGRO-SVANERA 1996, 83-87; RUFFO 2010, 178. 86 Da questo momento in poi anche questo settore della città viene utilizzato per l’estrazione della pozzolana e colmata e livellata sono in età tardo-antica per scopi agricoli: ALLEGRO-SVANERA 1996, 86; RUFFO 2010, 180. 87 CIACCIA-SAMPAOLO 1996, 76; RUFFO 180. 78 Fig. 4.5. Planimetria della città con ubicazione delle necropoli e 1998). All’interno della città, allo stato attuale della documentazione e per quanto attiene all’ambito cronologico preso in esame settore nord-occidentale della città, a cavallo della Via Appia, dove a partire dal 59 a.C., all’indomani della fondazione della colonia cesariana, sorge la principale piazza forense. L’esistenza di un luogo di culto di età romana88 e nei livelli precedenti alla costruzione del cd. Criptoportico un busto in terracotta attribuibile alla figura a.C., ha suggerito l’ipotesi che l’area sacra potesse essere dedicata ai attestato a Capua da alcune rilevante alla luce dell’importanza politica che questo culto riveste in ambito campano, a partire dalla metà del IV sec. a.C., nel processo di romanizzazione progressiva e sempre più accentuata adesione, sul piano politico 88 Atti della Commissione conservatrice dei Monumenti e Oggetti di Antichità e Belle Arti nella P 211-212; SOGLIANO 1888, 64-65; 89 DE FRANCISCIS 1975, 52- inglobato nell’attuale sede della Facoltà di Lettere della Second 90 RESCIGNO-SENATORE 2009, 441. 91 CIL, I2, 678 e ILLRP, 712; PETERSON 1919 79 .5. dei principali santuari periurbani ronologico esame, è stata individuata un’unica area sacra ( è indicata dal rinvenimento di materiali votivi di un Dioscuro, databile agli inizi del III sec. Castori iscrizioni dei magistri91. Tale evidenza assume un significato romanizzazione, espressione politico-istituzionale, religioso e Provincia di Terra di Lavoro RESCIGNO-SENATORE 2009, 427. -54; JOHANNOWSKY 1989, 27; RUFFO 2010, 160. Il cd. Criptoportico è oggi Seconda Università di Napoli. , 1919, 344-345; FREDERIKSEN 1984, 266; D’ISANTO (da CRISTOFANI cat. n. 11) nel teriali presso il teatro Criptoportico89. Il recupero di Castori90, il cui culto è , di una rovincia Lavoro, 1887, 1993, 19. culturale, con Roma. Ne è testimonianza un passo liviano che racconta come, dopo la conclusione della guerra romano-latina, la concessione della cittadinanza ai cavalieri campani rimasti fedeli a Roma sia stata celebrata con l’affissione di una tavola bronzea all’interno del tempio dei Dioscuri a Roma92. I santuari periurbani sono localizzati immediatamente all’esterno del circuito murario, in prossimità delle porte urbiche, e in contesti necropolici pressoché contemporanei all’impianto degli stessi luoghi di culto93. I santuari extraurbani sorgono, invece, in punti strategici del territorio capuano, presso il suo limite settentrionale, alle pendici e su una vetta del Tifata e allo sbocco del Volturno, e presso il suo limite sud-orientale, al confine con il territorio di Cuma, in località Hamae, localizzabile presso Licola. Il più noto santuario periurbano di Capua, cd. di Fondo Patturelli (cat. n. 12), è ubicato all’esterno della linea di fortificazione orientale della città, non distante dalla porta urbica presso il cd. Ponte di San Prisco. L’area sacra, che ha restituito il più cospicuo numero di terrecotte architettoniche e votive della città, è stata individuata e indagata, a seguito di ritrovamenti fortuiti, nel 1845 e nel 1873, in maniera caotica e disordinata, senza alcun intento scientifico e al solo scopo di recuperare reperti antichi da collocare sul mercato antiquario, determinando così la distruzione parziale o totale delle evidenze messe in luce e la dispersione della maggior parte dei contesti94. Il santuario è noto, quindi, solo grazie ai resoconti e alle riproduzioni grafiche realizzati dagli scopritori ottocenteschi, ai quali si aggiungono i dati scaturiti dalle più recenti ricerche archeologiche che hanno contribuito a chiarire alcuni aspetti dell’articolazione dell’area sacra in relazione ai diversi periodi di frequentazione. Dall’analisi dell’enorme quantità di terrecotte architettoniche è stato possibile ricostruire le più antiche fasi di vita del 92 Liv. VIII, 11, 16. La presenza di un tempio dedicato ai Dioscuri a Capua, nel III sec. a.C., nell’area del futuro foro della città rispecchia fedelmente la situazione registrata a Cuma per lo stesso periodo, se si accetta l’ipotesi dell’attribuzione del tempio A, precedente alla costruzione del Capitolium, al culto gemelli divini: RESCIGNOSENATORE 2009, 441-442. Per il Capitolium di Cuma, cfr. supra. Peraltro, un’analoga sistemazione si riscontra anche a Neapolis, dove il tempio dedicato ai Dioscuri, ricordati da Stazio (Silv., IV, 8, 45) tra gli dei patri della città, sorge, anche in questo caso, presso il foro: ADAMO MUSCETTOLA 1985, 196-208. 93 Solo l’area in cui è ubicato il santuario di Fondo Patturelli viene adibita a necropoli soltanto dall’avanzato IV sec. a.C.: ALBORE LIVADIE 1994, 877-878; BENASSAI 2004, 73-229; SAMPAOLO 2010, 8-9. Solo ipotizzabile la presenza di un’altra area sacra in località Fondo Tirone, a Nord dell’antico abitato e sede di una delle più antiche necropoli della città, sulla base del ritrovamento di un piccolo nucleo di iuvilàs: FRANCHI DE BELLIS 1981, 13. 94 Per le varie fasi degli scavi ottocenteschi: BONGHI JOVINO 1985, 121; BONGHI JOVINO-BURELLI 1985, 456458; Matres Matutae 1991, 15-22; SAMPAOLO 2010, 3-4. 80 santuario che si impianta agli inizi del VI, se non già alla fine del VII sec. a.C.95; sono state riconosciute e ricostruite diverse sequenze tipologiche e cronologiche, comprese tra gli inizi del VI e gli inizi del V sec. a.C., che hanno consentito di definire con sicurezza almeno quattro sistemi di copertura riferibili al tempio o ai templi principali e serie minori attribuibili a sacelli e ad altri edifici funzionali96; tra il VI e il V sec. a.C. il santuario, quindi, si articola verosimilmente intorno al tempio, a un piccolo donario e a un’edicola, individuati dagli scavatori ottocenteschi, a strutture per gli addetti al culto e ad ambienti di servizio; a questi si aggiungono resti di piccoli edifici di incerta funzione individuati a Nord dell’area 97 sacra. L’espressione più emblematica del tipo di culto praticato presso il Fondo Patturelli è costituita dalle centocinquanta statue in tufo o in terracotta note come le cd. Matres Matutae o come le Madri di Capua98 che replicano, per l’intero arco di vita del santuario99, il tipo dell’offerente assisa in trono con uno o più bambini in grembo, spesso raffigurata nell’atto di allattare, che allude chiaramente a una delle principali sfere d’azione della divinità titolare del culto, legata alla fertilità e alla kourotrophia100. La peculiarità di tali votivi e le iconografie presenti sulle terrecotte architettoniche hanno indotto gli studiosi, fin dal momento della scoperta del santuario, a proporre possibili identificazioni della dea venerata presso Fondo Patturelli. La grande longevità del culto, che non conosce interruzioni dall’età arcaica sino alla metà del I sec. a.C., ha certamente favorito un processo di radicamento e di 95 JOHANNOWSKY 1983, 73; BONGHI JOVINO 1985, 121; JOHANNOWSKY 1989, 27; Matres Matutae 1991, 22; CERCHIAI 2010, 67. Le prime tracce di attività cultuali nell’area, in realtà, risalgono già tra la fine dell’VIII e gli inizi del VII sec. a.C. e sono segnalate dal rinvenimento di alcune tazze di grandi dimensioni, dalla forma peculiare e di grande complessità tecnica, con ansa alta ed elaborata che ha suggerito l’ipotesi di un utilizzo legato alla celebrazione di rituali specifici: MINOJA 2006, 650-656; CERCHIAI 2010, 34-35. 96 BONGHI JOVINO 1985, 121-122; RESCIGNO 1998, 317-333; AVERSA 1999, 7-42; GRASSI-SAMPAOLO 2006, 321-330. Agli inizi del VI sec. a.C. risalgono le antefisse a palmetta dritta, a testa femminile di tipo dedalico, in atteggiamento di orante, con braccia sollevate e palmi aperti, quelle con la rappresentazione della Potnia Theron, dei Boreadi e infine quelle con la raffigurazione di una sfinge bisoma a testa unica. Un’altra sequenza, databile al secondo quarto del VI sec. a.C., è costituita da antefisse nimbate a testa femminile di tipo sub-dedalico, con gorgoneion di tipo corinzio e antefisse a palmette rovescia, mentre all’ultimo venticinquennio del VI sec. a.C. sono state ricondotte le antefisse a gorgoneion greco-orientale, quelle a testa femminile entro fiori di loto, creazione originale delle officine capuane, e le antefisse con la rappresentazione di Artemide a cavallo e di Eracle e il leone di Nemea. Tra la fine del VI e gli inizi del V sec. a.C. vengono introdotti nuovi tipi che vengono poi replicati nelle sere tardo-arcaiche e per tutto il V sec. a.C. in tutta l’area tirrenica: antefisse a testa femminile di tipo pseudo-dedalico, con trecce dritte e volto triangolare prominente, a testa femminile diademata entro fiori di loto e sormontata da foglie, antefisse con divinità femminile tra felini, con gorgoneion, con figura femminile alata in corsa e antefisse pendule a testa di Sileno. 97 SAMPAOLO 2010, 7. 98 ADRIANI 1939; Matres Matutae 1991. 99 Datate, secondo un criterio stilistico e formale, dal VI fino metà del I sec. a.C., epoca alla quale possono essere datati gli esemplari più recenti recanti alcune iscrizioni in latino databili, per le caratteristiche paleografiche e onomastiche, non oltre gli inizi del I sec. a.C.: COARELLI 1995, 373. 100 CERCHIAI 1995, 160; COARELLI 1995, 374; CERCHIAI 2005, 197; CERCHIAI 2010, 67. 81 stratificazione delle valenze e delle prerogative della dea e delle altre divinità che a essa si associano nel culto, dall’età arcaica all’età romana. Come traspare dalle terrecotte della metà del VI sec. a.C. che la ritraggono come “signora degli animali”, in età arcaica prevale l’aspetto matronale della divinità che presiede e regola l’intero ciclo vitale della natura, una divinità dal potere regale, che tutela e salvaguarda la sopravvivenza e la continuità del gruppo, che sovrintende ai rituali di iniziazione giovanile ma con caratteristiche anche uranie così come testimoniato da un’antefissa che reca la raffigurazione del mito di Eos e Kephalos, che allude al tema dell’acquisizione di una condizione di immortalità attraverso un rapimento amoroso. Per queste specifiche connotazioni matronali e aurorali il culto di Fondo Patturelli rivela notevoli analogie con quelli praticati in numerosi santuari di area etrusco-laziale e la dea titolare del culto è stata ora identificata con Uni101, di cui la Tabula Capuana menziona l’esistenza di un santuario in città, ora con la dea Tharn, legata alla sfera della fecondità e al fato che dà e toglie la vita102, ora come Afrodite/Turan/Astarte, Mater Matuta, Vei (Demetra)103, o come ipostasi etrusca di Fortuna, Venus Jovia/Venus Libitina, con un particolare significato ctonio legato alla presenza della necropoli104, e infine come Menrva, presente anch’essa all’interno del santuario e che, proprio come le divinità precedentemente ricordate, è dotata di una duplice valenza, matronale e guerriera allo stesso tempo105. In questo periodo paredro della dea sembra esser stato Eracle, raffigurato su numerose terrecotte architettoniche di VI sec. a.C., che affianca la dea, almeno in questa fase, non per il suo carattere funerario106, ma come corrispettivo maschile dei poteri e delle prerogative della divinità femminile, soprattutto di quelli relativi al ciclo riproduttivo della natura107. Durante l’età sannitica il culto di Fondo Patturelli viene rifunzionalizzato e divinità titolare del santuario diviene Keres, il cui nome compare su un’iscrizione in osco su lamina plumbea rinvenuta nel santuario, divinità femminile più strettamente legata alla fertilità della 101 TROTTA 1991, 274; CRISTOFANI 1995, 106-108. 102 CERCHIAI 2010, 68. Un’immagine di questa dea è stata recentemente rinvenuta nell’Etruria interna, la cd. Mater Matuta di Chianciano Terme, presso Chiusi, raffigurata, appunto, come una figura femminile assisa in trono nell’atto di allattare bambini in fasce. 103 CERCHIAI 1995, 160-161. 104 COARELLI 1995, 379-387. Una valenza ctonia non sembra, tuttavia, potersi attribuire, per la fase arcaica, alla dea di Fondo Patturelli; l’uso funerario di una zona attigua al santuario non risulta anteriore al IV sec. a.C. 105 BONGHI JOVINO 2010 c, 13-15. 106 Connotazione che invece riveste nel santuario della Cannicella di Orvieto, dove Eracle è paredro della ipostasi etrusca di Venere/Fortuna: BONGHI JOVINO 1985, 121; CERCHIAI 1991, 161. 107 AVERSA 1999, 35-39. 82 terra, alla crescita delle messi e alla difesa degli ordinamenti della famiglia108. Al culto della dea si associa, probabilmente quello di Juppiter Flagius, il cui nome compare su una delle cd. iuvilài, stele in osco datate tra la fine del V e il III sec. a.C., rinvenute all’interno dell’area sacra, che riportano una serie di rituali funerari da compiersi in onore di membri di spicco della comunità sannitica109. Altre inscrizioni in osco risalenti allo stesso periodo lasciano intendere che il santuario sia stato ricavato in una sorta di lucus, ossia in un’area ritualmente delimitata da alberi allo scopo di ricreare il paesaggio di un bosco sacro110, separato dalla necropoli, che a partire dal IV sec. a.C. si impianta a Nord dell’area sacra, da una fascia di 50 m, da intendersi come spazio artemideo riservato ai riti di passaggio, in cui è presente Giove Flagio111. Dall’analisi delle terrecotte votive, attestate in maniera cospicua soprattutto nel periodo compreso tra il IV e il II sec. a.C., emergono chiaramente iconografie connesse ai rituali di passaggio di status di fanciulli e fanciulle a cui rimandano anche le figure di Atena Iliaca, Hera pestana, Iuno kourotrophos e i numerosi votivi anatomici che, oltre a far riferimento alla sfera della sanatio, potrebbero costituire, soprattutto nel caso dei piedi un chiaro richiamo al movimento e a un viaggio reale (pellegrinaggio) o a un viaggio simbolico nell’aldilà. In età medio e tardo-repubblicana la dea venerata nel santuario può essere assimilata a Fortuna, Venus Jovia,a Mater Matuta, alla quale riconducono le statuette di gestanti, di madri allattanti e neonati in fasce112. Non si posseggono elementi cronologici precisi per stabilire l’epoca di abbandono del luogo sacro; gli ex voto più recenti si possono datare al I sec. a.C. e al momento non vi sono testimonianze che lasciano intendere una prosecuzione del culto in età imperiale; la cessazione repentina del culto sarebbe conseguente alla deduzione della colonia cesariana nel 59 a.C.113, momento che determina in maniera decisiva l’affermazione dell’elemento romano in città. In favore di questa datazione sembrano orientare le iscrizioni in latino degli inizi del I sec. a.C. presenti su alcune Madri e la presenza di una grande quantità di tufelli di regolare 108 POCCETTI 1998, 175-184; CERCHIAI 2010, 108. Kere è inoltre assimilabile a Mefite, divinità giovia, divinità femminile complementare a Giove Flagio: PROSDOCIMI 1989, 538-539. 109 FRANCHI DE BELLIS 1981, 43; CERCHIAI 1995, 201-202. Sull’etimologia del termine iuvilài: FRANCHI DE BELLIS 1981, 35-44; PROSDOCIMI 1989, 537-539. 110 CERCHIAI 1995, 159. 111 SAMPAOLO 2010, 9. 112 SAMPAOLO 2010, 9. 113 COARELLI 1995, 373. 83 opera reticolata in scarico individuato nel 1995 al di sopra del livello di frequentazione di età ellenistica e sul quale si impianta direttamente la necropoli di età romana114. Le altre due aree sacre periurbane, situate all’esterno delle mura, rispettivamente presso il versante occidentale e sud-occidentale della città, in località San Leucio115 e Quattordici Ponti116 (cat. nn. 9-10), all’interno di aree di necropoli in uso dal VI sec. a.C. sino a età sannitica. La presenza di luoghi di culto è indiziata dal ritrovamento di materiali architettonici e votivi, ma non si dispone, alla stato attuale della documentazione, di nessuna evidenza strutturale. I reperti recuperati attestano una frequentazione dell’area a partire dall’età arcaica, con attestazioni che arrivano fino alla prima età imperiale ma non si posseggono elementi dirimenti per poter identificare la divinità e le caratteristiche del culto, né per ipotizzarne una continuità in età romana, quando, sulla base della documentazione epigrafica, le due aree sacre sembrano essere dedicate rispettivamente al culto di Giunone Lucina117 e di Giove Ottimo Massimo118. I santuari collocati ai margini del territorio della città occupano una posizione strategica di controllo e difesa dei confini. Due santuari, quello di Diana Tifatina e di Giove Tifatino, sono ubicati alle pendici del Monte Tifata, allo sbocco della piana del Volturno, presso i limiti settentrionali del territorio dell’antica Capua; il terzo, in località Hamae,è localizzabile, sulla base delle testimonianze letterarie, presso il limite sud-orientale, al confine con il territorio di Cuma. I Monti Tifatini, siti circa 4 km a N/E da Capua, costituiscono il confine naturale del territorio di afferenza della città sul versante settentrionale e hanno da sempre rivestito un ruolo di primaria importanza per la storia dell’antica Capua. Estrema propaggine nord- occidentale del massiccio del Partenio e interrotti a Nord dalla gola di Triflisco e dal Volturno, nell’antichità presentavano una fisionomia completamente diversa rispetto a quella odierna, ricoperti da fitti boschi e numerose sorgenti anche termali119. Secondo una testimonianza di Festo il nome stesso del Tifata deriverebbe dalla presenza di boschi di lecci e 114 SAMPAOLO 2010, 9. 115 DE FRANCISCIS 1952, 314-326; CRISTOFANI 1995, 106-107; RESCIGNO 1998, 315-317; CARAFA 2008, 95. 116 RUGGIERO 1888, 336-337; CRISTOFANI 1995, 19-21; CARAFA 2008, 95. Da quest’area proviene la cd. Tegola di Capua, una tabula fittile databile ai primi decenni del V sec. a.C. sulla quale sono state iscritte prescrizioni religiose di feste e rituali da compiersi in onore di determinate divinità in un arco di dieci mesi, secondo una caledario lunare che inizia a marzo: CRISTOFANI 1995; CRISTOFANI 1998, 170. 117 CRISTOFANI 1995, 106-107, nota 24. 118 CIL X, 3804; RUGGIERO 1888, 318; DE FRANCISCIS 1950, 126-127; CRISTOFANI 1995, 21 e nota 21. 119 Sil. It., Pun., XIII, 219; Vell. II, 25. Tali caratteristiche hanno suggerito un’origine del nome stesso del monte dalla presenza di boschi di lecci e di una fitta vegetazione selvaggia del tutto coerente la dedica di un luogo sacro ad Artemide. 84 di una fitta e selvaggia vegetazione che ben si accorda con la dedica di un luogo sacro alla dea Artemide/Diana120, dea dello spazio marginale e selvatico, che in questo luogo presenta numerose analogie e punti di contatto con Diana Nemorense (“boscosa”) di area laziale121 e con Hekate Trivia, che è associata a Diana su un’iscrizione di età romana ai lati di un altare in origine collocato davanti alla chiesa di Sant’Angelo in Formis122. Per la sua posizione topografica il Tifata è stato più volte teatro di vicende belliche, tra cui la vittoria riportata da Silla, nell’83 a.C., sul console Norbano123, in seguito alla quale, con un atto di estrema gratitudine nei confronti della dea tutelare del monte, il dittatore dona tutti i campi di battaglia al santuario124, dando inizio a un progressivo declino del ruolo politico e cultuale rivestito fino ad allora dal santuario di Giove Tifatino e determinando l’identificazione del monte esclusivamente con il mons Dianae Tifatinae, con il solo santuario di Diana125. Le più antiche evidenze del santuario di Diana (cat. n. 13) che si siano preservate non sono anteriori al IV sec. a.C. ma l’alta antichità del luogo di culto è testimoniata dal ritrovamento di alcune terrecotte architettoniche di età arcaica rinvenute in zona, sebbene non sia possibile ricondurle con certezza al santuario126, nonché dalla tradizione letteraria che lo connette alla fondazione stessa della città. Nel santuario sarebbe stata custodita una coppa d’argento appartenuta a Nestore127, mentre Silio Italico lega la fondazione di Capua all’apparizione di una cerva bianca, appartenuta a Capys, mitico fondatore della città, identificata come ancella della dea e numen loci, che viene venerata e nutrita come una 120 Fest., De verb. sign., s.v. Tifata; EDLUND 1987, 47; da ultimo, RUFFO 2010, 187. 121 BELOCH 1989, 408; CERCHIAI 1995, 158. 122 BELOCH 1989, 411; RUFFO 2010, 189. 123 Vell. II, 25. 124 In epoca sillana, il monte diviene sede di una “prefettura” a sé stante, guidata da un praefectus iure dicundo montis Dianae Tifatinae, la cui presenza, accertabile per via epigrafica, affiancato dai magistri fani Dianae Tifatinae, la cui attività all’interno del santuario è nota dalla documentazione epigrafica databile agli inizi del I sec. a.C. (BELOCH 1989, 409; D’ISANTO 1993, 301-302; RUFFO 2010, 191). La donazione di Silla non viene ribadita con la deduzione della colonia cesariana, mentre sarà nuovamente ripristinata con Augusto e poi Vespasiano nel 77 d.C., come attestato da alcuni cippi di confine (CIL X, 3828; BELOCH 1989, 409; SACCHI 2002, 83-84, nota 137). Piuttosto dubbia appare, invece, la costituzione di un pagus autonomo, in seguito alla definitiva conquista romana del 211 a.C. (BELOCH 1989, 408-409); più probabile la progressiva formazione di un vicus Dianae o Tifatinus dipendente in parte da Capua (DE CARO-GRECO 1981, 222; SACCHI 2002, 42, nota 57). 125 DE CARO et alii 1997-98, 24-25. Del resto, fino a un decennio fa circa il santuario di Giove era noto solo grazie a qualche testimonianza delle fonti letterarie mentre quello di Diana Tifatina viene menzionato, ancora nel IV sec. d.C. in una dedica di un Delmatius Laetus (CIL X, 3796), che testimonia la grande longevità del santuario: SAMPAOLO 2001, 1. 126 KOCH 1912, 20-21, tav. II; HEURGON 1970, 302; RESCIGNO 1998, 313-315. 127 Ath., Deip., XI, 466e, 489b. Questa testimonianza potrebbe far riferimento a un’offerta di età orientalizzante: CERCHIAI 1995, 157. 85 divinità fino al 211 a.C., quando l’animale sarebbe stato sacrificato a Latona dal comandante C. Fulvius per propiziare la presa della città128. Il tempio si conserva al di sotto della basilica di San Michele Arcangelo presso San’Angelo in Formis129, alle pendici nord-occidentali del Tifata, a circa 4 km dal centro di Capua. Per l’età ellenistica (fine IV-inizi III sec. a.C.) il tempio è stato ricostruito come periptero sine postico su alto podio130, interessato nel corso del II sec. a.C. da una monumentalizzazione in senso scenografico, probabilmente anche con la costruzione di un edificio termale nella parte bassa del santuario, per iniziativa del console Sergius Flaccus come attesta un’iscrizione dell’anno 135 a.C.131. Altri interventi sono attestati per via epigrafica, nel 108, nel 99 a.C. e nel 74 a.C.132, segnalati anche dall’iscrizione dedicatoria inserita nella soglia d’ingresso a mosaico bianco-nero del pavimento romano133. Probabilmente proprio negli anni iniziali del I sec a.C. si colloca l’allungamento della cella, mentre i resti di un mosaico con la rappresentazione di un’aquila e di armi tra motivi ornamentali possono essere ricondotti a un ulteriore rifacimento edilizio relativo al momento della colonia cesariana del 59 a.C.134; a una successiva fase di età flavia possono, infine, riferirsi le quattordici colonne di marmo lunense e cipollino sormontate da capitelli corinzi riutilizzate all’interno della chiesa135. Distrutto secondo la tradizione da San Prisco, primo vescovo di Capua nel V sec. d.C., nell’XI sec. d.C. diventa la sede della basilica benedettina dedicata a San Michele Arcangelo, conservando lo stesso orientamento E/O136. L’altro santuario extraurbano che delimita a Nord il territorio di afferenza dell’antica Capua, dedicato a Giove Tifatino (cat. n. 14), sorge su una delle cime del Monte Tifata, in posizione più centrale e strategica rispetto a quella del santuario di Diana, in quanto da essa si domina tutta la città e l’ampia pianura circostante fino alla costa di Mondragone a Ovest, al corso del Volturno e alla gola di Triflisco a Nord e alle alture alifane, a Est dalla valle di Maddaloni fino alle alture del Taburno e del Sannio137, costituendo così certamente un 128 Sil. It., Pun., XIII, 115-118; CERCHIAI 1995, 157; RUFFO 2010, 192. 129 Sulla scoperta e sull’architettura del santuario: DE FRANCISCIS 1956, 301-353. 130 JOHANNOWSKY 1989, 58. 131 DE CARO-GRECO 1981, 220; JOHANNOWSKY 1989, 67; MELILLO FAENZA 1993, 73-76; QUILICI GIGLI 2009, 123-147. 132 DE CARO-GRECO 1981, 220; JOHANNOWSKY 1989, 68; DE CARO-MIELE 2001, 555; QUILICI GIGLI 2009, 123-147; RUFFO 2010, 192. 133 BATINO 1996, 15-21: in riferimento agli interventi databili nel 108 a.C. 134 JOHANNOWSKY 1989, 68. 135 QUILICI GIGLI 2009, 138-139. 136 RUFFO 2010, 192. 137 SAMPAOLO 2001, 2. 86 punto di riferimento topografico imprescindibile per la città. Questa rilevanza sembra, allo stato attuale della documentazione, essere però successiva rispetto alla originaria organizzazione sacra del monte, che ruota intorno al culto di Diana, particolarmente diffuso anche nel basso Lazio, lungo la Valle del Sacco e del Liri, e che, quindi, per la fase più antica sembra ricoprire la funzione di baluardo di Capua etrusca a controllo del Volturno e delle principali vie di accesso al Sannio e al Lazio meridionale138. L’identificazione del sito è avvenuta in anni recenti in seguito al ritrovamento fortuito, proprio sulla sommità del monte, di tre iscrizioni incise su tre tabelle ansate, databili tra l’età tardo-repubblicana e il II sec. d.C., sulle quali il dio compare con gli appellativi Ottimo Tifatino, Ottimo Massimo Tifatino e Tifatino139. Prima della sua scoperta il santuario extraurbano di Giove140, è stato identificato dalla tradizione antiquaria sulla base di criteri toponomastici; esso è stato ora localizzato presso Casagiove, il cui nome deriverebbe dal latino Casa Jovis, ora presso Piedimonte sopra Caserta, nel sito della chiesa di San Pietro, dove sarebbe stata collocata una fontana di “Giove”, citata in un’iscrizione dei magistri Campani in relazione al culto di Iuppiter Compages, che veniva così a identificarsi con quello di Giove Tifatino; J. Beloch, collocandolo comunque presso Casagiove (Costa delle Monache), in un primo momento lo identifica con il Capitolium della città141, mentre successivamente J. Heurgon distingue chiaramente i due edifici, posizionando il Capitolium presso la torre di Sant’Erasmo, identificazione oggi comunemente accattata142. Il culto di Giove era ben radicato a Capua, il cui nome, per l’età sannitica, richiama direttamente quello delle cd. iùvilas143, in una delle quali compare il nome di Iuppiter Flagius (n. 16); mentre per l’età romana il dio viene venerato in città nelle forme di Iuppiter Optimus Maximus, Iuppiter Compages, Iuppiter Libertas o Liber, Iuppiter Vesuvius144. Le strutture attribuite all’antico tempio sorgono su una delle vette del monte, in una posizione di rilievo rispetto al paesaggio circostante, inducono a ritenere che il culto del dio, venerato come divinità “delle montagne” o “delle cime”145, abbia ricoperto un ruolo in età 138 RUFFO 2010, 191. 139 MINOJA-GRASSI 1996, 88; DE CARO et alii, 1997-98, 18-23; SAMPAOLO 2001, 2. 140 La presenza del santuario era del resto ipotizzabile peraltro ipotizzata sulla base della notizia di Livio riguardante il trionfale ingresso in città del console C. Fulvius, dopo la deditio del 211 a.C., attraverso la porta Jovis (Liv. XXVI, 14). 141 BELOCH 1989, 375 e 406. 142 DE CARO et alii 1997-98, 18, nota 16; RUFFO 2010, 194. 143 FRANCHI DE BELLIS 1981; PROSDOCIMI 1989, 537-539. 144 DE CARO et alii 1997-98, 23-24, note 19-24. La testa laureata di Giove è, inoltre, rappresentata al dritto delle delle monete d’argento prodotte dalla zecca capuana tra il 216 e il 211 a.C.: BELOCH 1989, 275. 145 CRISTOFANI 1998, 170. 87 medio-repubblicana, assimilabile sempre in ambito campano a quelli di Iuppiter Vesuvius e di Iuno Gaura146. L’ultimo santuario extra-urbano (cat. n. 15), noto solo dalle fonti, è stato collocato presso il limite sud-orientale del territorio della città, al confine con il territorio di Cuma, in una località chiamata Hamae, noto attraverso una testimonianza liviana, a proposito della celebrazione di un rito e di un sacrificio notturno in un luogo chiamato Hamae, distante tre miglia da Cuma, alla presenza del magistrato supremo della città, il meddix tuticus e celebrato da tutto il popolo campano147. Sulla scorta del passo liviano, il sito è stato localizzato a Nord del Monte Gauro, tra Tor Santa Chiara, Tor San Severino e San Teodoro, perché in età imperiale presso Liternum era la sede della sacerdotessa della Magna Mater148. La cerimonia descritta da Livio compare già nel testo della Tabula Capuana e la località Hamae viene menzionata in relazione alle festività da celebrarsi alle idi di aprile, attraverso la consacrazione di animali e altre offerte alla dea Lethams. Le numerose corrispondenze tra il testo liaviano e la cd. Tegola di Capua indicano che il rito campano descritto da Livio affondava le sue radici già in epoca etrusca, espressione di una continuità cultuale che si registra anche per gli altri santuari della città. La cerimonia di Hamae, quindi, riveste un grande interesse per la definizione dei limiti territoriali della città etrusca e per l’identificazione delle prerogative e degli attributi della divinità che viene celebrata. Si potrebbe pensare a una dea assimilabile a Fortuna, legata probabilmente a alla sfera della crescita naturale e umana, ma anche a più divinità, proprio come nel caso del santuario di Fondo Patturelli, mentre la celebrazione notturna del rito potrebbe anche evocare anche la presenza di Diana nel suo carattere di Hekate Trivia149. Il calendario di festività, in onore di divinità etrusche e di altre divinità dal nome italico, riportato sulla Tabula Capuana suggerisce, dunque, quanto fosse radicata la presenza etrusca nel territorio, presenza che viene affermata anche attraverso la fondazione di luoghi di 146 DE CARO et alii 1997-98, 24. 147 Liv. XXIII, 35, 3, 13-14; FREDERIKSEN 1984, 258; CRISTOFANI 1998, 169; CERCHIAI 2010, 69. 148 HEURGON 1970, 381-385; FREDERIKSEN 1984, 33; CRISTOFANI 1998, 169-170, nota 5. L’unico indizio utile alla sua identificazione, in mancanza di uno scavo sistematico, potrebbe venire dal ritrovamento in località Tor di San Severino, presso Licola, di un frammento di terracotta architettonica di età tardo-arcaica, in una località quindi situata a circa 30 km di distanza da Capua, evidenziando ancora una volta la vastità del territorio capuano, che giungeva fino ai Campi Flegrei: CERCHIAI 2010, 69. 149 CRISTOFANI 1998, 172. 88 culto la cui frequentazione si perpetua, senza soluzione di continuità, fino alla piena età romana150. Fig. 4.6. Localizzazione del santuario in località 150 CRISTOFANI 1998, 173. 89 .6. Hamae (da CRISTOFANI 1998). 4.3. I luoghi di culto di Capua -Catalogo Numero di catalogo: 9 Centro di riferimento: Capua Scheda sito n.: 1 Localizzazione: area sacra in località Quattordici Ponti, presso il settore sud-occidentale della città. Ubicazione geografica: comune di Santa Maria Capua Vetere -provincia di Caserta. Contesto geomorfologico: pianura. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 II S/O (Santa Maria Capua Vetere). Coordinate UTM: 33T 43657280 E -454750180 N. Quota: 33 s.l.m. Distanza: 339,5 Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: luogo di culto individuato in un’area compresa tra tre necropoli (Capella dei Lupi, Cappella dei Bracci, Quattordici Ponti) in uso dall’età arcaica al periodo sannitico. Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: antefissa a testa femminile di età arcaica; quattro basi di colonne e un altare con dedica a Giove Ottimo Massimo di età augustea. Materiali votivi: dall’area proviene la cd. Tegola di Capua. Divinità titolari: Giove Ottimo Massimo per la prima età imperiale. Datazione: VI sec a.C.-I sec. d.C. Note: l’area è stata oggetto di indagine nel corso dell’Ottocento, quando sarebbero stati individuati anche i resti di un edificio di culto della fine del VI sec. a.C. di cui, però, non resta traccia. Bibliografia: RUGGIERO 1888, 336-337; CRISTOFANI 1995, 19-21; CARAFA 2008, 95. Fig. 4.7. Planimetria della città con ubicazione dell’area sacra in località Quattordici Ponti (rielaborazione da CRISTOFANI 1998). 90 Numero di catalogo: 10 Centro di riferimento: Capua Scheda sito n.: 2 Localizzazione: area sacra localizzata all’estremità occidentale della città antica, in località San Leucio. Ubicazione geografica: comune di Santa Maria Capua Vetere Contesto geomorfologico: pianura. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 II S/O (Santa Maria Capua Coordinate UTM: 33T 43682988 E Quota: 35 s.l.m. Distanza: 643,4. Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: luogo di culto ubicato all’interno di un’area adibita a necropoli dall’età sannitica all’età romana. All’area sacra è stato attribuito un muro a cortina pendula, non più visibile, di circa 11 m di lunghezza, orientato S/E-N/O, costituito da un’assisa di fo rettangolare, di altezza costante (0,40 m) ma larghezza variabile (da 0,55 a 1,10 m), posti a circa 0,20/0,25 m di distanza l’uno dall’altro, sulla quale poggia un altro filare di blocchi di tufo (0,73×0,40/1,05 opera di taglio, legati a secco e strettamente connessi l’uno all’atro. Il piano di preparazione del filare di fondazione poggia direttamente sul terreno vergine. Il terreno rimaneggiato che ricopriva la struttura ha restituito una congerie di materiali, di frequentazione dell’area sacra. Evidenze archeologiche: - Materiali e tecniche costruttive: con fascia marginale di età tardo arcaica; due tegole rispettivamente a doppio listello con stellette a impressione e con un motivo a doppio meandro; piccolo torso in marmo di un Apollo (altezza 17 cm), databile nel corso del I sec. a.C.; frammento di lastra architettonica in pietra (lunghezza 0,30 m; spessore 0,04), decorata con due foglie d’acanto a rilievo, riferibile alla metà del I sec. a.C.; iscrizioni piramidali in tufo con dedica a Giunone Lucina; un’iscrizione che menziona i Polluce e un’altra che menziona i Materiali votivi: ceramica d’impasto, bucchero; coppe, coppette e a vernice nera; numerose terrecotte votive offerenti sia maschili che femminili statuetta di Eros, tre frammenti di e Bes; un frammento di testa di Gorgone entro clipeo) Divinità titolari: Iuno Lucina (?) Datazione:VI/V sec. a.C.-I sec. d.C. Note: - Bibliografia: DE FRANCISCIS 1 107; RESCIGNO 1998, 315-316; Fig. 4.8. Materiali di età tardo-arcaica ed ellenistica dall’area sacra in località San Leucio 91 Capua. - provincia di Caserta. Vetere). - 454807586 N. fondazione in grossi blocchi di tufo, di forma ateriali, ex voto ed elementi architettonici e decorativi, pertinenti alle diverse fasi frammento di tegola di gronda decorato con un motivo a doppio meandro magistri di Giove Ottimo Massimo. skyphoi, un unguentario e una broc votive, databili tra il IV e il II sec. a.C. (ventisette femminili; ex voto anatomici; più di cento figurine di buoi; dieci tanagrine, una arula di cui uno decorato con le figure di Eracle con 1952, 314-328; JOHANNOWSKY 1989, 57; CRISTOFANI CARAFA 2008, 95. (da DE FRANICISCIS 1962) ndazione 1,05) messi in di tipo Cassel due magistri di Castore e , brocchetta frammenti di figure di leontè, Atena elmata 1995, 106- 1962). Numero di catalogo: 11 Centro di riferimento: Capua Scheda sito n.: 3 Localizzazione: area sacra individuata tra il cd. Criptoportico e il teatro, nell’area del futuro foro di età cesariana. Contesto geomorfologico: pianeggiante. Ubicazione geografica: comune di Santa Maria Capua Vetere - provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 II S/O (Santa Maria Capua Vetere). Coordinate UTM: 4548279 437003 33T. Quota: 42 s.l.m. Distanza: 777,8. Posizione rispetto al centro: urbana. Descrizione: la presenza di un luogo di culto è stata dedotta, per via indiretta, grazie al rinvenimento di materiali votivi rinvenuti nei livelli sottostanti a quelli riferibili alla sistemazione di età cesariana del foro. Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: un’antefissa «con ornati dipinti»; antefissa fittile a testa di Medusa di età ellenistica. Materiali votivi: dall’area del teatro: torso in terracotta di Dioscuro, una statuetta di figura femminile in trono, una di figura femminile stante panneggiata di età ellenistica, una figura di bambino in fasce e piedi votivi; dall’area del cd. Criptoportico (Via Galatina): frammento di lastra ad altorilievo sul quale si conserva un torso semipanneggiato pertinente a una figura di Eros, testa femminile in terracotta di piena età ellenistica. Divinità titolari: Dioscuri (?) Datazione: III-II sec. a.C. Note: Bibliografia: Atti della Commissione conservatrice dei Monumenti e Oggetti di Antichità e Belle Arti nella Provincia di Terra di Lavoro, 1887, 211-212; SOGLIANO 1888, 64-65; BONGHI JOVINO 1971, 45, tav. XII, 1-2; DE FRANCISCIS 1975, 52-54; JOHANNOWSKY 1989, 27; RESCIGNO-SENATORE 2009, 427; RUFFO 2010, 160. Fig. 4.9. Area del foro della città con localizzazione del luogo di ritrovamento dei materiali votivi (rielaborazione da SAMPAOLO 2001). 92 Fig. 4.10. Materiali votivi di età ellenistica dall’area del Cd. Criptoportico 93 . (da DE FRANCISCIS 1975). Numero di catalogo: 12 Centro di riferimento: Capua Scheda sito n.: 4 Localizzazione: area sacra (cd. santuario di Fondo Patturelli) situata 80 m a Est dalla cinta di fortificazione e 200 m dalla porta urbica orientale individuata in corrispondenza del cd. Ponte di San Prisco, lungo la principale direttrice per Calatia. Contesto geomorfologico: pianeggiante. Ubicazione geografica: comune di Santa Maria Capua Vetere - provincia di Caserta, località Curti. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 II S/O (Santa Maria Capua Vetere) e F 172, II N/O Capua. Coordinate UTM: 33 T 43870376 E - 454826584 N. Quota: 43 s.l.m. Distanza: 1.871,7 Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: il santuario è noto soprattutto attraverso le sintetiche relazioni di scavo e dalle riproduzioni grafiche degli scavatori ottocenteschi; indagini recenti hanno, tuttavia, consentito di chiarire ulteriormente la strutturazione e la topografia del santuario grazie all’individuazione di parte del muro di recinzione meridionale, a doppia cortina di blocchi. L’assetto del santuario nel corso del VI sec. a.C. è ricostruibile, in maniera del tutto ipotetica, attraverso l’analisi delle numerose terrecotte architettoniche di età arcaica, ricondotte a un ambito cronologico compreso tra il 575 e il 480 a.C.: sono stati riconosciuti e ricostruiti quattro sistemi di copertura diversi, corrispondenti ad altrettante generazioni, databili tra il secondo venticinquennio del VI e gli inizi del V sec. a.C. e attribuibili al tempio o ai templi principali del santuario, mentre un’altra serie di terrecotte architettoniche, meno numerosa e di dimensioni minori, è stata rapportata alla presenza di sacelli o edifici minori, a cui si aggiungono un piccolo donario e un’edicola (0,95 m). In questo periodo l’area non è ancora destinata a un uso funerario. Alla fase di frequentazione di V sec. a.C. è probabilmente da riferire un muro in blocchi di tufo, orientato N/O-S/E, con uno spessore di 0,40 m e individuato a Nord dell’ara monumentale identificata durante le prime esplorazioni, interpretato come peribolo o come fondazione di un tempio di V sec. a.C., presso il quale sarebbe stato recuperato un capitello ionico in tufo. Allo stesso periodo di frequentazione risalirebbe un bothros, rinvenuto tra l’altare di età ellenistica e il muro in blocchi di tufo, profondo circa 5,30 m e nel quale sono stati recuperati numerosi frammenti di ceramica a figure rosse e a vernice nera. Durante l’età ellenistica, tra la seconda metà del IV e il II sec. a.C., il santuario conosce un periodo di grande floridezza. L’area sacra raggiunge un’estensione di circa 130 m in senso E/O e di 95 m in senso N/S ed è separata dalla necropoli, che proprio in età sannitica si impianta a Nord santuario, da una fascia di 50 m che non ha restituito materiali votivi e che probabilmente si configurava come una sorta di lucus in cui venivano celebrati riti di passaggio. Al II sec. a.C. può essere datata la costruzione dell’ara monumentale individuata dagli scopritori ottocenteschi e inizialmente interpretata come il podio di un edificio templare. Si tratta di un’imponente struttura a pianta rettangolare (8,20×6,50 m), orientata E/O, dotata di uno zoccolo e cornice modanata e, di un’ampia platea sormontata da una piccola arula, preceduta da una grande scalinata composta da dodici gradini e da un poderoso avancorpo con pilastri culminanti in statue di sfingi accovacciate. Intorno all’altare erano collocati piccoli altari in tufo riferibili all’intero arco cronologico di vita dell’area sacra. Dall’area del santuario proviene una serie di iscrizioni osche su terracotta o tufo, le cd. iùvilas («ciò che viene consacrato»), databili tra la fine del V e gli inizi del III sec. a.C., che descrivono particolari rituali da compiersi in onore di membri di spicco della comunità sannitica. Sono state interpretate come signacula, atti a separare e proteggere, ma alla luce di recenti ritrovamenti (due altari con accanto due iovilae capovolte, in giacitura primaria), potrebbero aver svolto anche una funzione di ara. Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: l’altare monumentale, il muro di V sec. a.C. e il peribolo meridionale sono realizzati in blocchi di tufo squadrati, disposti in maniera regolare e messi in posa senza malta. Dall’area del santuario provengono seicento frammenti architettonici databili dalla prima metà del VI al III sec. a.C. Le attestazioni più antiche sono rappresentate da antefisse a palmetta dritta, a testa femminile di tipo dedalico, in atteggiamento di orante, con braccia sollevate e palmi aperti, con la rappresentazione della Potnia Theron, dei Boreadi e infine con sfinge bisoma a testa unica. Al secondo venticinquennio del VI sec. a.C. sono riconducibili le antefisse nimbate a testa femminile di tipo sub-dedalico, con gorgoneion di tipo corinzio e antefisse a palmette rovescia. Nell’ultimo quarto del VI sec. a.C. vengono introdotte le antefisse a gorgoneion greco-orientale, a testa femminile entro fiori di loto, creazione originale delle officine capuane, e le antefisse 94 con la rappresentazione di Artemide a cavallo e di Eracle e il leone di Nemea. Tra la fine del VI e gli inizi del V si elaborano nuovi modelli: si affermano progressivamente le antefisse a testa femminile dal carattere pseudo-dedalico, con trecce dritte e volto triangolare prominente, a testa femminile diademata entro fiori di loto e sormontata da foglie, con divinità femminile tra felini, con gorgoneion, con figura femminile alata in corsa, antefisse pendule a testa di Sileno, replicate poi nelle serie tardo-arcaiche per tutto il V sec. a.C., influenzando la produzione di tutte le officine di area tirrenica. All’età ellenistica risalgono alcune antefisse con il tipo dell’Atena frigia, databili al IV sec. a.C. e alcune più tarde configurate a guisa di “carciofo”. Materiali votivi: nel complesso dei doni votivi si segnalano le centocinquanta statue in tufo note come le Matres Matutae o come le Madri di Capua, che replicano con poche varianti, ma con notevoli differenze stilistiche e formali, e per l’intero arco cronologico di vita del santuario, dal VI al I sec. a.C., il tipo dell’offerente, ieraticamente assisa in trono con uno o più bambini, fino a numero massimo di dodici, in grembo o tra le braccia, talvolta rappresentati nell’atto di nutrirsi al seno. Per il VI e il V sec a.C., oltre alle statue di madri, sono inoltre attestate alcune terrecotte figurate di età tardo-arcaica, ceramica d’impasto e bucchero, vasi a figure rosse e a vernice nera. Decisamente più numerosi i votivi risalenti alla fase ellenistica e tardo-repubblicana: insieme ad alcune forme di ceramica a vernice nera databili soprattutto nell’arco del IV sec. a.C., sono presenti in maniera consistente ceramica miniaturistica, terrecotte figurate raffiguranti Atena Iliaca, il tipo dell’Hera pestana, Iuno kourotrophos, statuette di offerenti variamente atteggiate, terrecotte figurate raffiguranti donne gravide, bambini in fasce, animali, anatomici votivi. Divinità titolari: Uni? Tharn? Turan? Menrva? (per il periodo etrusco); Keres (per il periodo sanntico); Mater Matuta? Venus Jovia/Libitina? Fortuna? (per il periodo romano). Datazione: VI-I sec. a.C. Note: Bibliografia: VON DUHN 1876, 171-192; VON DUHN 1978, 13-22; KOCH 1907, 361-428; HEURGON 1970, 330-392; FRANCHI DE BELLIS 1981; BONGHI JOVINO 1985, 121-123; BELOCH 1989, 399402; JOHANNOWSKY 1989, 53-55, 58, 63; Matres Matutae 1991; CERCHIAI 1995, 159-163; COARELLI 1995, 371-387; RESCIGNO 1998, 317-333; GRASSI-SAMPAOLO 2006, 321-330; CARAFA 2008, 91-93; CERCHIAI 2010, 66-67; RUFFO 2010, 185-196; SAMPAOLO 2010, 4-10. Fig. 4.11. Fondo Patturelli. Antefisse di età arcaica (da JOHANNOWSKY 1989). 95 Fig. 4.12. Fondo Patturelli. Ricostruzione dell’altare monumentale di età ellenistica Fig. 4.13. Fondo Patturelli. Madri 96 . (da CARAFA 2008) di età ellenistica (da CERCHIAI 2010). 2008). Numero di catalogo: 13 Centro di riferimento: Capua Scheda sito n.: 5 Localizzazione: santuario di Diana Tifatina situato alle pendici nord-occidentali del Monte Tifata. Contesto geomorfologico: rilievo, in presenza di sorgenti e fonti perenni. Ubicazione geografica: comune di Capua - provincia di Caserta, località Sant’Angelo in Formis. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 II N/O (Capua). Coordinate UTM: 33 T 43792775 E - 455214282 N. Quota: 101 s.l.m. Distanza: 4.737. Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: dell’edificio di culto principale, ubicato laddove oggi sorge la basilica benedettina di San Michele Arcangelo, sono state riconosciute due principali fasi edilizie. Nella sua fase più antica accertata (fine IV-inizi III sec. a.C.), il tempio è stato edificato direttamente sul bancone di roccia, le cui irregolarità e dislivelli sono stati colmati e spianati con uno strato compatto di calcare, breccia e terra; per questa fase l’edificio è stato ricostruito come un periptero sine postico, orientato N/S, esastilo con sei colonne laterali, su alto podio modanato, terminate in corrispondenza dell’altare della chiesa, e con pavimentazione esterna in cocciopesto. In età tardo-repubblicana, nei decenni finali del II o agli inizi del I sec. a.C., il tempio viene allungato di 6 m nella parte posteriore, diventando così, probabilmente periptero, con sei colonne sulla fronte e nove sui lati lunghi. La terrazza moderna dovrebbe coincidere in gran parte con quella del santuario antico, dal momento che, sul lato orientale e meridionale, il perimetro è ancora definito da muri di sostruzione antichi. Del versante occidentale della terrazza, in corrispondenza della fronte del tempio, sorretto da un poderoso muro di terrazzamento moderno, alto 15 m, è stato ricostruito, grazie all’analisi di numerosi documenti d’archivio e sulla base di CIL I, 2, 635 che menziona la costruzione di un grosso muraglione nel 135 a.C., il probabile orientamento del muro antico, che doveva ricalcare quello attuale, ipotizzando una sua prosecuzione verso Nord, per una lunghezza complessiva di almeno 40 m; è stato dunque, supposta, su questo lato, una fronte scenografica del santuario, costituita da un grande muro di terrazzamento in opera incerta alto almeno 7 m e da un’altra serie di muri di contenimento progressivamente digradanti. A questi interventi si assocerebbe anche la costruzione di una scalinata monumentale, ricordata dalla letteratura antiquaria ma di cui non resta traccia archeologica, per colmare il dislivello esistente tra il tempio vero e proprio e l’area antistante a esso. Un’altra iscrizione (CIL I, 2, 680), riferibile al 99 a.C., che celebra alcuni interventi realizzati in età tardo-repubblicana, fornisce ulteriori chiarimenti dell’articolazione dell’area sacra, che viene notevolmente ampliata sul lato settentrionale con un altro poderoso muro di terrazzamento per consentire la costruzione di un calchidicum, una porticus e una culina, destinati ai servizi del culto e all’accoglienza dei fedeli. A età augustea e flavia risalgono, infine, altri interventi edilizi, testimoniati dai muri perimetrali della terrazza sul versante orientale e meridionale e dalle quattordici colonne in marmo lunense e cipollino con capitelli ionici riutilizzati all’interno della basilica. Evidenze archeologiche: del tempio si conservano parte del podio dell’edificio più antico, inglobato nella struttura della chiesa, di cui sono ancora visibili cinque filari di blocchi per un’altezza complessiva di 2,50 m, il muro di fondo del podio relativo all’ampliamento di età tardo-repubblicana (2 m di altezza) e parte del pavimento della cella rinvenuto in più punti al di sotto dell’attuale pavimentazione della chiesa. Del recinto del santuario si conserva parte dei muri di sostruzione del lato orientale e meridionale. Materiali e tecniche costruttive: il podio del tempio più antico è realizzato in blocchi di tufo squadrati, giustapposti su due file e messi in opera a secco, rivestiti da intonaco giallastro, con, sulla parte più alta, una fascia scura e una cornice in stucco non intonacata; il podio dell’ampliamento di età tardo-repubblicana è costruito in opera incerta, con lo zoccolo in blocchetti di tufo squadrati e interamente rivestito di stucco bianco; il pavimento della cella, nella seconda fase costruttiva, è stato realizzato in opus tessellatum, quello della restante superficie del tempio in opus scutulatum. Il muro di sostruzione orientale della terrazza è realizzato in opera reticolata con inserti in laterizio, quello del lato meridionale interamente in laterizio. A una fase arcaica del santuario sono state ricondotte alcune terrecotte architettoniche rinvenute nel corso di scavi ottocenteschi. Si tratta di alcune tegole di gronda e di tre elementi acroteri ali di età tardo-arcaica, di cui non è possibile stabilire con sicurezza la pertinenza all’area sacra. 97 Materiali votivi: teste, statuette, ex voto anatomici di età medio e tardo-repubblicana. Divinità titolari: Artemide/Diana. Datazione: VI sec. a.C. (?)-IV sec. d.C. Note: Bibliografia: DE FRANCISCIS 1956, 301-353; DE FRANCISCIS 1966, 241-247; HEURGON 1970, 299329; COMELLA 1981, 752-753; DE CARO-GRECO 1981, 220-222; EDLUND 1987, 47-48; JOHANNOWSKY 1989, 58, 67-68; MELILLO FAENZA 1993, 73-76; DE CARO 1994 b, 658-659; CERCHIAI 1995, 157-159, 201; BATINO 1996, 15-21; CARAFA 1998, 211; RESCIGNO 1998, 313-315; CERCHIAI 1999 a, 206-207; DE CARO-MIELE 2001, 555; CARAFA 2008, 121-123; QUILICI GIGLI 2009, 123-147; CERCHIAI 2010, 68-69; RUFFO 2010, 191-193. Fig. 4.14. Panoramica di Sant’Angelo in Formis, alle pendici del Tifata e della basilica di San Michele (da QUILICI GIGLI 2009). 98 Fig. 4.15. Ipotesi ricostruttiva del peribolo del santuario (da QUILICI GIGLI 2009). Fig. 4.16. Opere di terrazzamento realizzate nel II sec. a.C. (Schizzo) (da QUILICI GIGLI 2009). 99 Numero di catalogo: 14 Centro di riferimento: Capua Scheda sito n.: 6 Localizzazione: santuario di Giove Tifatino localizzato sulla sommità del Monte Tifata. Contesto geomorfologico: rilievo; presenza di fonti e sorgenti perenni. Ubicazione geografica: comune di San Prisco -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 II N/O (Capua). Coordinate UTM: 33T 43960856 E -455180678 N. Quota: 526 s.l.m. Distanza: 5.024,3 Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: del santuario è stata portata alla luce una struttura a pianta quadrangolare (7,50×9,50 m), orientata in senso E/O, con la fronte rivolta verso la città, eretta su un poderoso zoccolo, impiantato direttamente sulla roccia livellata con uno strato compatto di scaglie di calcare e terra. L’edificio, a cella unica probabilmente decorata con fregi in stucco, preceduto da una scalinata, si erge su un’ampia terrazza, cui si accede attraverso rampe a gradoni, lungo le quali si dispongono ambienti di servizio. Lo zoccolo di fondazione, conservatosi su tre lati, è costituito da muri spessi 0,90 m e tre setti murari interni fungono da briglia di collegamento tra i muri perimetrali nord e sud. Lungo il muro di terrazzamento su cui si erge l’edificio principale, è stata individuata una rampa d’accesso, lunga 14 m e larga 2,50 m, alla quale si raccorda, ad angolo retto, in corrispondenza del lato orientale, un’altra rampa lunga 20 m e larga 6 m, orientata in senso N/S. Le rampe, caratterizzate da una forte pendenza, presentano una pavimentazione in diversi battuti di malta ed erano probabilmente coperte. Nel punto di raccordo tra le due rampe è stato, inoltre, individuato un ambiente di servizio a pianta rettangolare (7×4,20 m) interessato da diversi rifacimenti con l’aggiunta di banchine lungo le pareti laterali, di un piccolo podio presso la parete di fondo e di piccoli setti murari interni, in opera quasi reticolata, fino alla definitiva trasformazione in sala triclinare. A Sud di questo ambiente si trova un altro vano, di dimensioni minori (3×2,40 m), probabilmente destinato a un ostiarius. Evidenze archeologiche: delle strutture si conservano le fondazione e limitate porzioni dell’alzato. Materiali e tecniche costruttive: la maggior parte delle evidenze individuate è in opera incerta. Sia i muri perimetrali che quelli interni di collegamento sono stati realizzati mediante la sovrapposizione di porzioni di muro alternate a strati di malta che livellano il piano di posa. Del probabile fregio in stucco della cella fanno parte alcuni frammenti modanati o con soggetti figurati, per lo più figure panneggiate o elementi architettonici come frammenti scanalati per colonnine e cornici a kyma ionico. Sono stati, inoltre, recuperati, porizioni di pavimento a mosaico con piccolissime tessere bianche, una grande pietra rettangolare con probabile funzione di soglia e il basamento di una statua. Materiali votivi: tre iscrizioni su tabelle ansate databili tra l’età tardo-repubblicana e il II sec. d.C. sulle quali è chiaramente menzionata la divinità titolare del culto con le epiclesi di Ottimo Tifatino, Massimo Tifatino e Tifatino. Divinità titolari: Giove Tifatino Datazione: II sec. a.C.-II sec. d.C. Note o confronti: Bibliografia: MINOJA-GRASSI 1996, 88-91; DE CARO et alii 1997-98, 15-29; DE CARO-MIELE 2001, 556; SAMPAOLO 2001, 1-6; CARAFA 2008, 123-124; RUFFO 2010, 193-194. 100 Fig. 4.17. Planimetria con la localizzazione dei santuari di Diana e Giove DE CARO et alii 1997-98) 101 . Tifatino in rapporto all’impianto urbano 98). (da 4.18. Planimetria delle strutture attribuite al tempio di Giove Tifatino (da DE CARO et alii 1997-98). Numero di catalogo: 15 Centro di riferimento: Capua Scheda sito n.: 7 Localizzazione: area sacra presso il limite sud-orientale del territorio dell’antica, in località Hamae. Contesto geomorfologico: pianeggiante. Ubicazione geografica: comune di Pozzuoli -provincia di Napoli, località Licola -Torre di San Severino. Coordinate IGM: 1:25.000, F 184 IV S/E (Marano di Napoli). Coordinate UTM: 33T 42178849 E-452557697 N. Quota:15 s.l.m. Distanza: 26.579. Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: terracotta architettonica di età arcaica. Materiali votivi: Divinità titolari: Fortuna? Artemide/Diana? Datazione: V sec. a.C.-tarda età imperiale. Note: il santuario è noto da una testimonianza liviana, secondo la quale il santuario, attivo già in epoca arcaica, situato a 3 miglia da Cuma, ancora nel 215 a.C., era la sede di un culto federale del popolo dei Campani. I riti che qui venivano praticati culminavano in una celebrazione notturna, alla presenza del meddix tuticus, probabilmente dal carattere ctonio e iniziatico. A sottolineare l’alta antichità del culto di matrice etrusca, la cerimonia descritta da Livio compare già nel testo della Tabula Capuana, in cui, per il mese di aprile vengono indette le cerimonie in onore della dea Lethams, che prevedevano la consacrazione di animali e altre offerte in un luogo chiamato Hamae. Bibliografia: HEURGON 1970, 381-385; FREDERIKSEN 1984, 33; CRISTOFANI 1998, 169-173; CERCHIAI 2010, 69. 102 CAPITOLO V LA MESOGEIA 5.1. La pianura a Sud del fiume Volturno e l’ager Campanus L’ampio comparto costituito dalla vasta pianura compresa tra le odierne città di Capua, Nola e Cuma, che in età romana assume la denominazione di ager Campanus, si estende immediatamente a Ovest della fascia tirrenica, chiuso a Est dai monti Tifatini e dalle propaggini nord-occidentali del Partenio, a Nord dal fiume Volturno, a Sud dalle estremità settentrionali dei rilievi dell’area flegrea e del complesso vulcanico del Somma-Vesuvio, alle spalle del quale si sviluppa l’agro nocerino-sarnese. Fig. 5.1. La pianura campana (da LAFORGIA 2007). Questo territorio, identificato dalla tradizione storica con la “pianura flegrea”, scenario del mitico scontro tra dei e Giganti1, solcato in antico dal fiume Clanis, proveniente dai monti di Abella e successivamente irreggimentato nei Regi Lagni, abbraccia una superficie di circa 50 km e si presenta come una vasta e piatta distesa, leggermente inclinata verso il 1 Pol. II, 17; III, 91; Strab., V, 4, 3-4. 103 mare, con delle variazioni di quota di circa 20-25 m nella zona più prossima all’antica Capua e di 40-45 m nel settore orientale tra Nola e Abella. Fig. 5.2. Limiti ed estensione della pianura campana in età romana (da LAFORGIA 2003 a). Tale area, intensamente popolata fin dal Bronzo Antico2, comincia a strutturarsi organicamente già tra la fine del IX e l’VIII sec. a.C. in stretta correlazione, da un lato, con lo sviluppo dell’insediamento villanoviano e proto-etrusco di Capua, dall’altro con la fondazione della colonia euboica di Cuma alla metà del VIII sec. a.C. La costituzione dell’asse bipolare Cuma-Capua, infatti, rappresenta un fattore determinante nel processo di strutturazione politica della piana campana dove all’inizio dell’Orientalizzante recente, alla fine del VII sec. a.C., si assiste alla formazione precoce di grandi agglomerati urbani di carattere accentrato, amministrati da una aristocrazia gentilizia che detiene il controllo delle principali risorse economiche. In particolare, presso i margini più orientali della pianura, in corrispondenza delle principali vie d’accesso al Sannio e all’Irpinia, sorgono i centri indigeni di Calatia, 2 ALBORE LIVADIE-D’AMORE 1980, 59-100; MARZOCCHELLA 1991, 161-162; ALBORE LIVADIE et alii 1998, 48-67; ALBORE LIVADIE 1999; ZEVI 2004, 853-923; ALBORE LIVADIE-VECCHIO 2005, 581-587; SAMPAOLO 2005, 663-705; NAVA 2007, 211-332; RUFFO 2010, 142-144. 104 Suessula, che si organizza in forme proto-urbane già alla fine del IX sec. a.C., Nola e Abella3 , con l’adozione di criteri di pianificazione, che restano immutati fino alla età romana, che prevedono la dislocazione delle aree sepolcrali immediatamente all’esterno del perimetro urbano, lungo antiche direttrici viarie4. 5.1.1. Calatia La città sorge presso il limite orientale della pianura campana, in corrispondenza della stretta vallata di Maddaloni, una delle principali vie d’accesso al Sannio Caudino. Alla luce dei dati scaturiti, in questi ultimi decenni, dalla documentazione archeologica è possibile collocare un primo sviluppo in senso urbano della città nell’ultimo quarto dell’VIII sec. a.C., quando si sarebbe anche verificata una prima sistemazione di alcune direttrici viarie regionali che collegavano Calatia a Capua, successivamente ricalcate dal tracciato della Via Appia5. La nascita della città si inserisce nell’ambito del processo di ristrutturazione e nelle dinamiche di popolamento della pianura campana durante la prima età del ferro, diretta conseguenza della fondazione di Cuma e del progressivo sviluppo di Capua6. La dislocazione delle aree di necropoli a N/E e a S/O della città antica, compresa tra gli attuali comuni di Maddaloni e San Marco Evangelista7, testimonia l’avvenuta suddivisione funzionale degli spazi fin dalle più antiche fasi di vita dell’insediamento8. Durante l’età arcaica l’abitato si configura come un nucleo accentrato e strutturato, circondato da un ampio fossato e probabilmente da un agger, con chiare tracce della precisa definizione delle aree pubbliche9. A tale abitato può essere riferita la forma tondeggiante della linea di fortificazione della città di età sannitica, imperniata intorno all’asse E/O della Via Appia, che ne costituisce il decumanus maximus10; il circuito murario, infatti, dotato di una particolare configurazione a becco allungato in 3 CERCHIAI 1995, 26-27; CERCHIAI 2005, 191-192; CERCHIAI 2010, 33-34; RUFFO 2010, 144. 4 CERCHIAI 2010, 46-47. 5 QUILICI-GIGLI RESCIGNO 2003 a, 11-12. 6 CERCHIAI 1995, 26-27; CERCHIAI 2005, 191-192; CERCHIAI 2010, 33-34. Cfr., supra. 7 L’utilizzo di tali aree sepolcrali copre un arco cronologico compreso tra l’ultimo quarto dell’VIII sec. a.C. e la tarda età imperiale (IV sec. d.C.): DE CARO-MIELE 2001, 564; LAFORGIA 2003 b, 89-90; RUFFO 2010, 213. 8 QUILICI GIGLI-RESCIGNO 2003 b, 26-27; LAFORGIA 2003 b, 89; RESCIGNO-SENATORE 2009, 428; RUFFO 2010, 210. 9 QUILICI GIGLI-RESCIGNO 2003 b, 27; RESCIGNO-SENATORE 2009, 428; RUFFO 2010, 210. 10 QUILICI GIGLI-RESCIGNO 2003 b, 28; RESCIGNO-SENATORE 2009, 428. 105 corrispondenza degli innesti cittadini della Via Appia, ricalca il percorso di una cinta più antica che viene rispettato fino all’età imperiale11. Fig. 5.3. L’impianto urbano di Calatia (da LAFORGIA 2003 a). L’andamento curvilineo delle mura contrasta, d’altro canto, con l’adozione di un impianto urbano per cardini e decumani e insulae di forma quadrangolare, ascrivibile a un periodo compreso tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C.12 Tale schema, ricostruito grazie all’individuazione di diversi tratti in più punti della città, si struttura, con orientamento E/O, intorno alla Via Appia che, presumibilmente, all’epoca non presentava l’attuale andamento curvilineo, ma un profilo lineare, alternatamente spostato un po’ più a Sud o un po’ più a 11 DE CARO-MIELE 2001, 562-564; QUILICI GIGLI-RESCIGNO 2003 b, 31: delle mura, che definiscono un’area di 12 ettari, si conserva un tratto di 35 m, in opera incerta con contrafforti interni riferibili a un intervento di II sec. a.C., al di sotto del quale sono state individuate alcune tracce di una precedente struttura in blocchi di tufo. La fase più antica è testimoniata, presso l’estremità sud-occidentale, da una costruzione a secco di schegge di calcare, con andamento e orientamento analogo alle strutture successive. Ulteriori rifacimenti vengono effettati durante la prima età imperiale in relazione a una più vasta opera di monumentalizzazione che investe la città, con la creazione di una seconda cortina e una modifica delle quote dei piani di calpestio. 12 Lo scavo di un breve segmento urbano dell’Appia ha messo, nei livelli più profondi, uno spesso piano di preparazione sigillato che ha restituito frammenti di ceramica a vernice nera databili tra la fine del IV sec. a.C. e gli inizi del secolo successivo: QUILICI GIGLI-RESCIGNO 2003 b, 31; RESCIGNO-SENATORE 2009, 429. 106 Nord della strada attuale, per raccordarsi perfettamente con i tratti extraurbani13. L’impianto urbano regolare deriva dall’incrocio di assi ortogonali che tuttavia non corrispondono allo schema della centuriazione; la scacchiera così delineata si compone di una serie di isolati rettangolari di circa 75 m di lunghezza e 65-70 m di larghezza, orientati N/O14. Fig. 5.4. L’impianto urbano di Calatia in rapporto al percorso della Via Appia e all’ubicazione delle necropoli (da LAFORGIA 2003 a). Una nuova fase edilizia investe la città all’epoca della deduzione della colonia cesariana, il cui segno può essere colto nella costruzione di grandi domus in opera reticolata e pavimento in cocciopesto15 e di una porticus a pianta rettangolare (55×39 m), orientata N/S, tra la Via Appia e il primo decumano, coprendo in lunghezza le dimensioni di un intero isolato, dotata di colonnato di ordine corinzio e rivestimenti in marmo e in stucco; la struttura, che probabilmente prosegue anche a Sud dell’Appia, come sembra indicare la presenza di un altro colonnato, potrebbe ricadere, data la sua posizione centrale nell’ambito 13 RUFFO 2010, 212. 14 Tale impianto viene però rispettato solo nella parte centrale a causa dell’adeguamento degli isolati posti ai margini della città al profilo curvilineo della fortificazione: RESCIGNO-SENATORE 2009, 428. 15 Alla fine del I sec. a.C. risale un’ampia abitazione a pianta quadrata con atrio centrale rivenuta lungo una strada pomeriale a ridosso dell’agger del tratto meridionale della fortificazione: SAMPAOLO 2005, 675-676. 107 del tessuto urbano, all’interno dell’area del foro e dunque riferirsi a un’opera di sistemazione della piazza all’epoca della colonia cesariana, in analogia con quanto si registra a Capua nello stesso periodo16. L’assetto acquisito della città in epoca medio e tardo-repubblicana si protrae fino a età tardo-imperiale; indagini archeologiche, realizzate in anni recenti all’interno del perimetro urbano, hanno dimostrato come sull’originario impianto delle abitazioni di età tardo- repubblicana si sovrappongano, senza cesure o modifiche sostanziali, i livelli di frequentazione successivi che arrivano fino al V-VI sec. d.C., quando si esauriscono le testimonianze relative a una ulteriore continuità di vita, anche a causa delle numerose spoliazioni e depredazioni subite dal sito17. È stato, inoltre, recentemente dimostrato come il territorio di afferenza dell’antica Calatia non fosse particolarmente esteso e come esso fosse essenzialmente destinato a un’intensiva produzione cerealicola. Tale caratteristica potrebbe spiegare, per il IV sec. a.C., l’assenza di insediamenti rurali che certamente sarebbero stati poco funzionali rispetto a questo sistema di sfruttamento della terra18; di contro, si registra, invece, lo sviluppo di insediamenti in posizione arroccata, a difesa della pianura circostante, provvisti di poderose mura e dotati anche di funzioni pubbliche e residenziali, la cui vita sembra però esaurirsi già alla fine del IV sec. a.C., in concomitanza con le vicende belliche delle guerre sannitiche19. Dalla metà del IV fino alla metà del III sec. a.C. nel territorio calatino sorgono piccole fattorie o strutture produttive a cui sono probabilmente da ricondursi alcuni nuclei sepolcrali sparsi; la nascita di questi modesti insediamenti rurali, la cui distribuzione non sembra gravitare intorno alla Via Appia, è connessa, piuttosto, alla realizzazione contemporanea di opere di bonifica e di canalizzazione delle acque e all’introduzione di nuove colture20. Con la deditio del 211 a.C. la pianura di Calatia viene integrata all’interno dell’ager publicus populi Romani e ridefinita dalla nuova centuriazione che determina una leggera 16 DE CARO-MIELE 2001, 565; QUILICI GIGLI-RESCIGNO 2003 b, 37; RUFFO 2010, 212. 17 QUILICI GIGLI-RESCIGNO 2003 b, 30; RUFFO 2010, 213. 18 QUILICI GIGLI-RESCIGNO 2003 a, 12. 19 Tra questi si segnalano l’insediamento di Monte Castellone sul Volturno, in posizione strategica di controllo all’ingresso del principale itinerario verso il Sannio interno e quello di Monte Sant’Angelo Palomba, posto all’estremità occidentale del Partenio, al quale si contrappone, con analoga funzione di controllo, l’insediamento sul Monte di San Michele, presso il Castello di Maddaloni, ubicato alle propaggini meridionali dei Monti Tifatini con funzione di controllo della piana campana e del valico di accesso alla valle caudina: OAKLEY 1995; DE CARO-MIELE 2001, 566567; CARFORA 2003, 23; QUILICI GIGLI-RESCIGNO 2003 a, 12; RUFFO 2010, 216-217. 20 QUILICI GIGLI-RESCIGNO 2003 a, 12; RUFFO 2010, 217. 108 divergenza rispetto al precedente impianto ortogonale, con una variazione di circa 5°21. Nel corso del II sec. a.C. e fino alla deduzione della colonia cesariana si registra una significativa diminuzione dei siti del territorio, probabile conseguenza dell’adozione di un sistema di produzione che prevedeva lo sfruttamento intensivo della terra con l’impiego di manodopera servile e la concentrazione dei coltivatori all’interno della città22. Solo con la prima età imperiale il territorio acquista una nuova vitalità come testimoniato dall’impianto, tra il I e il II sec. d.C., di numerose fattorie con annessi apprestamenti produttivi, sintomo di una nuova organizzazione territoriale dovuta a una probabile ridefinizione dei limiti delle precedenti proprietà, che sopravvivono, anche se in tono minore fino a età tardo-antica, tra il IV e il V sec. d.C.23 5.1.2. Suessula L’antica città di Suessula sorge lungo il confine orientale della pianura campana, in posizione di controllo di uno degli itinerari naturali verso la Valle Caudina; il centro si sviluppa lungo la riva destra dei Regi Lagni, in una zona pianeggiante a ridosso della collina di Cancello, ricca un tempo di numerose sorgenti e corsi d’acqua, il cui corso ha contribuito a definire fin dalle origini il perimetro dell’area urbana e la linea delle fortificazioni24. Il sito prescelto per l’insediamento, individuato al di sotto della settecentesca Casina Spinelli, la quale, a sua volta, ingloba il torrione longobardo del castello medievale di Sessulu, si configura come un pianoro rettangolare allungato, esteso su una superficie di circa 40 ettari, caratterizzato da una leggera depressione al centro25. Alla luce dei dati della documentazione archeologica è possibile collocare l’originario sviluppo dell’insediamento nella seconda metà del IX sec. a.C. Le due necropoli finora note, indagate alla fine dell’Ottocento per iniziativa del marchese Spinelli e negli anni Novanta del secolo scorso per iniziativa della Soprintendenza, ubicate rispettivamente all’esterno dell’abitato, a S/E della Casina Spinelli, e poco più a Est in località Piazza Vecchia nel comune di San Felice a Cancello, testimoniano una continuità d’uso tra il IX e il III sec. a.C., 21 QUILICI GIGLI 2002, 99. Non è stato, tuttavia, possibile riconoscere i limites della centuriazione a ridosso del perimetro urbano. 22 Da ultimo, RUFFO 2010, 218. 23 QUILICI GIGLI-RESCIGNO 2003 a, 16; RUFFO 2010, 218. 24 CAMARDO-ROSSI 2005, 167-168; MONTANO 2008, 19-21; RUFFO 2010, 219. 25 GIAMPOLA 2002, 167. 109 documentando l’avvenuta rigorosa pianificazione funzionale dello spazio urbano sin dal momento della fondazione della città26. Fig. 5.5. L’impianto urbano di Suessula (da CERCHIAI 2010). Prospezioni geo-archeologiche realizzate in anni recenti hanno consentito di rilevare una complessa sequenza stratigrafica relativa alle diverse fasi di vita dell’insediamento; sono state, infatti, portate alla luce tracce relative a un agglomerato di capanne, segnalato da buchi di palo, e tratti stradali, connessi a loro volta con una strada principale in battuto di taglime di tufo, che coprono un arco cronologico compreso tra la fine dell’VIII e il IV sec. a.C.27; contestualmente recenti campagne di scavo condotte nell’area a S/O della Casina Spinelli hanno permesso di acquisire nuovi dati sull’organizzazione del foro di età romana e dei suoi edifici pubblici, situati tutti sul lato nord della piazza, e di dimostrare come la funzione pubblica e sacra di questa zona con la strutturazione spaziale sia avvenuta già in età arcaica, sulla base alla tipologia dei materiali rinvenuti e alla presenza di una fossa votiva risalente alla 26 CERCHIAI 1995, 28-29; MONTANO 2008, 21. 27 DE CARO 1998, 415-416; DE CARO 1999 a, 641-642; DE CARO 2000 a, 628-630; DE CARO-MIELE 2001, 567; RUFFO 2010, 220. 110 metà del V sec. a.C., che conservava tracce di sacrifici animali e di materiali votivi del IV e del III sec. a.C.28 Un momento cruciale per la storia della città è rappresentato dal suo coinvolgimento, nella seconda metà del IV sec. a.C., nello scontro tra Sanniti e Romani nell’ambito del quale Suessula sembra rivestire un importante ruolo strategico e di mediazione proprio per la sua ubicazione presso la principale via di accesso alla valle caudina29. In seguito al conseguimento della civitas sine suffragio, insieme con Capua e Cumae, nel 338 a.C.30, e all’assorbimento nell’orbita politica di Roma, in città si avvia un’intensa attività edilizia che interessa soprattutto la piazza forense e la fortificazione settentrionale in grandi blocchi di tufo, a cui si addossa successivamente un edificio in opera cementizia a Nord del cd. Molino di Suessula. La strutturazione definitiva della città sembra sia avvenuta tra la seconda metà del II sec. a.C. e la costituzione della colonia in età sillana, in concomitanza con il rinnovo e la sistemazione del tessuto viario dell’intera regione31. A questo periodo risale la 28 CAMARDO-ROSSI 2005, 168-169; MONTANO 2008, 29; RUFFO 2010, 220. 29 Presso la città sarebbe stata riportata la vittoria del console M. Valerio Corvo sui Sanniti nel 343 a.C.: Liv., VII, 37, 4. 30 Liv., VIII, 14. 31 Il legame tra l’assetto urbanistico della città e il tessuto stradale regionale si evince dallo stesso orientamento N 15° O che accomuna gli edifici a Nord della piazza forense e l’attuale strada di collegamento tra Acerra e Maddaloni che segna il limite occidentale del foro; la strada dunque potrebbe ripercorrere il tracciato dell’antica Via Popilia, costruita nel 132 a.C., lungo la quale Suessula sorge esattamente a metà strada tra Capua e Nola, che a sua volta ricalcherebbe un Fig. 5.6. Il foro dell’antica città (da RUFFO 2010). 111 monumentalizzazione finale del foro, limitato a Est da una strada porticata e a Nord da una serie di edifici pubblici identificabili in un tempio, probabilmente il Capitolium, con podio in opera cementizia e orientamento N/S, nella basilica, ubicata nell’angolo N/E del foro, a pianta rettangolare con un lato lungo aperto verso la piazza, in opera quadrata di tufo, a cui si addossa, a Nord, un altro grande ambiente rettangolare32. In età augustea la piazza forense riceve una nuova pavimentazione in lastre di calcare, che sostituisce quella di età tardo- repubblicana in terra battuta, mentre tra la basilica e il portico occidentale viene costruito un piccolo edificio probabilmente destinato al culto imperiale33. 5.1.3. Nola L’antica città di Nola sorge all’estremità meridionale della pianura campana, presso le propaggini occidentali del Massiccio del Partenio, lungo il corso dell’antico Clanis, con l’importante funzione strategica di presidio dei valichi di accesso al Sannio Caudino e Irpino e della pianura compresa tra le pendici del Somma-Vesuvio a Ovest e i monti di Sarno a Est, svolgendo un fondamentale ruolo di collegamento tra l’ambito campano e il comparto nocerino-sarnese34. Alla luce delle più antiche testimonianze archeologiche restituite dalle necropoli cittadine che si dispongono immediatamente all’esterno del perimetro urbano, è possibile collocare la fondazione dell’originario impianto tra la fine dell’VIII e gli inizi del VII sec. a.C., nell’ambito del processo di urbanizzazione della pianura campana innescato dalla presenza di Cuma e Capua, analogamente a quanto si registra per Calatia e Suessula35, sebbene solo alla fine del VII sec. a.C. l’insediamento si strutturi definitivamente in forme urbane, sotto la decisiva influenza esercitata da Capua. tracciato viario ancora più antico risalente al III sec. a.C.: GIAMPAOLA 2002, 168; RESCIGNO-SENATORE 2009, 431-432; RUFFO 2010, 223. 32 CAMARDO-ROSSI 2005, 169-170; MONTANO 2008, 29-30; RUFFO 2010, 223. Probabilmente a età sillana risale anche la costruzione del teatro identificato nelle strutture note con il nome di “Castellone”, presso la Casina Spinelli: BELOCH 1989, 440-441. 33 CAMARDO-ROSSI 2005, 170; RUFFO 2010, 223. 34 Pol., III, 91; Liv. XXIII, 45; RUFFO 2010, 255. 35 Cfr., supra. A tale periodo si riferiscono anche i livelli di frequentazione riscontrati in località Torricelle: ALBORE LIVADIE et alii 1998, 79. 112 Fig. 5.7. Nola. Planimetria della città realizzata nel Cinquecento da A. Leoni (da CAPALDI 2005). Allo stato attuale della documentazione le evidenze più cospicue e significative della vita dell’antico centro sono rappresentate dai ritrovamenti dalle necropoli. Per la configurazione e il perimetro dell’impianto urbano costituisce ancora oggi un imprescindibile punto di riferimento la pianta realizzata nel Cinquecento da A. Leone36, mentre soltanto in via indiziaria è possibile ipotizzare l’originaria conformazione della città antica che, estesa su una superficie di circa 75 ettari37, doveva collocarsi leggermente a S/O rispetto al centro moderno, dove si sono ritrovati i resti di una delle porte urbiche in relazione a una strada orientata N/S, al confine tra l’abitato e una zona adibita a necropoli tra il III e il IV sec. d.C.38 Resta, quindi, da appurare la tesi di una perfetta coincidenza tra la città medievale e la colonia di epoca sillana o augustea che sarebbe stata dotata di una struttura a scacchiera, leggermente spostata verso Est, e costituita da isolati di forma quadrangolare di circa 70 m di lato, corrispondente al doppio auctus quadrato che si diffonde in tarda età repubblicana, 36 I limiti della città romana dovevano coincidere, a Nord e a Est, con quelli della città cinquecentesca, come sembrano suggerire le labili tracce della fortificazione individuate lungo le attuali vie dell’Anfieteatro laterizio, Fonseca, Renzullo e La Rocca: RUFFO 2010, 258. 37 RESCIGNO-SENATORE 2009, nota 140. 38 SAMPAOLO 1996, 33. 113 orientata intorno ad antichi assi viari ricalcati dalle attuali vie G. Bruno, San Felice e Remondini, in senso E/O, e San Paolino in senso N/S39. Tale ricostruzione sembrerebbe, peraltro, smentita da un recente ritrovamento al di sotto del pavimento della Cappella del Santissimo all’interno del Duomo, di strutture murarie con orientamento N/S pertinenti a un complesso architettonico impiantato in età repubblicana, in uso, con vari rifacimenti, fino al V sec. d.C., quando viene abbandonato e obliterato dai livelli dell’eruzione di Pollena del 472 d.C. La probabile continuazione di questo complesso anche al di sotto dell’odierna via San Felice comporterebbe l’esclusione di quest’ultima dagli antichi tracciati della città, confutando così la precedente proposta ricostruttiva40. Fig. 5.8. Nola. Perimetro dell’abitato antico (da CAPALDI 2005). Evidenze più consistenti relative all’esistenza di un impianto urbano regolare, orientato astronomicamente, provengono dal settore S/O della città dove, come già accennato, sono stati individuati i resti di una porta urbica e di una strada con andamento 39 SOMMELLA 1991, 188. 40 ZEVI 2004, 906-907; RESCIGNO-SENATORE 2009, nota 140. 114 N/S, ubicata presso l’attuale Via Feudo, lungo la quale si dispongono mausolei di III-IV sec. d.C. In questa stessa zona sono, inoltre, state rilevate tracce di un’altra strada antica, orientata in senso E/O e probabilmente corrispondente a un decumano dell’impianto stradale di età sillana, connessa con alcune strutture in reticolato, decorate in IV stile, che indicano su questo lato il limite della città romana41. Fig. 5.9. Nola. Planimetria della città in rapporto alla viabilità (da RUFFO 2010). L’analisi dei contesti necropolici, d’altra parte, oltre a definire la possibile estensione dell’abitato, consente di poter formulare ipotesi sulle sue più antiche fasi di vita; in particolare nel settore settentrionale e nord-occidentale del centro moderno, in un’area compresa tra le attuali vie Polveriera, San Massimo, De Siena, dove sono ubicati l’anfiteatro, la necropoli monumentale in località Torricelle e un complesso residenziale, indizi della presenza dell’abitato arcaico sono forniti dal ritrovamento di alcuni frammenti di antefisse nimbate con gorgoneion e lastre fittili con fregio a guilloche databili al VI sec. a.C.42, al quale risalgono i principali rinvenimenti delle necropoli ubicate a Nord della città, presso il fondo 41 SAMPAOLO 1996, 33-34; CAPALDI 2005, 66-69; RUFFO 2010, 259. Il limite settentrionale potrebbe essere fissato presso l’odierna Via dell’Anfiteatro laterizio, oltre la quale si estendono le aree di necropoli utilizzate dall’epoca preromana fino al IV sec. d.C., mentre il confine meridionale e orientale potrebbe essere indicato da alcune strutture murarie e rivestimenti pavimentali attribuibili ad abitazioni private di II sec. d.C.: SAMPAOLO 1996, 34. 42 SAMPAOLO 1996, 33. 115 Ronga43, a N/E, presso via San Massimo, Torricelle e dell’Anfiteatro laterizio44 e, infine, sul versante occidentale, in una zona extraurbana, a cavallo della linea ferroviaria Cancello- Avellino e a Sud dell’anfiteatro45. A S/E di questa vasta area, tra via Polveriera e via Saccaccio, a S/O della città moderna, è stato identificato un quartiere residenziale che probabilmente si impianta precocemente presso una zona suburbana dell’insediamento, in un periodo sicuramente precedente la conquista romana del 313 a.C., come si evince da una testimonianza liviana, secondo la quale il dittatore C. Poetelius, al momento dell’assedio della città, per facilitare le operazioni di attacco, avrebbe provveduto a incendiare tutti gli edifici che sorgevano a ridosso delle mura46. Alla città faceva capo un vasto territorio comprendente tutta la zona pedemontana a Nord del Somma-Vesuvio, attraversata dal fiume Clanis e densamente frequentata fin dal Bronzo Antico47; questo comprensorio riceve una strutturazione definitiva in seguito alla conquista romana quando viene inserito tra le maglie della centuriazione e viene investito, a partire dal II sec. a.C. e per tutta la prima età imperiale da una serie di interventi che ne condizionano il successivo sviluppo. Innanzitutto viene interessata dalla costruzione della Via Popilia nel 132 a.C., alla quale segue in età augustea la realizzazione di infrastrutture idrauliche connesse all’Aqua Augusta che lambiva il territorio nolano a Sud. In età imperiale l’intero comprensorio è suddiviso in distretti rurali (pagi) indipendenti dal punto di vista fiscale e amministrativo48, ai quali fanno capo numerosi, villae rusticae e impianti produttivi a carattere sparso, associati a opere di bonifica, canalizzazione e irreggimentazione delle acque del Clanis49, utilizzati senza soluzione di continuità fino a epoca tardo-antica. 5.1.4. Abella L’antico centro di Abella costituisce l’estrema propaggine settentrionale della pianura campana tra Capua e Nola, situato lungo la riva sinistra del fiume Clanis e protetto a Nord 43 BONGHI JOVINO-DONCEEL 1969. 44 SAMPAOLO 1986, 506-507. 45 ALBORE LIVADIE et alii 1998, 79-82. 46 Liv. IX, 28; RUFFO 2010, 265. 47 ALBORE LIVADIE-D’AMORE 1980, 59-101; ALBORE LIVADIE et alii 1986, 55-66; ALBORE LIVADIE 1997, 926; ALBORE LIVADIE et alii 1997; ALBORE LIVADIE et alii 1998, 53-67. 48 CAMODECA 2001, 413-437. 49 PAGANO 1995, 211-218. Una sintesi degli principali interventi di sistemazione in RUFFO 2010, 265-276. 116 dai monti di Avella, in funzione di controllo di l’accesso all’Irpinia. La sua nascita alla fine dell’VIII sec. a.C., al pari di quella di Calatia e Suessula, appare strettamente legata alla riorganizzazione della pianura campana e della sua componente indigena in relazione al progressivo consolidamento della potenza di Cuma e di Capua50. I più antichi reperti delle necropoli, poste a ci centro urbano, rispettivamente a Ovest, in località San Nazzaro, e a Est, in località San Paolino-Molinello51, sono ascrivibili a un periodo compreso tra la fine dell’VIII e gli inizi del VII sec. a.C., analogamente a quanto si regi Fig. 5.10. Abella. Planimetria ed estensione dell’antico insediamento Le più antiche attestazioni dell’abitato causa della continuità insediativa e della sovrapposizione dell’attuale centro di Avella, rappresentate da materiale residuale di età orientalizzante e arcaica rinvenuto nei livelli di occupazione più recenti, presso il limite meridionale e occi 50 CINQUANTAQUATTRO 2000, 61 51 L’ipotesi di una precoce urbanizzazione del centro, con una suddivisione funzionale fatto che le zone di necropoli, poste immediatamente all’esterno del perimetro urbano, manifestano una continuità d’uso, senza interruzioni o cesure, dall’età orientalizzante fino a età tardo RESCIGNO-SENATORE 2009, 432. 117 un importante corridoio naturale , circa 1 km di distanza , registra per gli altri centri della piana campana. (da CINQUANTAQUATTRO 2000) dell’abitato, esplorato in maniera limitata e occasionale a centi, occidentale della città antica e a S 61-63; CERCHIAI 2010, 46-47. Cfr., supra. degli spazi, è avvalorata anche dal tardo-antica: CINQUANTAQUATTRO 200 che segnava Nola, rca dal stra 2000). , sono dentale Sud 2000, 63; del fiume Clanis52. A queste si associano ulteriori testimonianze provenienti dal territorio circostante: in località Forestelle località Bosco, alle pendici della collina del castello di Avella, sono stati recuperati oggetti decontestualizzati sicuramente riferibili a corredi funerari di eccezionale livello, databili tra la fine dell’età orientalizzante e l’inizio dell forma di popolamento articolata che presuppone l’esistenza di nuclei maniera organica nel territorio, secondo una precisa gerarchia sembrano indicare i materiali recuperati Fig. 5.11. Abella. Planimetria del territorio con l’indicazione delle principali evidenze archeologiche CINQUANTAQUATTRO 2000) I limiti dell’antico abitato, oltre che dalla dislocazione delle necropoli, sono ricostruibili grazie all’individuazione di alcuni segmenti murari pertinenti alla cinta di fortificazione. A età preromana risalgono alcuni tratti in blocchi squadrati di tufo, con, all’esterno, tracce di un fossato, individuati presso il confine orientale e meridionale 52 CINQUANTAQUATTRO 2000, 66. Tra i materiali più significativi recuperati degna di nota è una testa fittile a protome di ariete di età alto-arcaica riferibile probabilmente a un alare fittile. 53 CINQUANTAQUATTRO 2000, 66 118 . Forestelle-Fiego, un’area collinare sulla riva destra del dell’età arcaica. Tale circostanza potrebbe indicare una abitativi, insediativa teriali recuperati53. . 2000). zie 66-67. Clanis, e in ’età distribuiti in insediativa, così come (da dell’insediamento; nel II sec. a.C. viene costruita una nuova cinta muraria in opera incerta, all’interno del circuito più antico. Le mura proseguivano lungo l’attuale via Libertà, parallela all’anfiteatro, per piegare a N/E e continuare a Nord probabilmente in una fascia caratterizzata da un salto di quota tra l’abitato e il corso del Clanis, mentre a Ovest il limite della città potrebbe collocarsi tra l’attuale Via Roma e Piazza Municipio, dove è stata localizzata anche una porta urbica54. All’interno del circuito murario l’abitato si estende su una superficie di 25 ettari. Le evidenze strutturali più antiche, allo stato attuale della documentazione, sono costituite da alcune strutture murarie, individuate all’interno del Palazzo Ducale, orientate in senso N/ES/ O, databili tra la fine del VI e la prima metà del V sec. a.C., di cui si conserva la fondazione in ciottoli di fiume e resti di un piano pavimentale in battuto55. Sporadiche le testimonianze riferibili al V e al IV sec. a.C., mentre meglio documentate sono le fasi relative alla frequentazione di età medio e tardo-repubblicana quando la città viene dotata di un impianto urbano regolare, basato su assi viari ortogonali, che determinano la formazione di isolati rettangolari di 115×80 m, secondo un modulo di 3×2 auctus, compreso anche il sedime delle strade56. Sulla base della documentazione disponibile, sembra che in città si registri un primo momento di contrazione nella prima età imperiale, forse come conseguenza dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Tuttavia la vitalità di Abella ancora in età tardo imperiale, probabilmente limitata solo ad alcune zone, è rilevata dalla documentazione funeraria, epigrafica e numismatica. È possibile, invece, stabilire con certezza l’abbandono dell’insediamento in seguito all’eruzione di Pollena del 472 d.C., quando gli abitanti della città si trasferiscono sulla collina del castello di Avella57. 5.2. I luoghi di culto dell’ager Campanus: tipologia e distribuzione territoriale Nel vasto comprensorio della pianura campana, allo stato attuale della documentazione, sono stati individuati nove luoghi di culto la cui frequentazione, nella maggior parte dei casi, è ascrivibile a un arco cronologico compreso tra la metà del IV e il II 54 CINQUANTAQUATTRO 2000, 71-73. 55 CINQUANTAQUATTRO 2000, 73. 56 CINQUANTAQUATTRO 2000, 73; RESCIGNO-SENATORE 2009, 432. 57 CINQUANTAQUATTRO 2000, 80-81. 119 sec. a.C., coincidente con il processo di romanizzazione che determina una radicale riorganizzazione degli assetti territoriali e delle modalità insediative. Al territorio afferente all’antico centro di Calatia può essere ricondotta un’area sacra (cat. n. 16) individuata a Est della base militare U.S. Navy di Gricignano d’Aversa, a Sud e a S/O dei Regi Lagni, situata in corrispondenza dell’ipotetico punto di intersezione tra il decumanus maximus e l’VIII cardo meridionale della centuriazione dell’ager; a essa sono stati i resti di un probabile edificio di culto connesso a un fossato con orientamento E/O che ha restituito numerosi frammenti architettonici e scultorei in tufo e offerte votive probabilmente da riconnettere alla fase di vita della struttura, tra i quali numerosi frammenti di ceramica a vernice nera, a vernice rossa interna, terrecotte votive, tegole con bolli recanti l’iscrizione VENERUS HERUC ed ERCOLE D, databili tra il III e il primo quarto del I sec. a.C., e che hanno fatto ipotizzare una dedica dell’area sacra a Ercole e Venere Ericina. L’edificio potrebbe far riferimento a una piccola area sacra connessa a una statio, posta in corrispondenza di uno dei punti nevralgici di passaggio della centuriazione, che la probabile dedica a Ercole, in molti contesti venerato come protettore dei confini e dei transiti obbligati, tenderebbe ad avvalorare; il suo abbandono databile agli inizi del I sec. a.C. potrebbe essere stato causato dalle vicende della guerra sociale, quando la campagna circostante Calatia e Acerrae viene a più ripresa saccheggiata e devastata dagli insorti58. Alla antica città di Suessula sono riferibili due luoghi di culto, identificabili e localizzabili, alla luce dei dati archeologici disponibili, solo per via indiziaria. Recenti campagne di scavo condotte nell’area dell’antico foro della città, collocato a S/O della Casina Spinelli, hanno consentito di individuare, al di sotto dei livelli di frequentazione di età romana, una fossa votiva risalente alla metà del V sec. a.C. (cat. n. 17), che conservava tracce di sacrifici animali e di materiali votivi del IV e del III sec. a.C., documentando come la funzione pubblica e sacra dell’area della futura piazza forense sia stata determinata già in età arcaica59. A un edificio di culto periurbano, di età tardo-repubblicana (cat. n. 18), collocato immediatamente all’esterno dei confini dell’abitato, sulla sommità di una collina che si trova a N/E di Suessula, presso una sorgente che alimenta uno dei rami minori del fiume Clanis potrebbero appartenere i resti interpretati di una struttura rettangolare con fondazioni in 58 DE CARO 2000 a, 625-626; LA FORGIA-DE FILIPPIS 2002, 140-141; RUFFO 2010, 203. 59 BORRIELLO 1989, 215, nota 13; RESCIGNO 1998, 334; DE CARO-MIELE 2001, 567, nota 208; CAMARDOROSSI 2005, 167-192; RUFFO 2010, 220-221. 120 blocchi squadrati di tufo e con muri di terrazzamento e di elevato in opus quasi reticulatum60; non si posseggono però dati documentari dirimenti per definire con sicurezza natura e funzioni del complesso. Nell’ambito del territorio dell’antica città di Nola sono stati rinvenuti, durante la realizzazione di lavori pubblici alla metà degli anni novanta, due luoghi di culto, rispettivamente a Cimitile e a San Paolo Belsito. A Cimitile, in via Trivice d’Ossa, nell’area dell’Asilo nido, è stata riportata alla luce parte di un vasto complesso (cat. n. 19) delimitato su di un lato da una strada in battuto di tufo. Si tratta probabilmente di un’area scoperta, delimitata su di un lato da un porticato alla quale sono riferibili un bronzetto raffigurante Ercole combattente, databile tra il IV e l’inizio del III sec. a.C., numerosa ceramica a vernice nera, unguentari e ceramica miniaturistica, che datano la vita dell’area sacra tra la fine del IV e l’inizio del I sec. a.C., quando sarebbe stata abbandonata in seguito ai convulsi avvenimenti della guerra sociale61. Nel 1995, nel territorio di San Paolo Belsito, in località Vigna, sulla sommità di una collina, che domina la via che da Nola conduce a Lauro e alla Valle del Sabato, frequentata dall’età del bronzo fino a età romana, è stato riportato alla luce un deposito votivo (cat. n. 20) che ha restituito coroplastica, ceramica a vernice nera, monete, antefisse con teste femminili, di Atena, di Satiro, sime e lastre di rivestimento che rivelano, nella cura dei particolari e nelle volumetrie leggere, ascendenze magno-greche, databile tra il IV e il II sec. a.C.62 L’abbandono del santuario, che non sembra protarsi oltre il II sec. a.C., potrebbe essere stato causato dalla riorganizzazione generale che investe il territorio di Nola proprio in questo periodo, quando si procede alla realizzazione della maglia della centuriazione, del catasto agrario e di imponenti opere di bonifica e di irreggimentazione delle acque del Clanis, finalizzate a uno sfruttamento intensivo delle risorse agricole della zona63. Alla città di Abella sono riferibili quattro aree sacre che si dispongono in posizione periurbana, immediatamente all’esterno dei confini dell’antico centro. Sono stati recuperati in maniera occasionale due nuclei di materiali votivi, riferibili luoghi di culto posti rispettivamente a Nord (area sacra di Campopiano) e a N/O dell’abitato antico (area sacra di Seminario), a una distanza compresa tra 1,5 e 2 km circa da esso. 60 JOHANNOWSKY 1973, 755; CARAFA 2008, 95. 61 VECCHIO 1996, 256; DE CARO 1998, 429-430; CARAFA 2008, 139. 62 ALBORE LIVADIE-VECCHIO 1996, 256-258; DE CARO 1998, 428-429; ALBORE LIVADIE et alii 1998, 51; CARAFA 2008, 139. 63 RUFFO 2010, 267. 121 Dalle pendici nord-orientali della collina del Seminario (cat. n. 24) provengono, probabilmente da uno scarico, numerosi frammenti di ex voto in terracotta e di ceramica inquadrabili in un arco cronologico compreso tra il IV e il II sec. a.C. Si tratta di frammenti pertinenti a figure di offerenti sia maschili che femminili con vesti panneggiate di grandi dimensioni; teste e mezze teste maschili e femminili velate, figurine di animali (bovini, cinghiali, galletti e una colomba) ed ex voto anatomici (piedi, mani, genitali); statuette di piccole dimensioni raffiguranti figure femminili, stanti o sedute, nude o vestite che recano una colomba, un porcellino o un bambino, a volte poggiano le braccia sul ventre prominente. Le uniche figure interpretabili con certezza come divinità sono un Hermes criophoros e un Erote. Numerosa la ceramica rinvenuta in associazione, tra cui unguentari, una lekythos a vernice nera, lucerne e ceramica miniaturistica (lucerne, coppette e piccoli calici). In base alla tipologia degli ex voto attestati, è possibile identificare la divinità titolare del culto come una divinità femminile con proprietà salutari e legata alla sfera della riproduzione e della fecondità: Demetra-Kore, Afrodite o Iuno Lucina, a cui si potrebbe assimilare la Venus Iovia nota da un’iscrizione latina di Avella (CIL I, 1207)64. I materiali votivi recuperati in località Campopiano (cat. n. 23) sarebbero stati rinvenuti all’interno di “pozzetti” votivi, non meglio definibili distribuiti su una vasta area nel «raggio di alcune decine di metri». Nella stessa zona sarebbero stati rinvenuti anche numerose terrecotte architettoniche di cui non si dispone di notizie più dettagliate. La circostanza che i materiali siano stati rinvenuti in un’area destinata anche a sepolture ha suggerito l’ipotesi che la zona fosse riferibile a una realtà di tipo pagano-vicanica risalente almeno alla metà del V sec. a.C., con una continuità di vita fino al I sec. a.C. I materiali recuperati sono costituiti soprattutto da ex voto anatomici, da teste e piccole figure di offerenti maschili e femminili, alcune con alto polos o con seni pronunciati o con un bambino tra le braccia. Sono presenti anche raffigurazioni di animali (cinghiali e uccelli selvatici singoli o in coppia) e di frutti fittili (melograni e fichi). La categoria delle armi è attestata dalla presenza di una punta di lancia. Le uniche figure divine presenti sono un Erote, una Vittoria alata e diverse statuette di una figura maschile stante o seduta con clava. La presenza di Ercole ricorre inoltre su un pinax votivo fittile raffigurante a bassissimo rilievo un uomo giovane e imberbe (Iolao?) che insieme con un compagno barbato (Ercole?) affronta un enorme uccello dal becco aperto (dello 64 SCATOZZA HÖRICHT 1996, 516; SCATOZZA HÖRICHT 1998, 191-194; CINQUANTAQUATTRO 2000, 68; SCATOZZA HÖRICHT 2001, 13-36; CARAFA 2008, 107. 122 Stinfale?). La presenza di Eracle ricorre infine in una serie di stampigli impressi sull’unica ansa di uno skyphos in «rozza terracotta» che raffigurano anche un Erote in volo e una testa femminile con una strana capigliatura in cui si può forse riconoscere l’Idra65. Per gli ex voto fittili del Seminario sono stati istituiti confronti con prodotti di derivazione greca o magno-greca, mentre per i materiali di Campopiano sono state ravvisate analogie con le officine campane, in particolare con quelle capuane. Questa constatazione ha indotto a ipotizzare per le due aree sacre due differenti orientamenti religiosi. Campopiano rappresenterebbe «il punto di riferimento degli elementi indigeni dei pagi rustici e montani», mentre a Seminario sarebbero attestate «tendenze ellenizzanti». Inoltre, la presenza di Ercole nel santuario di Campopiano ha suggerito che il santuario sorgesse in una zona liminare ed extraterritoriale, posta sotto la protezione diretta del dio e che svolgesse un ruolo attivo nell’organizzazione della transumanza, in analogia con quanto proposto per il santuario di Ercole ricordato sul Cippo Abellano66. Le due aree sacre sarebbero da considerare come fulcro dell’aggregazione religiosa e politica in un’epoca caratterizzata dal dominio della campagna sulla città67. A questa interpretazione fa da contraltare un’interpretazione altrettanto valida che tiene conto delle precoci dinamiche di urbanizzazione che caratterizzano i centri indigeni della pianura campana e a cui la stessa Avella non si sottrae, avendo assunto una forma urbana già nella prima metà del VII sec. a.C.68. Quindi i santuari di Campopiano e Seminario potrebbero pertanto essere considerati espressione di un centro che organizza il proprio territorio anche dal punto di vista religioso piuttosto che luoghi di culto di piccoli insediamenti autonomi e sparsi solo più tardi unificatisi in una struttura unitaria di tipo urbano. Altre due aree di culto nel territorio circostante Avella sono segnalate in località San Candida (cat. n. 21) -appena all’esterno del perimetro urbano, lungo la riva del fiume Clanis e immediatamente a Nord della necropoli di S. Nazzaro, dove è stata rinvenuta in circostanze non note una serie di vasetti miniaturistici e statuine fittili databili tra il IV e il III sec. a.C. -e forse nell’attuale via Carmignano (cat. n. 22), dove è stato rinvenuto un piede fittile su 69 soccus. 65 SCATOZZA HÖRICHT 1996, 516; SCATOZZA HÖRICHT 1998, 194-196; CINQUANTAQUATTRO 2000, 68; SCATOZZA HÖRICHT 2001, 37-50; CARAFA 2008, 107. 66 SCATOZZA HÖRICHT 1998, 196. 67 SCATOZZA HÖRICHT 1996, 516. 68 COLUCCI PESTALOZZA 1984, 339-344; CERCHIAI 2010, 47. 69 CINQUANTAQUATTRO 2000, 68-71. 123 Per quanto riguarda invece, l’area del centro urbano vero e proprio, allo stato attuale della documentazione, la presenza di luoghi di culto all’interno del perimetro urbano appare ancora piuttosto dubbia; un indizio in questo senso potrebbe essere rappresentato dal ritrovamento sporadico di una cospicua quantità di vasetti miniaturistici che potrebbero riferirsi, però, anche a culti domestici70. Dal territorio di Avella proviene però un’altra testimonianza di un importante luogo di culto noto attraverso l’iscrizione del Cippo Abellano, databile nel II sec. a.C., che riporta i termini e le modalità di un contratto stipulato dai magistrati di Abella e Nola per dividere tra le due comunità i beni mobili e immobili di un ancora ignoto santuario di Ercole71. Piuttosto dubbia appare anche l’esatta ubicazione del santuario, che avrebbe potuto tanto trovarsi in una zona di confine tra i territori delle due città, quanto in un’area liminare, esterna alle rispettive aree d’influenza72. Secondo una prima lettura del testo si potrebbe ipotizzare una localizzazione del santuario presso il confine tra le due comunità e comunque all’interno dell’area di competenza dei rispettivi territori73. Una seconda ipotesi interpretativa, invece, sostiene che il santuario non sarebbe stato interno a nessuno dei due territori, ma si sarebbe trovato nell’ager extraconclusus, non soggetto al controllo di nessun centro perché non incluso nei limiti della divisione agraria del territorio74. Questa circostanza potrebbe indicare che tale santuario sarebbe stato fondato in un’epoca piuttosto antica, quando ancora non era stata realizzata la strutturazione e la suddivisione definitiva dello spazio e il territorio era ancora suddiviso in villaggi sparsi. È estremamente significativo che la necessità di un accordo nell’amministrazione del santuario si manifesti solo nell’avanzato II sec. a.C., in un momento in cui l’urbanizzazione dei centri campani si struttura in una forma definitiva. Il fatto che solo il magistrato abellano sia indicato come quaestor designatus sarebbe un indizio per ipotizzare che la promotrice dell’accordo sia stata la città di Abella, delle due, peraltro, la più romanizzata. Sia che si dimostri valida la prima o la seconda lettura interpretativa, in entrambi casi resta centrale il rapporto confine/santuario. Secondo la prima interpretazione il santuario sarebbe stato fondato presso il confine che preesisteva all’area sacra; secondo l’altra interpretazione, la presenza del santuario avrebbe garantito la solidità del confine, spingendo 70 CINQUANTAQUATTRO 2000, 71. 71 FRANCHI DE BELLIS 1988; FRANCHI DE BELLIS 1990, 111-115. 72 CINQUANTAQUATTRO 2000, 68. 73 PULGRAM 1960, 16-29. 74 FRANCHI DE BELLIS 1990, 111-115. 124 le due comunità a tracciarlo proprio in corrispondenza del santuario preesistente, rendendo così necessario l’accordo riportato dal cippo. Sulla base di queste osservazioni si è, quindi, proposto di localizzare l’area sacra alle pendici dell’Appennino, esattamente a metà strada tra i due centri75. 75 CARAFA 2008, 204, nota 1004. 125 5.3. I luoghi di culto dell’ager Campanus -Catalogo Numero di catalogo: 16 Centro di riferimento: Calatia. Scheda sito n.: 1 Localizzazione: area sacra individuata a Est della base militare U.S. Navy, a Sud e a S/O dei Regi Lagni presso la caserma dei Vigili del Fuoco. Contesto geomorfologico: pianeggiante; in prossimità del fiume Clanis. Ubicazione geografica: comune di Gricignano d’Aversa -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 184 I N/O (Aversa). Coordinate UTM: 33T 43768861 E -453950295 N. Quota: 17 s.l.m. Distanza: 9.418,2. Posizione rispetto al centro: extraurbana (?) Descrizione: in corrispondenza dell’ipotetico punto di intersezione tra il decumanus maximus e l’VIII cardo meridionale della centuriazione dell’ager sono stati rinvenuti i resti di un probabile edificio di culto connesso a un fossato con orientamento E/O (20×7 m; 3 m di profondità), che ha restituito numerosi frammenti architettonici e scultorei in tufo e offerte votive probabilmente da riconnettere alla fase di vita della struttura. Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: l’edificio è realizzato secondo una tecnica architettonica a scacchiera con blocchi parallelepipedi alternati a conci di tufo; dal fossato sono stati recuperati blocchi rettangolari in tufo giallo e grigio, rocchi di colonna scanalati, un capitello ionico, basi di tipo ionico di tufo grigio; frammento di torso di statua loricata databile alla tarda età repubblicana; frammenti di rivestimento in signino e di intonaco rosso; anfore di tipo Dressel 1b. Materiali votivi: ceramica a vernice nera, a vernice rossa interna, terrecotte votive, tegole con bolli recanti l’iscrizione VENERUS HERUC ed ERCOLE D e altre con iscrizione in osco MAMESO. Divinità titolari: Ercole e Venere Ericina (?). Datazione: III-primo quarto I sec. a.C. Note: Bibliografia: DE CARO 2000 a, 625-626; LA FORGIA-DE FILIPPIS 2002, 140-141; RUFFO 2010, 203. Fig. 5.12. Gricignano d’Aversa. Ubicazione dell’area sacra. Stralcio della carta IGM 1:25.000. 126 Numero di catalogo: 17 Centro di riferimento: Suessula. Scheda sito n.: 1 Localizzazione: area sacra ubicata presso l’area dell’antico foro della città, a S/O dell’odierna Casina Spinelli. Contesto geomorfologico: pianeggiante; in prossimità del fiume Clanis. Ubicazione geografica: comune di Acerra -provincia di Napoli. Coordinate IGM: 1:25.000, F 184 I N/E (Acerra). Coordinate UTM: 33T 44964608E -453706312 N. Quota: 35 s.l.m. Distanza: 0 Posizione rispetto al centro: urbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: a un edificio sacro di età arcaica nell’area del futuro foro sono state attribuite alcune antefisse femminili entro fiore di loto. Materiali votivi: a un’area sacra databile tra la metà del V e il III sec. a.C. si riferisce la deposizione di una fossa votiva che ha restituito terrecotte votive e vasetti miniaturistici, insieme con ossi combusti e tracce di sacrificio. Divinità titolari: Datazione: metà VI-III sec. a.C. Note: ai livelli di frequentazione di età arcaica e di età ellenistica si sovrappongono quelli relativi alla definitiva strutturazione e monumentalizzazione della piazza pubblica, avvenuta tra la seconda metà del II sec. a.C. e la deduzione della colonia sillana, quando vengono edificati una strada porticata presso il limite orientale del foro, a Nord una serie di edifici pubblici identificabili in un tempio, probabilmente il Capitolium, con podio in opera cementizia e orientamento N/S; una basilica a pianta quadrangolare con lato maggiore prospettante sulla piazza, in opera quadrata di tufo, adiacente, sul lato settentrionale, a un’altra grande aula rettangolare. Bibliografia: BORRIELLO 1989, 215, nota 13; RESCIGNO 1998, 334; DE CARO-MIELE 2001, 567, nota 208; CAMARDO-ROSSI 2005, 167-192; RUFFO 2010, 220-221. Fig. 5.13. Foro di Suessula con ubicazione del deposito votivo (da RUFFO 2010). 127 Numero di catalogo: 18 Centro di riferimento: Suessula. Scheda sito n.: 2 Localizzazione: edificio templare ubicato sulla collina che sovrasta a N/E l’antico insediamento. Contesto geomorfologico: pianoro, presso una sorgente naturale. Ubicazione geografica: comune di Acerra -provincia di Napoli. Coordinate IGM: 1:25.000, F 184 I N/E (Acerra). Coordinate UTM: 33T 44871020 E -453904325 N. Quota: 43 s.l.m. Distanza: 67,9. Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: tempio a pianta rettangolare. Evidenze archeologiche: si conservano alcuni tratti delle fondazioni, del muro di terrazzamento e lacerti dell’elevato. Materiali e tecniche costruttive: fondazioni realizzati in blocchi squadrati di tufo messi in posa a secco; muro di terrazzamento ed elevato in opus reticulatum. Materiali votivi: Divinità titolari: Datazione: età tardo-repubblicana (II-I sec. a.C.) Note: non si dispone di notizie più dettagliate per una definizione puntuale delle strutture e dell’area sacra. Bibliografia: JOHANNOWSKY 1973, 755; CARAFA 2008, 95. Fig. 5.14. Suessula. Ubicazione dell’edificio templare periurbano. Stralcio della carta IGM 1:25.000. 128 Numero di catalogo: 19 Centro di riferimento: Nola. Scheda sito n.: 1 Localizzazione: area sacra in via Trivice d’ossa, nell’area dell’asilo nido. Contesto geomorfologico: pianeggiante. Ubicazione geografica: comune di Cimitile -provincia di Napoli. Coordinate IGM: 1:25.000, F 185 IV N/O (Nola). Coordinate UTM: 33T 460334007 E -453275149 N. Quota: 42 s.l.m. Distanza: 2.132. Posizione rispetto al centro: periurbano. Descrizione: area sacra, probabilmente scoperta, delimitata su un lato da una strada in battuto di tufo e chiusa su tre lati da un porticato; nell’area dell’Asilo nido, è stata riportata alla luce parte di un vasto complesso delimitato su di un lato da una strada in battuto di tufo. Sono stati recuperati un bronzetto raffigurante Ercole combattente, databile tra il IV e l’inizio del III sec. a.C., numerosa ceramica a vernice nera, unguentari e ceramica miniaturistica, che datano la vita dell’area sacra tra la fine del IV e l’inizio del I sec. a.C., quando sarebbe stata abbandonata in seguito ai convulsi avvenimenti della guerra sociale. Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: strutture in blocchi di tufo squadrati. Materiali votivi: una statuetta di bronzo raffigurante Eracle combattente (databile tra il IV e l’inizio del III sec. a.C.); abbondante ceramica a vernice nera, soprattutto forme potorie, ceramica miniaturistica e unguentari. Divinità titolari: Datazione: fine IV-inizi I sec. a.C. Note: l’area sacra è stata individuata nel corso dei lavori per la costruzione dell’asilo e non è stato possibile proseguire ulteriormente l’indagine. Bibliografia: VECCHIO 1996, 256; DE CARO 1998, 429-430; CARAFA 2008, 139. Fig. 5.15. Cimitile. Ubicazione dell’area sacra. Stralcio della carta IGM 1:25.000. 129 Numero di catalogo: 20 Centro di riferimento: Nola. Scheda sito n.: 2 Localizzazione: area sacra in località Vigna, ubicata sulla sommità di una collina che domina la via che da Nola conduce a Lauro e alla Valle del Sabato. Contesto geomorfologico: pianoro. Ubicazione geografica: comune di San Paolo Belsito -provincia di Napoli. Coordinate IGM: 1:25.000, F 185 IV S/O (S. Giuseppe Vesuviano). Coordinate UTM: 33T 46199827 E -452896895 N. Quota: 65 s.l.m. Distanza: 2.372,8. Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: la presenza di un’area sacra sulla sommità della collina è indiziata dal ritrovamento di una stipe votiva e di uno scarico di materiali architettonici relativi alla decorazione di un edificio sacro. Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: frammenti di cornice con kyma a ovuli e foglie in tufo, frammenti di capitelli in tufo con volute; sime a gola con fregio a rilievo con fiori di loto e palmette alternati; finte gronde leonine con tracce di policromia; antefisse a testa di Atena, di sileno e a testa femminile, a cui si associano piccoli frammenti marmorei. Materiali votivi: lekythos attica a figure nere con motivo a meandro; skyphoi, coppette e coppe a vernice nera; unguentari, terrecotte figurate di grandi dimensioni e tanagrine; alcune monte in bronzo di cui una della zecca di Nuceria Alfaterna. Divinità titolari: Datazione: seconda metà IV -II sec. a.C. Note: la collina su cui è stato rinvenuto il santuario è stata oggetto di una prolungata occupazione a partire dal Bronzo Antico fino alla piena romana alla quale si riferiscono alcune le strutture murarie pertinenti a una villa rustica con annessi pozzi e cisterne. Bibliografia: ALBORE LIVADIE-VECCHIO 1996, 256-258; DE CARO 1998, 428-429; ALBORE LIVADIE et alii 1998, 51; CARAFA 2008, 139. Fig. 5.16. San Paolo Belsito. Località La Vigna (da ALBORE LIVADIE et alii 1998). 130 Fig. 5.17. Elementi architettonici dall’area sacra in località Vigna (da ALBORE LIVADIE-VECCHIO 1996). 131 Numero di catalogo: 21 Centro di riferimento: Abella Scheda sito n.: 1 Localizzazione: area sacra in località San Candida, immediatamente all’esterno del perimetro urbano, a Nord della necropoli di S. Nazzaro, lungo la riva sinistra del fiume Contesto geomorfologico: pianoro Ubicazione geografica: comune di Coordinate IGM: 1:25.000, F 185 Coordinate UTM: 33T 466618411 E Quota: 205 s.l.m. Distanza: 586,4. Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: - Evidenze archeologiche: - Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: la presenza dell’area sacra è indiziata d (brocchette, ollette, attingitoi, coperchi) e a fasce (una terrecotte votive (statuette di offerenti panneggiate con porcellino, e tanagrine) Divinità titolari: - Datazione: VI-III sec. a.C. Note: non sono note le circostanze del ritrovamento dei materiali votivi. Bibliografia: CINQUANTAQUATTRO Fig. 5.18. Materiali votivi da località San Candida 132 Abella. Clanis. pianoro, in prossimità di fiume e necropoli. Avella - provincia di Avellino. IV N/E (Baiano). - 453466863 N. - dal rinvenimento di ceramica miniaturistica acroma kotyle e brocchette), di unguentari fusiformi e d tanagrine). 2000, 68, 71. . (da CINQUANTAQUATTRO 2000). al di Numero di catalogo: 22 Centro di riferimento: Abella. Scheda sito n.: 2 Localizzazione: area sacra lungo l’attuale via Carmignano, presso la fabbrica Luciano, probabilmente in corrispondenza di un tracciato antico. Contesto geomorfologico: pianoro, in prossimità di un corso d’acqua. Ubicazione geografica: comune di Avella -provincia di Avellino. Coordinate IGM: 1:25.000, F 185 IV N/E (Baiano). Coordinate UTM: 33T 46627686 E -453398495 N. Quota: 184 s.l.m. Distanza: 679,3. Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: la presenza dell’area sacra è indiziata dal rinvenimento di un piede fittile su soccus. Divinità titolari: Datazione: IV-III sec. a.C. (?) Note: dalla stessa area, a 150 m N/E dalla fabbrica Luciano, provengono un rocchio di colonna scanalata con base modanata e un frammento di fregio dorico in tufo. Bibliografia: CINQUANTAQUATTRO 2000, 71. Fig. 5.19. Ubicazione dell’area sacra in Via Carmignano. Stralcio della carta IGM 1:25.000. 133 Numero di catalogo: 23 Centro di riferimento: Abella. Scheda sito n.: 3 Localizzazione: area sacra in località Campopiano nella fascia pedemontana a Nord dell’abitato, non lontano dalle sorgenti del vallone del Sorroncello. Contesto geomorfologico: pendio, in probabile relazione con un contesto necropolico. Ubicazione geografica: comune di Avella -provincia di Avellino. Coordinate IGM: 1:25.000, F 185 IV N/E (Baiano). Coordinate UTM: 33 T 46521062 E -453541224 N. Quota: 229 s.l.m. Distanza: 1.776,3 Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: nella stessa zona sarebbero state rinvenute anche terrecotte architettoniche di cui non si dispone di notizie più dettagliate. Materiali votivi: i materiali recuperati sono costituiti soprattutto da ex voto anatomici, da teste e piccole figure di offerenti maschili panneggiata, alcune con pileo, e femminili, panneggiate, alcune con alto polos o con seni pronunciati o con un bambino tra le braccia. Sono presenti anche raffigurazioni di animali (cinghiali e uccelli selvatici singoli o in coppia) e di frutti fittili (melograni e fichi). La categoria delle armi è attestata dalla presenza di una punta di lancia. Le uniche figure divine presenti sono un Erote, una Vittoria alata e diverse statuette di figura maschile stante o seduta con clava. La presenza di Ercole ricorre inoltre su un pinax votivo fittile raffigurante a bassissimo rilievo un uomo giovane e imberbe (Iolao?) che insieme con un compagno barbato (Ercole?) affronta un enorme uccello dal becco aperto (dello Stinfale?). La presenza di Eracle ricorre infine in una serie di stampigli impressi sull’unica ansa di uno skyphos in «rozza terracotta» che raffigurano anche un Erote in volo e una testa femminile con una strana capigliatura in cui si può forse riconoscere l’Idra; accanto a questa sono presenti anche alcune anse pertinenti a kylikes a vernice nera. Divinità titolari: Datazione: metà V-I sec. a.C. Note: i materiali sono stati recuperati all’interno di pozzetti sparsi su una superficie di alcune decine di metri. Bibliografia: SCATOZZA HÖRICHT 1996, 516; SCATOZZA HÖRICHT 1998, 194-196; CINQUANTAQUATTRO 2000, 68; SCATOZZA HÖRICHT 2001, 37-50; CARAFA 2008, 107. Fig. 5.20. Materiali votivi dalla località Campopiano (da SCATOZZA HÖRICHT 2001). 134 Numero di catalogo: 24 Centro di riferimento: Abella Scheda sito n.: 24 Localizzazione: area sacra alle pendici della collina di abitato, lungo la direttrice per Nola Contesto geomorfologico: pendio Ubicazione geografica: comune di Avella Coordinate IGM: 1:25.000, F 185 IV N/E (Baiano) Coordinate UTM: 33T 46467612 E Quota: 147 s.l.m. Distanza: 2.007. Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: - Evidenze archeologiche: - Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: frammenti pertinenti a figure di offerenti sia maschili che femminili con vesti panneggiate di grandi dimensioni; teste e mezze teste maschili e femminili velate, figurine di animali (bovini, cinghiali, galletti e una colomba) ed raffiguranti figure femminili, stanti o sedute, nude o un bambino, a volte poggiano le braccia sul ventre prominente. Le uniche figure interpretabili con certezza come divinità sono un Hermes unguentari, una lekythos a vernice nera, lucerne e ceramica miniaturistica (lucerne, coppette e piccoli calici). Divinità titolari: - Datazione: IV-II sec. a.C. Note: i materiali probabilmente fortuita. Bibliografia: SCATOZZA HÖRICHT CINQUANTAQUATTRO 2000, 68; Fig. 5.21. Abella. Localizzazione dei luoghi di culto in località Seminario e 2001). 135 Abella. Seminario, posta circa 2 km a , Nola. pendio; in prossimità del fiume Clanis. - provincia di Avellino. Baiano). - 453503111 N. - ste ex voto anatomici (piedi, mani, genitali); statuette di piccole dimensioni panneggiate che recano una colomba, un porcellino o criophoros e un Erote. Numerosa la ceramica rinvenuta in associazione, tra cui probabilmente, pertinenti a un unico scarico votivo, sono stati rinvenuti i 1996, 516; SCATOZZA HÖRICHT SCATOZZA HÖRICHT 2001, 13-36; CARAFA . Campopiano (da N/O dell’antico in maniera 1998, 191-194; 2008, 107. SCATOZZA HÖRICHT CAPITOLO VI IL TERRITORIO AUSONE/AURUNCO 6.1. Cales e l’ager calenus L’antica città di Cales, presso l’attuale Calvi Risolta, costituisce uno dei centri più importanti dell’area aurunca, occupando una posizione strategica di estrema rilevanza, al centro, nella zona interna dell’Appennino campano, tra il Monte Maggiore, il massiccio vulcanico di Roccamonfina e l’ampia valle solcata dal Volturno, con i suoi numerosi affluenti a regime torrentizio, occupando la posizione più settentrionale lungo la direttrice N/S, in età romana solcata dalla Via Latina, che collegava Magna Grecia ed Etruria1. L’antico abitato sorge su un pianoro tufaceo rettangolare, solcato da numerosi corsi d’acqua irreggimentati grazie a un articolato sistema di pozzi e cunicoli, esteso su una superficie di circa 64 ettari, delimitato da profondi e scoscesi valloni artificiali, circondato a N/E dalle estreme propaggini del Monte Maggiore e dal Monte La Costa; a N/O dal Monte Coricuzzo e dal Monte Grande; a Est dal Monte Calvento2. Questa peculiare configurazione geomorfologica, comune a tutta l’area dell’alto casertano, ha, certamente, fortemente condizionato, fin dai primordi le modalità di occupazione e di sfruttamento del territorio, così come deve aver influito anche sulla genesi e lo sviluppo di determinate pratiche e manifestazioni sociali, culturali e religiose3. All’antico centro fa capo un vasto territorio compreso tra il Monte Maggiore e il corso del fiume Savone, in età romana definito dai confini giuridico-amministrativi del Campus Stellatis, dell’Ager Falernus e di Casilinum, delimitato, quindi a Sud dalla piana campana, a Est dagli insediamenti sannitici di Trebula e Caiatia e a Nord da Teano, capoluogo dei Sidicini. In età preromana questo comparto risulta pienamente inserito nell’area di influenza di Capua e quindi nel più ampio sistema politico ed economico gravitante intorno all’asse Cuma/Capua4. La città, una delle più antiche deduzioni coloniarie romane, entra ufficialmente nello scacchiere politico di Roma nel 335 a.C., quando in qualità di città degli Ausoni5 e di alleata 1 COMPATANGELO 1985, 5. 2 PASSARO 2009, 176-177. 3 MIELE 2010, 209-210. 4 COMPATANGELO 1985, 6; RUFFO 2010, 121. 5 Sugli Ausoni/Aurunci e l’estensione del loro territorio: LEPORE 1976-77, 81-108; LEPORE 1989, 57-84; MUSTI 1999, 167-172; PAGLIARA 1999, 173-198; PAGLIARA 2008, 3-11; MUSTI 2009, 633-637; MELE 2010 b, 291-325. 136 della vicina Teano, negli anni immediatamente successivi alla guerra latina, si trova ad affrontare l’esercito romano in una lunga e impegnativa guerra che si conclude l’anno seguente, nel 334 a.C., con la presa della roccaforte ausone, la deduzione coloniaria e la contestuale concessione della civitas sine suffragio6 , divenendo, per circa due secoli, un baluardo della presenza romana in Campania. Fig. 6.1. Cales. Planimetria dell’antica città (da PASSARO 2009). 6 Liv., VIII, 16; CHIESA 2010, 35. 137 Il plateau di tufo sul quale sorge la città è delimitato da una poderosa cinta muraria di cui sono ancora visibili alcuni tratti a Nord dell’antica arce e lungo il lato orientale e meridionale del ciglio del pianoro7. All’interno del circuito murario l’impianto urbano si sviluppa secondo un sistema di assi ortogonali di cui è stato identificato il cardo o il decumano massimo8 nella Via Latina, in gran parte coincidente con l’attuale via Ponte delle Monache, che entra in città a Nord, lungo l’odierna via Forma, per uscirne in direzione di Casilinum, dalla porta a S/E della cinta. In corrispondenza del punto di incrocio tra le arterie urbane principali sorge l’area del foro, nel settore S/O della città, limitata a Est dalle Terme centrali e a Ovest dal teatro9. La maggior parte delle evidenze monumentali superstiti sono ascrivibili a un periodo compreso tra la metà del II e gli inizi del I sec. a.C., al quale possono essere datati, infatti, il rifacimento delle mura con la costruzione delle torri, il teatro, l’anfiteatro e le terme centrali. Indagini recenti, realizzate in occasione dei lavori di ampliamento della rete autostradale, in località Pezzasecca, hanno consentito di illustrare e di chiarire le più antiche fasi di vita dell’insediamento ausone, rappresentate da tracce di capanne circolari e da frammenti ceramici di impasto e bucchero rosso risalenti alla fine VII e agli inizi del VI sec. a.C.10, in perfetta coincidenza con i materiali più antichi rinvenuti all’interno delle necropoli extraurbane11, documentando, quindi, la lunga vicenda insediativa del sito. A queste testimonianze si associano quelle recuperate presso il limite orientale del pianoro, in prossimità della cinta muraria, a ridosso della corsia nord dell’autostrada, dove è stata recuperata una complessa sequenza stratigrafica che documenta le diverse fasi di vita dell’abitato. Il periodo arcaico è attestato da una capanna a pianta circolare distrutta o abbandonata già alla fine del VI sec. a.C. A questa si sovrappone, nel corso del IV sec. a.C., un complesso sacro obliterato nel corso del III sec. a.C., probabilmente a causa delle vicende legate alla guerra annibalica12, e sostituito successivamente da una struttura abitativa in opera a telaio13. 7 Sono state individuate più fasi costruttive la più antica delle quali sembra essere rappresentata da alcuni tratti di muro in opera isodoma di blocchi di tufo, messi in opera senza malata e non perfettamente ortogonali, per la quale è stata proposta una datazione al V sec. a.C. A una fase più recente, evidentemente connessa con le turbolente vicende della guerra sociale o servile degli inizi del I sec. a.C., come testimoniato da alcuni segmenti in opera quasi reticolata individuati presso la porta nord-orientale della città: JOHANNOWSKY 1961, 259; FEMIANO 1990, 30; PASSARO 2004, 16; PASSARO 2009, 134. 8 DI GIOVANNI 1991, 146; DE CARO-MIELE 2001, 543. 9 JOHANNOWSKY 1961, 260-263; PASSARO 2009, 142-143; RUFFO 2010, 135. Dei tratti stradali minori sono stati individuati in via Formelle, nel settore S/E della città, a Nord e a Sud delle terme centrali e un segmento in località Pezzasecca, a ridosso della corsia sud dell’Autostrada del Sole: JOHANNOWSKY 1961, 266, nota 7; DI GIOVANNI 1991, 146. 10 DI GIOVANNI 1991, 146-147; PASSARO 1993 et alii, 51; DE CARO 1994 b, 650-651; DE CARO-MIELE 2001, 543. 11 JOHANNOWSKY 1965, 685-698. 12 Cfr., infra, cat. n. 26. 13 PASSARO et alii 1993,51-53. 138 Dalla stessa area provengono, inoltre, alcune evidenze relative all’assetto urbano della città in età romana; si tratta di tracce riferibili a un quartiere abitativo di I sec. d.C. e a impianti produttivi di età tardo-repubblicana, tra cui una probabile officina ceramica con vasche in opera incerta e pozzo in blocchi di tufo14. I segni precoci di una contrazione della vitalità dell’insediamento si colgono già a partire dal II sec. d.C. nelle aree periferiche e sull’acropoli della città dove è stata registrata una netta cesura tra la media età imperiale e l’alto medioevo, quando si registra una parziale rioccupazione dello spazio urbano con edifici costruiti con materiali di risulta15, mentre l’abbandono definitivo può essere ascrivibile a un periodo compreso tra il IV e V sec. d.C., probabilmente causato da eventi sismici o dalle generali condizioni di crisi che investono l’Impero; la popolazione si trasferisce sull’arce, sede dell’antica acropoli che viene circondata da una nuova cinta muraria, all’interno della quale, nel corso dell’VIII sec. viene edificata la cattedrale romanica16. 6.2. L’ager Sinuessanus La colonia romana di Sinuessa ubicata lungo un tratto della Via Appia, è stata fondata, insieme con la “gemella” Minturnae, nel 296 a.C., in posizione di controllo del bacino del Garigliano, punto di confine tra l’area campana e quella laziale, e dell’ager Falernus. La colonia è sorge a Sud del Rio San Limato, in una stretta fascia collocata tra il Monte Cicoli, estrema propaggine occidentale del Massico, e il mare, in corrispondenza dell’odierna località Perticale, nel comune di Sessa Aurunca, sul sito di un precedente insediamento chiamato Sinope, non ancora individuato17. Nei livelli sottostanti le fondazioni del versante meridionale della cinta muraria sono state rilevate tracce di un nucleo insediativo di età arcaica, costituito da un abitato aurunco e da un luogo di culto, la cui frequentazione probabilmente non perdura fino alla deduzione della 14 DI GIOVANNI 1991, 146-147; PASSARO et alii 1993, 53-54; RUFFO 2010, 138. Queste attestazioni si associano a quelle rappresentate dai principali edifici pubblici della città romana: l’anfiteatro di età tardo-repubblicana, a Sud dell’attuale via Casilina, a Sud di un’ipotetica porta urbica situata a N/E della linea di fortificazione (JOHANNOWSKY 1961, 266, nota 14); le terme centrali, presso il limite orientale del foro e l’edificio teatrale a Ovest del foro, edificato nel corso del II sec. a.C., epoca alla quale risale anche la costruzione delle terme settentrionali, nel settore N/O dell’antico abitato (JOHANNOWSKY 1961, 266, nota 15). 15 PASSARO 2009, 16. 16 PASSSARO 2004, 20; PASSARO 2009, 17-18. 17 Liv. X, 21; Plin., N.H., III, 59; CRIMACO 1993, 29; CRIMACO-GASPERETTI 1993 b, 23-29. 139 colonia, a differenza di quanto è documentato, invece, per Sessa Aurunca dove l’abitato aurunco sopravvive ancora per qualche tempo dopo la fondazione della colonia di Suessa nel 313 a.C.18 Della antica città, allo stato attuale della documentazione, restano da chiarire la forma, l’estensione e la struttura dell’originario impianto urbano19. L’insediamento sembra occupare un rettangolo di 520 m in senso E/O e di 300 m in senso N/S, per una superficie complessiva di 15,6 ettari, un’estensione decisamente superiore a quella delle altre coloniae maritimae note, determinata dalla necessità di un controllo strategico della strettoia tra il monte Cicoli e il 20 mare. Fig. 6.2. Sinuessa. Pianta della città e maglia della centuriazione (da RUFFO 2010). Il limite occidentale dell’insediamento è definito dall’ubicazione della necropoli rinvenuta presso le dune della costa, in prossimità del villaggio turistico Baiazzurra, a Ovest del segmento dell’Appia in uscita dalla città da Sud21; il limite orientale è invece definito dal ritrovamento, a Est dell’Appia, in prossimità della probabile area del foro, di un quartiere abitativo, orientato lungo una strada basolata; in particolare è stato rilevato, nel settore N/E dell’isolato, un incrocio tra una strada parallela all’Appia e un’altra a essa perpendicolare, che 18 TALAMO 1987, 12 ss.; CRIMACO-GASPERETTI 1993 b, 23; TALAMO 1993, 98; RUFFO 2010, 46. 19 DE CARO-MIELE 2001, 506; RUGGI D’ARAGONA-SAMPAOLO 2002, 149-150. 20 PAGANO 1990, 23-24. 21 PAGANO 1990, 25-26. 140 non sembrano prolungarsi oltre questo limite22. Indagini archeologiche recenti hanno consentito, inoltre, di acquisire nuovi dati utili per stabilire l’estensione della città presso il versante meridionale dove è stato rivenuto un altro tratto di strada che fiancheggia la linea di fortificazione23, al di sotto della quale sono stati rinvenuti resti riferibili a un altro nucleo insediativo aurunco, che si va quindi ad affiancare a quelli precedentemente individuati in località Ponte Ronaco e Panetelle, testimoniato da buche di palo e pavimenti in terra battuta24. Anche il territorio di afferenza della colonia, destinato in età romana soprattutto alla produzione del vino Falerno25 ha restituito evidenze significative per la ricostruzione delle modalità di occupazione e di sfruttamento dell’ager. Presso il complesso del pagus Sarclanus, localizzato lungo la Via Appia, presso Casale La Starza26, databile al II sec. a.C., sono venuti alla luce resti di un edificio di età romana con sale da banchetto e cella vinaria, che farebbero propendere per un’interpretazione del criptoportico non come centro amministrativo del pagus Sarclanus, ma come una villa rustica, appartenuta alla gens Papia, così come suggerito da un’iscrizione pavimentale rinvenuta all’interno del complesso27. Lungo tutta la fascia costiera tra Mondragone e Cellole, inoltre, sono stati individuati resti di strade e strutture riferibili a ville rustiche e marittime, dotate di grandi impianti produttivi destinati alla lavorazione dei prodotti agricoli, a testimonianza di un periodo di grande vivacità e floridezza economica che interessa questa zona a partire dal I sec. a.C., quando si assiste alla piena affermazione di piccole e medie proprietà rurali che utilizzano il lavoro di manodopera servile28. Analoga situazione si registra in località Acque Sulfuree -Casino di Transo, in prossimità degli impianti termali di Aquae Sinuessanae, dove sono stati portati alla luce i resti di un’ampia villa residenziale, dotata di un quartiere abitativo, di una pars rustica, di un impianto termale e di un grande giardino, disposti su terrazze digradanti verso il mare. La villa edificata tra la fine del II e gli inizi del I sec. a.C. viene probabilmente abbandonata già nel corso del II sec. d.C., quando si colgono i segni di una prima contrazione economica che interessa in questo periodo molte 22 CRIMACO-GASPERETTI 1993 b, 23-29; DE CARO-MIELE 2001, 507. 23 CRIMACO-GASPERETTI 1993 b, 23-24; DE CARO-MIELE 2001, 508. 24 CRIMACO-GASPERETTI 1993 b, 23; DE CARO-MIELE 2001, 508. 25 GUADAGNO 1987, 17-58; ARTHUR 1991 a; ARTHUR 1991 b, 153-159. 26 DE CARO-GRECO 1981, 228; DE CARO-MIELE 2001, 508. 27 GUADAGNO 1987, 46; PROIETTI 1993, 75-76, nota 10; DE CARO-MIELE 2001, 508; RUGGI D’ARAGONASAMPAOLO 2002, 153-154, nota 21; RUFFO 2010, 73. 28 PROIETTI 1993, 71-76; DE CARO-MIELE 2001, 510. 141 aree della regione29. Successivamente, in età tardo-antica, forse a causa di fenomeni di impaludamento e di subsidenza si verifica il definitivo abbandono dell’area costiera e la formazione di nuovi insediamenti sulla sommità delle alture circostanti30. 6.3. I luoghi di culto del territorio ausone/aurunco: tipologia e distribuzione territoriale La distribuzione dei luoghi di culto del territorio ausone/aurunco sembra riflettere un tipo di organizzazione territoriale su base gerarchica e una forma censitoria di partecipazione al culto, con modalità e linguaggi differenti propri delle diverse componenti etniche presenti nel territorio31. Per l’antica città di Cales, le più antiche strutture sacre stabili risalgono all’età del Ferro e attualmente si ritiene che l’insediamento si sia strutturato in forme urbane già alla fine del VII sec. a.C., in netto anticipo rispetto alle altre comunità della Campania settentrionale, probabilmente grazie a un precoce processo di “acculturazione” di chiara matrice etrusca che sembra abbia investito le aristocrazie locali in contatto con Capua e con il territorio a essa afferente32. Dell’antica città di Cales sono stati riconosciuti con certezza quattordici santuari e aree sacre, di cui quattro situati all’interno dell’area urbana e gli altri in posizione periurbana, quasi sempre in corrispondenza delle porte urbiche o lungo i margini del pianoro su cui si estendeva l’abitato, e in posizione extraurbana, presso i rilievi montuosi che sovrastano l’insediamento sui lati nord ed est, come il santuario presso il Monte Grande, che restituisce le più antiche fasi di vita e di frequentazione dell’insediamento aurunco. La presenza di edifici sacri all’interno del perimetro urbano, nella zona settentrionale della città, presso l’antica arce (cat. n. 25), sembra poter essere suggerita dal ritrovamento di un’iscrizione, databile all’inizio dell’età imperiale e rinvenuta presso l’edificio settecentesco del Seminario, che ricorda l’esistenza di tre templi, dedicati a Giunone Lucina, Giano e Mater Matuta33. Non è possibile stabilire con esattezza l’ubicazione di questi edifici, nonostante il recente ritrovamento presso il lato orientale dell’edificio del seminario, di alcune fondazioni in 29 CRIMACO-GASPERETTI 1993 c, 26. 30 DE CARO-MIELE 2001, 512. 31 CHIESA 2010, 38-39. 32 CERCHIAI 1995, 174-176. 33 CIL X2, 4660. 142 blocchi squadrati di tufo, attribuite a una struttura templare34. Sempre a un edificio pubblico potrebbero essere riferite, inoltre, le numerose colonne rinvenute nell’Ottocento presso il Vescovado35, analoghe a quelle presenti nella cripta della cattedrale, suggerendo così l’ipotesi che quest’ultima potrebbe essere stata costruita su un precedente tempio di età romana36. Il carattere sacro dell’area posta presso il limite sud-orientale del pianoro su cui sorge l’antica città, a Sud dell’anfiteatro (cat. n. 26), era stato già evidenziato dal ritrovamento, quasi fortuito, di un deposito votivo non meglio definito, che ha restituito una cospicua quantità di ceramica miniaturistica e di statuette fittili raffiguranti bambini in fasce, kourotrophoi e immagini di infanti su lamine di bronzo37. Nel 1993 nella stessa area, in occasione di uno scavo di emergenza effettuato per la realizzazione della terza corsia dell’Autostrada del Sole, è stata portata alla luce parte di un complesso monumentale nel quale sono stati riconosciuti livelli relativi alle diverse fasi di vita dell’antico abitato38. All’estremità orientale del complesso è stato rinvenuto un ambiente rettangolare, impiantato direttamente sui resti dell’antico abitato aurunco di VI sec. a.C., interpretato come un edificio di carattere sacro, datato alla seconda metà del IV sec. a.C. Non è stato possibile definirlo in maniera approfondita per la limitatezza dell’estensione dello scavo e per le distruzioni a cui la struttura è stata soggetta già nel III sec. a.C., durante le guerre annibaliche, quando si impianteranno strutture di carattere abitativo. Si tratta di un ambiente rettangolare, largo 5 m, delimitato da due muri paralleli in senso N/E e S/O, realizzati in blocchi regolari di tufo grigio trachitico. All’interno e all’esterno dell’area sono stati rinvenuti pozzi votivi svuotati e una serie di favissae, scavate direttamente nel bancone tufaceo, che hanno restituito una grande quantità di ceramica miniaturistica a vernice nera. Presso l’area del foro, inoltre, la presenza di un’area sacra è indiziata dal rinvenimento a Sud delle terme centrali (cat. n. 28) di statuette fittili e ceramica miniaturistica a vernice nera, soprattutto coppette, riconducibili a tipologie genericamente databili a età ellenistica39. In località San Pietro (cat. n. 27), è stato individuato un importante complesso votivo ubicato nel settore a Nord del teatro romano, in corrispondenza della porta nord-orientale, lungo il tratto della Via Latina, proveniente da Teano40. Una prima superficiale indagine di scavo 34 FEMIANO 1990, 78; PASSARO 2009, 159. 35 ASSAN, VI, D1, 2.1. 36 JOHANNOWSKY 1961, 259. 37 FEMIANO 1990, 78. 38 PASSARO 1993 et alii, 49-54; PASSARO 2009, 140. 39 FEMIANO 1990, 79; PASSARO 2009, 143. 40 JOHANNOWSKY 1961; COMELLA 1981, 296; DE CARO-GRECO 1981, 243. 143 realizzata alla fine degli anni Trenta dello scorso secolo, lungo il corso dell’attuale Rio Pezza Secca, in prossimità della casa colonica ancora esistente, ha portato alla luce numerosi ex voto, costituiti soprattutto da statuette e vasetti miniaturistici41. Successivamente, durante una sistematica campagna di scavo, condotta solo agli inizi degli anni Sessanta, è stato recuperato un primo deposito votivo solo in parte esplorato, contenente numeroso materiale votivo, ancora una volta rappresentato da statuette fittili e ceramica miniaturistica. Le statuette sono, nella maggioranza dei casi, riconducibili a due tipi principali: figure maschili con caratteri stilistici di tipo italico e figure femminili di stile ionizzante, databili alla prima metà del V sec. a.C.; sia le figure maschili che quelle femminili recano sul capo un alto polos e sono caratterizzate da tratti del volto schematici e sommari, con la forma degli occhi allungata e le arcate sopracciliari molto pronunciate, interpretabili come prodotti di imitazione ispirati a modelli tardo arcaici42. Tra i miniaturistici, la forma numericamente preponderante è rappresentata dallo stamnos dal caratteristico impasto rossiccio. Un secondo deposito votivo, che ha restituito esclusivamente miniaturistici, è stato intercettato alla fine degli anni Ottanta durante lavori di sbancamento in prossimità del tempio di età romana43. Al VI sec. a.C., seppure in assenza di evidenze monumentali, viene fatta risalire la costruzione di un edificio di culto, sulla base del ritrovamento di un capitello in tufo grigio di ordine dorico e di un’antefissa in terracotta a testa femminile affiancata da volute e fiori di loto, simile a esemplari coevi attestati a Capua, Cuma44 e nel santuario di Fondo Ruozzo a Teano45. La frequentazione dell’area sacra si prolunga fino a età romana quando viene innalzato, in prossimità dell’area dei depositi votivi, a circa 100 m di distanza in direzione est, un tempio prostilo esastilo, di ordine corinzio, a cella unica e su alto podio, di cui restano parte delle fondazioni e del pavimento della cella46, che per la tecnica costruttiva utilizzata in opera laterizia, può essere datato alla metà del I sec. d.C.47 L’edificio potrebbe aver avuto una fase più antica, risalente alla prima età ellenistica, ipotizzabile sulla base del ritrovamento nelle vicinanze di alcune terrecotte architettoniche databili non oltre il IV sec. a.C.48 41 PASSARO 2009, 139, 160, nt. 10: dalla relazione di scavo (ASSAN, C1/23) si evince che i materiali furono individuati a una quota superficiale e che il deposito votivo si esauriva a circa 0,80 m dal piano di campagna. 42 JOHANNOWSKY 1961, fig. 12. 43 FEMIANO 1990, 43-46; PASSARO 2004. 44 KOCH 1912, tav. 22, fig. 5; JOHANNOWSKY 1961, fig. 13. 45 MOREL 1991, 14; RESCIGNO 1998, 336. 46 JOHANNOWSKY 1961, 263. 47 CIAGHI 1993, 284. 48 JOHANNOWSKY 1961, 263. La relazione di scavo (ASSAN C1/37) menziona però un altro complesso, non meglio identificato, né ulteriormente indagato, che si appoggiava alla parte posteriore del tempio: PASSARO 2009, 160, nota 13. 144 Il santuario in località Ponte delle Monache (cat. n. 31) è stato individuato nel settore sud-orientale della città, in corrispondenza di una porta urbica e all’incrocio di due strade principali, l’una verso l’ager Falernus e la costa, l’altra verso Capua, e alla confluenza di due corsi d’acqua, il Rio Pezza Secca e il Rio dei Lanzi. L’area sacra è stata identificata per la prima volta nell’Ottocento49, quando viene scoperto un grande deposito votivo che ha restituito centinaia di ex voto in terracotta, in parte acquistati dal Museo Archeologico di Madrid50. Le tipologie di materiale rinvenute in quest’occasione sono molto varie ed eterogenee: statue a grandezza naturale, busti, teste, “mezze teste” maschili e femminili, maschere, statuette di offerenti, bambini in fasce, votivi anatomici e piccoli animali, qualche esemplare di kourotrophos, alcune riproduzioni di frutti e di offerte alimentari51. Le indagini nella zona sono proseguite, in maniera piuttosto discontinua, anche nei primi decenni del Novecento: al 1905 risale la notizia del ritrovamento di due teste votive, una maschile, l’altra femminile, in terracotta52. Lo scavo viene successivamente ripreso nel 1938, quando vengono aperte, in località cd. Area Astricata, alcune trincee finalizzate alla verifica dell’esistenza in loco di una fornace53. In quest’occasione sono stati recuperati numerosi ex voto, alcuni blocchi di tufo, probabilmente pertinenti al principale edificio di culto e un pozzo quadrangolare54. Scavi condotti in anni recenti, agli inizi degli anni Novanta, hanno messo in luce una serie di evidenze monumentali che i materiali recuperati (ceramica a vernice nera, ceramica comune, ceramica miniaturistica, votivi anatomici) consentono di datare in un periodo compreso tra il IV e il II sec. a.C.55 Si tratta di un ambiente chiuso su tre lati da muri costituiti da un filare di blocchi rettangolari, più o meno regolari, in tufo giallo, all’interno del quale è stato rinvenuto un pozzo, probabilmente votivo, dal diametro di 1,40 m e con la bocca circondata da una struttura di protezione in blocchetti di tufo. L’ambiente sembra essere circondato all’esterno da una sorta di recinto, di cui sono stati rinvenuti due tratti perpendicolari, costituito da due file di grossi blocchi rettangolari in tufo grigio disposti su due file, le cui fondazioni sono state ricavate nel bancone tufaceo naturale. 49 NOVI 1861; RUGGIERO 1888, 272-274; CIAGHI 1993, 19-23. 50 BLÀZQUEZ 1961; BLÀZQUEZ 1963; BLÀZQUEZ 1968-69. 51 BLÀZQUEZ 1968-69, figg. 12-13. 52 ASSAN, C1, 23; PASSARO 2009, 145, 161, nota 35. 53 ASSAN, V, B6 e ASSAN C1, 23. 54 PASSARO 1993, 54-56. 55 PASSARO 1993, 54-57; PASSARO 2009, 145. 145 Lo studio dei reperti ha suggerito la datazione della vita del santuario gli ultimi decenni del V sec. a.C. e la guerra sociale56. Si tratta di un periodo molto complesso per l’assetto socio- politico della Campania settentrionale, quando si comincia ad assistere a un progressivo indebolimento della compagine etrusca in seguito alla sconfitta nelle acque di Cuma del 474 a.C. e alla pressione delle popolazioni sannitiche, attratte dalla fertile pianura capuana. La distruzione del santuario sembra da collocarsi, nel corso del I sec. a.C., in relazione ai disordini della guerra sociale e ai nuovi equilibri da essa scaturiti57. Le statuette rinvenute potrebbero suggerire la divinità o le divinità titolari del culto. Sono presenti, infatti, tra i votivi, numerose raffigurazioni di Ercole, Atena, Marte e Venere, mentre le offerenti con volatili e focacce potrebbero rimandare ad Artemide o una figura femminile a essa affine, sulla base di un’antefissa con una Potnia Theron affiancata da felini, che viene indicata come genericamente proveniente da Cales58. Accanto alle divinità olimpiche dovevano anche esistere divinità locali non ipostatizzate come le figure che scendono da un cinghiale in corsa59; mentre non è da trascurare è il rinvenimento di un’iscrizione presente su una cista contenuta in una mano fittile, rinvenuta nel 1863 durante gli scavi del Marchese Salamanca nel fondo di Marco Zona, che menziona chiaramente un dono sacro al dio Apollo60; inoltre, durante le più recenti campagne di scavo sono stati recuperati degli ex voto in terracotta del tutto peculiari, particolari e originali nell’ambito della produzione coroplastica campana. Si tratta di una serie di teste femminili a tutto tondo dai tratti del volto molto spigolosi e caratterizzati da un forte effetto chiaroscurale. Recano sul capo un cercine traforato chiuso al centro della fronte da un nodo e indossano orecchini a forma di testa di gorgone. La singolarità di questo tipo di rappresentazione, tuttora un unicum, ha fatto ipotizzare di essere in presenza di ex voto ispirati a una statua di culto, forse di una divinità aurunca che doveva essere venerata nelle fasi più antiche della vita del santuario61. In località Capitolo, presso il limite orientale del pianoro su cui sorge l’antica Cales, in anni recenti è stato rinvenuto uno scarico votivo (cat. n. 29) che ha restituito in massima parte fondi di coppe a vernice nera, databili tra III e II sec. a.C., recanti al centro bolli con simboli 56 CIAGHI 1993, 269 e 281. 57 CIAGHI 1993, 281. 58 CARAFA 2008, 63; PASSARO 2009, 145. 59 CIAGHI 1993, 211, fig. 141. 60 CIL X2, 4632; ASSAN, III, D1, 39; PASSARO 2009, 145-146, 162, nota 43. 61 CARAFA 2008, 64. 146 riconducibili alla figura di Ercole62 (clava, freccia, o entrambi contemporaneamente, talvolta in associazione con la lettera H stampigliata o sovraddipinta). Questi materiali si inquadrano pienamente nell’ambito della produzione ceramica calena a vernice nera e sono assimilabili, in maniera particolare, ai prodotti dell’officina di L. Canoleio Caleno, spesso decorati con la scena dell’apoteosi di Eracle con le quattro quadrighe, insieme con Atena, Ares e Dioniso63. La notevole preponderanza di fondi di coppe con gli attributi di Eracle rende plausibile la localizzazione in quest’area di un luogo di culto dedicato al dio64. In località Loreto, presso Rocchette a Croce agli inizi degli anni Sessanta dello scorso secolo è stato scoperto, durante la realizzazione di interventi di bonifica promossi dal Consorzio Idrico di Terra di Lavoro, un deposito votivo (cat. n. 33), dei cui materiali è stato redatto un elenco al momento della scoperta (un piede, una testa femminile, una statuetta di Eros, insieme ad altre terrecotte votive poi trafugate e disperse)65. Successive ricognizioni di superficie hanno consentito il recupero di frammenti di ceramica a vernice nera e di ceramica comune, pertinenti a tipologie databili tra IV e II sec. a.C., sebbene alcuni frammenti di impasto, riferibili alla classe del cd. bucchero rosso, rinvenuti nella stessa zona, potrebbero suggerire una datazione più alta per l’inizio della frequentazione dell’area sacra66 sul cui sito oggi sorge un culto alla Madonna di Loreto, venerata presso una piccola cappella in prossimità di una sorgente che alimenta l’acquedotto moderno67. L’area sacra in località Monte Grande (cat. n. 34), fatta oggetto di indagini sistematiche a partire dalla metà degli anni 2000, è ubicata lungo il margine sud-occidentale del pianoro su cui sorge l’antica Cales, in posizione dominante sulla pianura attraversata dal fiume Savone e dall’attuale via Casilina. Qui sono stati riportati alla luce numerosi depositi votivi, fosse o pozzi, riferibili alle diverse fasi di vita del santuario68. Alla fase più antica, databile ancora nel corso dell’VIII sec. a.C., sono riconducibili due pozzetti che hanno restituito frammenti di ceramica d’impasto, fuseruole e frammenti di macine in trachite. Alla fase successiva, ascrivibile a un periodo compreso tra la fine del VI e gli inizi del V sec. a.C., appartengono i materiali recuperati 62 PEDRONI 1986, 378; FEMIANO 1990, 79; PEDRONI 1990, 161-162; PEDRONI 2001, 207-226; PASSARO 2009, 144. 63 FALCONI AMORELLI 1965, 130-132, nota 2. Dall’area proviene, inoltre, un’ara marmorea, probabilmente databile a età augustea e ora conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, con zoccolo decorato da conchiglie e le quattro facce da festoni che inquadrano un bucranio, una testa di cervo e una sfinge alata: ASSAN, C1, 5. 64 Coppe a vernice nera decorate con attributi erculei sono presenti anche nel santuario di Fondo Ruozzo a Teano: MOREL 1989-90, 558. 65 ASSAN, C1, 23; ASSAN, RI-18: PASSARO 2009, 156, 164, nota 71. 66 COMPATANGELO 1985, 21-22. 67 PASSARO 2009, 157. 68 PASSARO-SVANERA 2006, 227-243; PASSARO 2009, 154. 147 in un pozzo foderato di tegole: si tratta di numerose figure in terracotta o in bronzo, sia maschili che femminili, dal caratteristico copricapo conico (una sorta di tutulus) o con la punta ripiegata in avanti, e di stamnoi miniaturistici del tutto analoghi a quelli rinvenuti negli altri depositi votivi della città. Tra il materiale votivo più antico va, inoltre, segnalata la presenza di alcuni bronzetti figurati, rapportabili stilisticamente a quelli attestati in area umbro-sabellica. Il santuario vive sicuramente fino al III-II sec. a.C., come sembra suggerire la presenza di ceramica miniaturistica acroma associata a ceramica a vernice nera e di numerosi votivi anatomici. Non sono state rinvenute nell’area evidenze monumentali a eccezione di due vasche rivestite di malta idraulica di età medievale legate allo sfruttamento delle sorgenti che sgorgano sul pianoro. Questa caratteristica naturale e il ritrovamento di numerosi vasetti miniaturistici hanno fatto ipotizzare che nel luogo si venerasse una divinità legata al culto delle acque. In località Casariglia, all’esterno del perimetro urbano dell’antica Cales, lungo le principali direttrici viarie che collegavano la città a Capua, negli anni Settanta dello scorso secolo, sono stati riconosciuti, in maniera fortuita, nel corso di lavori agricoli, materiali riconducibili con certezza a un complesso di carattere sacro (cat. n. 30): tratti di muro in blocchi di tufo, tegole, blocchi di calcare e due pozzi in tufo69. A queste strutture vanno, con ogni probabilità, riferiti materiali recuperati nella stessa area, ancora una volta in occasione di lavori agricoli: ceramica miniaturistica, soprattutto stamnoi, simili a quelli rinvenuti nei santuari urbani di epoca arcaica, statuette fittili di offerenti e aes rude. Le evidenze archeologiche e materiali suggeriscono, dunque, l’esistenza di un complesso sacro che ripropone un modello piuttosto frequente nel territorio caleno, l’associazione di un edificio e di pozzi per la captazione delle acque, come quello individuato in località Circolo. Il santuario in località Cucetrone (cat. n. 32) sorge, in posizione periurbana, a N/O dell’antico abitato, presso il valico di Torricelle che segnava il confine tra il territorio di Cales e quello di Teano70. Le indagini archeologiche promosse alla metà degli anni Novanta dall’allora Soprintendenza di Napoli e Caserta hanno portato alla individuazione di strutture riferibili a un edificio monumentale in opera quadrata di tufo, di cui è stato messo in luce un ampio corridoio, affiancato da due muri in blocchi di tufo messi in opera a secco, pavimentato con lastre di tufo, disposte su tre file e intervallate da quattro incassi a sezione quadrata destinati all’alloggiamento di pilastri. Nell’area sono stati rinvenuti elementi decorativi pertinenti all’alzato, tra cui 69 FEMIANO 1990, 83; PASSARO 2009, 144. 70 PASSARO 1996 a, 27-31; PASSARO 2009, 158. 148 frammenti di cornici e foglie relativi a un tipo di decorazione di ordine corinzio, e lastre fittili con decorazione fitomorfa o zoomorfa. La destinazione sacrale dell’edificio sembra essere suffragata dalla notizia del ritrovamento, a poca distanza dalla struttura individuata, di una stipe votiva. In quest’area, proprio nel punto esatto di confine tra i territori di Cales e Teano, inoltre, le fonti letterarie ricordano la presenza di un luogo di culto dedicato alla dea Fortuna lungo la Via Latina71, la cui esistenza potrebbe essere confermata dal ritrovamento da un’iscrizione con dedica alla dea72. Nel comune di Pastorano, infine, in località Nunziatella, situata a una distanza intermedia tra Calvi Risorta e Capua è stata individuata un’area sacra (cat. n. 35) costituita da edificio a pianta rettangolare e da numerosi materiali votivi rappresentati da ceramica a vernice nera e statuette votive, riconducibili a tipi di III sec. a.C.73, mentre un altro luogo di culto è da localizzarsi in località Croce di Casale (cat. n. 36), sulla base di una notizia relativa al ritrovamento di ex voto anatomici74. Il territorio ausone/aurunco è inoltre costellato da una serie di luoghi di culto ubicati principalmente nell’ampia fascia costiera tra Mondragone e Minturno, corrispondente alla valle delimitata a Sud dal corso del Savone e a Nord dal Garigliano. Con l’eccezione del santuario della dea Marica alla foci del Garigliano e quello in località Panetelle presso Mondragone, la maggior parte delle testimonianze, è riferibile all’età medio e tardo repubblicana. Si tratta di una serie di depositi votivi rinvenuti, lungo il litorale di Mondragone, spesso in maniera fortuita, nel corso di lavori pubblici, noti da scarne notizie e in alcuni casi trafugati e dispersi (cat. nn. 39-40; 42). Meglio documentato è il santuario in località Panetelle presso Mondragone (cat. n. 41), situato lungo la riva destra del Savone, confine naturale del territorio di diretta afferenza della città di Cales75. Le tracce di una prima frequentazione sacra risalgono all’età del ferro76, ma una vera è propria monumentalizzazione dell’area si verifica molto tardi, nel II sec. a.C., quando viene costruito un tempio di tipo italico con pronao e cella divisa da muri trasversali77. Tra i 71 Strab., V, 4, 11. 72 CIL X, 4633. L’iscrizione era conservata presso la dimora di Annibale Ranucci a Sparanise e ritenuta proveniente da Cales: PASSARO 2009, 164, nota 79. 73 PASSARO 1996 b, 48-51. 74 JOHANNOWSKY 1975, 29; CARAFA 2008, 114; RUFFO 2010, 83. 75 DE CARO-GRECO 1981, 228; CERCHIAI 1995, 173-174. 76 TALAMO 1987, 159. 77 CARAFA 2008, 113. 149 materiali rinvenuti numerose sono le armi in bronzo o in ferro che hanno fatto ipotizzare la dedica del santuario a una divinità armata, sia maschile che femminile, protettrice dei confini o a una divinità legata a riti di passaggio o di iniziazione78. Il santuario dedicato alla ninfa Marica alla foce del Garigliano (cat. n. 38) sorge in un ambiente particolarmente acquitrinoso e paludoso che sarebbe stato all’origine della etimologia del nome stessa della dea che deriverebbe dalla radice indoeuropea *mari/*mori (acqua salmastra, di palude)79. Durante gli scavi condotti tra gli anni Venti e Trenta dello scorso secolo sono stati riportati alla luce un tempio e una serie di depositi votivi80. I materiali più antichi attestano una prima frequentazione dell’area sacra tra il IX e il VII sec. a.C.81 Un primo edificio templare sarebbe stato costruito tra la fine del VII e gli inizi del VI sec. a.C., sulla base delle terrecotte architettoniche rinvenute e che hanno permesso di restituire un tempio con frontone aperto a placche fittili con gorgoni in corsa infisse nelle testate del columen e con i lati lunghi decorati con un’alternanza di antefisse a palmetta e a testa femminile di tipo dedalico82. Già nella seconda metà dello stesso secolo, sempre in base alle terrecotte architettoniche rinvenute, il tempio sarebbe stato ricostruito e ridecorato. In questa fase le placche vengono eliminate mentre il motivo iconografico della gorgone viene conservato nelle antefisse collocate nella falda interna del frontone e i lati lunghi vengono decorati con antefisse a testa femminile entro nimbo83. In questa fase il tempio è stato ricostruito con periptero a cella unica centrale simile ai coevi edifici di area etrusca e laziale, come quelli di Pyrgi o di Satricum84. Pochi altri frammenti di decorazione architettonica lasciano ipotizzare un rifacimento della decorazione nel V sec. a.C. e in età ellenistica, prima della ricostruzione in epoca tardo imperiale e l’inserimento dei culti di Iside e Serapide. La fondazione della colonia latina di Minturnae non sembra aver inciso sugli edifici del santuario ma i materiali restituiti dai depositi votivi di questo periodo presentano un legame più diretto con le coeve produzioni laziali85. I materiali dei depositi non sembrano andare oltre il II sec. a.C., ma il santuario probabilmente sopravvive fino alla fine dell’età repubblicana, quando 78 DE POLIGNAC 1991, 51, 55-56, 69-87; CARDOSA 2002, 99-103. 79 ANDREANI 2003, 188. Sulle caratteristiche del culto della ninfa: CERCHIAI 1995, 25 e 158; CERCHIAI 1999 b, 235 241. 80 MINGAZZINI 1938. 81 GUIDI 1980, 149; TALAMO 1987, 162. 82 RESCIGNO 1993, 106-108. 83 RESCIGNO 1993, 103-105. 84 LAFORGIA 1992, 69-76; CARAFA 2008, 111. 85 COARELLI 1982, 180. 150 sarebbe stato visitato da Mario che, nel tentativo di sfuggire ai sicari di Silla, scampato all’uccisione, avrebbe poi consacrato alla dea un quadro con la rappresentazione dell’agguato86. Un dato particolare da sottolineare è che numerosi reperti rinvenuti nei depositi votivi mostrano influenze laziali, mentre le decorazioni architettoniche di età arcaica si ispirano alle produzioni capuane e cumane contemporanee, suggerendo così l’ipotesi dell’esistenza di maestranze specializzate esterne che operavano direttamente all’interno del santuario87. Tale circostanza presupporrebbe che il santuario non fosse legato a una città in particolare ma che fosse gestito da un’autorità centrale che curava i rapporti con le comunità esterne88. Tutte queste testimonianze e la posizione alla foce del fiume che segna il confine tra il territorio aurunco e l’area laziale vera e proprio indurebbero a considerare il santuario con una funzione prettamente portuale ed emporica, luogo di incontro e scambio, aperto alle diverse etnie89. 86 Plut., Mar., 37-40. 87 COARELLI 1982, 389. 88 CARAFA 2008, 112. Schol. ad Aug. C.D. II, 23. Plut., Mar., 38. Ciò parrebbe trasparire dal racconto di una fonte tarda circa la statua di culto che proverrebbe da Cuma, dove sarebbe stata trafugata o dal passo di Plutarco in cui si fa menzione di un santuario dedicato ad Afrodite Pontia, segnalato da un’iscrizione in greco. 89 TORELLI 1981, 147-152; CORELLI 1982, 379. 151 6.4. I luoghi di culto -Catalogo Numero di catalogo: 25 Centro di riferimento: Cales. Scheda sito n.: 1 Localizzazione: area sacra dell’Arce, in località Calvi Vecchia, all’interno del perimetro urbano, nella zona settentrionale della città. Contesto geomorfologico: pianoro. Ubicazione geografica: comune di Calvi Risorta -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 IV S/E (Pignataro Maggiore). Coordinate UTM: 33T 42774436 E -456172782 N Quota: 91 s.l.m. Distanza: 0 Posizione rispetto al centro: urbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: lacerti di fondazione in blocchi di tufo rinvenuti presso il lato orientale dell’edificio del Seminario, attribuiti a un tempio; colonne rinvenute nell’Ottocento presso il Vescovado e all’interno della cripta della Cattedrale che hanno suggerito l’ipotesi che quest’ultima sia stata costruita su un precedente tempio di età romana; un’iscrizione, databile all’inizio dell’età imperiale e rinvenuta presso l’edificio settecentesco del seminario, ricorda l’esistenza di tre templi, dedicati a Giunone Lucina, Giano e Mater Matuta. Materiali votivi: ceramica miniaturistica; terrecotte figurate di offerenti sia di sesso maschile che femminile, anatomici votivi. Divinità titolari: Datazione: III-II sec. a.C.-II sec. d.C. (?) Note: Bibliografia: CIL X2, 4660: JOHANNOWSKY 1961, 259; FEMIANO 1990, 78; PASSARO 2009, 159. Fig. 6.3. Ubicazione dell’area sacra dell’arce (rielaborazione da JOHAHHOWSKY 1961). 152 Numero di catalogo: 26 Centro di riferimento: Cales. Scheda sito n.: 2 Localizzazione: area sacra in località Circolo, a Sud dell’anfiteatro, presso il limite sud-orientale della città. Contesto geomorfologico: pianoro. Ubicazione geografica: comune di Calvi Risorta -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 IV S/E (Pignataro Maggiore). Coordinate UTM: 33T 42765724 E -456135894 N. Quota: 80 s.l.m. Distanza: 464,2 Posizione rispetto al centro: urbana. Descrizione: nel 1993 in occasione di uno scavo di emergenza effettuato per la realizzazione della terza corsia dell’Autostrada del Sole, è stata portata alla luce parte di un complesso monumentale, nel quale sono stati riconosciuti diversi livelli relativi alle diverse fasi di vita dell’antico abitato; all’estremità orientale di tale complesso è stato rinvenuto un ambiente rettangolare, largo 5 m, delimitato da due muri paralleli in senso N/E e S/O, impiantato direttamente sui livelli di obliterazione di una capanna dell’abitato aurunco di VI sec. a.C., interpretato come un edificio di carattere sacro, datato alla seconda metà del IV sec. a.C. Pochi metri a Sud è stato individuato un altro muro, con orientamento E/O, parallelo al muro di fondo dell’ambiente rettangolare e riferibile allo stresso complesso, all’interno e all’esterno del quale sono stati anche individuati pozzi votivi svuotati e una serie di favissae, scavate direttamente nel bancone tufaceo, che hanno restituito una grande quantità di ceramica miniaturistica a vernice nera. Evidenze archeologiche: le strutture indagate si conservano solo a livello delle fondazioni. Materiali e tecniche costruttive: l’edificio sacro è realizzato in opera quadrata in blocchi di tufo grigio rachitico disposti di testa. Materiali votivi: dai depositi individuati durante le indagini di scavo degli anni Novanta è stata recuperata ceramica a vernice nera in versione miniaturistica, a cui si associano i materiali, rinvenuti precedentemente in seguito a una ricognizione superficiale, costituiti da una cospicua quantità di ceramica miniaturistica e di statuette fittili raffiguranti bambini in fasce, kourotrophoi e immagini di infanti su lamine di bronzo. Divinità titolari: Datazione: prima metà IV-III sec. a.C. Note: non è stato possibile definirlo in maniera approfondita per la limitatezza dell’estensione dello scavo e per le distruzioni a cui la struttura è stata soggetta già nel III sec. a.C., durante le guerre annibaliche, quando si impianteranno strutture di carattere abitativo. Bibliografia: FEMIANO 1990, 78; PASSARO et alii 1993 , 49-54; GASPERETTI et alii 1999, 148-149; DE CARO-MIELE 2001, 543-544; PASSARO 2004, 33; PASSARO 2009, 140. Fig. 6.4. Area sacra in località Circolo (da PASSARO et alii 1993). 153 Numero di catalogo: 27 Centro di riferimento: Cales. Scheda sito n.: 3 Localizzazione: area sacra in località San Pietro, situata a Nord del teatro romano, in prossimità della linea di fortificazione nord-occidentale, immediatamente a Sud della porta urbica attraversata dalla Via Latina in direzione di Teano. Ubicazione geografica: comune di Calvi Risorta -provincia di Caserta. Contesto geomorfologico: pianoro. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 IV S/E (Pignataro Maggiore). Coordinate UTM: 33T 42723038 E -456144117 N. Quota: 77 s.l.m. Distanza: 623,7. Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: dell’area sacra sono stati individuati due depositi votivi e a una distanza di 100 m a Est di questi ultimi un tempio prostilo esastilo, di ordine corinzio, a cella unica e su alto podio (31,20×16,20 m), orientato S/E-N/O. Evidenze archeologiche: si conservano parte delle fondazioni e del pavimento della cella del tempio della prima età imperiale. Materiali e tecniche costruttive: al VI sec. a.C. viene fatta risalire la costruzione di un edificio di culto, sulla base del ritrovamento di un capitello in tufo grigio di ordine dorico e di un’antefissa in terracotta a testa femminile affiancata da volute e fiori di loto; il tempio della metà del I sec. d.C. è realizzato in opera laterizia. Materiali votivi: i due depositi votivi hanno restituito una cospicua quantità di ceramica miniaturistica, attestata soprattutto nella forma dello stamnos dal caratteristico impasto rossiccio, statuette fittili riconducibili a due tipi principali: figure maschili con caratteri stilistici di tipo italico e figure femminili di stile ionizzante, databili alla prima metà del V sec. a.C.; sia le figure maschili che quelle femminili recano sul capo un alto polos e sono caratterizzate da tratti del volto schematici e sommari, con la forma degli occhi allungata e le arcate sopracciliari molto pronunciate e riconducibili a prodotti di imitazione ispirati a modelli tardo arcaici; frammenti di armi. Divinità titolari: Datazione: VI-IV sec. a.C.; I sec. d.C. Note: non si conoscono le caratteristiche strutturali dei depositi votivi solo parzialmente esplorati o scavati in condizioni di emergenza. Del tempio di I sec. a.C. è stata, inoltre, supposta una fase più antica, risalente alla prima età ellenistica, sulla base del ritrovamento nelle vicinanze di alcune terrecotte architettoniche databili non oltre il IV sec. a.C. Bibliografia: JOHANNOWSKY 1961, 263; COMELLA 1981, 752; JOHANNOWSKY 1983, 213; FEMIANO 1990, 44-46; GASPERETTI et alii 1999, 149; PASSARO 2004, 31; CARAFA 2008, 61-62; PASSARO 2009, 139-140, nn. 15-16; CHIESA 2010, 39; RUFFO 2010, 137. Fig. 6.5. Materiali votivi dall’area sacra in località San Pietro (da CARAFA 2008). 154 Numero di catalogo: 28 Centro di riferimento: Cales. Scheda sito n.: 4 Localizzazione: area sacra a Sud delle terme centrali, nell’area del Foro. Contesto geomorfologico: pianoro. Ubicazione geografica: comune di Calvi Risorta -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 IV S/E (Pignataro Maggiore). Coordinate UTM: 33T 42736150 E -456119010 N. Quota: 81 s.l.m. Distanza: 694. Posizione rispetto al centro: urbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: statuette di figure femminili panneggiate e coppette a vernice nera di dimensioni miniaturistiche. Divinità titolari: Datazione: età ellenistica. Note: il carattere sacro dell’area in prossimità delle terme centrali è ipotizzata solo sulla base del rinvenimento sporadico dei materiali votivi sopra elencati, durante lavori agricoli. Bibliografia: FEMIANO 1990, 79; PASSARO 2009, 143. Fig. 6.6. Ubicazione dell’area sacra presso le terme centrali (rielaborazione da JOHANNOWSKY 1961). 155 Numero di catalogo: 29 Centro di riferimento: Cales. Scheda sito n.: 5 Localizzazione: area sacra in Località Capitolo, presso il limite orientale della città antica. Contesto geomorfologico: pianoro; in prossimità della linea di fortificazione. Ubicazione geografica: comune di Calvi Risorta -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 IV S/E (Pignataro Maggiore). Coordinate UTM: 33T 42721985 E -456073516 N. Quota: 73 s.l.m. Distanza: 1163,3. Posizione rispetto al centro: urbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: scarico votivo che ha restituito quasi esclusivamente fondi di coppe a vernice nera decorati con bolli con simboli riconducibili alla figura di Ercole (clava, freccia, o entrambi contemporaneamente, talvolta in associazione con la lettera H stampigliata o sovraddipinta). Divinità titolari: Eracle (?) Datazione: III-II sec. a.C. Note: dalla stessa area proviene un’ara marmorea, probabilmente databile ad età augustea, ora conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. L’ara presenta zoccolo decorato da conchiglie, mentre le quattro facce sono decorate da festoni che inquadrano un bucranio, una testa di cervo e una sfinge alata (ASSAN, C1, 5). Bibliografia: FEMIANO 1990, 79; PASSARO 2009, 144, n. 25. Fig. 6.7. Ubicazione dell’area sacra in località Capitolo (rielaborazione da JOHANNOWSKY 1961). 156 Numero di catalogo: 30 Centro di riferimento: Cales. Scheda sito n.: 6 Localizzazione: area sacra in località Casariglia, all’esterno del perimetro urbano, lungo le principali direttrici viarie in direzione di Capua. Contesto geomorfologico: pianoro; in presenza di sorgenti d’acqua. Ubicazione geografica: comune di Calvi Risorta -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 IV S/E (Pignataro Maggiore). Coordinate UTM: 33T 42733634 E -456048872 N. Quota: 69 s.l.m. Distanza: 1.367 Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: tratti murari in blocchi di tufo, tegole, blocchi di calcare e due pozzi in tufo. Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: ceramica miniaturistica, soprattutto stamnoi, statuette fittili di offerenti di tipo arcaico e aes rude. Divinità titolari: Datazione: VI-V sec. a.C. (?) Note: si tratta di ritrovamenti sporadici effettuati nel corso di lavori agricoli e di ricognizioni superficiali realizzate nel corso degli anni settanta del secolo scorso. Non è possibile, quindi, allo stato attuale delle conoscenze, definire con certezza le strutture affioranti né la natura del deposito votivo. Bibliografia: FEMIANO 1990, 83; PASSARO 2009, 144. Fig. 6.8. Ubicazione dell’area sacra in località Casariglia (rielaborazione da JOHANNOWSKY 1961). 157 Numero di catalogo: 31 Centro di riferimento: Cales. Scheda sito n.: 7 Localizzazione: il santuario in località Ponte delle Monache è stato individuato nel settore sud-orientale della città, in corrispondenza di una porta urbica e all’incrocio di due strade principali, l’una verso l’Ager falernus e la costa, l’altra verso Capua e l’Ager Campanus, e alla confluenza di due corsi d’acqua, il Rio Pezza Secca e il Rio dei Lanzi. Ubicazione geografica: comune di Calvi Risorta -provincia di Caserta. Contesto geomorfologico: pianoro. Coordinate IGM: 1:25.000, F. 172 IV S/E (Pignataro Maggiore). Coordinate UTM: 33T 42708815 E -456045547 N. Quota: 69 s.l.m. Distanza: 1.507 Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: le uniche evidenze architettoniche dell’area sacra sono rappresentate da un ambiente rettangolare (9×12 m), con orientamento E/O, all’interno del quale, in corrispondenza dell’angolo S/E, è stato rinvenuto un pozzo, probabilmente votivo, dal diametro di 1,40 m e con la bocca circondata da una struttura di protezione in blocchetti di tufo. All’esterno, l’ambiente sembra essere circondato, sui lati nord ed est, da due muri ortogonali, interpretabili da una sorta di temenos dell’area sacra o come peribolo di un altro edificio templare con cella interna. Evidenze archeologiche: le evidenze architettoniche individuate si conservano solo a livello delle fondazioni. Materiali e tecniche costruttive: l’ambiente rettangolare è costituito da un filare di blocchi rettangolari di modulo variabile, in tufo grigio; in corrispondenza del muro meridionale dell’ambiente si dispongono perpendicolarmente a esso, a intervalli regolari, singoli blocchi di tufo, da interpretarsi come sostegni per le strutture del tetto o come basi di statue. Il muro di recinzione esterno è costituito da due assise di blocchi affiancati, di forma rettangolare, le cui fondazioni sono state ricavate direttamente nel bancone di roccia naturale. Materiali votivi: durante le indagini realizzate agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso è stata recuperata una cospicua quantità di offerte votive: ceramica a vernice nera, attestata soprattutto nella forma dello skyphos, coppette, lekythoi e pissidi; ceramica comune (olpette, e coppette su piede conico); ceramica miniaturistica (calici); terrecotte votive (figure femminili con chitone fermato in vita con apoptygma, cd. tanagrine, statuette di offerenti sia maschili che femminili dal carattere “italico”, due esemplari di “madre” in trono che allatta un bambino). Dai depositi votivi rivenuti durante le esplorazioni tra la seconda metà dell’Ottocento e gli inizi del Novecento provengono soprattutto terrecotte figurate, in parte confluite tra le raccolte del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, in parte acquistate dal Museo Archeologico di Madrid; le tipologie rinvenute sono molto varie ed eterogenee: statue a grandezza naturale, busti, teste, “mezze teste” maschili e femminili, maschere, statuette di offerenti, spesso con volatili e focacce, bambini in fasce, votivi anatomici e piccoli animali, qualche esemplare di kourotrophos, alcune riproduzioni di frutti e di offerte alimentari, e numerose raffigurazioni di Ercole, Atena, Marte e Venere, che potrebbero fornire un indizio delle divinità onorate per la media età repubblicana. Del tutto peculiari, infine, alcuni ex voto raffiguranti teste femminili a tutto tondo dai tratti del volto molto spigolosi e caratterizzati da un forte effetto chiaroscurale; recano sul capo un cercine traforato chiuso al centro della fronte da un nodo e indossano orecchini a forma di testa di gorgone. Divinità titolari: Datazione: seconda metà V-II sec. a.C. Note: non si conoscono le caratteristiche strutturali dei depositi votivi rinvenuti durante le esplorazioni tra la fine dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento, frutto di ritrovamenti fortuiti. Bibliografia: JOHANNOWSKY 1961, 264; BLÀZQUEZ 1963, 20-39; BLÀZQUEZ 1968-69, 107-113; FENELLI 1975, 247, nota 14; COMELLA 1981, 752-753, n. 134; NUÑEZ 1983, 37-46; FEMIANO 1990, 8083; CIAGHI 1993, 19-23; PASSARO 1993, 54-55; PASSARO 2004, 32; CARAFA 2008, 62-64; PASSARO 2009, 145-146, n. 27; CHIESA 2010, 39; RUFFO 2010, 137-138. 158 Fig. 6.9. Ubicazione dell’area sacra in località Ponte delle Monache e materiali votivi 1961 e da CARAFA 2008). 159 . (rielaborazione da JOHANNOWSKY Fig. 6.10. Strutture architettoniche recentemente individuate in località Ponte delle Monache Fig. 6.11. Ceramica a vernice nera 1993). 160 . . e coroplastica di età ellenistica del santuario di Ponte delle Monache (da PASSARO 1993). (da PASSARO Numero di catalogo: 32 Centro di riferimento: Cales. Scheda sito n.: 8 Localizzazione: santuario in località Cucetrone, presso Visciano, a N/O dell’antico abitato, in prossimità del valico di Torricelle, al confine tra il territorio di Cales e quello di Teano. Contesto geomorfologico: pianoro; valico. Ubicazione geografica: comune di Calvi Risorta -comune di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F. 172 IV S/E (Pignataro Maggiore). Coordinate UTM: 33T 42541609 E -456289487 N. Quota: 114 s.l.m. Distanza: 2.579 Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: all’area sacra è stato attribuito un edificio monumentale di cui è stato messo in luce un lungo corridoio (20×1,80 m) pavimentato con lastre di tufo disposte su tre file, con, ai margini della fila centrale, piccoli fori per l’inserimento di elementi decorativi, e delimitato, a Est e a Ovest a formare da due muri a formare una sorta di vestibolo a cui si accedeva probabilmente tramite una scalinata posta presso il lato meridionale. Alle spalle di questa struttura, collegata a essa tramite una briglia, sono stati, inoltre, rinvenuti resti di muri in opera incerta, mentre più a Est, due tratti di muro, perpendicolari tra di loro, in opera cementizia, pertinenti alle fondazioni di un edificio più tardo. Evidenze archeologiche: le strutture indagate si conservano solo a livello delle fondazioni. Materiali e tecniche costruttive: l’edificio è realizzato in opera quadrata di grandi blocchi di tufo grigi messi in opera senza malta. Del muro a Est del vestibolo si conservano blocchi con elementi architettonici e decorativi scolpiti a rilievo (due finte porte inquadrate da semicolonne tra due bacini su sostegni a colonna tra lesene decorate con tralci e semipilastri); sono stati rinvenuti in giacitura secondaria frammenti di capitelli corinzi e di cornici a dentelli in tufo e terrecotte architettoniche con elementi vegetali o figurati a rilievo. Quelle a soggetto figurato ritraggono animali o esseri umani ad alto rilievo (una pantera, una scena di lotta tra un animale e una figura umana e un satiro) Materiali votivi: viene segnalato il ritrovamento di una stipe votiva andata dispersa. Divinità titolari: Dioniso (?) Datazione: IV-II sec. a.C. Note: nella stessa zona è stato individuato un canale di drenaggio lungo 30 m collegato a un’ampia a pianta rettangolare (23,70×8,70 m) in opus incertum, ma le condizioni di emergenza con cui è stato condotto lo scavo non hanno permesso di chiarirne l’appartenenza a un unico complesso. Bibliografia: CAIAZZA 1995, 67; PASSARO 1996 a, 27-31; DE CARO-MIELE 2001, 545; PASSARO 2009, 158, n. 48; RUFFO 2010, 133-134. Fig. 6.12. Ubicazione del santuario in località Cucetrone. Stralcio dalla carta IGM 1:25.000. 161 Numero di catalogo: 33 Centro di riferimento: Cales. Scheda sito n.: 9 Localizzazione: stipe votiva in località Loreto, in prossimità del limite orientale del pianoro su cui sorge la città. Contesto geomorfologico: rilievo; in prossimità di sorgenti. Ubicazione geografica: comune di Rocchetta a Croce -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 IV S/E (Pignataro Maggiore). Coordinate UTM: 33T 43388001 E -456205764 N. Quota: 581 s.l.m. Distanza: 3.045. Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: ceramica d’impasto, ceramica a vernice nera, ceramica comune, terrecotte figurate (tra cui un piede, una testa femminile, una statuetta di Eros). Divinità titolari: Datazione: IV-II sec. a.C. Note: la notizia del rinvenimento della stipe risale agli inizi degli anni Sessanta dello scorso secolo, quando in occasione di una serie di interventi promossi dal Consorzio Idrico di Terra di Lavoro viene individuato un deposito votivo, dei cui materiali, poi trafugati e dispersi, si stila un elenco al momento della scoperta. L’area è stata successivamente interessata da ricognizioni superficiali. Bibliografia: COMPATANGELO 1985, 20-21; CAIAZZA 1995, 155; CERCHIAI 1999 a, 208; CARAFA 2008, 114; PASSARO 2009, 156-157, n. 45a. Fig. 6.13. Ubicazione dell’area sacra in località Loreto. Stralcio della carta IGM 1:25.000. 162 Numero di catalogo: 34 Centro di riferimento: Cales. Scheda sito n.: 10 Localizzazione: area sacra in località Monte Grande, ubicata presso il margine sud-occidentale del pianoro su cui sorge l’antica Cales, lungo il principale asse viario N/S, poi ricalcato dalla Via Latina, in prossimità del confine territoriale tra i comuni di Calvi Risorta, Rocchetta e Croce e Teano, in posizione dominante sulla pianura attraversata dal fiume Savone e dall’attuale Via Casilina. Contesto geomorfologico: pianoro. Ubicazione geografica: comune di Calvi Risorta -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 IV S/E (Pignataro Maggiore). Coordinate UTM: 33T 42564198 E -456402328 N. Quota: 250 s.l.m. Distanza: 3.273. Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: dell’area sacra non sono state individuate evidenze strutturali di tipo monumentale; essa si caratterizza per la presenza di numerosi depositi votivi, fosse o pozzi, riferibili alle diverse fasi di vita del santuario, tre cui un deposito di forma conica, scavato direttamente nel terreno, foderato di tegole intenzionalmente sigillato, ascrivibile a un periodo compreso tra la fine del VI e gli inizi del V sec. a.C. Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: alla fase più antica, databile ancora nel corso dell’VIII sec. a.C., sono riferibili frammenti di ceramica d’impasto, fuseruole e frammenti di macine su trachite; dal deposito votivo databile tra la fine del VI e gli inizi del V sec. a.C.: brocchette, stamnoi, attingitoi miniaturistici sparsi sul terreno o contenuti in olle di grandi dimensioni, e ancora olle, anfore e brocche in bucchero rosso; statuette e teste di offerenti di sesso sia maschile che femminile, generalmente stanti, vestiti di tunica o corto gonnellino, talvolta con copricapo conico appuntito; pochi frammenti relativi a statue a 3/4 dal vero che recano sulle spalle piccole statuine di fanciulli e cinque bronzetti votivi a figura umana affini a quelli rinvenuti in contesti umbro-sabellici. Al IV-III sec. a.C. possono essere datati numerose coppe a vernice nera, alcuni frammenti di ceramica figurata di produzione campana, frammenti di grandi statue panneggiate, tanagrine e numerosi ex voto anatomici. Divinità titolari: Datazione: VIII-II sec. a.C. Note: in prossimità dell’area sacra sono state individuate alcuni lacerti murarie tre vasche federate da malta idraulica, di età medievale, che riutilizzano blocchi di spoglio di tufo grigio, collocate probabilmente in corrispondenza di antiche polle d’acqua. Questa circostanza potrebbe definire e connotare le caratteristiche dell’antico culto verosimilmente legato alle acque. Bibliografia: PASSARO-SVANERA 2006, 227-243; NAVA 2007, 230-231; PASSARO 2009, 155, n. 43; RUFFO 2010, 121-122. Fig. 6.14. Ubicazione dell’area sacra in località Monte Grande. Stralcio dalla carta IGM 1:25.000. 163 Numero di catalogo: 35 Centro di riferimento: Cales. Scheda sito n.: 11 Localizzazione: area sacra in località Torre Lupara-Nunziatella, situata a una distanza intermedia tra Calvi Risorta e Capua, lungo il principale tracciato viario che conduce a questa località. Contesto geomorfologico: pendio. Ubicazione geografica: comune di Pastorano -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F. 172 III N/E (Grazzanise). Coordinate UTM: 33T 43154427 E -455603427 N. Quota: 40 s.l.m. Distanza: 6.880. Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: a un edificio sacro è stato riferito un ampio vano rettangolare (20×25 m), orientato N/O-S/E, a cui si addossa, a N/E, un altro piccolo ambiente (5,30×3 m). Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: sia il vano principale che l’ambiente di dimensioni minori, sono realizzati in opera quadrata di blocchi di tufo di grandi dimensioni; i muri settentrionale e meridionale del piccolo ambiente sono, inoltre, presentano delle inserzioni in laterizio per colmare il dislivello causato dalla pendenza naturale del terreno; all’interno del vano principale sono state rinvenute tracce della originaria pavimentazione in malta che ha fatto pensare alla presenza di una sorta di rampa di accesso all’ambiente principale. Materiali votivi: dagli strati di natura alluvionale che ricoprivano la struttura sono stati recuperati numerosi vasi a vernice nera, una testa femminile e un arto di statua fittili riconducibili a tipi di III sec. a.C., probabilmente pertinenti a decorazioni architettoniche, mentre da una fossa di forma ellittica rinvenuta nella zona sud-occidentale dello scavo, che taglia a sua volta i vari livelli alluvionali sono state recuperate ceramica a vernice nera, tra la quale una coppetta con iscrizione graffita A (?) CLAUDIUS C (?) e ceramica comune grezza. Divinità titolari: Datazione: età ellenistica (IV-II sec. a.C.). Note: l’area è stata indagata parzialmente e non è possibile definire altrimenti l’articolazione architettonica dell’area. Bibliografia: PASSARO 1996 b, 48-51; DE CARO-MIELE 2001, 545; RUFFO 2010, 133. Fig. 6.15. Ubicazione dell’area sacra in località Lupata-Nunziatella. Stralcio dalla carta IGM 1:25.000. 164 Numero di catalogo: 36 Centro di riferimento: Cales. Scheda sito n.: 12 Localizzazione: area sacra individuata in località Croce di Casale, alle pendici del Massico. Contesto geomorfologico: pendio; in presenza di sorgenti naturali. Ubicazione geografica: comune di Casale -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 IV S/O (Carinola). Coordinate UTM: 33T 41673394 E -456192329 N. Quota: 102 s.l.m. Distanza: 11.044 Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: ex voto anatomici. Divinità titolari: Datazione: età tardo-repubblicana (II-I sec. a.C.). Note: l’area sacra grazie a una scoperta fortuita e non si dispongono notizie più dettagliate circa la natura del deposito e le modalità del ritrovamento. Bibliografia: JOHANNOWSKY 1975, 29; CARAFA 2008, 114; RUFFO 2010, 83. Fig. 6.16. Ubicazione dell’area sacra in località Casale. Stralcio dalla carta IGM 1:25.000. 165 Numero di catalogo: 37 Centro di riferimento: Cales. Scheda sito n.: 13 Localizzazione: area sacra in località Starzetelle, a Ovest del lago di Falciano, lungo la strada che collegava in età romana il pagus Sarclanus e Forum Popilii. Contesto geomorfologico: pianoro. Ubicazione geografica: comune di Falciano del Massico -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 171 II N/E (Mondragone) Coordinate UTM: 33T 40929828 E -455423221 N. Quota: 55 s.l.m. Distanza: 7.296 Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: teste, mezze teste, arti anche a grandezza naturale, ex voto anatomici. Divinità titolari: Datazione: IV sec. a.C. Note: l’area sacra è nota da un ritrovamento fortuito. Bibliografia: JOHANNOWSKY 1975, 28-29; CARAFA 2008, 114; RUFFO 2010, 83. Fig. 6.17. Ubicazione dell’area sacra in località Starzetelle. Stralcio della carta IGM 1:25.000. 166 Numero di catalogo: 38 Centro di riferimento: Cales/Minturnae. Scheda sito n.: 14 Localizzazione: santuario della dea Marica, ubicato sulla riva destra del Garigliano, 550 m a monte della foce, a poca distanza dalla colonia romana di Minturnae. Contesto geomorfologico: duna, in prossimità della foce di un fiume. Ubicazione geografica: comune di Minturno-Scauri -provincia di Latina. Coordinate IGM: 1:25.000, F 171 I S/O (Foce del Garigliano). Coordinate UTM: 33T 3964488849 E -456491702 N. Quota: 0 Distanza:-31.615. Posizione rispetto al centro: extraurbana (?). Descrizione: dell’area sacra, indagata durante gli anni Venti e Trenta dello scorso secolo, sono stati riportati alla luce un tempio e una serie di depositi votivi. Un primo edificio templare sarebbe stato costruito tra la fine del VII e gli inizi del VI sec. a.C., sulla base delle terrecotte architettoniche rinvenute e che hanno permesso di restituire una struttura con frontone aperto a placche fittili con gorgoni in corsa infisse nelle testate del columen e dei mutuli e con i lati lunghi decorati con un’alternanza di antefisse a palmetta e a testa femminile di tipo dedalico. Già nella seconda metà dello stesso secolo, il tempio sarebbe stato ricostruito come periptero a cella unica centrale e ridecorato: in questa occasione le placche del frontone vengono eliminate, il motivo iconografico della gorgone viene conservato nelle antefisse collocate nella falda interna del frontone, mentre i lati lunghi vengono decorati con antefisse a testa femminile entro nimbo. Pochi altri frammenti di decorazione architettonica lasciano ipotizzare un rifacimento della decorazione nel V sec. a.C. e in età ellenistica, prima della ricostruzione del tempio tra la fine del I e il II sec. d.C. e l’inserimento dei culti di Iside e Serapide. Evidenze archeologiche: del santuario si conservano solo il podio dell’edificio della prima età imperiale, interamente conservato sul lato occidentale per 11 m, in cementizio (alto 0,90 m) su cui si imposta l’alzato in opera cementizia con paramenti in laterizio per 1,5 m di altezza. Materiali e tecniche costruttive: del tempio di età arcaica erano stati individuati tre filari in opera isodoma di blocchi paralleli orientati E/O sia sul lato sud che sul lato nord, e sul lato ovest un altro filare di blocchi perpendicolare ai precedenti per una lunghezza complessiva di 36,22 m. Le terrecotte architettoniche databili tra la fine del VII e la fine del VI sec. a.C. sono rappresentate da antefisse a testa femminile di tipo subdedalico, semicircolari a palmetta diritta, a testa femminile entro fiore di loto; antefisse a testa femminile entro nimbo o con gorgoneion, a testa virile, a figura completa, tegole di gronda, embrici, frammenti di figure acroteriali, kalypteres hegemones, sime frontonali, e di gronda, antepagmenta, lastre di rivestimento. Materiali votivi: le forme ceramiche più antiche attestate tra gli ex voto sono vasetti miniaturistici in impasto databili alla fine del VII sec. a.C.; a questi si aggiungono agli inizi del VI sec. a.C. contenitori di dimensioni maggiori sempre in impasto (tazze ad anfora bifora, talvolta decorate con bugne, brocche, olle lisce o a presa multipla, anfore, stamnoi), vasi multipli; rari il bucchero (tre onoichoai trilobate, un’anfora, un kantharos) e la ceramica di importazione greca (due coppe attiche a figure nere e un frammento di skyphos a figure rosse); probabilmente importate dall’Etruria sono due brocche ingubbiate in rosso. Poco attestata la ceramica campana di IV sec. a.C. (un frammento di kantharos con decorazione a scaglie e una lekythos a reticolo); cospicua invece la presenza di ceramica a vernice nera, anche in versione miniaturistica (skyhpoi, coppette, coppe, brocche, askoi, oinochoai, lekythoi). Le terrecotte figurate più antiche sono rappresentate da pupazzi in impasto, databili dalla fine del VII sec. a.C., dalle forme sommarie, con le braccia leggermente piegate e protese in avanti, tipologia che prosegue senza sostanziali variazioni per tutta l’età arcaica; a queste si affiancano nel corso del VI sec. a.C. esemplari più raffinati e di maggiori dimensioni. Tra le rare importazioni dalla Grecia si segnala una statuetta maschile di stile sub-dedalico e una testa con basso polos. Al VI sec. a.C. risalgono alcune figure di divinità femminile in trono mentre a un orizzonte di V sec. sono riconducibili le figure femminili stanti e ammantate, con una spalla scoperta, che recano un porcellino. Attestate in maniere cospicua per la media e tarda età repubblicana il tipo delle tanagrine, statue di dimensioni maggiori raffiguranti generalmente offerenti femminili con bambini, melograno o vasetto e bambini in fasce; piuttosto limitato il numero degli ex voto anatomici e delle figurine di animali. Divinità titolari: Marica. Datazione: fine VII sec. a.C.-II sec. d.C. Note: 167 Bibliografia: MINGAZZINI 1938; TALAMO 1987, 67-96; COARELLI 1989, 22-25; LAFORGIA 1992, 69-76; RESCIGNO 1993, 85-108; CERCHIAI 1995, 158-159, 172-173; CARAFA 1998, 212; RESCIGNO 1998, 336-347; CERCHIAI 1999 a, 205-206; ANDREANI 2003, 177-199; CARAFA 2008, 110-113. Fig. 6.18. Ubicazione del santuario della dea Marica (da ANDREANI 2003). 168 Numero di catalogo: 39 Centro di riferimento: Sinuessa. Scheda sito n.: 1 Localizzazione: area sacra presso il villaggio turistico Baiazzaura, a S/O dell’antica città. Contesto geomorfologico: dune in prossimità del mare, in una zona di necropoli. Ubicazione geografica: comune di Mondragone -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1.25.000, F 171 II N/E (Mondragone). Coordinate UTM: 33T 40336862 E -455661601 N. Quota: 5 s.l.m. Distanza: 1.207. Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: terrecotte votive (statue femminili di grandi dimensioni, tanagrine, teste, mezze teste, busti, votivi anatomici e una figurina di ariete) monete d’argento e bronzo della zecca napoletana e di Suessa Aurunca del III e del II sec. a.C. Divinità titolari: Datazione: III-I sec. a.C. Note: l’area sacra è nota da uno scarico votivo a più riprese saccheggiato da clandestini durante gli anni settanta del secolo scorso. Bibliografia: PAGANO 1990, 28; GASPERETTI 1993 a, 68-69; RUFFO 2010, 83. Fig. 6.19. Ubicazione dell’area sacra presso il villaggio Baiazzaurra. Stralcio dalla carta IGM 1:25.000. 169 Numero di catalogo: 40 Centro di riferimento: Sinuessa. Scheda sito n.: 2 Localizzazione: area sacra a S/O dell’attuale Hotel Sinuessa, alle pendici del Monte Pizzuto. Contesto geomorfologico: pianeggiante, in prossimità di sorgenti termali. Ubicazione geografica: comune di Mondragone -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 171 II N/E (Mondragone). Coordinate UTM: 33T 40545233 E -455244415 N. Quota: 0. Distanza: 3.014. Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: 5000 ex voto fittili, costituiti soprattutto da statuette. Divinità titolari: Datazione: media e tarda età repubblica (III-I sec. a.C.). Note: l’area sacra è nota da uno scarico votivo rinvenuto durante la costruzione del complesso alberghiero. Bibliografia: ARTHUR 1991 a, 111; RUFFO 2010, 83. Fig. 6.20. Ubicazione dell’area sacra ubicata presso l’Hotel Sinuessa. Stralcio dalla carta IGM 1:25.000. 170 Numero di catalogo: 41 Centro di riferimento: Sinuessa. Scheda sito n.: 3 Localizzazione: santuario in località Panetelle, presso Mondragone, ubicato presso la foce del Savone, lungo la riva destra del fiume. Contesto geomorfologico: pianura, alla foce di un fiume. Ubicazione geografica: comune di Mondragone -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 171 II N/E (Mondragone). Coordinate UTM: 33T 40707006 E -455032389 N. Quota: 5 s.l.m. Distanza: 8.279 Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: le evidenze monumentali sono riferibili al periodo di frequentazione ellenistico dell’area sacra, costituita da un tempio di tipo italico (12×15,5), con orientamento N/E-S/O, dotato di pronao cella con ali chiuse ai lati e divisa in due da muri trasversali, ma è presumibile, data l’estensione dell’area, che fossero presenti altre strutture funzionali allo svolgimento del culto. Evidenze archeologiche: si conservano le fondazioni del podio. Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: i materiali riferibili alla frequentazione più antica del santuario, rivenuti in uno scarico votivo omogeneo e unitario, riconducibile alla fine del VII-VI sec. a.C., rinvenuta 15 m a Nord del tempio di età ellenistica, sono rappresentati da numerosa ceramica di impasto (olle, scodelle, tazze e brocche miniaturistiche), bucchero (due scodelle e un kantharos), un esemplare di coppa ioniche e un’olpe in bronzo e un’ascia in ferro. Alla frequentazione di età ellenistica sono rapportabili alcuni esemplari di ceramica a vernice nera in versione miniaturistica (due crateri e un guttus); ceramica miniaturistica (dolio, olle, cratere a calice, coppa, scodelle, un piatto e un mortaio), centosessantasei frammenti di terrecotte figurate che alludono soprattutto alla sfera di Afrodite (due frammenti di statue a grandezza naturale, di cui una interpretabile come Afrodite con Erote sulla spalle, databile al IV sec. a.C.; alcune statuette femminili con polos, una testina infantile, una statuetta giovanile, statuette maschili variamente abbigliate (con mantello, himation sul capo, copricapo a punta), e femminili di offerenti con velo e diadema o con velo e polos, alcune figure femminili con offerta di un animale, kourotrophoi in trono con bambino, tanagrine, eroti, teste, mezzeteste, rari ex voto anatomici (piedi, falli e mammelle), due pesi da telaio. Divinità titolari: Datazione: fine VII-inizi V sec. a.C.; IV-II sec. a.C. Note: Bibliografia: JOHANNOWSKY 1970-71, 467, nota 30; TALAMO 1987, 97-103; CHIOSI 1993 a, 103-160; TALAMO 1993, 87-101; CERCHIAI 1995, 173-174; CARAFA 1998, 212; CERCHIA 1999 a, 206; CARAFA 2008, 113; RUFFO 2010, 82-83. Numero di catalogo: 42 Centro di riferimento: Sinuessa/Volturnum Scheda sito n.: 4 Localizzazione: area sacra in località Pineta Nuova, a Sud dell’area sacra in località Panetelle, presso la riva sinistra del canale Agnena. Contesto geomorfologico: pianeggiante, presso la foce di un fiume. Ubicazione geografica: comune di Mondragone -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 171 II S/E (Castelvolturno). Coordinate UTM: 33T 40987627 E -454802127 N.. Quota: 0 Distanza: 12.269 Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: 171 Materiali votivi: alcuni frammenti di skyphoi a vernice nera databili tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C.; terrecotte figurate (teste maschili con cercine, con polos, con polos schiacciato, teste femminili velate, teste femminili con polos); ex voto anatomici (mani, piedi, organi genitali maschili); una maschera. Divinità titolari: Datazione: IV-II sec. a.C. Note: l’area sacra, estesa su una superficie di 1,500 m, è nota da una serie di ritrovamenti effettuati in occasione di lavori agricoli. Bibliografia: CRIMACO 1991 a, 51-55; CHIOSI 1993 a, 161-162; RUFFO 2010, 83. Fig. 6.21. Ubicazione del santuario di Panetelle. Stralcio dalla carta IGM 1:25.000. Fig. 6.22. Ubicazione dei santuari in località Panetelle e Pineta nuova. Stralcio dalla carta IGM 1:25.000. 172 CAPITOLO VII TEANO 7.1. Teanum e l’ager sidicinum Il territorio sidicino si estende lungo il versante sud-orientale del Massiccio di Roccamonfina, solcato dalla valle del Savone, in corrispondenza di un varco di accesso che metteva in comunicazione la pianura campana con la media valle del Volturno. Il Savone, naturale itinerario verso la Valle del Liri e il basso Lazio, segna con il suo corso i confini del comparto sidicino che possono essere fissati, a Nord, nell’attuale località Versano, a Ovest, dal Rio Persico, un affluente del Savone, che funge da linea di demarcazione tra il territorio sidicino e quello aurunco, gravitante intorno a Suessa e all’ager Falernus1, mentre a S/E lo stesso Savone separa l’ager sidicinum da quello caleno. L’ambito così definito disegna una sorta di “cuspide” con l’apice rivolto verso Sud, alla confluenza dei fiumi Rio Persico e Savone, in corrispondenza della piana di Maiorisi2. Il territorio sidicino, quindi, si presenta incuneato tra i due versanti del comparto ausone/aurunco, tra Cales e Suessa, la cui continuità viene probabilmente interrotta, nella seconda metà del V sec. a.C., in relazione al processo di formazione ed etnogenesi del popolo campano3. Sebbene l’ethnos dei Sidicini venga riconosciuto e menzionato dalla storiografia ufficiale solo a partire dalla IV sec. a.C., in relazione all’inizio dello scontro contro i Sanniti, quando Capua, nel 343 a.C. invoca l’aiuto di Roma per difendere i loro alleati Sidicini4, risalgono già agli inizi del VI sec. a.C. le manifestazioni culturali peculiari e originali di questo popolo5. Nel corso del VII e il VI sec. a.C. il comparto sidicino risulta caratterizzato da una forma di occupazione territoriale basata sulla dislocazione di nuclei insediativi sparsi su alture o lungo corsi d’acqua e costituiti da strutture in materiale deperibile (legno e argilla, canne e terra impastata per le coperture), secondo una modalità insediativa che per l’età arcaica 1 JOHANNOWSKY 1975, 8 e 26. 2 JOHANNOWSKY 1975, 8, nota 25. 3 RUFFO 2010, 87. 4 Liv. VII, 29, 4; FREDERIKSEN 1984, 180-198; ARTHUR 1991 a, 27. 5 SIRANO 2006 b, 68-77; SIRANO 2011 b, 9. 173 connota l’ambito culturale e del Garigliano6. Testimonianze consistenti di uno dei località San Giulianeta, a S/E della città di Teano, dove è stata recuperata una cospi quantità di ceramica a impasto, del tipo cd. bucchero rosso, produzione tipica dell’area ausone/aurunca, oltre a numerosi frammenti di ceramica comune grezza e qualche frammento di bucchero e di ceramica a vernice nera, coprendo un arco cronologico com tra il VI e il V sec. a.C.7. A questa stessa epoca possono, inoltre, essere ricondotti i villaggi indiziati dalla presenza di aree di necropoli o di depositi votivi, Ruozzo e Fontana La Regina, mentre a una inizi del VI sec. a.C., s d’Assano, a Sud e S/O di Teano 6 GASPERETTI 2007, 251; SIRANO 7 CHIOSI 1993 b, 46-47. 8 JOHANNOWSKY 1963, 133, 160, note 16 9 ALBORE LIVADIE 1981, 520- Fig. 7.1. Teano. Ubicazione dei villaggi di età arcaica 174 ausone/aurunco e il lazio meridionale, lungo tutto la valle del Liri pagi di età arcaica sono state rinvenute in . in località Loreto, Fondo fase precedente, tra la seconda metà del VII e gli sembrano appartenere i villaggi di Terragliano, Pugliano e Valle Teano8, e quello in località Torricelle a S/E9. La fondazione della città sembra sia avvenuta, attraverso un processo di aggregazione sinecistica dei diversi villaggi che ne costellavano il territorio in età arcaica, nella seconda metà del IV sec. a.C., come sembrerebbe indicare una testimonianza liviana che, per l’anno 341 a.C., ricorda un attacco dei Sanniti, contro la Sidicini, mentre, 2008, 37 SS.; CERCHIAI 2010, 84-86. , 16-26; CHIOSI 1993 b, 47. -522. (da Teanum Sidicinum 2007). cospicua compreso villaggi, urbs dei qualche anno più tardi, nel 337 a.C. per spiegare il motivo dell’alleanza tra Cales e Teano, richiama la vicinanza geografica tra le due urbes10. Le indagini archeologiche condotte fin dall’inizio del Novecento hanno chiaramente dimostrato come la necropoli urbana sia stata utilizzata a partire dall’ultimo trentennio del IV sec. a.C.; questo dato è ulteriormente supportato dai dati provenienti dai pagi di età arcaica per i quali è stato verificato l’abbandono delle relative aree di necropoli tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C., oltre a segni relativi a una organizzazione territoriale secondo assi viari, tanto per le necropoli che per l’abitato11. Sulla base di questi dati, è possibile ipotizzare che per la fondazione della città di Teano abbia giocato un ruolo determinante e decisivo il modello offerto da Roma che fonda, a breve distanza, le colonie latine di Cales e Suessa12 . L’antica città si articola in due settori determinati dalla particolare conformazione geo-morfologica del pianoro sulla quale sorge: l’arce, sulla collina che ospita l’attuale centro storico, e la città bassa che si estende su una vasta spianata, degradante verso S/E, delimita da 10 Liv. VIII, 2, 5; 16, 2; RESCIGNO-SENATORE 2009, 415-420; SIRANO 2011 b, 12. 11 Per la necropoli in località Torricelle: TOCCO 1981, 519-520; per la necropoli di Fondo Ruozzo, Masseria Ilei: DE CARO 1999 b, 801-802; per le modalità di strutturazione della città: SIRANO 2006 a, 333 e ss.; SIRANO 2011 b, 13. 12 All’interno della città sono state messi in luce, infatti, numerosi livelli di frequentazione e strutture riferibili al III sec. a.C., individuate su tutta la superficie della città antica, di poco inferiore ai 100 ettari Fig. 7.2. Teano. Planimetria della città (da SIRANO 2011 a). 175 uno sperone in tufo che costituisce una prima forma di difesa naturale13. L’intero perimetro urbano è circondato da una poderosa cinta muraria, in blocchi di tufo squadrati disposti di testa e di taglio, in alcuni tratti rafforzata da un terrapieno, il cui percorso è stato interamente ricostruito, in anni recenti, grazie alla realizzazione di ricognizioni topografiche e prospezioni geofisiche14. L’impianto urbano risulta strutturato secondo un sistema di incroci tra decumani e cardini, ricalcati dagli attuali assi stradali, che si intersecano però con andamenti e angolazioni divergenti, dato vita a due reticoli differenti, rispettivamente secondo i punti cardinali e per stringhe parallele, uno per l’arce e l’altro per la città bassa, di cui, allo stato attuale della documentazione, non è possibile definire la cronologia; si può supporre, in via ipotetica che sin dalla fondazione la città sia stata caratterizzata da un repentino sviluppo che avrebbe determinato una rapida riorganizzazione della città bassa attraverso nuovi assi stradali che la collegassero e uniformassero all’arce15. Al sistema stradale urbano sono strettamente correlati tratti di viabilità extraurbana, che si immettevano lungo la Via Latina e la Via Appia, congiungendo la città con Cales, Suessa, Allifae e il massiccio di Roccamonfina. Le aree urbane non sono state tutte completamente individuate ed esplorate. Sull’arce, al di sotto del piano pavimentale della Cattedrale, si conservano i resti di un edificio templare, mentre i reimpieghi all’interno della stessa inducono a ipotizzare la presenza di un Iseion: sfingi in granito, lastre marmoree con urei e antefisse con urei e sistri16. Il foro viene tradizionalmente localizzato, presso la città bassa, tra le odierne vie Loreto e Pioppeto, nella zona cd. di San Pietro a Fuoco o a Foro, sulla scorta del rinvenimento di alcune iscrizioni onorarie e di frammenti di sculture17. Un’altra piazza, dalle dimensioni di 100×70 m, è stata recentemente individuata in località Trinità; l’area delimitata da un portico su tre lati da un portico doveva, certamente, far parte di un importante quartiere, a cui si riferisce anche un’altra struttura monumentale di 60 m di lato, 13 Da ultimo, SIRANO 2011 b, 14. 14 GASPERETTI-BALASCO 1996, 23-41. Lungo il tracciato delle mura sono state individuate, sull’arce, tre porte presso i lati N/E, Sud e Ovest; a queste potrebbero associarsi in via ipotetica, una porta sul versante orientale della città bassa, prossima alla località Loreto, alla fine del decumano oggi percorso dalla via Pioppeto/Ferriera Vecchia; un’altra porta lungo l’attuale viale Ferrovia, e una terza, in corrispondenza del Rio Persico, lungo la strada verso Suessa. 15 Da ultimo, SIRANO 2011 b, 16. 16 SIRANO 2006 c, 151-155. 17 DE MONACO 1960, 72-73; PALMIERI 1978, 57-65; SIRANO 2011 b, 18. 176 annesso a una villa residenziale di particolare lusso e sfarzo o parte di un complesso più ampio di carattere pubblico18. Infine, presso l’estremità occidentale della città bassa, non lontano dall’anfiteatro e in posizione opposta rispetto al santuario di località Loreto19, è da collocarsi probabilmente un’area a destinazione commerciale dove sorge un grande edificio di età augustea e ristrutturato nel corso dell’età imperiale, articolato su due terrazze che sfruttano il pendio naturale del pianoro e interpretabile come un horreum, alle cui spalle è stata identificata una fondazione a impianto ottagonale, identificata come probabile tholos del macellum20. 7.2. I luoghi di culto di Teano: tipologia e distribuzione territoriale All’interno del perimetro urbano, allo stato attuale della documentazione e per quanto concerne l’ambito cronologico oggetto di indagine, l’unico luogo di culto individuato è riferibile alla presenza del tempio ubicato sulla summa cavea del teatro della città (cat. n. 45), probabilmente dedicato ad Apollo sulla base del ritrovamento di una mensa con dedica al dio da parte di un anonimo personaggio che ricopriva la carica di tribuf plifriks21. Nel territorio afferente alla città sono stati, invece, individuati sette luoghi di culto collocati a distanze diverse dall’antica centro sidicino. Il santuario il località Loreto (cat. n. 43), scoperto agli inizi degli anni Sessanta dello scorso secolo, è ubicato presso la porta settentrionale della città lungo il tratto della Via Latina che conduceva ad Alife22. Situato alla sommità di un’altura delimitata dal fiume Savone, il complesso si articola in quattro terrazze e si estende su di una superficie di due ettari. Attraverso l’ingresso posto sul lato orientale, si accedeva alla prima terrazza dalla forma stretta e allungata che, insieme con la successiva, si estende sull’intera superficie del pianoro. Sulla seconda terrazza, nell’angolo nord-orientale, sorgono quattro edifici di culto, mentre presso l’angolo opposto una rampa immetteva alla terza terrazza separata dalla strada da un poderoso muro in opera quadrata. 18 Da ultimo, SIRANO 2011 b, 18. In questo stesso settore della città sono ubicati anche due complessi termali e piccoli impianti produttivi. 19 Cfr., infra. 20 NAVA 2006, 601-603; NAVA 2008, 797-798, tav. III; SIRANO 2011 b, 19. 21 DE CARO 2000 b, 223; POCCETTI 2004, 297-315, SIRANO 2011 c, 31. 22 JOHANNOWSKY 1962, 63-69; JOHANNOWSKY 1963, 133-152; CERCHIAI 1995, 177; SIRANO 2006 a, 331, 338; SIRANO 2006 b, 70-71; SCALA 2007, 97-109; SIRANO 2007, 69-89; Teanum Sidicinum 2007, 21-24; CARAFA 2008, 65-69; CERCHIAI 2010, 84-85; RUFFO 2010, 93-95. 177 Le evidenze architettoniche e i materiali più antichi sono stati individuati sulla terza terrazza, mentre tutti gli altri depositi votivi sono stati rinvenuti in giacitura secondaria, all’interno delle camere di sostruzione delle diverse terrazze. Sebbene lo scavo non sia stato sistematico e continuativo, sono state individuate all’interno del sito sei fasi di vita, dall’età arcaica all’età imperiale. Il terminus ante quem per l’inizio del culto è stato fissato alla fine del VI sec. a.C. sulla base del ritrovamento di una serie di terrecotte architettoniche, antefisse a testa femminile di tipo capuano databili gli ultimi anni del VI sec. a.C., probabilmente pertinenti alla decorazione di un primo edificio templare, i cui resti non sono ancora stati individuati. Una significativa monumentalizzazione dell’area sacra si verifica solo a partire dall’età ellenistica; alla metà del III sec. a.C. viene datata la costruzione del tempio C sulla seconda terrazza e della sostruzione della terza terrazza. Gli interventi più consistenti possono essere datati tra la fine del III e la fine del II sec. a.C. quando vengono edificati gli altri tre tempietti sulla seconda terrazza, il terrapieno di contenimento che separa la terza terrazza dalla strada e quello che separa la seconda terrazza dalla quarta. In epoca sillana, quest’ultima struttura viene rinforzata dalla costruzione di un poderoso edificio suddiviso in cinque ambienti voltati, mentre in età imperiale vengono realizzati alcuni limitati interventi di manutenzione e restauro che interessano la rampa tra la terza e la quarta terrazza, l’ingresso della seconda e l’angolo nord-occidentale della terza. Nel 2002 in occasione di uno scavo di emergenza all’interno del santuario, nuove strutture sono state individuate presso il limite sud-occidentale della terza terrazza. L’esplorazione ha interessato una superficie di 500 mq e ha restituito un edificio a pianta templare che ha inglobato due precedenti costruzioni e di un tratto di strada orientata in senso N/S presso il lato occidentale del tempio23. Le strutture più antiche si conservano solo a livello delle fondazioni, realizzate in blocchi di tufo grigio privi di legante, disposti direttamente sul bancone di roccia naturale. L’edificio A, a pianta rettangolare, aperto sul lato meridionale, può essere interpretato come una sorta di sacello. La struttura B, anche’essa a pianta rettangolare e già danneggiata in antico, conserva due incisioni longitudinali parallele alle estremità nord e sud, probabilmente linee guida per il posizionamento di una struttura in elevato. È possibile che tali strutture abbiano fatto parte di un unico complesso, simile a un altare del tipo greco a gradini, o di un recinto su podio come quello di Fondo Patturelli a 23 SIRANO 2007, 69-95. 178 Capua. L’analisi del materiale rinvenuto nei livelli di preparazione del tempio più recente e dei resti di un sacrificio praticato presso la piattaforma B, ha consentito di ipotizzare una datazione tra IV e III sec. a.C., con la quale concordano anche i dati offerti dal materiale recuperato all’interno delle fondazioni della cella del tempio più recente, soprattutto ceramica a vernice nera. Il tempio, a pianta rettangolare con orientamento N/S, su podio e con cella in posizione piuttosto arretrata rispetto al pronao, è realizzato in opera incerta di calcare e tufo legati con malta. Lo scavo ha, inoltre, individuato alcuni limitati interventi di restauro nella prima età imperiale, come confermato dal ritrovamento sul fondo di una fossa presso il perimetro occidentale esterno dell’edificio di una scultura femminile in marmo pentelico, probabile statua di culto del I sec. d.C. Il definitivo abbandono del santuario, connesso anche a un mutamento di destinazione dell’area, si data invece al VI sec. d.C., quando la zona viene destinata a sepolture in piena terra. Per la fase più antica di frequentazione si è ipotizzato che il santuario rappresentasse un luogo di culto intorno al quale gravitava uno dei tanti pagi sparsi nel territorio sidicino e che solo nella seconda metà del IV sec. a.C., attraverso un processo di tipo sinecistico, avrebbero dato vita alla città di Teano. È difficile stabilire con esattezza l’identità della divinità tutelare del culto in età arcaica; indicazioni potrebbero provenire dagli ex voto delle epoche successive che raffigurano soprattutto Eracle, Artemide e Afrodite, frequentemente venerate nei santuari italici e che possono forse essere considerate come ipostasi di originarie divinità italiche che intervenivano negli stessi ambiti d’azione, come sembrerebbe suggerire il fatto che, a partire dal III sec. a.C., la divinità principale del santuario è Pupluna, associata a Iuno, simbolo del potere regale e linguisticamente legata al termine puplum, cioè al popolo in armi e quindi al complesso del corpo civico ma connessa anche alla sfera della fecondità e della maternità24. In anni recenti nel territorio immediatamente a ridosso delle mura del centro antico sono state rinvenute alcune strutture interpretate dagli scavatori come possibili edifici di culto, ubicati lungo importanti assi di comunicazione di accesso alla città, in zone di necropoli. In località S. Paride (cat. n. 44), lungo il tratto occidentale delle fortificazioni, al di sotto della chiesa di S. Paride ad fontem, sono stati individuati tre muri paralleli in blocchi di 24 IZZO 1994, 277-284. 179 tufo squadrati con orientamento E/O, interpretati come i resti di un antico tempio di tipo etrusco-italico. In assenza di dati certi, ha fatto propendere per questa interpretazione la vicinanza topografica a una sorgente frequentata fin da età molto antica, localizzata proprio al di sotto della successiva chiesa cristiana. L’area sacra in località Orto Ceraso (cat. n. 46) sorge presso le pendici sud-orientali della città dove sono stati portati alla luce due ambienti probabilmente pertinenti a edifici realizzati in momenti diversi per la differente tecnica di costruzione utilizzata, anche se risulta difficile indicare una datazione più precisa per la scarsità dei dati a disposizione. Il primo si estende su di una superficie di 4 mq e presenta un pavimento in lastre di tufo con elevato in terra cruda; il secondo, costituito da muri in blocchi squadrati di tufo, ha restituito numerosi unguentari fusiformi databili tra III e II sec. a.C., interpretati come i resti di una stipe votiva25. Ai margini del territorio afferente all’antico centro di Teano sono stati individuati tre luoghi di culto, in località Fontana La Regina Taverne di Torricelle e Fondo Ruozzo, solo quest’ultimo oggetto di uno scavo sistematico, mentre gli altri sono noti solo da brevi notizie. Nel 1919 in località Fontana La Regina (cat. n. 48) è stata recuperata, in maniera fortuita, una serie di terrecotte raffiguranti teste di offerenti, di difficile datazione, con copricapo a calotta e dai tratti del volto abbozzati, resi in maniera sommaria e corsiva, talvolta incisi26. Non si dispone al momento di ulteriori dati ma il ritrovamento di queste teste è stato comunque ricondotto a un luogo di culto intorno al quale doveva gravitare uno dei villaggi del territorio sidicino27. Nel 1978, in località Taverne di Torricelle, durante una serie di lavori agricoli, sono state intercettate due fosse votive, presso un valico ricco di sorgenti vulcaniche28, lungo la riva sinistra del Savone e la strada che congiungeva Teano a Cales, non distante da una necropoli di età sannitica (cat. n. 50). Tali depositi votivi, databili rispettivamente alla prima e alla seconda età del ferro29, dalla forma stretta e allungata, sono stati tagliati direttamente nel terreno, senza alcun tipo di rivestimento. In particolare, la più antica delle fosse ha restituito più di seicento vasetti d’impasto con, all’interno, anellini di bronzo, vaghi d’ambra o in pasta vitrea che hanno indotto a ipotizzarne una loro destinazione quali offerte dedicate a una 25 GASPERETTI 1991 a, 139; CARAFA 2008, 105-107. 26 RAIOLA 1922, fig. III. 27 CERCHIAI 1995, 176. 28 CERCHIAI 1995, 176; CARAFA 2008, 117-118. 29 ALBORE LIVADIE 1981, 520-522. 180 divinità femminile; inoltre, la loro ubicazione topografica, presso sorgenti, esattamente a metà strada tra il territorio di Cales e quello di Teano, potrebbe indicare la sede di un vero e proprio santuario di confine tra i due territori, attivo tra l’VIII e il VII sec. a.C., quando è possibile datarne l’abbandono in relazione alla crescente preminenza politica acquisita in questo periodo da Cales30 . In anni recenti un’altra area sacra, riferibile alla originaria strutturazione del territorio sidicino, è stata individuata in frazione Borgonuovo, in località Masseria Cellarone (cat. n. 47), a Nord dell’antica città. Il complesso sacro è documentato da una fossa votiva scavata direttamente nel terreno argilloso che ha restituito materiali databili tra la fine del VI e il V sec. a.C., soprattutto vasi potori o forme connesse al consumo del vino o liquidi, contenitori per derrate (olle acrome, brocche, crateri a colonnette, coppette e ciotole in cd. bucchero rosso o a superficie grezza, anforette a superficie lustrata, bucchero etrusco-campano) e alcune terrecotte votive, tra cui frammenti appartenenti a una figura di offerente maschile armata e una testina miniaturistica barbata che richiama modelli greci del tardo-arcaismo31. Sulla base dei materiali recuperati e della sua ubicazione, il culto celebrato in località Cellarone doveva presentare un carattere campestre, all’aperto presso boschetti sacri o sorgenti, come già evidenziato per l’area sacra presso il Monte Maggiore a Nord di Cales. L’ultimo santuario extraurbano è stato individuato presso Fondo Ruozzo, un pianoro che si trova a circa 5 km dall’antica città di Teano, delimitato a Sud dal corso del Savone e a Nord da uno dei suoi affluenti minori. Il santuario (cat. n. 49) doveva costituire il fulcro religioso di uno dei villaggi sidicini, occupando, in senso N/S, per circa 110 m, la sommità di un pianoro delimitato a Nord e a Sud dal Savone e da uno dei suoi affluenti e probabilmente collocato lungo un itinerario che conduceva verso la costa. Sono state riconosciute tre principali fasi di frequentazione (fine VI-V sec. a.C.; seconda metà IV-III sec. a.C.; fine II-inizi I sec. a.C.) corrispondenti a tre momenti cruciali per la storia di Teano e del suo territorio e cioè alla fase di formazione dell’ethnos dei Sidicini, al momento della nascita della città e del processo di urbanizzazione secondo un modello sinecistico e, infine, alla ripresa successiva alla seconda guerra punica fino al definito abbandono dell’area in conseguenza dei eventi connessi alla guerra sociale32. 30 CHIOSI 1993 b, nota 56. 31 GASPERETTI 2007, 254-255; RUFFO 2010, 92. 32 MOREL 1988, 323-324; PEÑA 1989, 741-744; MOREL 1989-90, 507-517; MOREL 1991, 9-34; MOREL 1992, 221232; CERCHIAI 1995, 176; CARAFA 1998, 213; MOREL 1998, 157-167; SIRANO 2006 a, 331-334, 338-347; 181 L’inizio del culto sembra potersi collocare in età arcaica; i materiali più antichi, infatti, risalgono al VI sec. a.C., epoca alla quale vengono probabilmente realizzate le due rampe d’accesso all’area sacra, scavate direttamente nella roccia e rivestite da un muro in blocchi di tufo in opera quadrata a cappellaccio. Alcune terrecotte architettoniche, due antefisse di tipo capuano e un capitello d’anta indizierebbero l’esistenza di un primo edificio templare costruito alla fine del VI sec. a.C. del quale però non sono state identificate le tracce33. Le uniche strutture architettoniche supersititi sono costituite da una serie di blocchi squadrati di tufo grigio nei quali sono infissi ciottoli di calcare di grandi dimensioni, probabilmente in funzione di segnacolo. Per il VI sec. a.C., le offerte votive si possono essenzialmente ricondurre a due principali tipologie: statuette raffiguranti la divinità verosimilmente onorata nel santuario, raffigurata come una kourotrophos che reca sulle spalle una coppia di fanciulli, simile ad alcune rappresentazione di Demetra in trono o di Latona che reca sulle spalle Apollo34; e statuette di offerenti, soprattutto teste maschili con elmo a calotta o a punta dotato di lunghe paragnatidi. La grande diffusione di questo tipo di iconografia ha suggerito l’ipotesi che, per l’età arcaica, la condizione di uomo in arme fosse una condizione generalizzata, non legata all’appartenenza a una determinata classe sociale. Sicuramente interpretabile, infine, come una statua di culto è la figura di divinità femminile panneggiata in terracotta, a grandezza quasi naturale, che reca tra le braccia un porcellino e interpretabile come Demetra. Nel corso del V sec. a.C. le offerte votive sembrano rarefarsi per poi moltiplicarsi in maniera esponenziale nel corso del IV sec. a.C., periodo di maggior fioritura del santuario, così come testimoniato dalla quantità e dalla varietà degli ex voto, indice della grande vitalità delle botteghe coroplastiche che rielaborano in maniera del tutto originale i modelli importati dalle officine capuane35. Abbondanti per questo periodo sono anche le offerte di gioielli prodotti in ambito tarantino e di monete36. Ulteriore segno della grande ricchezza del santuario è la presenza cospicua di dolia di grandi dimensioni utilizzati per contenere o le derrate offerte alle divinità o i prodotti ricavati dallo sfruttamento della terra di proprietà del santuario37. SIRANO 2006 b, 71; Teanum Sidicinum 2007, 27-34; CARAFA 2008, 118-120; SVANERA 2008, 285-314; CERCHIAI 2010, 84-85; RUFFO 2010, 95-96. 33 RESCIGNO 1998, 335-336. 34 PEÑA 1989, 743. 35 MOREL 1988, 323-324; MOREL 1991, 21-22. 36 MOREL 1991, 27, 30. 37 MOREL 1991, 12. 182 Questa straordinaria fioritura comincia a incrinarsi nel II sec. a.C., in probabile conseguenza delle guerre annibaliche38, come si evince chiaramente dai materiali restituiti dalle stipi di questo periodo, di fattura più corsiva e meno originali rispetto a quelli dei secoli precedenti: non si donano più oggetti creati unicamente per essere destinati alla divinità, ma oggetti di uso comune, successivamente adoperati per la celebrazione dei riti o per le attività quotidiane del santuario. Tuttavia verso la fine del II sec. a.C., in epoca graccana, l’area sacra viene investita da un vasto programma di rinnovamento edilizio, analogamente a quanto si registra in altri santuari campani nello stesso periodo39; le rampe di accesso al pianoro vengono ricoperte da un poderoso riempimento, mentre viene monumentalizzato il fianco meridionale con la costruzione di due lunghi muri in opera incerta, simili agli apprestamenti dei santuari ellenistici su terrazze del Lazio meridionale. Il definitivo abbandono dell’area si può datare, infine, poco oltre l’inizio del I sec. a.C., in conseguenza dei rivolgimenti dovuti alla guerra sociale. Per quanto riguarda la divinità tutelare del culto, sicuramente un ruolo di primo piano doveva essere rivestito dalla figura di Demetra, che pare abbia assunto diverse e peculiari caratterizzazioni come divinità legata alla saluta fisica (ex voto anatomici e uteri), alla maternità (statue di madri che allattano un bambino al seno), alla guerra o ai passaggi d’età (guerrieri e armi), alla caccia (cinghiali), alla fertilità dei campi (falci, macine) e degli animali (maialini con numerose mammelle)40. A tale divinità, a partire dal III sec. a.C. si associa probabilmente il culto Afrodite/Venere, Artemide, Giunone, ipostasi di Iuno Popluna, e forse anche Dioniso, come sembrano documentare le numerose terrecotte figurate mentre un carattere particolare del culto potrebbe essere rappresentato da una serie di catene che costituire ex voto di ringraziamento per le libertà riconquistate. 38 MOREL 1989-90, 515-517. 39 COARELLI 1983, 217-240. 40 MOREL 1991, 27. 183 7.3. I luoghi di culto -Catalogo Numero di catalogo: 43 Centro di riferimento: Teano Scheda sito n.: 1 Localizzazione: santuario in località Loreto ubicato presso la porta settentrionale della città lungo il tratto della Via Latina in direzione di Alife. Contesto geomorfologico: pianoro delimitato dal corso del fiume Savone. Ubicazione geografica: comune di Teano -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 IV N/O (Teano). Coordinate UTM: 33T 4275774301 E -456693465 N Quota: 133 s.l.m. Distanza: 177,20 Posizione rispetto al centro: periurbana; dal III sec. a.C. urbana. Descrizione: il santuario, esteso su una superficie superiore ai due ettari, si articola in quattro terrazze digradanti verso il corso del Savone. Le due terrazze inferiori I e II, a N/E del pianoro, dalla forma stretta e allungata, si estendono su tutta la superficie dell’area sacra, mentre la III e la IV, rispettivamente a Sud e a Ovest sono divise da una rampa porticata, orientata S/O. Le evidenze architettoniche e i materiali più antichi, databili tra la fine del VI e gli inizi del V sec. a.C., sono stati individuati sulla III terrazza, presso l’angolo sud-occidentale del pianoro, mentre la maggior parte delle offerte e degli ex voto è stata recuperata, in giacitura secondaria, all’interno delle camere di sostruzione delle diverse terrazze. Presso il margine occidentale della III terrazza, in corrispondenza di un tratto di strada orientato N/S che definisce il limite orientale di un quartiere cittadino, sorge un edificio templare che ha inglobato due precedenti costruzioni. Le evidenze più antiche di tale complesso architettonico sono rappresentate da due strutture murarie collocate rispettivamente in corrispondenza del pronao (edificio A) e della cella (edificio B) del successivo tempio. L’edificio A, a pianta rettangolare (4,15×3,35), orientato N/E-S/O, aperto sul lato meridionale, può essere interpretato come una sorta di sacello. L’edificio B, orientato anch’esso N/E-S/O, a pianta rettangolare e già danneggiato in antico, conserva due incisioni longitudinali parallele alle estremità nord e sud, probabilmente linee guida per il posizionamento di una struttura in elevato e da interpretarsi probabilmente come basamento di un altare con plinto in tufo e riempimento in scaglie di calcare. Alla dismissione di queste due strutture si riferiscono i resti di un sacrificio e di una cerimonia di chiusura rinvenuti al di sotto delle fondazioni del tempio più recente, in corrispondenza dell’edificio B. Il materiale rinvenuto nei livelli di preparazione del tempio più recente che ingloba le strutture A e B e dei resti del sacrificio praticato presso la piattaforma B, rimanda a un arco cronologico omogeneo compreso tra il IV e il III sec. a.C. Il successivo tempio, con pronao e cella, probabilmente un periptero o un prostilo tetrastilo, è a pianta rettangolare con orientamento N/S (18,44×12,44 m); si eleva su podio di 1,98 m di altezza, con paramenti in blocchi di tufo modanati, con la cella (8,44×6,44 m) in posizione piuttosto arretrata, potrebbe invece essere datato alla prima metà del II sec. a.C. Alla prima metà del III sec. a.C., in concomitanza verosimilmente con l’inserimento del santuario all’interno del perimetro della città, risale la risistemazione definitiva della II e della III terrazza, mentre la IV terrazza viene aggiunta solo nella seconda metà del II sec. a.C. Sulla seconda terrazza vengono costruiti agli inizi del II sec. a.C. quattro tempietti allineati (A-D) tutti con orientamento N/E-S/O, di cui l’edificio C, di dimensioni maggiori (11,48 m di larghezza) e il più antico della serie, presenta un pianta prostila o anfiprostila e analoga tecnica costruttiva a quella utilizzata per il tempio sulla III terrazza. In epoca sillana risale la costruzione di una rampa di collegamento e di un poderoso edificio suddiviso in cinque ambienti voltati tra la III e la IV terrazza; a età imperiale si datano alcuni limitati interventi di manutenzione e restauro che interessano la rampa tra la III e la IV terrazza, l’ingresso della II e l’angolo nord-occidentale della III, mentre il definitivo abbandono del santuario, connesso anche a un mutamento di destinazione dell’area, può essere datato al VI sec. d.C., data alla quale risalgono sepolture in fossa terragna individuate presso il podio del tempio della III terrazza. Evidenze archeologiche: le strutture individuate si conservano solo a livello delle fondazioni. Materiali e tecniche costruttive: le strutture A e B della III terrazza sono realizzate in blocchi di tufo grigio di forma pressoché regolare e di dimensioni diverse posti in opera a secco direttamente sul bancone di roccia naturale; il tempio di età ellenistica della III terrazza è realizzato in opera incerta con blocchetti di 184 calcare e tufo legati con malta così come il tempietto C sulla II terrazza; i muri di sostruzione delle diverse terrazze sono realizzati in opera quadrata di tufo. Da una fossa votiva relativa alla costruzione del tempio della III terrazza è stato recuperato un frammento architettonico riferibile a una cornice modanata con kyma dorico, analogo ad alcuni esemplari dal santuario di Fondo Ruozzo e databile agli inizi del V sec. a.C.; tale frammento potrebbe, in via ipotetica, essere attribuito alla decorazione dell’edificio B. Tra le terrecotte architettoniche più antiche rinvenute presso la III terrazza si segnalano antefisse tardo-arcaiche a testa femminile entro nimbo attribuibili alla decorazione di un primo edificio templare databile tra la fine del VI e il V sec. a.C, di cui al momento non sono state ancora rinvenute le tracce. Materiali votivi: dal livello relativo alla defunzionalizzazione e alla cerimonia di chiusura delle strutture più antiche della III terrazza provengono, un coltello in ferro, statuette e piccoli busti votivi, coppette a vernice nera, coperchi di olle con tracce di bruciato. Dai livelli di preparazione della pavimentazione del tempio di età ellenistica provengono un altro coltello in ferro, un saurocter e una punta di lancia (dai livelli di preparazione della cella), frammenti di sculture (teste, torsi e frammenti anatomici) in terracotta, ceramica a vernice nera (brocche e coppette), e una testa femminile in terracotta databile al III sec. a.C. Alla prima età imperiale risale una scultura femminile in marmo pentelico, probabile statua di culto del I sec. d.C. rinvenuta sul fondo di una fossa all’esterno dell’tempio ellenistico della III terrazza. I materiali più antichi rinvenuti nei depositi individuati durante le campagne di scavo degli anni sessanta sono rappresentati da ceramica d’impasto, attestata soprattutto nella forma dello skyphos a bordo rientrante con bugne fra le anse, dell’olla a quattro prese coniche e di piccoli calici miniaturistici utilizzati fino al IV sec. a.C.; presente è anche la ceramica figurata di produzione campana per la quale prevalgono le forme legate al mundus muliebris: lekythoi ed epicheseis e gutti ; attesta invece in maniera cospicua è la ceramica a vernice nera (skyphoi, coppe, coppette, piattelli, piatti, brocche, qualche raro esemplare di bottiglia con decorazione a reticolo). Le terrecotte votive più antiche sono invece rappresentate da frammenti di statue, databili al V sec. a.C., raffiguranti probabilmente la divinità tutelare del culto raffigurata con alto polos e con fanciulli assisi sulle spalle, chiaro riferimento a un aspetto curotrofico. Allo stesso orizzonte cronologico può essere ricondotta una grande quantità di teste votive di stile e resa differenti, attribuibili a una produzione locale, che ritraggono offerenti di sesso sia maschile che femminile con diversi tipi di copricapo (alto polos troco-conico o dal profilo arrotondato, a calotta, conico o a punta ripiegata in avanti) e con una resa realistica dei tratti del volto. In età ellenistica si associano alle teste e ai busti, modelli di edifici e arule databili tra il IV e il III sec. a.C., immagini di donne gravide, di bambini in fasce e di statuette di offerenti panneggiate, di figurine di animali, tra cui una scrofa, patelle con figure femminili o recumbenti su kline, mentre in età medio e tardo repubblicana sono attestate anche statuette raffiguranti Atena, Afrodite, Artemide, Diana, Eros, teste di Ercole e di satiri. Divinità titolari: Iuno Popluna. Datazione: fine VI a.C.-VI sec. d.C. Note: Bibliografia: JOHANNOWSKY 1962, 63-69; JOHANNOWSKY 1963, 133-152; CERCHIAI 1995, 177; SIRANO 2006 a, 331, 338; SIRANO 2006 b, 70-71; SCALA 2007, 97-109; SIRANO 2007, 69-89; Teanum Sidicinum 2007, 21-24; CARAFA 2008, 65-69; CERCHIAI 2010, 84-85; RUFFO 2010, 93-95. 185 Fig. 7.3. Area sacra in località Loreto (da Teanum Sidicinum 2007). Fig. 7.4. Planimetria del santuario (da JOHANNOWSKY 1963). 186 Fig. 7.5. Teano. Santuario in località Loreto. Panoramica delle strutture indagate nel 2002 (da SIRANO 2007). Fig. 7.6. Materiali votivi di età ellenistica dal santuario in località Loreto (da Teanum Sidicinum 2007). 187 Numero di catalogo: 44 Centro di riferimento: Teano. Scheda sito n.: 2 Localizzazione: area sacra in località San Paride, presso il tratto occidentale delle fortificazioni lungo il tratto della Via Latina Contesto geomorfologico: pianoro, a ridosso delle mura, in prossimità di una necropoli. Ubicazione geografica: comune di Teano Coordinate IGM: 1:25.000, F. 172 IV S/O Coordinate UTM: 33T 42166295 E Quota: 159 s.l.m. Distanza: 530,5 Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: tre muri paralleli con orientamento E/O, interpretati come pertinenti al podio tempio di tipo etrusco-italico. Evidenze archeologiche: delle strutture murarie individuate si conservano tre filari di blocchi di cui quello più profondo con risega, forse relativa alla linea dell’ Materiali e tecniche costrutt opera a secco. Materiali votivi: - Divinità titolari: - Datazione: età ellenistica (III-II sec. a.C Note: le strutture, per altro fortemente intaccate da muri di età succe sono state oggetto di una parziale esplorazione. Bibliografia: GASPERETTI 1991 a, 139; GASPERETTI 1993 CARAFA 2008, 105-106. Fig. 7.7. Teano. Ubicazione delle aree sacre in 188 che conduce a Cales. - provincia di Caserta, località San Paride. :(Carinola). - 456662570 N. dell’euthynteria. costruttive: le strutture sono realizzate in opera quadrata di blocchi di tufo messi in C.). successiva che a essa si sovrappongono, b, 42-43; CERCHIAI 1999 a, 206; .7. località San Paride e Orto Ceraso (da CARAFA 2008) della città, di un antico ssiva 2008). Fig. 7.8. Teano. Basilica di San Paride. Planimetria delle strutture rinvenute sotto il pavimento (da GASPERETTI 1993 b). Numero di catalogo: 45 Centro di riferimento: Teano Scheda sito n.: 3 Localizzazione: teatro-santuario di Teano ubicato all’interno del perimetro urbano, a Sud dell’arce, in una posizione centrale della città bassa, in località Villino di Sant’Antonio. Contesto geomorfologico: pianoro. Ubicazione geografica: comune di Teano -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 IV S/O (Carinola). Coordinate UTM: 33T 4223301 E -456673354 N. Quota: 150 s.l.m. Distanza: 562,6. Posizione rispetto al centro: urbana. Descrizione: il complesso ellenistico del teatro-santuario presenta un’architettura scenografica sviluppata su una successione di terrazze artificiali. L’area sacra sorge alla sommità dell’edificio scenico e si articola, a sua volta, in due terrazze digradanti, in asse tra loro. Quella inferiore, su cui si appoggia la cavea del teatro, è scandita, in corrispondenza della cavea, da otto aperture ad arco, che comunicano con grandi ambienti rettangolari di dimensioni diverse, e da due rampe coperte, costituite da due corridoi con copertura a botte, adiacenti rispettivamente a tre vani rettangolari comunicanti tra di loro e perpendicolari a esse, che delimitano i muri perimetrali del podio, collegando la summa cavea alla terrazza del tempio. La terrazza superiore ospita il tempio, in asse con il teatro e circondato da un portico triplex. La massiccia spoliazione subita dall’edificio già prima dei restauri di età imperiale rende piuttosto problematica la restituzione planimetrica del primo impianto del tempio che però, sulla base del calcolo delle dimensioni del podio in 63 piedi osci, potrebbe essere ricostruito con quattro colonne sulla fronte, ma, allo stato attuale della 189 documentazione, nulla può essere supposto per l’articolazione del colonnato e della cella. Si può, invece, ipotizzare sulla base degli elementi architettonici rinvenuti in giacitura secondaria, una trabeazione lignea e un colonnato in un ordine tra l’eustilo e il distilo. Evidenze archeologiche: delle strutture indagate si conservano la rampa meridionale di accesso alla terrazza del tempio; del tempio, solo a livello delle fondazioni e in maniera parziale, la fronte principale del podio e del lato nord, parte della scalinata di accesso al pronao. Materiali e tecniche costruttive: il podio del tempio è costituito da una serie di poderose concamerazioni in opera incerta e copertura a volta a botte. Dell’elevato del tempio sono stati recuperati centoquindici frammenti architettonici in tufo grigio (quarantatré frammenti pertinenti a colonne scanalate, ventuno frammenti tra abachi volute, foglie ed elici, cinque basi si colonne, tre cornici modanate, un frammento di scultura ad alto rilievo e capitelli corinzi di tipo normale e tipo campano). Le basi, i capitelli e i frammenti di colonna, rinvenuti presso la scalinata di accesso al tempio e presso l’angolo nord del podio possono essere riferiti alla decorazione dell’edificio templare, mentre gli altri frammenti, sulla base di confronti tipologici e dimensionali, potrebbero essere ascritti a un edificio minore o a piccoli altari presenti nell’area sacra. Dai livelli di obliterazione della scala di accesso al tempio sono state inoltre recuperate terrecotte architettoniche attribuibili a due sistemi di copertura diversi; è stato possibile ricostruire una sima laterale a gola rovescia chiusa in alto da una cornice con binario fermo per l’inserimento di una cortina di coronamento e in basso da un listello obliquo leggermente aggettante, e decorata nella parte centrale da un anthemion a palmetta con almeno sei foglie introflesse; un’altra sima di dimensioni minori, cui sono riconducibili pochi altri frammenti, può essere ricostruita con breve zoccolo, profilo a gola rovescia e anthemion decorato con semi-palmette a foglie filamentose. Materiali votivi: Divinità titolari: Apollo (?) Datazione: fine II sec. a.C.-prima età imperiale. Note: Bibliografia: JOHANNOWSKY 1963, 158; BALASCO 2011, 74-76; SIRANO 2011 c, 31-33; SIRLETO 2011, 135-144. 190 Fig. 7.9. Teano. Ricostruzione del complesso architettonico santuario-tempio (da SIRANO 2011 a). 191 Numero di catalogo: 46 Centro di riferimento: Teano Scheda sito n.: 4 Localizzazione: area sacra in località Orto Ceraso lungo le pendici occidentali del pianoro su cui sorge la città, lungo la strada che conduceva a Suessa. Contesto geomorfologico: pianoro, in prossimità di un’area di necropoli di età ellenistico-romana. Ubicazione geografica: Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 IV S/O (Carinola). Coordinate UTM: 33T 42167816 E -456610659 N. Quota: 136 s.l.m. Distanza: 1.073 Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: area sacra di età ellenistica di cui sono stati messi in luce due ambienti probabilmente pertinenti a due edifici diversi. Il primo, a pianta rettangolare, con orientamento N/O-S/O, si estende su di una superficie di 4 mq e presenta un pavimento in lastre di tufo e probabile elevato in terra cruda che doveva essere incassato direttamente in alcuni solchi individuati sulle lastre; il secondo ambiente è stato rinvenuto a N/O del primo, a pianta rettangolare e orientato anch’esso N/O-S/O. è costituito da muri in blocchi squadrati di tufo all’interno del quale sono stati rinvenuti numerosi unguentari fusiformi riconducibile ad un tipo databile tra III e II sec. a.C. e che sono stati interpretati come in resti di una stipe votiva. Evidenze archeologiche: le strutture individuate si conservano solo a livello delle fondazioni. Materiali e tecniche costruttive: il pavimento del primo ambiente è realizzato in grandi lastre di tufo marrone chiaro ben allineate e messe in posa su di un livello compatto di terra battuta. Il secondo ambiente è realizzato in opera quadrata di blocchi di grandi dimensioni di tufo grigio messi in opera a secco. Materiali votivi: all’interno del secondo ambiente sono stati recuperati circa venti balsamari fittili fusiformi databili tra il III-II sec. a.C. Divinità titolari: Datazione: III-II sec. a.C. Note: le strutture sono state indagate solo preliminarmente per cui non è possibile fornire le dimensioni esatte né una descrizione più dettagliata degli ambienti. Essi si trovano, comunque, grosso modo alla stessa quota delle sepolture più antiche risalenti al III sec. a.C., per cui si potrebbe ipotizzare un impianto contestuale della necropoli e dell’area sacra, che sulla base della dislocazione degli ambienti individuati, potrebbe definirne i limiti. Bibliografia: GASPERETTI 1991 b, 139-141; CARAFA 2008, 106-107. 192 Fig. 7.10. Teano. Area di scavo in località Orto Ceraso (da GASPERETTI 1991 b). 193 Numero di catalogo: 47 Centro di riferimento: Teano Scheda sito n.: 5 Localizzazione: area sacra in frazione Borgonuovo, in località Masseria Cellarone, a Nord della città antica. Contesto geomorfologico: pianoro; in prossimità di una sorgente naturale. Ubicazione geografica: comune di Teano -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 IV N/O (Teano). Coordinate UTM: 33T 42365499 E -457143002 N. Quota: 191 s.l.m. Distanza: 3.391,2 Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: fossa votiva scavata direttamente nel terreno argilloso, di forma rettangolare (16×3,50 m) che ha restituito vasellame integro o forme intere in frammenti, probabilmente rotte ritualmente, separate da sottili lenti di terra. Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: la fossa ha restituito soprattutto vasi potori o forme connesse al consumo del vino o liquidi, contenitori per derrate: olle acrome, brocche, crateri a colonnette, coppette e ciotole in cd. bucchero rosso o a superficie grezza, anforette a superficie lustrata; una grande quantità di bucchero etrusco-campano; alcune terrecotte votive, tra cui frammenti appartenenti a una figura di offerente mascile con un’arma e una testina miniaturistica barbata che richiama modelli greci del tardo-arcaismo. Divinità titolari: Datazione: fine VI-inizi V sec. a.C. Note: la fossa è stata rinvenuta in occasione degli scavi di emergenza per la realizzazione della linea dell’Alta Velocità. Bibliografia: GASPERETTI 2007, 254-255; RUFFO 2010, 92. Fig. 7.11. Teano. Ubicazione dell’area sacra presso Masseria Cellarone. Stralcio della carta IGM 1:25.000. 194 Numero di catalogo: 48 Centro di riferimento: Teano. Scheda sito n.: 6 Localizzazione: stipe votiva in località Fontana La Regina, tra Teano e Riardo, 4 km a Est della città antica. Contesto geomorfologico: pianoro caratterizzato dall’affioramento di sorgenti minerali perenni. Ubicazione geografica: comune di Teano -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 IV S/E (Pignataro Maggiore). Coordinate UTM: 33T 42567870 E -456875211 N. Quota: 140 s.l.m. Distanza: 3.841,4 Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: vasetti miniaturistici e terrecotte votive rappresentate da teste di offerenti di produzione locale, di difficile datazione, con copricapo a calotta, dai tratti del volto abbozzati resi in maniera sommaria e corsiva, talvolta incisi, per le quali sono stati riconosciuti influssi ionizzanti di età tardo-arcaica. Divinità titolari: Datazione: fine VI sec. a.C. Note: le terrecotte votive sono state rinvenute in maniera fortuita nel 1919 e al momento non si dispone al momento di altri dati che permattano di definire la natura del deposito votivo. Bibliografia: RAIOLA 1922, fig. III; JOHANNOWSKY 1963, 133; CAIAZZA 1995, 143; CERCHIAI 1995, 176; CARAFA 1998, 213; CERCHIAI 1999 a, 205; CARAFA 2008, 117; RUFFO 2010, 92. Fig. 7.12. Ubicazione dell’area sacra presso Fontana La Regina. Stralcio dalla carta IGM 1:25.000. 195 Numero di catalogo: 49 Centro di riferimento: Teano. Scheda sito n.: 7 Localizzazione: santuario in località Masseria Soppegna-Fondo Ruozzo, a Sud dall’antica città di Teano, lungo la sponda destra del Savone. Contesto geomorfologico: pianoro delimitato da due fiumi, a Sud dal Savone, a Nord da uno dei suoi affluenti minori. Ubicazione geografica: comune di Teano -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 IV S/O (Carinola). Coordinate UTM: 33T 42182797 E -456233975 N. Quota: 66 s.l.m. Distanza: 4.656 Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: dell’area sacra indagata parzialmente negli anni ottanta del secolo scorso sono state individuate due ampie aree connesse tra loro a formare una T. Alla più antica fase di vita del santuario, alla fine del VI sec. a.C. risale la costruzione di due rampe di accesso all’area sacra, scavate direttamente nella roccia, che dovevano condurre a un primo edificio templare di cui non sono state rinvenute tracce sul terreno ma alla cui decorazione sono stati attribuiti alcuni elementi architettonici rinvenuti nell’area. Le uniche strutture architettoniche che si conservano di questo periodo sono costituite da una serie di blocchi squadrati di tufo grigio nei quali sono infissi ciottoli di calcare di grandi dimensioni, probabilmente con funzione di segnacolo. Al IV sec. a.C. e alla straordinaria ricchezza raggiunta dal santuario in questo periodo sono attribuibili dolia di grandi dimensioni utilizzati per contenere o le derrate offerte alle divinità o i prodotti ricavati dallo sfruttamento della terra di proprietà del santuario. Verso la fine del II sec. a.C. il santuario viene interessato da un programma di rinnovamento edilizio che doveva prevedere una monumentalizzazione in senso scenografico con un articolazione su terrazze, mai portato a compimento. Le rampe di accesso al pianoro vengono ricoperte da un poderoso riempimento, mentre viene monumentalizzato il fianco meridionale con la costruzione di due lunghi muri in opera incerta. Evidenze archeologiche: le strutture indagate si conservano parzialemente e solo a livello delle fondazioni. Materiali e tecniche costruttive: le due rampe d’accesso di fine VI-inizi V sec. a.C., scavate direttamente nella roccia sono rivestite da un muro in blocchi di tufo in opera quadrata a cappellaccio. Alla stessa fase, sono riconducibili alcune terrecotte architettoniche (antefisse a testa femminile entro fiore di loto di tipo capuano, alternate ad antefisse con testa di gorgone, capitelli d’anta di tipo ionico con un fiore di loto tra volute) da riferire alla decorazione del più antico edificio templare. Materiali votivi: tra i materiali votivi più antichi si segnala una statua in terracotta, a grandezza quasi naturale di divinità femminile panneggiata che reca tra le braccia un porcellino è interpretabile come statua di culto probabilmente raffigurante Demetra e un’anfora attica a figure nere, già restaurata in antico, decorata con una scena dionisiaca e sulla faccia B con il motivo iconografico della partenza o del ritorno del guerriero. Le offerte votive di età arcaica si possono essenzialmente ricondurre a due principali tipologie: statuette raffiguranti la divinità verosimilmente onorata nel santuario, raffigurata come una kourotrophos che reca sulle spalle una coppia di fanciulli, e figure di offerenti (teste di piccole dimensioni a capo scoperto o con copricapi di fogge diverse; statuette a tutto tondo di guerrieri con corta tunica o mantello che lascia scoperti i genitali, testa coperta da elmo di tipo calcidese con lunghe paragnatidi dal profilo lanceolato e alto paranuca e armi). Nella fase ellenistica sono frequenti tanagrine e statuette di offerenti rappresentati nell’atto di presentare il dono alla divinità o in particolari momenti della vita quotidiana, statue di madri che allattano un bambino al seno, figurine di animali (cinghiali e maialini con numerose mammelle), oggetti che richiamano il lavoro dei campi. (asce, falci, macine, zappe sia in dimensioni normali che nella versione miniaturistica), riproduzioni fittili di focacce e cesti con frutta. A partire dal III sec. a.C. diventano molto frequenti i votivi anatomici e le statue in terracotta raffiguranti offerenti di sesso maschile che femminili nell’atto di donare un pomo, una melograna o una patera. Per la media e tarda età repubblicana un carattere particolare del culto potrebbe essere rappresentato dal dono di catene, che potrebbe alludere a una concessione o acquisizione di libertà. Risultano, infine, attestate immagini di Artemide che caccia con i cani, di Afrodite appoggiata al pilastrino o a Eroti e di Giunone ipostatizzazione dell’antica divinità dei Sidicini Populona. 196 Divinità titolari: Populona/Iuno Popluna Datazione: fine VI-inizi I sec. a.C. Note: - Bibliografia: MOREL 1988, 323 34; MOREL 1992, 221-232; CERCHIAI 1995, 176; CARAFA 1998, 213; MOREL 1998, 157 SIRANO 2006 a, 331-334, 338 118-120; SVANERA 2008, 285 Fig. 7.13. Teano. Ubicazione del santuario presso Masseria Soppegna Fig. 7.14. Teano. Fondo Ruozzo. Planimetria delle strutture indagate. 197 Popluna. , 323-324; PEÑA 1989, 741-744; MOREL 1989-90, 507 338-347; SIRANO 2006 b, 71; Teanum Sidicinum 2007, 27 285-314; CERCHIAI 2010, 84-85; RUFFO 2010, 95-96. . Soppegna-Fondo Ruozzo. . 507-517; MOREL 1991, 9- 157-167; 27-34; CARAFA 2008, Numero di catalogo: 50 Centro di riferimento: Teano Scheda sito n.: 8 Localizzazione: area sacra in località Taverna di Torricelle, lungo la riva sinistra del Savone, a S/E della città, alle falde della collina di Iastavella, in posizione intermedia tra il territorio di Cales e quello di Teano, 400 m a Sud dalla necropoli di età sannitica rinvenuta nella stessa località. Contesto geomorfologico: pianoro caratterizzato dall’affioramento di sorgenti minerali perenni. Ubicazione geografica: comune di Teano -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 IV S/E (Pignataro Maggiore). Coordinate UTM: 33T 42497671 E -456381026 N. Quota: 97 s.l.m. Distanza: 7.696 Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: all’area sacra sono riconducibili due fosse votive di forma allungata e dai margini mal definiti. Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: le fosse sono tagliate direttamente nel terreno senza alcun tipo di rivestimento (la prima delle due fosse era caratterizzata da una profondità di 0,70 m). Materiali votivi: la prima fossa, databile alla prima età del ferro, ha restituito seicento boccalini monoansati contenenti ciascuno uno o più anellini in bronzo a sezione lenticolare o romboidale o un vago di ambra o di pasta vitrea; la seconda stipe ha restituito quasi esclusivamente brocche monoansate di impasto. Divinità titolari: Datazione: VIII-VII sec. a.C. Note: l’area sacra è stata esplorata agli inizi degli anni ottanta del secolo scorso in seguito all’affioramento di materiali archeologici in occasione di lavori agricoli. La condizioni di emergenza e l’affioramento dell’acqua della falda ha reso piuttosto problematica l’esplorazione dell’intera area. Tuttavia si sono raggiunti i livelli di frequentazione precedenti all’impianto della prima stipe che hanno restituito numerosa ceramica d’impasto e raschiatoi frammentari in selce riferibili all’orizzonte cronologico della media età del bronzo. Bibliografia: ALBORE LIVADIE 1981, 520-522; CHIOSI 1993 b, 47, nota 56; CERCHIAI 1995, 176; GASPERETTI 1997, 240, nota 2; CERCHIAI 1999 a, 205; CARAFA 2008, 117-118; RUFFO 2010, 92. Fig. 7.15. Ubicazione dell’area sacra presso Taverna di Torricelle. Stralcio dalla carta IGM 1:25.000. 198 CAPITOLO VIII LA MEDIA E ALTA VALLE DEL VOLTURNO 8.1. Il territorio tra il Matese e il Monte Maggiore Il territorio dell’antica Allifae, ubicata ai piedi del massiccio del Matese, estrema propaggine settentrionale del comparto campano al confine con il Sannio si estende lungo l’ampia fascia collinare e pianeggiante alle pendici del monte, solcata, sul versante orientale, dal fiume Volturno e chiusa a Ovest dai monti Santa Croce e Maggiore, che delimitano a Nord la pianura campana. Quest’area, nel periodo precedente la conquista romana, sembra sia stata caratterizzata da una serie di insediamenti stabili, di tipo paganico, che non hanno mai acquisito una piena dimensione urbana. I centri principali si concentrano lungo la riva destra del Volturno: Alvignano (Culbuteria), Dragoni, Treglia (Trebula Balliensis), Pietramelara, Vairano Patenora (Austicola?), Presenzano (Rufrae), e leggermente più a Nord, lungo la riva sinistra del fiume: Alife e i centri minori gravitanti intorno a essa alle pendici del Matese (San Potito Sannitico, Piedimonte Matese, Sant’Angelo di Alife, Raviscanina, Ailano, Pratella, Mastrati). Al momento delle guerre sannitiche questo ampio territorio risulta suddiviso tra le tribù sannitiche dei Caudini e dei Pentri1. 8.1.1. Cubulteria Il territorio dell’antica Culbuteria si estende tra gli attuali comuni di Alvignano, Ruviano, Dragoni e Baia e Latina, in una vasta area pianeggiante e sub-collinare, lungo la riva destra del fiume Volturno, dalla rilevante importanza strategica di collegamento tra l’ager campuanus, il territorio alifano e il massiccio del Matese; esso è separato a Ovest dal territorio di Teano dal monte Monaco, a Sud, e dal monte Fossato a Nord, mentre sul versante meridionale il limite può essere rappresentato dalle pendici dei monti Costa Pelata, della Costa, Longone, Conca, Pergolaro e dal colle Staffaro2. Questo ampio comprensorio, in cui 1 SALMON 1985, 43-44; CAIAZZA 1990, 25-46; TAGLIAMONTE 2005, 70. 2 CERA 2004, 21-22. Più difficile individuare i confini orientale e settentrionale verosimilmente da collocare in punti rilevanti dal punto di vista geomorfologico; il limite orientale potrebbe essere fissato, allora in via ipotetica, presso il Rio Tella che separa le alture di Marciano Freddo dal Monte Grande, mentre il limite settentrionale in corrispondenza dell’ansa del Volturno presso Piana delle Limatelle. 199 sono state rilevate tracce di una prima frequentazione ris sporadica attestazione riferibile al Paleolitico insediativo a partire dalla prima età del ferro, quando si assiste alla formazione di nuclei abitativi che si distribuis in alcuni settori collinari, Fig. 8.1. Territorio di Culbuteria. Dislocazione dei siti di età arcaica Tuttavia è solo a partire dalla fine del VII sec. a.C. delle testimonianze archeologiche relative a nuclei abitativi e sepolcrali di piccole e medie dimensioni, di carattere sparso, finalizzati allo sfruttamento agricolo e situati, nella ma 3 CERA 2004, 188-190. 4 CERA 2004, 191. L’esempio più significativo è rappresentato da un insediamento in località Torano, nel territorio di Alvignano, che si sviluppa in una zon strategica lungo le principali vie naturali di accesso verso l’interno e verso la pianura campana. 200 risalenti all’età del Bronzo, con qualche Paleolitico3, è interessato da un cospicuo fenomeno distribuiscono soprattutto nelle aree più vicine al corso del Volturno e con continuità di vita accertata fino a età arcaica . (da CERA 2004). si registra un netto incremento zona pianeggiante, a ridosso del Volturno, particolarmente fertile e in posizione alenti , piccoli cono arcaica4. maggior parte dei casi, in aree pianeggianti, sempre nelle vicinanze di fonti o sorgenti5. Si tratta per lo più di insediamenti modesti, talvolta affiancati da piccole aree di necropoli6. A partire dal IV sec. a.C., nell’ambito del conflitto romano-sannitico, il territorio viene progressivamente coinvolto nel processo di occupazione romana, assumendo la sua strutturazione definitiva. Tra IV e il III sec. a.C. le evidenze non particolarmente consistenti restituite dal comparto in esame potrebbero essere correlate a una forma di occupazione territoriale basata sulla presenza di pochi poli di aggregazione, dalla precipua funzione difensiva, distribuiti su alture, in posizione dominante rispetto ai punti di passaggio obbligati7. Un ruolo di particolare rilievo viene assunto tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. dall’insediamento fortificato sul Monte Castello di Dragoni, posto a controllo dell’itinerario che collegava Capua al territorio di Alife, attraverso la zona di Triflisco, Pontelatone, Treglia e Liberi, probabilmente da identificarsi come il centro sannitico noto dalle fonti letterarie e numismatiche con il nome di Kupelternum8, che presenta caratteristiche analoghe a quelle riscontrate per gli altri centri fortificati della zona, dotati anche di funzioni abitative9 Ulteriori cambiamenti nelle modalità di occupazione territoriale si verificano nel corso del III sec. a.C., nel periodo immediatamente successivo alla terza guerra sannitica. A quest’epoca, infatti, possono essere ricondotti alcuni nuclei insediativi in pianura, da intendersi come esito dell’evoluzione e ampliamento di realtà archeologiche precedenti, che si dispongono a una distanza regolare l’uno dall’altro di circa 4,5-5 km, sempre in aree favorevoli alle attività agricole e produttive, riflesso probabilmente di una maggiore stabilità politica e sociale10. Uno di questi nuclei può essere riconosciuto ad Alvignano, in località San Ferdinando, dove un santuario campestre, impiantato in quest’area tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C.11, funge da polo attrattivo per la formazione di un nucleo abitativo che si espande progressivamente nel corso del II sec. a.C., fino ad assumere un ruolo di rilevanza centrale, in seguito al bellum sociale, nel I sec. a.C., divenendo la sede, con il nome di Cubulteria, del nuovo municipium romano e ricevendo una 5 Sono anche attestate evidenze relative a insediamenti di altura come quello individuato sulla cima del monte Castelluccio, in località Santoianni di Baia e Latina, tra le pendici del monte Fossato e il corso del Volturno, sorto con la chiara funzione di difesa e controllo del territorio circostante. 6 L’esempio più significativo è rappresentato da un insediamento rivenuto ad Alvignano in località San Ferdinando che ha restituito resti di capanne e numeroso materiale ceramico, soprattutto bucchero, databile tra gli inizi del VI e gli inizi del V sec. a.C.: CRIMACO 1991 b, 144; CERA 2004, 192. 7 CERA 2004, 200. 8 CAIAZZA 1986, 221-245; OAKLEY 1995, 46-48. 9 Come, ad esempio, nel caso di Treglia. Cfr., infra. 10 CERA 2004, 201. 11 Cfr., infra, cat. n. 201 precisa definizione urbana e monumentale archeologica disponibile, sembra che l’istituzione del con la costruzione di pochi ed di età imperiale, e da quartieri abitativi per lo più di carattere rurale. l’insediamento avesse un’estensione alquanto limitata, definito da pochi edifici pubblici e da rusticae che, durante l’età imperiale, rispettano e ripropongono, soprattutto nei territori caratterizzati da un’eminente impronta agricola insediative precedenti, così come si riscontra in altre città campane Fig. 8.2. Territorio di Cubulteria. Dislocazione 8.1.2. Trebula Balliensis Il territorio dell’antica estende in una vasta vallata, solcata da due corsi d’acqua a regime torrentizio, 12 CERA 2004, 204-207. Contra Ferdinando: CRIMACO 2002, 99 semplice vicus, dipendente da Allifae 13 RESCIGNO 2002, 101; QUILICI GIGLI 202 monumentale12. Tuttavia, sulla base dei dati della documentazione municipium abbia avuto un esito modesto, edifici pubblici, la cui esistenza è testimoniata solo È presumibile, quindi, che e da uno spiccato conservator campane13. . dei siti di età repubblicana (da CERA 2004). e il comparto dei Monti Trebulani Trebula Balliensis, presso l’odierno comune di Treglia, si l’identificazione dell’antica Cubulteria con l’insediamento individuato in località San 99-101, che nega anche lo statuto di municipium, considerando l’insediamento un Allifae. GIGLI-RESCIGNO 1996, 99; CERA 2004, 209. da alcune iscrizioni villae conservatorismo, le realtà , compreso tra le cime più alte dei Monti Trebulani (monte Serrone e monte La Cappella) e progressivamente digradante verso Formicola e la piana di Pontelatone. Questa posizione geografica favorevole, di collegamento tra il monte Maggiore e la media valle del Volturno, determina fin da epoca arcaica, la nascita di un nucleo insediativo stabile, probabilmente una stazione fissa per il movimento di greggi e merci, come sembrano documentare i materiali archeologici recuperati, riferibili almeno a due distinti complessi abitativi di età arcaica, sparsi nel territorio e gravitanti intorno al pianoro della Corte, che funge da polo aggregativo di tutte le realtà circostanti14. Fig. 8.3. Treglia. Antico abitato di Trebula (da CONTA HALLER 1978). 14 Pur in assenza di dati archeologici significativi è possibile ipotizzare sul pianoro l’esistenza di un vero e proprio villaggio arcaico che fungeva da centro catalizzatore di entità minori sparse sul territorio: CALASTRI 2006, 199. Un’ulteriore prova della possibile esistenza di un villaggio di età arcaica che precede l’insediamento di età sannitica è rappresentato dal ritrovamento di un impianto produttivo presso Monte Castello che ha restituito prodotti ceramici di notevole qualità (bucchero rosso e nero, ceramica a vernice nera, ceramica comune), databili in un periodo compreso tra la fine del VI e gli inizi del V sec. a.C.: CALASTRI 2006, 201; CAIAZZA 2009, 93. 203 Fig. 8.4. Trebula. Perimetro urbano e tracciato della cinta muraria (da CONTA HALLER 1978). Tra la fine del VI e la metà del V sec. a.C. l’organizzazione territoriale dei monti Trebulani subisce progressive modifiche dovute probabilmente a mutate condizioni economiche, come sembrerebbe indicare l’interruzione della attività della fornace di Monte Castello e l’abbandono di molti nuclei abitativi del territorio, ad eccezione dell’insediamento ubicato proprio sul pianoro di Treglia, probabilmente in concomitanza dell’occupazione sannitica dell’area15. Sotto la pressione migratoria delle genti di stirpe sannitica, il comparto dei monti Trebulani riceve una radicale risistemazione che consiste, da un lato, nella formazione di piccoli unità abitative a carattere agricolo, localizzate in pianura o a media collina, dall’altro, nella formazione di centri fortificati, di maggiori dimensioni, arroccati sulle cime più elevate dei monti circostanti, dotati di un carattere prettamente militare, come nel caso di Colla o di Monte Sant’Erasmo, o a carattere più spiccatamente urbano come nel caso di Trebula16. Dall’analisi della documentazione archeologica, emergono, per questo periodo, le tracce relative a un’organizzazione socio-economica basata sulla piccola concentrazione patrimoniale, su attività agricole e pastorali per lo più a carattere sussistenziale, che trova l’espressione più compiuta nel modello della fattoria di piccole e medie dimensioni che si affermerà pienamente nei due secoli successivi. I centri fortificati in opera poligonale si dispongono, invece, secondo un preciso criterio logico, sui punti più elevati e più importanti dal punto di vista strategico dei monti Trebulani, in posizione di difesa e controllo delle principali vie di comunicazione, uniti in un sistema integrato e complementare di funzioni17. 15 TAGLIAMONTE 2005, 17-20, 128-136. 16 CALASTRI 2006, 203. 17 CAIAZZA 1986, 379-381. 204 Il fulcro di tale sistema è rappresentato da Trebula, situata sul pianoro di La Corte e sulla cima di Monticelli Cesco Cupo. Sebbene le evidenze archeologiche rinvenute all’interno della cinta poligonale siano da riferire a età romana, è possibile ipotizzare una avvenuta pianificazione urbana nel corso del IV sec. a.C. sulla base della dislocazione delle necropoli di età sannitica immediatamente all’esterno della cinta muraria o lungo le pendici del pianoro18. Questa organizzazione territoriale resta inalterata per i due secoli successivi, nonostante i rivolgimenti delle guerre sannitiche e delle guerre puniche19. È solo a partire dalla seconda metà del II sec. a.C. che si colgono i segni di profonde trasformazioni; a partire dalla seconda metà del III sec. a.C. ha inizio il progressivo abbandono dei centri fortificati che non vengono più rioccupati mentre in pianura si diffondono piccoli nuclei abitativi autonomi legati allo sfruttamento delle risorse agricole. La creazione del municipium romano dopo il bellum sociale nel I sec. a.C., inoltre, non muta sostanzialmente le dinamiche di occupazione del territorio, in cui si diffondono in maniera più capillare villae rusticae, fattorie e impianti produttivi di dimensioni maggiori, associati a infrastrutture idrauliche e probabilmente destinati a uno sfruttamento più intensivo delle risorse agricole, ora finalizzato a un commercio più a largo raggio, che continuano a vivere per tutta l’età imperiale, fino al IV-V sec. d.C., quando si registrano nell’area i segni di un deciso ripiegamento e abbandono20. 8.1.3. Presenzano e l’ager Rufranus L’antica città di Rufrae, conquistata dai Romani nel 326 a.C., ubicata presso l’odierno centro di Presenzano21, sorge alle pendici orientale del Massiccio di Roccamonfina, in una posizione strategica di controllo delle vie di accesso, da un lato, verso il territorio sidicino e l’area etrusco-laziale, attraverso la valle del Liri-Garigliano, dall’altro verso, attraverso la valle del Volturno, verso il Sannio Pentro e Alife22. Le più antiche evidenze relative a una prima frequentazione dell’area risalgono alla fine del VII sec. a.C. e sono rappresentate dai corredi delle sepolture rinvenute in località 18 CALASTRI 2006, 212-213. 19 CAIAZZA 2009, 13-21. 20 CALASTRI 2006, 216-228. 21 STORTI 1996, 473-475. Cfr. inoltre, CAIAZZA 1991, 85-113. 22 DE CARO-MIELE 2001, 514. 205 Fig. 8.5. Presenzano. Planimetria dell’antico abitato e del tracciato della fortificazione (da CONTA HALLER 1978). Masseria Robbia, alle pendici dell’acropoli di età preromana23, e in località Masseria Monaci24. Non si posseggono elementi certi per la precisa localizzazione dell’insediamento, ma è possibile ipotizzarne l’ubicazione, in una zona pianeggiante, a poca distanza dalle necropoli, compresa tra il confine orientale della Masseria Monaci e l’attuale via Brecciale, dove, oltre alla stipe votiva individuata in località Masseria Perelle25, sono stati rinvenuti, in anni recenti, materiali riferibili univocamente a una situazione di abitato (tegole, opera doliare, ceramica fine da mensa, ceramica comune di impasto buccheroide, databili tra il VI e la seconda metà del V sec. a.C.), che, per questo periodo sembra definito all’esterno da un fossato che doveva circondare un agger di difesa26. Non è possibile definire con sicurezza l’articolazione interna dell’insediamento, ma sulla base dei ritrovamenti più antichi relativi a strutture di carattere abitativo, di cui si conservano le fondazioni in ciottoli di fiume, circondate da un piccolo fossato e da strutture funzionali, si può supporre una originaria formazione di unità autonome e indipendenti che solo in un secondo momento si aggregano, provvedendo a una pianificazione funzionale degli spazi. Questa situazione muta già alla fine del VI e agli inizi del V sec. a.C. quando vengono distrutti e obliterati il fossato e le unità abitative, mentre continuano a essere frequentati il santuario in località Perelle e la necropoli in località Masseria Monaci27. Nel corso del V sec. 23 GASPERETTI et alii 1999, 145-146, nota 1; JOHANNOWSKY 2000, 16-19. 24 SIRANO 2005, 305. 25 Cfr., infra, cat. n. 54. 26 SIRANO 2005, 305. 27 JOHANNOWSKY 2000, 17; SIRANO 2005, 307. 206 a.C. può essere anche datata la costruzione di una strada con orientamento N/S, individuata in località Masseria Perelle, presso l’odierna via Brecciale, connessa probabilmente con una ristrutturazione dell’antico abitato, alla quale potrebbe anche riferirsi anche l’edificazione della cinta muraria dell’arce, sebbene non sussistano elementi certi per proporne una datazione così alta28. Ancora da chiarire restano, invece, le cause dell’abbandono e dello spostamento dell’insediamento di età arcaica, che potrebbe essere connesso, da un lato, ai rivolgimenti politici e sociali, seguiti alla battaglia di Cuma del 474 a.C., dall’altro alla conquista sannitica di poco successiva29. Alla seconda metà del IV sec. a.C. viene tradizionalmente datata la cinta in opera poligonale dell’antica arce30, ma a partire da questa data le evidenze archeologiche diminuisco drasticamente, rivelando una netta cesura di circa due secoli. Infatti, sono riconducibili alla fine del II-inizi del I sec. a.C. i resti di una terrazza monumentale in opera incerta, in località Taverna San Felice, alla quale in età augustea si appoggia la cavea dell’anfiteatro31, intorno al quale sono state rilevate tracce di frequentazione relative ad aree di necropoli e impianti produttivi con continuità di vita dal I al IV sec. d.C., mentre lungo l’attuale via provinciale Tora-Venafro sono venuti alla luce resti di un nucleo abitativo e di un sepolcreto databili tra il V e il VI sec. d.C., con livelli di abbandono riferibili a età alto-medievale32. 8.1.4. Il territorio alifano Il territorio dell’antica Alife, ubicato lungo le pendici occidentali del Matese, in corrispondenza dei valichi di accesso al Sannio Pentro e Caudino, in una posizione isolata e al tempo stesso di passaggio, è stato frequentato sin da età preistorica33. Anche in questo caso le testimonianze relative a prime forme di insediamenti stabili, databili tra la fine dell’età del ferro e dell’età arcaica, sono rappresentate dai materiali provenienti dalle necropoli e da zone di abitato nella zona della sannitica Allifa-Alitsa identificata nel centro fortificato circondato da mura poligonali del monte Cila34 o presso l’attuale Castello di Alife. A questo proposito, resta ancora da chiarire il rapporto tra la colonia fondata in pianura nel corso del I sec. a.C. e 28 CONTA HALLER 1978, 88; OAKLEY 1995, 136; SIRANO 2005, 307. 29 SIRANO 2005, 309. Cfr., supra. 30 CONTA HALLER 1978, 88. 31 DE CARO-MIELE 2001, 516-517; SIRANO 2005, 310. 32 DE CARO-MIELE 2001, 517; SIRANO 2005, 311. 33 ALBORE LIVADIE 1990, 7-17; DE CARO-MIELE 2001, 529; MIELE 2007, 185. 34 MAIURI 1927, 450-458; DE CARO-MIELE 2001, 530. 207 le realtà archeologiche precedenti, in particolar modo tra l’insediamento di IV sec. a.C. occupato o fondato dai Romani, di incerta localizzazione, e i centri fortificati in opera poligonale situati nella fascia sub-collinare alle pendici sud-occidentali del Matese (monte Cavuto, monte Cila e Castello di Alife). Fig. 8.6. Il territorio alifano. Stralcio dalla cartografia IGM 1:25.000. La prima occupazione romana nella media valle del Volturno risale a un periodo compreso tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C., successivo alle guerre sannitiche e caratterizzato dall’istituzione di una forma di governo prefettizia e dalla conseguente concessione della civitas sine suffragio nel 268 a.C. È presumibile che, in questa prima fase, tale regime amministrativo, che lasciava un certo margine di autonomia alle comunità locali, si potesse conciliare con la sopravvivenza degli insediamenti di altura di età sannitica, formatisi in funzione anti-romana ma nella maggioranza dei casi già abbandonati definitivamente nel corso del III sec. a.C.35 Anche per il territorio alifano è, quindi, possibile supporre l’esistenza di nuclei abitativi di tipo paganico-vicanico, tipici della civiltà sannitica, ai quali sono da riferire numerose aree necropoliche individuate lungo tutte le pendici del Matese, utilizzate senza soluzione di continuità tra il VII e il II sec. a.C.36, e l’impianto di ville rustiche e di strutture a carattere produttivo lungo il corso del Volturno, probabilmente legato al prolungamento della Via Latina verso la pianura campana37. 35 CAIAZZA 1986, 421-436; MIELE 2007, 186. 36 CAIAZZA 1990, 49-63; TAGLIAMONTE 2004, 47-58; MIELE 2007, 186. 37 DE CARO MIELE-2001, 531-533, 538-540; MIELE 2004 a, 75-76; SIRANO 2004, 59-72; MIELE 2007, 187. 208 8.2. I santuari della valle del Volturno: tipologia e distribuzione territoriale I luoghi di culto individuati in questo vasto comprensorio sono, nella maggior parte dei casi, noti solo attraverso rinvenimenti fortuiti e sporadici che non consentono di identificare con chiarezza la natura e funzione e, in alcuni casi, l’esatta ubicazione delle aree sacre di riferimento. Agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, nel comune di Alvignano, in occasione dell’avvio di alcune campagne di scavo promosse dalla allora Soprintendenza Archeologica delle Province di Napoli e Caserta nell’area della basilica altomedievale di San Ferdinando, luogo indicato dalla tradizione antiquaria del XVIII e del XIX secolo come sede dell’antico centro di Culbuteria, è stato rinvenuto, insieme a numerose altre evidenze relative a un piccolo insediamento rurale, un deposito votivo (cat. n. 51), sito circa 100 m a Est dalla basilica, che i materiali recuperati consentono di datare tra la fine del IV e il II sec. a.C.38; tale deposito ha, infatti, restituito una cospicua quantità di ceramica a vernice nera, attestata soprattutto nelle forme dei crateri miniaturistici, di skyphoi e paterette, forme dalla forte connotazione cultuale, tutte riconducibili a tipi databili tra il III e il II sec. a.C. Numerosi sono anche gli unguentari (circa cinquanta esemplari), i pesi da telaio e statuette votive di figure femminili panneggiate raffiguranti offerenti, rispondenti a tipologie di ex voto ampiamente diffuse nei santuari ellenistici dell’Italia centro-meridionale tra IV e II sec. a.C. Nel 1996, presso i bordi del Vallone Comunale, in località Cacciapugli (cat. n. 52), è stata rinvenuta, in maniera fortuita, una laminetta bronzea con iscrizione opistografa39, databile al III sec. a.C. Le iscrizioni presenti sulle due facce sembrano riferibili a due momenti cronologici distinti, come lasciano supporre i caratteri paleografici e le tracce di riutilizzo. Mentre la lettura del verso (testo A) appare piuttosto chiara, testimoniando la presenza a Culbuteria, già nel III sec. a.C., di aediles duoviri e, quindi, un precoce processo di romanizzazione, più difficile risulta l’interpretazione del testo B, databile non oltre la fine del III sec. a.C. Se, infatti, è chiaro il carattere votivo del testo, che commemora un’offerta presso un lucus, ancora da chiarire risulta il significato del nome Lania, soprattutto sul piano sintattico. I primi editori dell’iscrizione hanno riconosciuto in Lania il nome del dedicante, 38 CERA 2004, 112, 123-139. 39 CAIAZZA-PASSARO 1996, 32-34, figg. 2-3; CERA 2004, 111; DE NONNIS 2004, 427-432; CARAFA 2008, 124. 209 ma il termine può essere anche interpretato come il nome della divinità epicoria, cui sarebbe stato dedicato il lucus (dativi associati per asindeto)40. I testi, databili nella tarda età repubblicana sono i seguenti: Lato A: L(ucius) Macti(dius . vel .. filius) L(ucius) Fabidi(us . vel .. filius) aediles d(uoviri) dedere aere moltatic(io) Lato B: luco Lania dato dono Nella stessa area sono stati rinvenuti anche un’antefissa arcaica, databile nella prima del VI sec. a.C., mutila nella parte inferiore e derivata da una matrice piuttosto stanca, raffigurante una divinità femminile che, in posizione stante e frontale, tiene per il collo un’oca e un cigno41 e una statuetta bronzea raffigurante Eracle stante, in posizione d’attacco, nell’atto di brandire un oggetto, forse una clava, oggi perduto. Il bronzetto, rinvenuto in condizioni frammentarie, privo delle gambe e del braccio sinistro, presenta una capigliatura ben caratterizzata, eseguita a bulino; dei tratti del volto, piuttosto corrosi, sono distinguibili solo gli occhi profondamente infossati e rappresentati da due cerchi a rilievo, il naso piccolo e appuntito e le labbra appena accennate. Per le caratteristiche tipologiche, e in particolare per la resa della capigliatura e della muscolatura, la statuetta è associabile a prodotti databili nella prima metà del IV sec. a.C.42 Nel territorio di Treglia, su un piccolo rilievo calcareo in località Masseria Corte (cat. n. 53), fonti locali ricordano il ritrovamento, avvenuto in circostanze fortuite, di una stipe votiva di cui non si conosce l’esatta ubicazione, mentre dei materiali recuperati, per lo più votivi anatomici e ceramica, resta una riproduzione fotografica conservata presso la sede comunale di Pontelatone. In anni recenti, sulla scorta delle informazioni disponibili, durante un sopralluogo lungo il declivio orientale della collina, appena all’interno dell’ultimo tratto 40 DE NONNIS 2004, 431-432. 41 MAIURI 1927, 459; RESCIGNO 1998, 349; CERA 2004, 144-145, fig. 103. Piuttosto dubbio appare, però, il suo utilizzo a scopi architettonici per le sue ridotte dimensioni non superiori ai 20 cm. 42 CAIAZZA-PASSARO 1996, 34-35, figg. 4-5; CERA 2004, 111; CARAFA 2008, 124. Dall’area della basilica di San Ferrante proviene anche un cippo iscritto di età imperiale che menziona un lucus Iunonis. 210 della cinta muraria dell’antico insediamento, è stato rinvenuto un frammento di ex voto fittile raffigurante la parte anteriore di un bovino43, probabile elemento residuale della stipe precedentemente individuata44. Presso il confine nord-occidentale dell’antico abitato di Rufrae, presso Presenzano simmetricamente opposto all’area della necropoli di Masseria della Robbia, in località Cappelluccia, presso la Masseria Perelle (cat. n. 54), è stato rinvenuto un deposito votivo, ancora non pubblicato integralmente e noto parzialmente attraverso notizie sparse e sporadiche45. Sulla base della tipologia dei materiali editi, il deposito è stato datato tra la fine del VI sec. a.C. e la prima età imperiale. Esso ha restituito quasi esclusivamente statuette in terracotta raffiguranti sia figure maschili che femminili. Gli esemplari più antichi, ritrovati in associazione con caratteristici vasi a impasto definiti “a bombarda”46, databili nel corso del VI sec. a.C., rivelano un’esecuzione piuttosto corsiva e grossolana, essendo caratterizzati da forma rigide e approssimative con i tratti del volto incisi e resi in maniera sommaria47. I personaggi maschili sono armati di uno scudo che reggono con il braccio sinistro, mentre il braccio destro è proteso in avanti a brandire un oggetto (forse una lancia), in un gesto che sembra indicare un’azione d’attacco piuttosto che un’offerta. Generalmente sono tutti privi di vesti, con il sesso ben in evidenza; recano sul capo una sorta di protuberanza che sembrerebbe indicare l’elmo, mentre all’altezza del torace due cerchietti a rilievo potrebbero indicare i dischi della corazza. Su un esemplare è messo in evidenza il cinturone48, mentre un altro indossa una sorta di tunica che lascia scoperto il pube49. Le figure femminili sono invece rappresentate completamente ammantate con una lunga veste che arriva alle caviglie, in posizione rigidamente frontale con le braccia protese in avanti e i palmi delle mani rivolti all’insù con le dita serrate nel tipico gesto dell’offerta; il 43 CALASTRI 2006, 72-73. 44 Il frammento trova numerosi confronti tra i materiali votivi attestati nei santuari italici tra il IV e il I sec. a.C., come quelli di Ponte delle Monache a Cales, di Teano e Capua e della stipe di San Ferdinando nel territorio di Alvignano: CIAGHI 1993; JOHANNOWSKY 1963, 131-152; MOREL 1991, 9-33; PESETTI 1994; CERA 2004, 132-139. 45 CONTA HALLER 1978; DE CARO-GRECO 1981, 231; JOHANNOWSKY 1981, 513-514; JOHANNOWSKY 1990, 13, 16-17; JOHANNOWSKY 2004, 276-282; CARAFA 2008, 100. 46 JOHANNOWSKY 1981, 514. 47 JOHANNOWSKY 1990, tavv. 8-10; CERCHIAI 1995, tav. 29, figg. 2-3; CARAFA 2008, 101, fig. 78. 48 JOHANNOWSKY 1990, tav. 9, fig. 2. 49 JOHANNOWSKY 1990, tav. 9, fig. 3. 211 capo è scoperto mentre i seni sono resi sommariamente con due piccole protuberanze circolari simili a quelle che caratterizzano le figure maschili. Al V sec. a.C. sono state, invece, datate alcune teste che rivelano notevoli affinità con analoghe produzioni tardo-arcaiche, mentre alla fine del V agli inizi del IV sec. a.C. risalgono teste e arti a grandezza naturale riferibili sia a figure femminili che maschili in armi con elmo di tipo sannitico, che registrano una decisiva e progressiva evoluzione della produzione coroplastica che ora si esprime secondo stilemi meno rigidi e sommari e più raffinati. Gli esemplari più recenti della stipe, datati nel corso del III sec. a.C. riproducono una figura probabilmente maschile, completamente abbigliata ma priva di armi e armatura50, che richiama l’iconografia di numerose sculture a grandezza naturale presenti tra le offerte votive di età ellenistica nei santuari italici dell’Italia centro-meridionale51. È stato, a più riprese, sottolineato come questi ex voto si discostino decisamente dalle contemporanee produzioni coroplastiche della Campania e del basso Lazio, ravvisando piuttosto analogie con esemplari di area medio-adriatica52; alcune affinità possono essere riscontrate con materiali dal santuario di Fondo Ruozzo di Teano53, mentre essi si differenziano totalmente, soprattutto per il VI sec. a.C., dai materiali della cd. Cultura della Valle del Liri (santuari della dea Marica, di Pannetelle presso Mondragone, santuario di Santa Scolastica presso Cassino)54. Sulla base di queste considerazioni, si è voluto riconoscere una sorta di contrapposizione, già adombrata dalle fonti letterarie, tra il comparto regionale tra Garigliano e Volturno, esteso a Ovest del massiccio del Massico-Roccamonfina, tradizionalmente abitato dagli Ausoni/Aurunci, e la zona a Est del Massico, più direttamente legata al Sannio. È possibile che questa chiara e marcata differenziazione, già rilevata da E. Lepore55, risalga a un periodo di molto precedente l’epoca storica, ma essa appare nettamente evidente soltanto dall’età arcaica56. W. Johannowsky ha attribuito la fondazione di quest’area sacra a popolazioni provenienti dal Sannio interno o dell’area medio-adriatica settentrionale che, giunte 50 JOHANNOWSKY 1990, tav. 9, fig. 1; CARAFA 2008, fig. 79. 51 Cfr., ad esempio, il cd. Giovane da Pignataro: FISCHER HANSEN 1992, 161-163, n. 121. 52 JOHANNOWSKY 1990, 16. 53 MOREL 1991, 22, fig. 8.A.; CARAFA 2008, 101. 54 JOHANNOWSKY 1990, 17. 55 Aen., VII, 728. LEPORE 1976, 100-117; LEPORE 1976-77, 81-108; CERCHIAI 1995, 175. 56 JOHANNOWSKY 1990, 16. 212 inizialmente per appoggiare Cuma nello scontro contro gli Etruschi alla fine del VI sec. a.C., si sarebbero progressivamente integrate con le genti del luogo57. Con il passaggio all’età romana, nonostante le sconfitte subite dai Sanniti, prima, e le distruzioni determinate dalle guerre annibaliche58, il luogo di culto non viene abbandonato e continua a essere frequentato senza soluzione di continuità, anche quando l’antico insediamento sannitico viene rifondato a valle, lungo la Via Latina. Per quanto riguarda la natura e funzione del luogo di culto, la stipe di Presenzano sembrerebbe indicare la presenza di una sorta di santuario posto ai margini e al controllo di un territorio, secondo uno schema ben noto per altri siti di area sannitica (Piedimonte di Alife in Campania, Pietrabbondante e Sepino in Molise, nel Sannio Pentro). Infatti, sebbene le comunità sannitiche non abbiano raggiunto un tipo di organizzazione di tipo urbano, tuttavia, sembra siano state comunque caratterizzate da una articolata e razionale forma di strutturazione territoriale, costituita generalmente da un centro principale fortificato, circondato dalle sue necropoli e almeno un luogo di culto59, posto sotto il diretto controllo del centro. Difficile stabilire, invece, se il santuario sia stato legato alla presenza di una necropoli. Non sono stati ritrovati elementi che lasciano supporre la presenza di sepolture, mentre l’unica necropoli finora nota si trova all’estremità opposta dei limiti dell’antico abitato, e dunque troppo lontana da poter essere direttamente collegata con il santuario. I materiali recuperati non sembrano indicare un culto di carattere ctonio, ma piuttosto una divinità femminile deputata alla conservazione dell’ordine e della struttura sociale, che presiede anche a riti di passaggio60. All’interno dell’antico centro urbano di Alife, allo stato attuale della documentazione, non sono stati rinvenuti edifici o strutture sicuramente identificabili come luoghi di culto. L’esistenza di edifici di culto è testimoniata da una serie di epigrafi ma non ha ancora trovato un sicuro riscontro materiale61; è questo il caso dell’iscrizione con dedica a Giove di un orologio solare e di un altare da parte di un certo Popilius Philodespotus (CIL IX, 2324), rinvenuta nel 1775 nella chiesa dei Santi Sette Frati e probabilmente pertinente al Capitolium. 57 JOHANNOWSKY 1990, 17. 58 CONTA HALLER 1978, 37; JOHANNOWSKY 1981, 513. 59 LA REGINA 1989, 301-432. 60 CARAFA 2008, 102. 61 MAROCCO 1951, 48-50; Alife romana 1982, 95-108; MANCINI 2005, 41-42; MIELE 2007, 201. 213 Le fonti epigrafiche attestano, inoltre, per l’età imperiale, anche un culto di Giunone (CIL IX, 2323 e 2362), di Afrodite (CIL IX, 2358), di Cerere (CIL IX, 2321), di Diana (CIL IX, 2326), della Mater Deum e la presenza dei seviri augustali (CIL IX, 2364, 2366, 2367) in genere addetti al culto dell’imperatore62. Piuttosto numerose sono le testimonianze di rinvenimenti e aree a destinazione votiva e cultuale lungo il corso del Volturno, nel territorio gravitante intorno all’antico centro, da riferire, per la fase più antica, a probabili villaggi sannitici di cui non sempre sono state identificate con certezza le tracce. Da riferire al territorio di Alife è il santuario-tempio, databile al II sec. a.C., collocato alla sommità del Monte San Nicola (cat. n. 62), nel comune di Pietravairano63, mentre presso il principale oppidum sannitico del territorio, presso il Monte Cila, tra Piedimonte di Alife e Castello Matese, sono state riconosciute strutture murarie ritenute pertinenti al podio di un edificio templare64, ma non si dispone di notizie più precise a riguardo. Alle pendici del monte, nel 1927, inoltre, nel corso di lavori agricoli, fu recuperata una statuetta bronzea raffigurante una figura maschile completamente nuda, con il braccio destro sollevato in alto a sostenere un oggetto circolare65, probabilmente un cinturone premio per una vittoria in un agone sacro in onore della divinità cui doveva essere dedicato il santuario, forse identificabile con Eracle66. L’ipotesi che in questa zona potesse sorgere un santuario dedicato a Eracle potrebbe essere suffragata dal ritrovamento, a S/O di Piedimonte Matese in località Epitaffio- San Salvatore-in una località ricca acque sorgive e in cui trova il guado principale del torrente Torrano (cat. n. 55) -, di un bronzetto raffigurante il dio in posizione di assalto e riferibile a un orizzonte cronologico di IV-III sec. a.C.67; in questa stessa zona erano già stati rinvenuti una testina virile con pileus e lastre architettoniche a decorazione floreale attribuite a un edificio sacro, di cui non sono ancora stati individuati i resti68. 62 MIELE 2007, 201. 63 NAVA 2006, 588-589; NAVA 2007, 222-223; TAGLIAMONTE 2007, 59-62; NAVA 2008, 794-795. 64 CAIAZZA 1990, 44. A tali strutture è stata associata l’unica iscrizione in osco rinvenuta in zona e di recente interpretata come dedica di un’offerta in uno dei santuario alifani da parte della tribù sannitica di Filisteia: POLI 2006, 319-320. 65 MAIURI 1929, 35-38; MAROCCO 1951, 90; CARAFA 2008, 103-105; TAGLIAMONTE 2009, 869-876. 66 MIELE 2010, 219: numerosi sono i santuari dedicati a Ercole individuati nel comprensorio tra Matese e Volturno. Sul versante opposto del Matese, in territorio molisano, sorgeva presso Bovianum l’Herculaneum menzionato nella tavola di Agnone (CAPINI 2003, 233-250); ad Abella, al confine tra la piana campana e l’Irpinia è stato localizzato il santuario dedicato a Ercole citato nel Cippo Abellano (CAIAZZA 2007, 311-338); mentre un altro luogo di culto presumibilmente dedicato al dio è stato individuato sul Monte Pugliano, tra San Salvatore Telesino e Telese, in territorio beneventano. 67 MIELE 2004 b, 221-223; MIELE 2010, 220. 68 NASSA 1995, 51, nn. 416-418. 214 A San Potito Sannitico, in località Conca dell’Arena (cat. n. 56) sono stati rinvenuti, alla metà del secolo scorso, materiali votivi in circostanze non accertabili69. Si tratta di quattordici tra statuine e testine fittili con copricapo o polos e due vasi in ceramica comune; tra questi l’esemplare più antico è rappresentato da una figura femminile assisa in trono, completamente ammantata, dalla fattura piuttosto corsiva, simile ad alcuni esemplari della stipe di Presenzano70, alla quale si associano alcune teste con copricapo a punta che trovano paralleli con alcuni esemplari dalla stipe di Ponte delle Monache a Cales71. In località Le Fate (cat. n. 60) è stato raccolto un modellino fittile di edificio sacro di cui si era conservata parte di un frontone, con altorilievo a testa femminile e tre colonnine ioniche72; mentre in località Torelle (cat. n. 57) è stata recuperata un’altra serie di statuette votive, tutte databili alla piena età ellenistica, eccetto una rapportabile ad iconografie diffuse nel corso del V sec. a.C. Si tratta in questo caso di una figura di divinità completamente ammantata, stante, in posizione ieratica, con alto e stretto copricapo e con un braccio portato al petto, nell’atto di sorreggere una colomba73. Il numero consistente di ex voto rinvenuti in zona, sede anche di necropoli, ha fatto ipotizzare, la presenza di un piccolo santuario campestre dedicato a una o più divinità legate alla sfera della fecondità così come lascerebbero supporre le iconografie degli ex voto attestati (immagini di offerenti, donne con bambini in fasce e una statuetta di Eros)74. Presso la Masseria Simeoni, nella campagna a Sud dell’antica Allifae (n. 58*)75, è segnalato il ritrovamento di una testa votiva fittile, ma non si dispone di notizie più dettagliate e la testa sembra dispersa76. Da S. Angelo di Alife proviene un piede in terracotta, mentre un rinvenimento appena più cospicuo è segnalato nel territorio di Dragoni (n. 59*). Si tratta di «quattro teste di rozza terracotta rinvenute nel comune di Dragoni la prima delle quali rozzissima e di arte locale appartiene ad una statua virile, la seconda un poco meno rozza e di tipo muliebre, 69 ROCCO 1951, 133-136; MAROCCO 1951, 100; CONTA HALLER 1978, 64; CAIAZZA 1990, 56. 70 Di possibile cronologia arcaica, questa figurina è al momento l’unica rappresentazione di figura in trono interpretabile come immagine di divinità, da un santuario italico. 71 Cfr. cat. n. 31. CIAGHI 1993, fig. 69. Si tratta comunque di materiali di esecuzione piuttosto corsiva, con l’eccezione di un’unica testa femminile con alto polos, databile tra la fine del V e l’inizio del IV sec. a.C. 72 ROCCO 1951, 133; CAIAZZA 1990, 56. 73 CERA-RENDA 2007, 86-87. 74 CERA-RENDA 2007, 88. 75 Il numero di catalogo caratterizzato da un asterisco fa riferimento aree dalla non chiara funzione sacrale perché note da esigui e sporadici rinvenimenti non ben documentati, di cui si è stato comunque realizzato il posizionamento sulla base della notizie disponibili. 76 CAIAZZA 1990, 56. 215 mentre le altre due, prodotte per mezzo delle forme, ritraggono a quanto pare la testa di Medusa e servivano da antefisse»77. Tra S. Angelo di Alife e Raviscanina, dove è attestata la presenza di un pozzo perenne, provengono alcune terrecotte votive (cat. n. 61) rappresentate da varie testine o figure femminili ammantate, in alcuni casi gestanti, e una statuetta acefala, raffigurante un giovane guerriero con gonnellino e corpetto di cuoio, del tutto simile a esemplari attestati a Teano78. Nel comune di Ailano (cat. n. 63), in una zona caratterizzata da soffioni e sorgenti sulfurei, in località Zappini79, furono rinvenuti due bronzetti, oggi perduti di Ercole, con la leontè sulle spalle e con le fauci del leone sul capo a guisa di elmo e la clava elevata in alto nell’atto di colpire80; presso Pratelle, in località Grotte (n. 64*) furono raccolti «un piede, un moncherino di braccio, un vaso di Creta molto grezzo con interno grigio ferro tendente all’azzurrognolo»81, mentre un deposito votivo è segnalato a Mastrati, ma la notizia si basa su informazioni orali raccolte sul posto e la localizzazione è dubbia82. Per la maggior parte di questi rinvenimenti, oltre a stabilire, l’esatto contesto di riferimento, risulta piuttosto difficoltoso fornire una corretta datazione. Per la stipe in località Conca d’Area, presso San Potito è possibile rilevare una sostanziale continuità dalla tarda età arcaica fino a età tardo repubblicana. Per i ritrovamenti di Dragoni si potrebbe pensare, sulla sola base della descrizione dei documenti, a una datazione piuttosto antica, ma difficile stabilire il tipo di antefisse. I bronzetti di località Zappini potrebbero essere datati a partire dalla metà del IV sec. a.C., cioè da quando appare per la prima volta in area italica l’iconografia di Eracle con leontè sulla testa83. Infine, agli inizi del secolo scorso risale il ritrovamento nel territorio di Alife di una statuetta bronzea di Ercole Bibax84. Non si dispone di notizie più precise riguardo al luogo di 77 Per Sant’Angelo d’Alife: CAIAZZA 1990, 57-58. FIORELLI 1877, 15-16. Rinvenimento erroneamente attribuito a Piedimonte di Alife da FENELLI 1975, 249 e da COMELLA 1981, 69; CARAFA 2008, 203, nota 909. 78 In questa stessa zona, in località Fragneto-Quercete, lungo il corso del torrente Ravone, presso una fontana detta “degli Zitielli” fino agli anni Sessanta del secolo scorso era usanza delle donne appendere tra i rami degli alberi le fasce dei neonati, immergendo gli stessi bambini nell’acqua sorgiva per propiziare una guarigione o come pegno o dono per grazia ricevuta. Lo stesso rituale è attestato a Roccamonfina presso la fontana “dei Lattani” o a Teano, presso la fontana “dei Piccirilli”: MIELE 2010, 225; CAIAZZA 2010. La stessa pratica è attestata anche a Venafro in Molise e in Sicilia a Palma di Montechiaro, tra Agrigento e Licata. 79 Toponimo forse derivante al termine sappineus (bosco di abeti), legato probabilmente a un lucus: MIELE 2010, 221. 80 MAROCCO 1951, 80; CAIAZZA 1990, 54-55. 81 CAIAZZA 1990, 54. 82 CONTA HALLER 1978, 41; CAIAZZA 1990, 53-54; CARAFA 2008, 120. 83 SCHWARZ 1990, 201. 84 LEVI 1916; CAIAZZA 1990, 55. 216 rinvenimento e la statuetta, stilisticamente legata ai modelli della scultura lisippea85, è stata messa in relazione a un ipotetico santuario periurbano del centro principale Allifae, nato forse anche in relazione a una necropoli. Sulla base della distribuzione dei ritrovamenti è stata ipotizzata l’esistenza di due distinti sistemi di santuari, l’uno gravitante intorno ad Allifae (Piedimonte, San Potito, Masseria Simeoni, Dragoni e S. Angelo d’Alife), l’altro intorno all’oppidum di Monte Cavulo (Pratella, Santa Maria in Cingla, Zappini con il dubbio di Mistrati), rispondendo a una determinata logica insediativa del mondo sannitico presso il quale probabilmente i luoghi di culto rivestivano un funzione di markers del territorio86. 85 Cfr., ad esempio ZAMPIERI 1986, 86-87. 86 CARAFA 2008, 121. 217 8.3. I luoghi di culto - Catalogo Numero di catalogo: 51 Centro di riferimento: Culbuteria Scheda sito n.: 1 Localizzazione: area sacra ubicata Contesto geomorfologico: pianoro. Ubicazione geografica: comune di Alvignano Coordinate IGM: 1:25.000, F Coordinate UTM: 33T 44470895 E Quota: 93 s.l.m. Distanza: 136 Posizione rispetto al centro: urbana. Descrizione: - Evidenze archeologiche: - Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: la presenza dell’area sa ceramica a vernice nera, attestata soprattutto nelle forme dei crateri miniaturistici, degli tutte riconducibili a tipi databili tra il III e il II sec. a.C.; numerosi sono a esemplari), i pesi da telaio e statuette votive di figure femminili panneggiate raffiguranti offerenti, rispondenti a tipologie di ex voto tra IV e II sec. a.C. Divinità titolari: - Datazione: IV-II sec. a.C. Note: - Bibliografia: CERA 2004, 112, 123 Fig. 8.7. Alvignano. Area sacra in località San Ferdinando 218 Culbuteria. 100 m a Est della basilica altomedievale di San Ferdinando. - provincia di Caserta. 172 II N/E (Alife). - 456815971 N. - sacra è segnalata dal ritrovamento di una cospicua quantità di anche gli unguentari (circa 50 ampiamente diffuse nei santuari ellenistici dell’Italia centro 123-139. .7. (rielaborazione da CERA 2004). cra skyphoi e paterette, nche centro-meridionale . Numero di catalogo: 52 Centro di riferimento: Cubulteria. Scheda sito n.: 2 Localizzazione: area sacra in località Cacciapulli, a Nord del moderno paese di Caiazzo, circa 300 m a S/O della basilica di San Ferdinando, presso il bordo del Vallone Comunale. Contesto geomorfologico: pianoro. Ubicazione geografica: comune di Alvignano - provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F. 172 II N/E (Alife). Coordinate UTM: 33T 44438961 E - 456797919 N. Quota: 96 s.l.m. Distanza: 300 Posizione rispetto al centro: urbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: dalla stessa area proviene un’antefissa arcaica, mutila nella parte inferiore e derivata da una matrice piuttosto stanca, raffigurante una divinità femminile, databile nella prima del VI sec. a.C. La dea in posizione stante e frontale tiene per il collo un’oca e un cigno. Materiali votivi: l’area sacra è segnalata dal ritrovamento di una laminetta bronzea con iscrizione opistografa che commemora un’offerta in un lucus, a Lania, da intendersi o come il nome del dedicante o come quello della divinità epicoria a cui sarebbe stato dedicato il lucus e dal ritrovamento di un bronzetto raffigurante Eracle, rinvenuto in condizioni frammentarie, privo delle gambe e del braccio sinistro, con una capigliatura ben caratterizzata, eseguita a bulino; dei tratti del volto, piuttosto corrosi, sono distinguibili solo gli occhi profondamente infossati e rappresentati da due cerchi a rilievo, il naso piccolo e appuntito e le labbra appena accennate. Divinità titolari: Datazione: VI (?)-III sec. a.C. Note: Bibliografia: MAIURI 1927, 459; RESCIGNO 1998, 349; CAIAZZA-PASSARO 1996, 34-35, figg. 4-5; CERA 2004, 111; DE NONNIS 2004, 427-432; CARAFA 2008, 124. Fig. 8.8. Alvignano. Materiali votivi dalla zona di Via Cacciapugli (da CERA 2004). 219 Numero di catalogo: 53 Centro di riferimento: Trebula Balliensis. Scheda sito n.: 1 Localizzazione: area sacra in località Masseria Corte. Contesto geomorfologico: pianoro. Ubicazione geografica: comune di Treglia -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 172 I S/O (Formicola). Coordinate UTM: 33T 43809085 E -456427168 N. Quota: 387 s.l.m. Distanza: 0 Posizione rispetto al centro: urbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: la presenza dell’area sacra è segnalata dal ritrovamento di votivi anatomici, tra cui un frammento pertinente a un bovino, e materiali ceramici non meglio definibili. Divinità titolari: Datazione: III-II sec. a.C. (?) Note: non sono accertabili le circostanze del ritrovamento. Bibliografia: CALASTRI 2006, 72-73. Fig. 8.9. Treglia. Ubicazione dell’area sacra presso Masseria Corte. Stralcio della carta IGM 1:25.000. 220 Numero di catalogo: 54 Centro di riferimento: Rufrae Scheda sito n.: 1 Localizzazione: deposito votivo in località Cappelluccia dell’antico abitato. Contesto geomorfologico: pianoro. Ubicazione geografica: comune di Coordinate IGM: 1:25.000, F 161 III S Coordinate UTM: 33T 42326961 E Quota: 170 s.l.m. Distanza: 993 Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: - Evidenze archeologiche: - Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: il deposito votivo ha restituito quasi esclusivamente statuette in terracotta raffiguranti sia figure maschili che femminili. Gli esemplari più antichi, ritrovati in associazione con caratteristici vasi ad impasto definiti “a bombarda”, databili nel corso del VI sec. a.C., rivelano un’esecuzione piuttosto corsiva e grossolana, essendo caratterizzati da forma rigide e approssimative con i tratti del volto incisi e resi in maniera sommaria. I personaggi maschili mentre il braccio destro è proteso in avanti a brandire un oggetto (forse una lancia), in un gesto che sembra indicare un’azione d’attacco piuttosto che un’offerta. Generalmente sono tutti privi in evidenza; recano sul capo una sorta di protuberanza che sembrerebbe indicare l’elmo, mentre all’altezza del torace due cerchietti a rilievo potrebbero indicare i dischi della corazza. Su un esemplare è messo in evidenza il cinturone, mentre un altro indossa una sorta di tunica che lascia scoperto il pube. Le figure femminili sono invece rappresentate completamente ammantate con una lunga veste che arriva alle caviglie, in posizione rigidamente frontale con le braccia protese i dita serrate nel tipico gesto dell’offerta; il capo è scoperto mentre i seni sono resi sommariamente con due piccole protuberanze circolari simili a quelle che caratterizzano le figure maschili. Al V se invece, datate alcune teste che rivelano notevoli affinità con analoghe produzioni tardo alla fine del V agli inizi del IV sec. a.C. risalgono teste e arti a grandezza naturale riferibili sia a figure femminili che maschili in armi con elmo di tipo sannitico. Gli esemplari più recenti della stipe, datati nel corso del III sec. a.C. riproducono una figura probabilmente maschile, completamente abbigliata ma priva di armi e armatura. Divinità titolari: - Datazione: VI-III sec. a.C. Note: non si dispone di notizie più dettagliate che consentano di definire con maggior precisione la natura del deposito votivo. Bibliografia: CONTA HALLER 1978, 3 513-514; JOHANNOWSKY 199 Fig. 8.10. Presenzano. Materiali di età 221 Rufrae. - Masseria Perrella, presso il confine Presenzano - provincia di Caserta. S/E (Pratella). - 458079114 N. ali asto sono armati di uno scudo che reggono con il braccio sinistro, nturone, in avanti e i palmi delle mani rivolti all’insù con le hili 36-37; DE CARO-GRECO 1981, 231; JOH 1990, 13, 16-17; JOHANNOWSKY 2004, 276-282; CARAFA 2008, 10 . arcaica ed ellenistica dal deposito di Masseria Perelle (da CARAFA 2008) sud-occidentale di vesti, con il sesso ben n sec. a.C. sono state, tardo-arcaiche, mentre JOHANNOWSKY 1981, 100. 2008). Fig. 8.11. Presenzano. Ubicazione del deposito votivo in località Perelle. Stralcio dalla carta IGM 1:25.000. 222 Numero di catalogo: 55 Centro di riferimento: Alife Scheda sito n.: 1 Localizzazione: area sacra presso un guado del torrente Torrano a S/O di Piedimonte Matese, in località Loffredo-Epitaffio. Contesto geomorfologico: pianoro, in presenza di acque sorgive. Ubicazione geografica: comune di Piedimonte Matese -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 161 II S/E (Piedimonte di Alife). Coordinate UTM: 33T 44597063 E -457661760 N. Quota: 132 s.l.m. Distanza: 2.341 Posizione rispetto al centro: periurbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: lastre architettoniche a decorazione floreale attribuite a un edificio sacro, di cui non sono ancora stati individuati i resti. Materiali votivi: l’area sacra è indiziata dal ritrovamento di un bronzetto raffigurante Ercole in posizione di assalto, di una testina virile con pileus. Divinità titolari: Datazione: IV-III sec. a.C. Note: non si dispone di notizie più dettagliate circa il ritrovamento. Bibliografia: NASSA 1995, 51, nn. 416-418; MIELE 2004 b, 221-227; MIELE 2010, 220. Fig. 8.12. Piedimonte Matese. Area sacra a S/O del torrente Torrano. Stralcio dalla carta IGM 1:25.000. 223 Numero di catalogo: 56 Centro di riferimento: Alife Scheda sito n.: 2 Localizzazione: area sacra in località Conca dell’Arena. Contesto geomorfologico: pianoro, in presenza di acque sorgive. Ubicazione geografica: comune di San Potito Sannitico -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 161 II S/E (Piedimonte di Alife). Coordinate UTM: 33T 44826611 E -457610236 N. Quota: 180 s.l.m. Distanza: 4.305 Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: la presenza dell’area sacra è indiziata dal ritrovamento di quattordici tra statuine e testine fittili con copricapo o polos o completamente ammantate. Divinità titolari: Datazione: fine V-III sec. a.C. Note: non sono note le circostanze del ritrovamento. Bibliografia: ROCCO 1951, 133-136; MAROCCO 1951, 100; CONTA HALLER 1978, 64; CAIAZZA 1990, 56; CARAFA 2008, 120. Fig. 8.13. San Potito Sannitico. Area sacra in località Conca dell’Arena. Stralcio dalla carta IGM 1:25.000. 224 Numero di catalogo: 57 Centro di riferimento: Alife. Scheda sito n.: 3 Localizzazione: area sacra in località Torelle. Contesto geomorfologico: pianoro; in presenza di sorgenti perenni. Ubicazione geografica: comune di San Potito Sannitico -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 161 II S/E (Piedimonte di Alife). Coordinate UTM: 33T 44876263 E -457670193 N. Quota: 245 s.l.m. Distanza: 4.931. Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: la presenza di un’area sacra è indiziata da una serie di statuette votive, costituite da una figura di divinità completamente ammantata, stante, in posizione ieratica, con alto e stretto copricapo e con un braccio portato al petto, nell’atto di sorreggere una colomba, immagini di offerenti, donne con bambini in fasce e una statuetta di Eros. Divinità titolari: Datazione: V-II sec. a.C. Note: non sono accertabili le circostanze del ritrovamento. Bibliografia: CERA-RENDA 2007, 86-88. Fig. 8.14. San Potito Sannitico. Area sacra in località Torelle. Stralcio dalla carta IGM 1:25.000. 225 Numero di catalogo: 60 Centro di riferimento: Alife. Scheda sito n.: 6 Localizzazione: area sacra in località Le Fate. Contesto geomorfologico: pianoro; in presenza di sorgenti perenni. Ubicazione geografica: comune di San Potito Sannitico -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 161 II S/E (Piedimonte di Alife). Coordinate UTM: 33T 44987918 E -4575651 N. Quota: 285 s.l.m. Distanza: 6.256 Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: la presenza dell’area sacra è indiziata dal ritrovamento di un modellino fittile di edificio sacro di cui si era conservata parte di un frontone, con altorilievo a testa femminile e tre colonnine ioniche. Divinità titolari: Datazione: IV sec. a.C. Note: non sono accertabili le circostanze del ritrovamento. Bibliografia: ROCCO 1951, 133; CAIAZZA 1990, 56; CARAFA 2008, 120. Fig. 8.15. San Potito Sannitico. Area Sacra in località Le Fate. Stralcio dalla carta IGM 1:25.000. 226 Numero di catalogo: 61 Centro di riferimento: Alife. Scheda sito n.: 7. Localizzazione: area sacra in località Fragneto-Quercete, tra Sant’Angelo di Alife e Rivascanina. Contesto geomorfologico: pianoro, in presenza di fonti perenni. Ubicazione geografica: comune di Raviscanina -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 161 II S/O (Sant’Angelo di Alife). Coordinate UTM: 33T 43697842 E -458035874 N. Quota: 420 s.l.m. Distanza: 7.947,5 Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: la presenza dell’area sacra è segnalata dal ritrovamento di alcune terrecotte rappresentate da varie testine o figure femminili ammantate, in alcuni casi gestanti, e una statuetta acefale, raffigurante un giovane guerriero con gonnellino e corpetto di cuoio. Divinità titolari: Datazione: IV-III sec. a.C. (?). Note: non sono accertabili le circostanze del ritrovamento. Bibliografia: MIELE 2010, 225. Fig. 8.16. Area sacra in località Fregneto-Quercete. Stralcio dalla carta IGM 1:25.000. 227 Numero di catalogo: 62 Centro di riferimento: Alife Scheda sito n.: 8 Localizzazione: santuario-tempio collocato alla sommità del Monte San Nicola. Contesto geomorfologico: rilievo, in prossimità di fonti perenni. Ubicazione geografica: comune di Pietravairano -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 161 III S/E (Pratella). Coordinate UTM: 33T 43159198 E -457706591 N. Quota: 409 s.l.m. Distanza: 12.825 Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: complesso architettonico costituito da un tempio e da un teatro collocati su poderose terrazze digradanti. Il tempio è ubicato sul punto più elevato dell’altura al centro di una terrazza artificiale di forma quadrata, dotata di un imponente muro di sostruzione. Il tempio (13,60×11,40 m) di ordine tuscanico a triplice cella è stato impostato direttamente sul banco roccioso, non essendosi rilevate delle fondazioni vere e proprie. Presso l’angolo orientale del tempio è stata anche individuata una vasca in coccipesto, probabilmente funzionale alla raccolta delle acque piovane che poi venivano convogliate presso una cisterna. Evidenze archeologiche: le strutture individuate si conservano solo a livello delle fondazioni con pochi filari dell’elevato del tempio. Materiali e tecniche costruttive: il tempio è stata realizzato in opera incerta di calcare. Materiali votivi: Divinità titolari: Datazione: II-I sec. a.C. Note: del teatro ubicato sulla terrazza sottostante, 20 m più in basso, si riconosce chiaramente la cavea che sfrutta il naturale pendio del monte, delimitata da muri in opera incerta di calcare, e l’edificio scenico presso il margine sud-orientale della terrazza; Bibliografia: NAVA 2006, 588-589; NAVA 2007, 222-223; TAGLIAMONTE 2007, 59-62; NAVA 2008, 794-795. Fig. 8.17. Pietravairano. Ubicazione del complesso santuario-tempio. Stralcio dalla carta IGM 1:25.000. 228 Fig. 8.18. Pietravairano. Il complesso santuario-tempio (da TAGLIAMONTE 2007). Numero di catalogo: 63 Centro di riferimento: Alife Scheda sito n.: 9 Localizzazione: area sacra in località Zappini, a S/O dell’attuale comune di Ailano. Contesto geomorfologico: pianoro, in una zona caratterizzata da soffioni e sorgenti sulfurei. Ubicazione geografica: comune di Ailano -provincia di Caserta. Coordinate IGM: 1:25.000, F 161 II S/O (Sant’Angelo di Alife). Coordinate UTM: 33T 43170385 E -4581043 N. Quota: 126 s.l.m. Distanza: 13.910. Posizione rispetto al centro: extraurbana. Descrizione: Evidenze archeologiche: Materiali e tecniche costruttive: Materiali votivi: la presenza dell’area sacra è segnalata dal ritrovamento furono rinvenuti due bronzetti, oggi perduti di Ercole con la clava elevata in alto nell’atto di colpire. L’eroe era raffigurato con leontè sulle spalle e con le fauci del leone sul capo a guisa di elmo. Divinità titolari: Datazione: IV-III sec. a.C. (?) Note: non sono accertabili le circostanze del ritrovamento. Bibliografia: MAROCCO 1951, 80; VILLANI 1983, 39-40; CAIAZZA 1990, 54-55; NASSA 1995, 33, nn. 27-28; NASSA 1998, 265-266; MIELE 2010, 220-221. 229 Parte III -Analisi dei dati CAPITOLO IX ANALISI DELLA DOCUMENTAZIONE 9.1. Alcune considerazioni sull’universo religioso della Campania centro-settentrionale Lo screening sistematico dei santuari e dei luoghi di culto della Campania centro- settentrionale ha consentito di acquisire ed elaborare una grande quantità di dati che si è tentato di organizzare in un insieme organico e coerente1. Sono state analizzate, in totale, sessantaquattro aree sacre, riferibili a sei diversi comparti territoriali e culturali, in un arco cronologico compreso tra il VII-VI sec. a.C. e la tarda età repubblicana, con il principale obiettivo di comprendere le relazioni più macroscopiche esistenti tra città, santuari e territorio, e, in una dimensione diacronica, la logica sottesa alle scelte insediative che connotano ciascuno degli ambiti culturali esaminati. Fig. 9.1. Distribuzione del numero dei luoghi di culto in relazione a ciascun centro di afferenza. Alla luce della documentazione finora disponibile, il centro cui è riferibile il maggior numero di luoghi di culto è Cales, capoluogo del vasto territorio ausone/aurunco, in cui sono stati individuati quattordici complessi sacri che costituiscono il 22% del totale delle attestazioni2; seguono il territorio di Alife, lungo l’alta valle del Volturno, al quale sono riconducibili dieci luoghi di culto; Cuma e Teano con otto; Capua con sette; Abella e Sinuessa con quattro; Nola, Suessula e Culbuteria con due, mentre alcuni centri sono rappresentati da un solo complesso sacro (Calatia, Trebula e Rufrae). Fig. 9.2. Distribuzione dei luoghi di culto in relazione ai centri di afferenza (valori in percentuale). 1 Come già evidenziato precedentemente, si tratta di evidenze piuttosto eterogenee e in molti casi, ancora mal note. Spesso l’esistenza di un’area sacra è indicata dal semplice ritrovamento, in circostanze fortuite e poco documentate, di materiale votivo. Di queste aree sacre, laddove possibile, sulla base dei dati editi, è stata comunque predisposta una scheda di catalogo, procedendo poi al relativo posizionamento nell’ambito di un sistema geo-referenziato. Sono state, invece, escluse dall’analisi le aree sacre indiziate da radi materiali sporadici, di cui non si dispone di elementi e punti di riferimento certi per una loro precisa ubicazione nello spazio. Di essi comunque è stata fatta menzione nelle varie sezioni introduttive catalogo dei siti. Cfr., infra, il capitolo relativo ai luoghi di culto della media e dell’alta valle del Volturno. 2 Nell’ambito delle più antiche testimonianze relative ai luoghi di culto del territorio ausone/aurunco, è stato considerato come afferente alla città di Cales anche il santuario della dea Marica alle foci del Garigliano che rientra nell’ambito della stessa facies culturale. 231 Dal punto di vista cronologico, la fondazione della maggior parte dei santuari esaminati può essere fatta risalire al periodo compreso tra la fine del VII e il VI sec. a.C. -così come risulta evidente soprattutto per Cuma, Capua e Teano -che coincide con la piena affermazione politica e la fioritura economica dei due centri che controllano l’ampio comprensorio della pianura campana, e con la progressiva formazione e organizzazione dell’enclave dei Sidicini, nella propaggine più settentrionale della regione. Un decisivo aumento della presenza dei luoghi di culto si registra, inoltre nel periodo compreso tra il IV e il II sec. a.C., epoca caratterizzata dalla progressiva romanizzazione della regione all’indomani delle guerre sannitiche. Fig. 9.3. Cronologia di fondazione dei luoghi di culto in relazione ai centri di riferimento. Fig. 9.4. Fasi di frequentazione e continuità di vita dei luoghi di culto analizzati. Se si guarda, invece, alla distribuzione dei santuari in rapporto alla città di riferimento, si può notare come mentre per Cuma, l’unico contesto greco analizzato, si registri una perfetta equivalenza numerica tra i luoghi di culto urbani e periurbani, con l’assenza di veri e propri siti extraurbani, di Capua è noto, al momento un unico luogo di culto urbano, per di più riferibile al periodo sannitico della città, mentre i santuari più antichi sono dislocati in posizione periurbana, generalmente in corrispondenza della linea di fortificazione e in contesti necropolici, con la presenza di tre santuari extraurbani che disegnano i confini del territorio direttamente controllato dalla città. L’analisi dei luoghi di culto di Cales, Teano e dell’alta valle del Volturno gravitante intorno ad Alife, ha rilevato una prevalenza dei siti extraurbani rispetto a quelli urbani e periurbani, in riferimento probabilmente a un’originaria suddivisione e organizzazione socio-politica del territorio in villaggi sparsi, precedente alla formazione del centro urbano vero e proprio, così come chiaramente accertato per Teano e per il territorio di Alife, afferente all’area culturale del Sannio Pentro3. 3 La preponderanza di siti extraurbani nel territorio alifano può anche dipendere dal fatto che, per poter realizzare il loro posizionamento secondo un sistema geo-referenziato, in mancanza di evidenze archeologiche certe relative all’esistenza e all’ubicazione degli eventuali centri sannitici di riferimento, si è ritenuto opportuno calcolare le distanze sempre in riferimento al centro di Alife. 232 Fig. 9.5. Ubicazione dei diversi luoghi di culto in rapporto ai rispettivi centri di riferimento. Dal punto di vista della distribuzione dei siti in base alle caratteristiche geomorfologiche del territorio, la metà dei santuari analizzati, indipendentemente dalla cronologia, sorge in posizione preminente, rilievi e pianori di diversa entità, con sommità spianata, o in contesti di pianura, generalmente lungo corsi fluviali o importanti tracciati viari. Poco presenti i santuari d’altura o quelli collocati lungo le pendici di un colle o di un monte. A questi dati, infine, si associano quelli ricavabili dall’analisi del contesto topografico e socio-morfologico delle aree sacre, dalla quale emerge una netta preponderanza di siti in prossimità di sorgenti e di fonti naturali e di quelli ubicati lungo il corso dei fiumi, spesso in posizione di foce e quindi strettamente legati anche al mare. Abbastanza frequenti, i santuari dislocati in prossimità della cinta muraria, spesso in aree necropoliche, che evidenziano una valenza protettiva del sacro nei confronti delle città. Fig. 9.6. Rapporto tra la distribuzione dei santuari e il contesto geo-morfologico. 233 Fig. 9.7. Rapporto tra la distribuzione dei santuari e il contesto topografico. 9.1.1. L’organizzazione sacra del territorio di Cuma Dal punto di vista fisiografico e geo-morfologico, l’antica colonia di Kyme sorge, prospiciente al mare, lungo una fascia costiera non molto estesa, dal profilo piuttosto accidentato e ondulato, costellata da rilievi collinari e specchi lacustri di formazione vulcanica. Poco estesa risulta la zona ad andamento pianeggiante, essenzialmente limitata all’area in cui si sviluppa la cd. città bassa. Allo stato attuale della documentazione, alla città di Cumae possono essere ricondotti, nel periodo compreso tra la fine del VII e il I sec. a.C., otto luoghi di culto dislocati in posizione urbana e periurbana. I siti si dispongono a una distanza dal centro compresa tra 0 e 950 m circa e sono ubicati a quote comprese tra i 5 e i 78 m s.l.m., in punti strategici e rilevanti del territorio. In posizione preminente, sul punto più alto del Monte di Cuma, a una quota di 78,3 m s.l.m. sorge il cd. Tempio di Giove (cat. n. 1.), probabilmente dedicato a Demetra o ai Dioscuri, la cui costruzione può essere fatta risalire agli inizi del V sec. a.C. Per la sua peculiare collocazione topografica, si può supporre una fondamentale funzione di controllo e di baluardo settentrionale della presenza greca nel golfo di Napoli, complementare a quella svolta dal santuario di Punta Campanella, che ne costituiva il confine meridionale4. Fig. 9.8. Distribuzione cronologica dei santuari di Cuma. Al periodo compreso tra Fig. 9.9. Distribuzione dei santuari di Cuma in relazione al contesto geomorfologico. la fine del VII e gli inizi del VI sec. a.C. risale l’impianto della maggior parte dei luoghi di culto della città che appare strettamente legato alla organica strutturazione sacra del territorio: il tempio di Apollo sulla terrazza inferiore dell’acropoli (cat. n. 2), le aree sacre della città bassa presso il settore occidentale e sud-occidentale del 4 Sul santuario di Punta Campanella: MOREL 1982, 147-153; RUSSO 1990, 181-284; DE CARO 1992, 173-178; GUZZO 1992, 151-160; RUSSO 1992, 201-219; CARAFA 2008, 131-138. 234 futuro foro (cat. n. 5) e, in posizione periurbana, il santuario presso la porta mediana della linea di fortificazione settentrionale (cat. n. 4) e quelli di Fondo Valentino e presso l’Anfiteatro (cat. nn. 7-8), presso l’estremità sud-occidentale del perimetro urbano, immediatamente all’esterno del circuito murario, non distanti dalla linea di costa e in posizione preminente rispetto al territorio circostante, in quanto ubicati su terrazze e piccoli rilievi collinari, a una quota di circa 25 m s.l.m. Tali luoghi di culto Fig. 9.10. Distribuzione dei santuari di Cuma in rapporto alle caratteristiche riflettono l’originaria topografiche. strutturazione dell’intero tessuto urbano, attraverso una suddivisione e articolazione funzionale degli spazi con, da un lato, la definizione del fulcro della religiosità e degli spazi pubblici urbani, dall’altro, la delimitazione del perimetro urbano con la localizzazione di aree sacre all’esterno del circuito murario, per i quali si può ipotizzare, quindi, la funzione di una sorta di cintura sacra posta a protezione della città. Dal punto di vista cronologico la fondazione dei luoghi di culto si colloca omogeneamente nel corso del VI sec. a.C. con una continuità di vita fino alla tarda età imperiale e bizantina. Allo stato attuale della documentazione solo per il Fig. 9.11. Distribuzione dei luoghi di culto di Cuma rispetto alla distanza dal santuario di Hera presso il centro. Fondo Valentino è stata documentata una frequentazione limitata al VI e agli inizi del V sec. a.C. e sebbene non appaiano completamente chiarite le cause del precoce abbandono, esso è stato imputato alla crescente importanza acquisita dal santuario di Apollo sull’acropoli che avrebbe progressivamente accolto le funzioni originariamente espletate dal santuario periurbano di Hera. 235 Nel corso del IV sec. a.C., all’indomani dell’occupazione sannitica della città, vengono realizzati, nell’area del futuro foro della città, il tempio A (cat. n. 3), presso il limite occidentale dell’area, laddove in età imperiale sarà elevato il Capitolium, e sul versante sud- Fig. 9.12. Distribuzione dei luoghi di culto di Cuma in riferimento alla quota s.l.m. occidentale della stessa area, dove sono attestate di attività cultuali fin dagli inizi del VI sec. a.C. (cat. n. 5), nel sostanziale rispetto degli spazi a destinazione pubblica e religiosa definiti chiaramente già in età arcaica. Infine, a un orizzonte pienamente romano risale la costruzione, nel corso del I sec. a.C., di un tempio di Iside, collocato sul mare, all’interno di una profonda insenatura a Sud dell’acropoli e probabilmente da riferire a un culto privato attivo fino al IV sec. d.C. 9.1.2. L’organizzazione sacra del territorio di Capua L’antica città di Fig. 9.13. Distribuzione cronologica dei santuari di Capua. Capua situata a circa 4 km dalla riva sinistra del Volturno, occupa una posizione centrale e privilegiata nell’ambito della pianura campana, ubicata presso importanti vie di comunicazione che conducevano, da un lato, all’area falisco-capenate e al Lazio meridionale, dall’altro al territorio sannitico e daunio. 236 Al territorio dell’antica città etrusca sono riconducibili sette luoghi di culto, di cui uno in posizione urbana (cat. n. 11), riferibile alla originaria sistemazione del foro in età romana, nel corso del III sec. a.C., tre in posizione periurbana e tre ubicati all’interno del più vasto comprensorio controllato dalla città. Essi sorgono a una distanza dal centro compresa tra i 370 e i 26.000 m e a quote oscillanti tra i 15 e i 526 m Fig. 9.14. Distribuzione dei santuari di Capua in relazione al contesto geo-morfologico. s.l.m. Le attestazioni più antiche, risalenti al VI sec. a.C., sono riconoscibili nelle aree sacre di San Leucio, Quattordici Ponti e di Fondo Patturelli (cat. nn. 9-10, 12) che sorgono in posizione periurbana, a una distanza dal centro compresa tra i 370 e i 1.820 m, in un contesto pianeggiante, a quote variabili tra i 33 e i 43 m s.l.m., immediatamente all’esterno del circuito murario ipotizzato, in prossimità delle porte urbiche e non lontano da aree necropoliche, sebbene allo stato attuale della documentazione, è difficile stabilire se si tratta di una semplice continuità topografica o di un vero e proprio legame connesso alle caratteristiche ctonie e funerarie dei culti ivi praticati. Evidente è, invece, il Fig. 9.15. Distribuzione topografico. dei santuari di Capua in relazione al contesto legame con la cinta muraria rispetto alla quale i luoghi di culto si collocano presso le estremità occidentale, sud-occidentale e nord-orientale, prefigurando, così come supposto per Cuma, una funzione protettiva del sacro nei confronti della città fin dalle fase più antiche. Sulla base dei dati Fig. 9.16. Distribuzione dei santuari di Capua in relazione alla distanza dal della documentazione centro. archeologica, per tutti e tre le aree sacre è attestata una continuità di vita fino al I sec. a.C. e oltre, nel rispetto dell’originaria sacralizzazione dei luoghi e dei culti le cui caratteristiche si preservano immutate nel corso dei secoli ma arricchendosi di nuove prerogative e funzioni. 237 Afferenti al Fig. 9.17. Distribuzione dei santuari di Capua in relazione alla quota s.l.m. territorio dell’antica Capua sono, inoltre, altre tre luoghi di culto, ubicati in posizione extraurbana, a Nord, N/E e S/O della città, a una distanza compresa tra i 4.000 e i 26.000 m dal centro. I santuari di Diana e Giove Tifatino (cat. nn. 13-14) sorgono presso il limite settentrionale e nord-orientale del territorio capuano, rispettivamente a 4.738 e 5.025 m dal centro, a una quota di 101 e 526 m s.l.m. sul Monte Tifata, un’altura ricca di boschi e di sorgenti naturali, che disegna il limite settentrionale del comprensorio afferente all’antica città etrusca, alle spalle del quale sorge la gola di Triflisco che immette direttamente in ambito sannitico. All’estremità opposta del territorio capuano, a circa 26.000 m dal centro, può essere ubicato il santuario in località Hamae (cat. n. 15), probabilmente da localizzare presso Tor di San Severino, nella pianura di Licola, in stretta contiguità topografica, quindi, con il territorio di Cuma, a ribadire, così, l’estensione dell’area controllata da Capua e il suo forte e complementare legame con l’antica Cumae. Dal punto di vista cronologico, sulla base della tradizione storica e delle testimonianze archeologiche, il santuario più antico, legato alle origini stesse della città, è quello di Diana Tifatina per il quale può essere documentata una continuità di vita a partire dal VI sec. a.C., sebbene le evidenze più cospicue del culto siano riferibili a un periodo compreso tra il IV e il I sec. a.C. Solo, al II sec. a.C., possono essere, invece, riferite le strutture identificate come pertinenti al tempio di Giove sulla cima più elevata del Tifata, al cui culto possono essere attribuite per la tarda età repubblicana soprattutto caratteristiche salutari. 9.1.3. L’organizzazione sacra dell’ager Campanus Nel vasto comparto della pianura campana, compresa tra le odierne città di Capua, Nola e Cuma, chiuso a Est dai monti Tifatini e dalle propaggini nord-occidentali del Partenio, a Nord dal fiume Volturno, a Sud dalle estremità settentrionali dei rilievi dell’area flegrea e del complesso vulcanico del Somma-Vesuvio, allo stato attuale della documentazione, sono stati identificati nove luoghi di culto databili nella maggior parte dei casi tra la metà del IV e il II sec. a.C., periodo che coincide con la progressiva romanizzazione dell’area che determina una radicale riorganizzazione degli assetti territoriali e delle modalità insediative. 238 Nel cuore della pianura campana, nell’ambito del Fig. 9.18. Distribuzione cronologica dei santuari dell’Ager Campanus. comprensorio dell’antica Calatia, è stato individuato, a una distanza di circa 9.500 m dal centro, un solo luogo di culto (cat. n. 16), databile tra il III e il I sec. a.C., e ubicato lungo il corso dell’antico fiume Clanis, in corrispondenza dell’ipotetico punto di intersezione tra il decumanus maximus e l’VIII cardo meridionale della centuriazione dell’ager. L’area sacra, probabilmente dedicata a Ercole e Venere Ericina, potrebbe far riferimento all’esistenza di una statio posta in corrispondenza di due dei tracciati principali della centuriazione dell’intera pianura. All’antica città di Fig. 9.19. Distribuzione dei santuari dell’Ager Campanus in relazione alla Suessula sono riferibili due configurazione morfologica del territorio. luoghi di culto (cat. nn. 1718); il primo databile tra il V e il III sec. a.C., è ubicato in posizione urbana, in corrispondenza del centro della città, in un contesto pianeggiante, a una quota di 35 m s.l.m., presso il futuro foro della città romana, non lontano dal corso del Clanis; il secondo, collocato all’esterno dei confini dell’abitato, sulla sommità di una collina che si trova a N/E di Suessula, a una distanza di 68 m circa dal centro e a una quota di 43 m s.l.m., presso una sorgente che alimenta uno dei rami minori del fiume Clanis, può essere datato alla tarda età repubblicana, la cui costruzione potrebbe essere legata al grande rinnovamento edilizio che interessa la città a partire dal II sec. a.C. Nell’ambito del territorio dell’antica città di Fig. 9.20. Distribuzione dei santuari dell’Ager Campanus in relazione alle caratteristiche topografiche del territorio. Nola sono riconducibili due luoghi di culto in posizione periurbana, individuati rispettivamente a Cimitile e a San Paolo Belsito (cat. nn. 19-20). Il primo è ubicato in un contesto pianeggiate, a una quota di 42 m s.l.m., a Nord dell’antica città e a circa 2.135 m dal centro; il secondo, invece, a Sud della città, sorge su un rilievo collinare a una quota di 65 m s.l.m, in posizione preminente rispetto al territorio circostante, a controllo delle principali vie di accesso alla Valle di Lauro e del Sabato, in Irpinia. Alla città di Abella sono riferibili quattro aree sacre che si dispongono in posizione periurbana, immediatamente all’esterno dei confini dell’antico centro. 239 I depositi votivi (cat. nn. Fig. 9.21. Distribuzione dei santuari dell’Ager Campanus in relazione alla distanza 21-24), variamente databili dal centro. in un periodo compreso tra il VI e il II sec. a.C., sono ubicati su pianori o lungo le pendici dei rilievi collinari che si dispongono alle spalle dell’antica città, a una distanza dal centro compresa tra 590 e 2.000 m circa, a quote oscillanti tra i 150 e i 230 m s.l.m., in presenza di corsi d’acqua e sorgenti confluenti nel Clanis, lungo le principali direttrici per Nola o in contesti necropolici (cat. nn. 21 e 23). Fig. 9.22. Distribuzione dei santuari dell’Ager Campanus in relazione alla quota s.l.m. 240 9.1.4. L’organizzazione sacra del territorio dell’antica Cales L’antica città di Cales, occupa una Fig. 9.23. Distribuzione cronologica dei santuari di Cales. posizione strategica di estrema rilevanza, al centro, nella zona interna dell’Appennino campano, tra il Monte Maggiore, il massiccio vulcanico di Roccamonfina e l’ampia valle solcata dal Volturno, con i suoi numerosi affluenti a regime torrentizio, occupando la posizione più settentrionale lungo la direttrice N/S, in età romana solcata dalla Via Latina, che collegava Magna Grecia ed Etruria. L’antico centro Fig. 9.24. Distribuzione dei santuari di Cales in relazione alle caratteristiche aurunco si estende su un morfologiche del territorio. pianoro tufaceo rettangolare, solcato da numerosi corsi d’acqua irreggimentati grazie a un articolato sistema di pozzi e cunicoli, esteso su una superficie di circa 64 ettari, delimitato da profondi e scoscesi valloni artificiali, circondato a N/E dalle estreme propaggini del Monte Maggiore e dal Monte La Costa; a N/O dal Monte Coricuzzo e dal Monte Grande; a Est dal Monte Calvento. All’antico centro fa capo un vasto territorio compreso tra il Monte Maggiore e il corso del fiume Savone, in età romana definito dai confini giuridico-amministrativi del Campus Stellatis, dell’Ager Falernus e di Casilinum, delimitato, quindi a Sud dalla piana campana, a Est dagli insediamenti sannitici di Trebula e Caiatia e a Nord da Teano, capoluogo dei Sidicini. Al territorio dell’antica Cales sono riconducibili quattordici luoghi di culto variamente dislocati nell’ampio territorio afferente alla città. 241 Il più antico luogo di culto della città, la cui frequentazione risulta già attestata nel corso dell’VIII sec. a.C., è rappresentato dall’area sacra (cat. n. 34) individuata su una cima del Monte Grande, a N/O della città. Tale sito, ubicato a una Fig. 9.25. Distribuzione dei santuari di Cales in relazione alle caratteristiche topografiche del territorio. distanza dal centro di circa 3.273 m e a una quota di 250 m s.l.m., sorge in posizione dominante rispetto alla pianura attraversata dal corso del Savone e dal tracciato dell’attuale Via Casilina, in un contesto geomorfologico caratterizzato da fitta vegetazione boschiva e da numerose sorgenti naturali che hanno probabilmente definito e connotato le caratteristiche del culto che vi era praticato. Al territorio aurunco risulta strettamente connesso il santuario della dea Marica alle foci del Garigliano (cat. n. 38). Il santuario, la cui frequentazione è già documentata alla fine del VII, perdurando senza soluzione di Fig. 9.26. Distribuzione dei santuari di Cales in relazione alla distanza dal continuità, fino al II sec. a.C., è centro. ubicato a circa 550 m dalla foce del fiume, non distante dall’area della futura colonia di Minturnae, a una distanza di 31.615 m da Cales, in un contesto pianeggiante, a una quota molto vicina a quella del livello del mare. La longevità e l’importanza di tale luogo di culto può essere certamente ascritta alla sua posizione topografica legata alla foce e al mare; esso svolgeva l’importante funzione di indicare il confine tra il territorio aurunco e il basso Lazio, ponendosi come punto di riferimento di particolare rilievo lungo la principale via di penetrazione verso la valle del Liri. Al VI sec. a.C. risale l’area sacra in località Casariglia, ubicata all’esterno del perimetro urbano, lungo le principali direttrici per Capua. Il complesso sacro, che sorge su 242 un pianoro caratterizzato dall’affioramento di sorgenti, a una quota di 69 m s.l.m. e a una distanza dal centro di 1.367 m, vive, allo stato attuale della documentazione, per il solo arco di un secolo; in via del tutto ipotetica, il suo abbandono può essere ricondotto all’esaurirsi del culto in relazione al progressivo sviluppo del tessuto urbano e a quello del contemporaneo culto praticato in località San Pietro (cat. n. 27), a ridosso della linea di fortificazione nord- occidentale, immediatamente a Sud della porta urbica, attraversata dalla Via Latina, in direzione di Teano5. Alla seconda metà del V sec. a.C. è Fig. 9.27. Distribuzione dei santuari di Cales in relazione alla quota di s.l.m. riconducibile il santuario in località Ponte delle Monache (cat. n. 31), ubicato nel settore sud- orientale della città, in corrispondenza di una porta urbica e presso il punto di confluenza di due importanti assi viari (l’una in direzione dell’Ager Falernus e la costa, l’altra verso Capua), e di due corsi d’acqua (il Rio dei Lanzi e il Rio Pezzasecca). L’area sacra, ubicata su un pianoro leggermente digradante, a una quota di 69 m s.l.m. e a una distanza dal centro di 1.507 m, attiva fino al II sec. a.C., segna, per le fasi più antiche dell’insediamento, insieme con il santuario in località San Pietro (cat. n. 27), i veri e propri limiti urbani. Al periodo compreso tra il IV e il II sec. a.C., successivo alla deduzione coloniale nel 334 a.C., risale l’impianto di luoghi di culto, di diversa natura ed entità, ubicati sia in posizione urbana, presso l’arce della città antica (cat. n. 25), a Sud del futuro anfiteatro (cat. n. 26) o nell’area foro (cat. n. 28) e riconducibili a interventi edilizi connessi con la progressiva romanizzazione della città, che in posizione periurbana; presso, il limite orientale del pianoro su cui sorge la città, non lontano dal circuito murario, a una distanza di 1164 m circa dal centro e a una quota di 73 m s.l.m., sono stati individuati resti riferibili a un’area sacra probabilmente dedicata a Ercole (cat. n. 29), posta a segnare il limite orientale del perimetro urbano verso Capua. Infine, variamente dislocati nell’ambito del vasto territorio di afferenza della città, sono alcuni complessi e depositi votivi, databili tra il IV e il I sec. a.C. (cat. nn. 30, 32, 33, 35-37), ubicati a una distanza dal centro compresa tra 2.580 e 20.000 m, a quote oscillanti tra 40 e 581 m s.l.m., generalmente su rilievi, pianori e pendii, sempre in posizione rilevante rispetto al territorio circostante, nella maggior parte dei casi in prossimità di sorgenti e fonti naturali, probabilmente da interpretarsi come piccoli santuari rurali, legati 5 Il santuario in località San Pietro, per il quale è attestata una continuità di vita tra il VI e il IV sec. a.C., è situato a una distanza di 623 m circa dal centro della città e a una quota di 77 m s.l.m. 243 al culto delle acque, frequentati dagli abitanti più o meno stabili del territorio, in seguito alla ridefinizione del suo assetto con la conquista romana. 9.1.5. L’organizzazione sacra dell’ager Sinuessanus La colonia romana di Sinuessa ubicata lungo un tratto della Via Appia, è stata fondata, nel 296 a.C., in posizione di controllo del bacino del Garigliano, punto di confine tra l’area campana e quella laziale, e dell’ager Falernus. La colonia sorge a Sud del Rio San Limato, in una stretta fascia collocata tra il Monte Cicoli, estrema propaggine occidentale del Massico, e il mare, in corrispondenza dell’odierna località Perticale, nel comune di Sessa Aurunca. Al territorio della città sono riferibili quattro Fig. 9.28. Distribuzione cronologica dei santuari dell’ager Sinuessanus. luoghi di culto, il più antico dei quali è ubicato in località Panetelle (cat. n. 41), presso Mondragone, alla foce del Savone, lungo la riva sinistra del fiume, a una distanza di 8.278 m dal centro della città e a una quota di 5 m s.l.m. Il santuario, frequentato dalla fine del VII sec. a.C., in posizione perfettamente simmetrica a quella del santuario della dea Marica alle foci del Garigliano, probabilmente segnava il confine meridionale del territorio aurunco, configurandosi come il suo omologo settentrionale come un luogo di culto di carattere emporico, aperto agli scambi e ai contatti. Gli altri tre luoghi Fig. 9.29. Distribuzione dei santuari dell’ager Sinuessanus in relazione al contesto topografico. di culto sono tutti successivi alla deduzione della colonia romana, databili in un periodo compreso tra il IV e il I sec. a.C. Essi sono stati individuati all’esterno del perimetro urbano, a una distanza compresa tra i 1.210 e tra i 12.300, in un contesto pianeggiante, a ridosso della costa, presso la foce di un fiume (poi irreggimentato dal Canale Agnena) e in corrispondenza di sorgenti termali (cat. nn. 39-41). 9.1.6. L’organizzazione sacra del territorio di Teano Il territorio sidicino Fig. 9.30. Distribuzione cronologica dei santuari di Teano. si estende lungo il versante sud-orientale del Massiccio di Roccamonfina, solcato dalla valle del Savone, in 244 corrispondenza di un varco di accesso che metteva in comunicazione la pianura campana con la media valle del Volturno. Il Savone, naturale itinerario verso la Valle del Liri e il basso Lazio, segna con il suo corso i confini del comparto sidicino che possono essere fissati, a Nord, nell’attuale località Versano, a Ovest, dal Rio Persico, un affluente del Savone, che funge da linea di demarcazione tra il territorio sidicino e quello aurunco, gravitante intorno a Suessa e all’ager Falernus, mentre a S/E lo stesso Savone separa l’ager sidicinum da quello caleno. L’ambito così definito disegna una sorta di “cuspide” con l’apice rivolto verso Sud, alla confluenza dei fiumi Rio Persico e Savone, in corrispondenza della piana di Maiorisi. Al comprensorio sidicino sono riconducibili Fig. 9.31. Distribuzione dei santuari di Teano in relazione al contesto topografico. otto luoghi di culto, i più antichi dei quali sono pertinenti ai singoli villaggi di carattere sparso in cui era suddiviso il territorio prima della nascita del nucleo urbano, nel corso del IV sec. a.C. Tali luoghi di culto sorgono su pianori delimitati dal corso dei fiumi e caratterizzati dall’affioramento di sorgenti perenni (cat. nn. 43, 47-50). Le attestazioni più antiche sono quelle in località Fontana La Regina, Taverne di Torricelle e Borgo Nuovo (cat. nn. 47-48, 50), coprendo un arco cronologico compreso tra l’VIII e gli inizi del V sec. a.C., mentre i principali della città santuari in località Loreto e in località Masseria Soppegna, anch’essi fondati nel corso del VI sec. a.C., sono caratterizzati da una continuità di vita che arriva fino alla tarda età repubblicana (cat. nn. 43, 49). Alla fase ormai romana della Fig. 9.32. Distribuzione dei santuari di Teano in relazione alla città sono da ricondursi i due luoghi distanza dal centro. di culto periurbani in località San Paride e in località Orto Ceraso (cat. nn. 44 e 46), entrambi databili tra il III e il II sec. a.C. Essi sorgono all’esterno della linea di fortificazione, a una distanza dal centro compresa tra i 530 e i 1.100 m circa, alla rispettivamente alla quota di 150 e 136 m s.l.m., e in contesti necropolici. Fig. 9.33. Distribuzione dei santuari di Teano in relazione alla quota s.l.m. 9.1.7. La media e alta valle del Volturno 245 Il territorio dell’antica Allifae, ubicata ai piedi del Fig. 9.34. Distribuzione cronologica dei santuari della media e alta valle del massiccio del Matese, Volturno. estrema propaggine settentrionale del comparto campano al confine con il Sannio si estende lungo l’ampia fascia collinare e pianeggiante alle pendici del monte, solcata, sul versante orientale, dal fiume Volturno e chiusa a Ovest dai monti Santa Croce e Maggiore, che delimitano a Nord la pianura campana. Quest’area, nel periodo precedente la conquista romana, sembra sia stata caratterizzata da una serie di insediamenti stabili, di tipo paganico, che non hanno mai acquisito una piena dimensione urbana. I centri principali si concentrano lungo la riva destra del Volturno: Alvignano (Culbuteria), Dragoni, Treglia (Trebula Balliensis), Pietramelara, Vairano Patenora (Austicola?), Presenzano (Rufrae), e leggermente più a Nord, lungo la riva sinistra del fiume: Alife e i centri minori gravitanti intorno a essa alle pendici del Matese (San Potito Sannitico, Piedimonte Matese, Sant’Angelo di Alife, Raviscanina, Ailano, Pratella, Mastrati). Nell’ambito di Fig. 9.35. Distribuzione dei santuari della media e alta valle del Volturno in questo vasto comprensorio relazione alle caratteristiche geo-morfologiche del territorio. sono stati individuati quattordici luoghi di culto, di cui quattro riferibili agli abitati sannitici di Culbuteria, Treglia e Rufrae (cat. nn. 51-54), i restanti sono tutti dislocati nell’alta del Volturno, nell’ambito del territorio alifano, da riferire probabilmente ad abitati sannitici di tipo paganico-vicanico, progressivamente inglobati nell’orbita di Roma. Si tratta per lo più di scarichi votivi (cat. nn. Fig. 9.36. Distribuzione dei santuari della media e alta valle del Volturno in relazione alle caratteristiche topografiche del territorio. 55-57, 58*-59*, 60-61, 64), spesso rinvenuti in circostanze non chiare e verificabili, databili tra il IV e il II sec. a.C., ubicati, su pianori o alle pendici del massiccio del Matese, a una distanza da Alife tra i 2.340 e i 18.000 m, a quote variabili tra 126 e 420 m s.l.m., in aree ricche di sorgenti e fonti perenni. 246 9.2. Considerazioni conclusive sulla distribuzione spaziale dei santuari in prospettiva diacronica La raccolta e l’elaborazione della documentazione edita relativa ai santuari e ai luoghi di culto della Campania centro-settentrionale, nel periodo compreso tra VII/VI sec. a.C. e la tarda età repubblicana, è stata finalizzata alla definizione dei criteri e della logica sottesa alla distribuzione spaziale delle evidenze legate al sacro, a partire dalla fondamentale considerazione che lo spazio non costituisce un semplice scenario asettico all’interno del quale l’uomo si muove, risultando esso stesso permeato e plasmato dalle molteplici forme di interazione tra uomo e ambiente e tra uomo e uomo nell’ambiente e configurandosi, quindi, come una vera e propria creazione sociale e culturale. A tale scopo, si è fatto ricorso al supporto delle più moderne discipline matematiche e informatiche applicate all’indagine archeologica; i dati acquisiti dalla disamina della documentazione sono stati rielaborati attraverso l’uso di cartografie in scala 1:5.000 e 1:25.000, in formato raster e dwg e tramite applicativi CAD e ArcGIS ed è stato possibile, innanzitutto operare un corretto e preciso posizionamento, secondo un sistema georeferenziato, dei siti, in molti casi noti solo attraverso generiche indicazioni di ubicazione. La preliminare localizzazione dei siti nello spazio ha consentito, in seconda istanza, di vedere ed evidenziare la loro reciproca articolazione in una prospettiva diacronica e di individuare le caratteristiche più macroscopiche che possano aver influito sulle scelte insediative e sul rapporto tra santuari, città e territorio. A tal fine sono state realizzate, tramite software ArcGIS, elaborazioni grafiche complesse di tipo geografico e alfanumerico, con l’obiettivo di rilevare i tratti salienti e connotanti la configurazione del territorio. Attraverso l’elaborazione di una visualizzazione fisiografica (fig. 9.38) è stato possibile identificare e “vedere” fisicamente le caratteristiche geo-morfologiche del territorio in esame. Tale visualizzazione si basa essenzialmente sull’indicazione delle oscillazioni delle quote altimetriche e delle isoipse, definite attraverso una progressiva variazione di intensità dei colori, ed è stata associata a una carta dell’esposizione (fig. 9.38) e a una delle pendenze o clivometrica (fig. 9.39). La carta dell’esposizione, che presenta il rilievo come se fosse colpito da una fonte di luce diretta, ha consentito di definire le direzioni del massimo grado di pendenza dei vari tipi di alture, mentre quella clivometrica, ha permesso di misurare le escursioni di quota rispetto 247 alla distanza lineare e all’inclinazione delle superfici, mettendo, così, in evidenza, nel dettaglio, tutte le variazioni altimetriche del comprensorio oggetto di indagine; e, per ottenere un tipo di visione tridimensionale e ancora più particolareggiata delle caratteristiche fisiografiche del territorio sono state realizzate visualizzazioni di tipo hillshading basate sulla simulazione di un punto luce sulla superficie, che fa risaltare la tridimensionalità dell’immagine grid e, attraverso l’effetto chiaroscurale prodotto, sottolinea la configurazione dei rilievi in maniera chiara ed esplicita (fig. 9.42 e successive). Alla luce dei dati raccolti e delle elaborazioni grafiche realizzate è stato possibile delineare un primo sviluppo del paesaggio religioso della Campania centro-settentrionale, in una dimensione diacronica. Nella consapevolezza della complessa articolazione etnica, politica e culturale che contraddistingue la regione, almeno per le fasi più arcaiche, vengono qui presentati degli spunti di riflessione che hanno tenuto conto di tale complessità e delle lacune della documentazione archeologica, cercando di evitare interpretazioni forzose dei dati disponibili. Già dalla carta di distribuzione dei siti indipendentemente dalla loro scansione cronologica (fig. 9.37), è possibile ricavare delle osservazioni di carattere generale. Il dato che emerge con particolare evidenza, allo stato attuale della documentazione, è la netta preponderanza di luoghi di culto in corrispondenza della cuspide nord-orientale del territorio in esame, ubicati in posizione preminente, lungo la fascia pedemontana dei massicci montuosi gravitanti intorno ai territori di Cales, Teano e Alife (Monte Maggiore, Roccamonfina-Massico e Matese), a quote comprese tra i 150 e i 580 m s.l.m., nella maggior parte dei casi su pianori solcati da corsi d’acqua o caratterizzati dall’affioramento di sorgenti e fonti perenni. I luoghi di culto si concentrano in particolar modo nell’area compresa tra i territori di Cales e Teano, in un raggio di circa 10 km, costituendo 1/3 del totale delle attestazioni. A fronte di tale dato, poco numerosi sono i santuari che sorgono in posizione pianeggiante, in prossimità del mare e della costa o all’interno della pianura campana. In linea di massima le evidenze sembrano concentrarsi in corrispondenza di zone liminari che segnano il confine tra ambiti etnici e culturali diversi, proiettati soprattutto verso il Sannio Pentro e Irpino. Le più antiche attestazioni di attività cultuali, risalenti all’VIII sec. a.C., sono state riscontrate nei territori di Cales e Teano (cat. nn. 34-50), rispettivamente su una cima e alle pendici del versante sud-occidentale del Monte Grande, a quota 250 e 97 m s.l.m., in 248 presenza di sorgenti minerali perenni. Tali luoghi di culto possono essere riferibili alla originaria strutturazione del comparto ausone e sidicino, durante l’età del ferro, in piccoli nuclei sparsi e mentre l’area sacra di Taverne di Torricelle (cat. n. 50) potrebbe essere interpretata come un santuario afferente a un piccolo villaggio già abbandonato nel corso del VII sec. a.C., la lunga continuità di vita che caratterizza il complesso sacro del Monte Grande (cat. n. 34) fino al II sec. a.C., induce a ipotizzare un ruolo centrale nella strutturazione sacra del territorio, presumibilmente legato allo stesso valore totemico che monti e acque rivestono nell’elaborazione dell’immaginario religioso collettivo (figg. 9.41-9.42). Alla fine del VII sec. a.C. può essere datata la fondazione del santuario della dea Marica alle foci del Garigliano (cat. n. 38) e di quello in località Panetelle, presso Mondragone, alla foce del Savone (cat. n. 41). Entrambi i luoghi di culto sorgono prospicienti alla linea di costa, pressoché alla stessa quota del livello del mare, presso dune sabbiose. La loro posizione nevralgica sul mare, in corrispondenza della foce di un fiume, documenta l’avvenuta definizione, già in questo periodo, del territorio ausone, di cui costituiscono i limiti settentrionali e meridionali. Sulla base di tale ubicazione topografica, essi si potrebbero configurare come dei veri e propri santuari di frontiera, aperti ai contatti e agli scambi da un lato, e, dall’altro, come simbolo identitario della comunità ausone anche in relazione alla crescente affermazione politica della colonia euboica di Kyme sul versante tirrenico, dove a questo periodo risalgono le prime attestazioni del culto, forse dedicato a Demetra, praticato all’esterno della porta mediana della fortificazione settentrionale (cat. n. 4), ubicato a una distanza di 484 m dall’acropoli, a definire il limite della città verso la piana di Licola e la pianura campana. Alla fine del VII sec. a.C. quindi, la configurazione sacra della Campania centro- settentrionale sembra riflettere una proiezione dell’elemento indigeno verso la costa, presumibilmente in relazione alla ormai consolidata presenza di Cuma a controllo del litorale tirrenico, a ribadire la propria specifica identità culturale, ma allo stesso tempo ponendo le basi di successive e intense interrelazioni (figg. 9.43 e 9.44). Nel corso del VI sec. a.C. il quadro delle evidenze si presenta molto più articolato. Si registra in questo periodo la nascita di numerosi santuari e complessi votivi legati soprattutto alla progressiva e definitiva strutturazione urbana e territoriale di Cuma, Capua e dei principali centri dell’entroterra indigeno. 249 Durante il VI sec. a.C. si assiste alla compiuta organizzazione sacra del territorio di Cumae, come si evince dalle più antiche testimonianze cultuali dalla terrazza del tempio di Apollo (cat. n. 2), dall’area sacra presso il settore sud-occidentale del futuro foro (cat. n. 5)e dai santuari periurbani presso Fondo Valentino e presso l’anfiteatro (cat. nn. 7-8) che si uniscono a quelle presso la porta mediana settentrionale nell’importante funzione di definizione e protezione del perimetro urbano. Tali aree sacre sono dislocate a una distanza dal centro compresa tra 0 e 942 m circa, a quote tra i 6 e i 26 m s.l.m. e mentre il complesso votivo del terrazza del tempio di Apollo e quello presso il settore sud-occidentale della città bassa rappresentano i due poli della religiosità urbana, i santuari presso la porta mediana, Fondo Valentino e l’anfiteatro, non lontani dalla costa, costituiscono, invece, una sorta di delimitazione sacra del territorio direttamente soggetto alla giurisdizione della città. Analoga situazione si registra a Capua dove l’avvenuta definizione del perimetro urbano e del territorio di competenza della città è indicata dai luoghi di culto periurbani di San Leucio, Quattordici Ponti e Fondo Patturelli (cat. nn. 9, 10, 12) e dalla fondazione del santuario extraurbano di Diana alle pendici del Tifata (cat. n. 13) che, ubicato a 4.340 m circa dalla città, a una quota di 101 m s.l.m., in un luogo caratterizzato da una fitta vegetazione boschiva e da sorgenti naturali, disegna il confine settentrionale. Gli altri santuari sono tutti ubicati immediatamente all’esterno del circuito murario, a una distanza dal centro tra i 370 e i 1820 m e a una quota, in un contesto prevalentemente pianeggiante, tra 33 e 43 m s.l.m., in prossimità di aree di necropoli. A tale strutturazione religiosa dei centri di Cuma e Capua si potrebbero ricollegare le prime attestazioni di culto nel territorio della Mesogeia, in particolar modo all’area scara individuata nell’area del futuro foro della città romana di Suessula. Tale complesso votivo, individuato a una quota di 35 m, in un’area pianeggiante attraversata dal corso del fiume Clanis, in direzione della valle caudina, sembra indicare, anche per questo antico centro indigeno della pianura campana, una precoce suddivisione funzionale degli spazi a destinazione pubblica e religiosa e, sebbene i dati archeologici disponibili non consentano una visione più dettagliata dello sviluppo dell’impianto urbano di Abella, anche per questo centro in posizione più periferica nell’ambito della Mesogeia si può ipotizzare una situazione analoga dove le più antiche attestazioni di attività cultuali sono state individuate in località San Candida. Tale area sacra sorge all’esterno dell’ipotizzato perimetro urbano, a Nord della 250 necropoli di San Nazzaro, lungo il corso del fiume Clanis (cat. n. 21), su un pianoro a una quota 205 m s.l.m. e a circa 590 m di distanza dal supposto centro della città. Parimenti, nel corso del VI sec. a.C., si registrano cambiamenti significativi nell’ambito dell’ampio comparto ausone e sidicino. Mentre, infatti, agli inizi del VI sec. a.C. possono essere datate le più antiche evidenze legate all’abitato arcaico di Cales, contemporaneamente può dirsi concluso il processo di etnogenesi del popolo dei Sidicini. In questo periodo nel capoluogo ausone risale l’impianto dei luoghi di culto in località San Pietro e in località Casariglia (cat. nn. 27 e 30) che si associano a quelli più antichi presso il Monte Grande e presso le foci del Garigliano. Per tali luoghi di culto, collocati rispettivamente all’esterno del settore N/O delle mura e lungo il ciglio orientale del pianoro presso il quale sorge la città, lungo la principale direttrice viaria presso Capua, ubicati a 623 e 1370 m dal centro, a una quota di 77 e 69 m s.l.m., si può supporre un legame diretto con l’insediamento, a protezione dei confini urbani veri e propri. Nel territorio sidicino, che si struttura in forme urbane solo a partire dalla seconda metà del IV sec. a.C., i luoghi di culto sono da interpretarsi quali elementi unificanti e identificativi di ciascun villaggio (cat. nn. 43, 47-49). Tali santuari sono localizzati su pianori ricchi di sorgenti, delimitati dal corso del Savone e dei suoi affluenti, a una distanza compresa tra i 178 e i 4.660 m dal centro di Teano, a Est, Nord e Sud del futuro territorio della città. Alcuni indizi, infine, lasciano ipotizzare per questo periodo la presenza di alcuni luoghi di culto nella media e alta Valle del Volturno riferibili alle prime fasi dello sviluppo dei centri indigeni di Culbulteria (cat. n. 52)e Rufrae (cat. n. 54), testimoniato dall’area sacra presso la masseria Perelle, presso il limite S/O dell’abitato, a una quota di 170 m s.l.m., ubicata a margine e controllo dell’insediamento, in posizione diametralmente opposta alla necropoli individuata presso la masseria Robbia. Nel corso del VI sec. a.C., dunque, il paesaggio sacro della regione risulta decisamente più ricco e articolato e la nascita e la distribuzione dei luoghi di culto appare strettamente legata al processo di strutturazione urbana di ciascuno dei comprensori considerati, nei quali sembra potersi rilevare, pur con le dovute differenze legate anche alla difformità delle informazioni disponibili, delle caratteristiche ricorrenti. Infatti, tanto per Cuma, quanto per Capua e le altre aree esaminate, nel corso del VI sec. a.C. il sacro sembra aver svolto la principale funzione politica di definizione degli spazi e dei limiti urbani. La maggior parte dei luoghi di culto si colloca o in posizione urbana, all’interno di aree destinate a un uso 251 pubblico fin dalle fasi iniziali degli insediamenti o, più frequentemente, immediatamente all’esterno del perimetro urbano, al di fuori del circuito murario, generalmente in posizione preminente, su pianori solcati da corsi d’acqua e sorgenti e in qualche caso, a questi elementi si associa una contiguità topografica con aree sepolcrali, dislocandosi a una distanza dal centro non superiore, ai 7 km (figg. 9.45 e 9.46). Nel corso del V sec. a.C. la situazione si presenta pressoché invariata rispetto al secolo precedente, dal momento che per la quasi totalità dei santuari fino a qui considerati è attestata, con poche eccezioni, una lunga continuità di vita fino alla tarda età repubblicana o all’avanzata età imperiale. In questo periodo il quadro delle attestazioni si arricchisce ulteriormente. A Cuma, agli anni iniziali del secolo, risale la costruzione del cd. Tempio di Giove sulla terrazza superiore dell’acropoli, in corrispondenza della sommità più elevata del Monte di Cuma, a una quota di 78, 3 m s.l.m. Tale ubicazione, in posizione rilevante rispetto al territorio circostante e quasi a picco sul mare, sottolinea la preminenza topografica di questo luogo di culto nell’organizzazione sacra del territorio di Cuma, posto a controllo del mare, della città e del territorio, costituendo il punto di riferimento focale dell’immediato comprensorio cumano (cat. n. 1). Allo stesso periodo risalgono, in ambito capuano, le più antiche testimonianze del santuario di Hamae, menzionato nel calendario liturgico riportato dalla Tabula Capuana e che sulla base di una testimonianza liviana, supportata da alcune tracce archeologiche, può essere localizzato a circa 26.6000 m da Capua, in località Tor di San Severino, presso Licola, non lontano dal mare, in un contesto pianeggiante, a una quota di 15 m s.l.m. Il santuario, che probabilmente in epoca sannitica diviene sede di un culto federale celebrato dall’intero popolo dei Campani, collocato a pochi chilometri di distanza da Cuma, costituisce il limite meridionale del vasto territorio controllato dalla città etrusca che, ormai definitivamente strutturata, deve aver visto crescere in maniera notevole la sua sfera di influenza e il suo potere politico ed economico nell’ambito della pianura campana (cat. n. 15). In questo comparto, nel territorio di Abella, al culto attestato in località San Candida già dal VI sec. a.C. (cat. n. 21) si associa ora quello praticato in località Campopiano, a 1780 m dal centro, su pianoro lungo la fascia pedemontana a Nord dell’abitato, presso le sorgenti del vallone Sarroncello e probabilmente in connessione con una necropoli, non lontano dai valichi d’accesso verso il Sannio Irpino, posto a protezione dei confini della città su questo versante. 252 Alla seconda metà del V sec. a.C., nel territorio di Cales, risale l’impianto dell’area sacra in località Ponte delle Monache, caratterizzata da una continuità di vita che arriva fino al II sec. a.C. Tale area sacra ubicata nel settore sud-orientale della città, in corrispondenza di una porta urbica e alla confluenza delle strade per Capua e la costa e di due fiumi, a una distanza di 1.510 m dal centro, a 69 m s.l.m., sorge a protezione del versante S/O dell’abitato, costituendone allo stesso tempo, una sorta di proiezione della città verso Capua, la pianura campana e la costa (cat. n. 31). Alla fine dello stesso secolo si datano le più antiche tracce di luoghi di culto, per l’ambito cronologico qui considerato, nell’alta valle del Volturno, individuate nel territorio dell’attuale comune di San Potito Sannitico, ubicato alle pendici sud-orientali del massiccio del Matese (cat. nn. 56-57). Tali aree sacre, ubicate su pianori ricchi di sorgenti a circa 5 km da Alife, in corrispondenza di valichi verso l’entroterra pentro, sono segnalate dal ritrovamento di terrecotte votive che per i tipi e le iconografie attestate, potrebbero connotare luoghi di culto a carattere rurale, riconducibili a un villaggio sannitico non altrimenti noto ed espressione di un culto “popolare”, presumibilmente legato alle acque e a riti di fertilità. Se, quindi, per il V sec. a.C., la distribuzione spaziale delle evidenze resta più o meno invariata rispetto al secolo precedente, si registrano comunque degli elementi di novità caratteristici di ciascun ambito territoriale considerato: Cuma, agli inizi del secolo, ribadisce la sua funzione di controllo politico del golfo di Napoli con l’elevazione del cd. Tempio di Giove sul punto più alto del promontorio dell’acropoli, proteso sul mare, come baluardo della presenza greca nel golfo; Capua sottolinea il suo ruolo di centro egemone della pianura campana con il santuario di Hamae collocato a circa 30 km a Sud della città etrusca; ad Abella nella pianura campana e a Cales, in territorio aurunco, i limiti territoriali vengono ulteriormente definiti e ribaditi dalla fondazione di due aree sacre che costituiscono una sorta di proiezione territoriale dei due centri, da un lato, verso l’Irpinia, dall’altro, verso Capua e la pianura campana (figg. 9.47 e 9.48). È nel periodo compreso tra il IV e il II sec. a.C. che si assiste a un incremento notevole del numero dei luoghi di culto che riflettono le conseguenze del processo di romanizzazione, iniziato nella regione all’indomani delle guerre sannitiche, e del nuovo assetto territoriale da questo determinato, con la formazione dei catasti agrari, della rete della centuriazione e con la creazione di fattorie e di piccoli insediamenti rurali finalizzati a un più intensivo sfruttamento delle risorse agricole. 253 Innanzitutto per Cuma e per Capua, in relazione alle vicende delle guerre sannitiche e alla concessione della civitas sine suffragio, si assiste più o meno contemporaneamente alla prima sistemazione della piazza forense con l’elevazione del tempio A, precedente al vero e proprio Capitolium di età imperiale, all’estremità occidentale del foro di Cuma, e di un’area sacra, nota solo da pochi materiali votivi e architettonici nell’area del foro di Capua, entrambi probabilmente dedicati ai Dioscuri, il cui culto assume una decisa rilevanza politica nella gestione dei rapporti con Roma (cat. nn. 3 e11). Nell’ambito della pianura campana, per il territorio calatino è attestato un solo luogo di culto, databile al III sec. a.C., riferibile a una statio. Tale luogo di culto, probabilmente dedicato a Venere ed Ercole, sorge, infatti, in prossimità del fiume Clanis, nel punto di confluenza di due importanti assi della centuriazione dell’ager Campanus (cat. n. 16), mentre da riferire a piccoli santuari campestri sono gli altri luoghi di culto attestati per questo periodo nella pianura campana (cat. nn. 19-20, 22, 24), riferibili ai territori di Nola e Abella. Essi sorgono in posizione periurbana, in pianura (cat. n. 19) e su pianori solcati dal Clanis e dai suoi affluenti, a quote variabili tra i 42 e i 200 m s.l.m. A Cales in questo periodo risalgono le più antiche attestazioni di luoghi di culto all’interno del perimetro urbano, ubicati presso l’arce e l’area del foro della città e da riferire con sicurezza ai programmi di rinnovamento edilizio che interessano il centro in seguito alla deduzione della colonia nel 334 a.C. (cat. nn. 25, 26, 28), mentre contemporaneamente nel territorio di afferenza della città sono attestati numerosi luoghi di culto (cat. nn. 32-33, 3637), ubicati su pianoro ricchi di una fitta vegetazione e di sorgenti, a una distanza dal centro compresa tra 2.500 e 11.000 m circa, a quote variabili tra i 55 e i 120 m s.l.m. e riferibili quindi, a insediamenti rurali sparsi del territorio, oggetto di una religiosità spontanea e popolare adombrata dalle tipologie di ex voto attestati che alludono soprattutto alla sfera della fertilità e della sanatio, così come si evince anche per i complessi votivi di età ellenistica afferenti al territorio della colonia di Sinuessa, sulla costa tirrenica, a Nord del Volturno, ubicati a una distanza dal centro compresa tra 1.210 e 11.270 m circa, in prossimità della linea di costa e quasi a livello del mare, presso fonti e sorgenti termali (cat. nn. 39, 40, 42). A Teano, accanto ai grandi santuari in località Loreto e Fondo Ruozzo dedicati al culto della divinità tutelare dell’intero popolo sidicino, sorgono nel corso del III sec. a.C., due luoghi di culto in posizione periurbana, tra 530 e 1.073 m dal centro, in località San Paride e 254 Orto Ceraso, all’esterno delle mura, ancora una volta in prossimità di fonti e all’interno di aree necropoliche (cat. nn. 44 e 46). Nel territorio di Alife, nell’alta valle del Volturno, in questo periodo sono attestati numerosi depositi votivi che si dispongono, quasi a formare una sorta di corona, presso le propaggini occidentali del massiccio del Matese, in corrispondenza dei valichi di penetrazione verso il Molise. Tali luoghi di culto sorgono, infatti, tutti in posizione preminente rispetto al territorio circostante, su pianori e rilievi collinari della fascia pedemontana del Matese e sempre in corrispondenza di polle d’acqua e sorgenti minerali perenni, a una distanza dal centro alifano compresa tra i 2.350 e i 18.250 m circa, a quote comprese tra i 150 e 580 m di altezza (cat. nn. 55, 58*-59*, 60, 61, 63, 64). Come già riscontrato per il territorio caleno, anche questi luoghi di culto possono essere riferibili, da un lato a originari villaggi sannitici sparsi nel territorio che continuano a vivere anche in seguito alla conquista romana in relazione a piccoli nuclei insediativi di carattere rurale sparsi sull’altopiano su cui poi alla fine del I sec. a.C. sarà dedotta la colonia di Allifae. Nel corso del II sec. a.C., ormai in un orizzonte pienamente romano, si assiste alla costruzione di complessi architettonici di una certa monumentalità come il complesso teatro- santuario di Teano e di Pietravairano (cat. nn. 45 e 62), e forse un’analoga sistemazione interessa in questo periodo anche il santuario di Diana Tifatina (cat. n. 13), che richiamano esplicitamente il modello architettonico dei santuari su terrazze che si diffonde proprio in questo periodo nel Lazio e in area centro-meridionale (figg. 9.49-9.54). Da questa preliminare indagine risalta, dunque, nella scelta insediativa dei luoghi di culto, indipendentemente dagli ambiti territoriali e dalle epoche presi in esame, la prevalenza di determinati parametri: la posizione preminente rispetto al territorio circostante e la costante presenza dell’acqua, innanzitutto fonti e sorgenti e in secondo luogo fiumi e mare. Soprattutto per il VI e il V sec. a.C. prevale una funzione protettiva della dimensione del sacro che sembra connotare tutte le realtà urbanizzate, indipendentemente dalle specifiche identità culturali. Un legame chiaro con le necropoli è accertato solo per Teano e solo per il III e II sec. a.C., mentre per Capua, Abella e Sinuessa al momento è lecito ipotizzare una semplice contiguità topografica. Nel I sec. a.C., infine, può essere datata la costruzione del tempio di Iside a Cuma, in un’insenatura a Sud dell’acropoli (cat. n. 6), probabilmente da riferire però a un culto 255 privato, insieme con il tempio su podio su una terrazza a ridosso del centro di Suessula (cat. n. 18), che prelude ai successivi e significativi interventi di età imperiale (figg. 9.55-9.56). In conclusione, i dati presentati, hanno consentito, di delineare nelle linee essenziali, le modalità dell’organizzazione sacra della Campania centro-settentrionale dall’età arcaica fino all’età repubblicana, rilevando la ricorrenza di elementi comuni e costanti pur nella diversità culturale degli ambiti indagati. Le caratteristiche più macroscopiche emerse sono, da un lato, la decisiva prevalenza di luoghi di culto nel settore nord-orientale dell’area indagata, a fronte della quale si rileva l’esiguità delle evidenze nelle aree pianeggianti e del comprensorio della pianura campana, dall’altro, la continuità di vita di tali luoghi di culto, che impiantati nella maggior parte dei casi alla fine del VII e agli inizi del VI sec. a.C. risultano frequentati, senza soluzione di continuità e nel sostanziale rispetto delle forme del culto originarie, fino a età tardo repubblicana e imperiale avanzata. Fin dalle prime manifestazioni di attività cultuali, nel corso dell’VIII sec. a.C., appaiono chiare, nelle scelte insediative, le due condizioni che ricorrono con maggiore frequenza: l’ubicazione ad alta quota, alla sommità di rilievi e pianori, e la vicinanza a fonti e sorgenti perenni. E se nel corso del VI e V sec. a.C. è possibile riconoscere una funzione più spiccatamente politica del sacro, strettamente legata alla definizione e alla strutturazione urbana e territoriale delle varie realtà analizzate, di cui i luoghi di culto fungono contemporaneamente da limite e di proiezione dell’identità della città verso l’esterno, a partire dal IV sec. a.C., la distribuzione dei luoghi di culto appare strettamente legata al fenomeno della romanizzazione con, da un lato, il fiorire di santuari urbani nell’ambito dei vasti programmi di rinnovamento edilizio dei centri di antica e nuova fondazione, dall’altro con la presenza di numerose aree sacre, presso rilievi e pianori ricchi di corsi d’acqua e sorgenti, riferibili a insediamenti rurali sparsi ed espressione di forme di religiosità più spontanea legata soprattutto a pratiche salutari e propiziatorie della fertilità, con caratteristiche del tutto analoghe a quelle riscontrabili nella maggior parte dei contesti medio- italici. 256 Fig. 9.37. Carta di distribuzione con l’indicazione dei santuari della Campania centro-settentrionale. Fig. 9.38. Visualizzazione delle caratteristiche fisiografiche della Campania (elaborazione in ARCGIS su formato grid). 257 Fig. 9.39. Visualizzazione dell’esposizione della Campania antica (elaborazione in ARCGIS su formato grid). 258 Fig. 9.40. Carta clivometrica con visualizzazione delle pendenze della Campania antica (elaborazione in ARCGIS su formato grid). 259 Fig. 9.41. Carta di distribuzione dei luoghi di culto dell’VIII sec. a.C. 260 Fig. 9.42. Visualizzazione hillshading della distribuzione dei luoghi di culto nel corso dell’VIII sec. a.C. (elaborazione in ARCGIS su formato grid). 261 Fig. 9.43. Carta di distribuzione con le evidenze di VII sec. a.C. 262 Fig. 9.44. Visualizzazione hillshading della distribuzione dei luoghi di culto nel corso del VII sec. a.C. (elaborazione in ARCGIS su formato grid). 263 Fig. 9.45. Cara di distribuzione dei luoghi di culto di VI sec. a.C. 264 Fig. 9.46. Visualizzazione hillshading della distribuzione dei luoghi di culto nel corso del VI sec. a.C. (elaborazione in ARCGIS su formato grid). 265 Fig. 9.47. Carta di distribuzione dei santuari di V sec. a.C. 266 Fig. 9.48. Visualizzazione hillshading della distribuzione dei luoghi di culto nel corso del V sec. a.C. (elaborazione in ARCGIS su formato grid). 267 Fig. 9.49. Carta di distribuzione dei luoghi di culto nel corso del IV sec. a.C. Fig. 9.50. Visualizzazione hillshading della distribuzione dei luoghi di culto nel corso del IV sec. a.C. (elaborazione in ARCGIS su formato grid). 268 Fig. 9.51. Carta di distribuzione dei luoghi di culto del III sec. a.C. 269 Fig. 9.52. Visualizzazione hillshading della distribuzione dei luoghi di culto nel corso del III sec. a.C. (elaborazione in ARCGIS su formato grid). 270 Fig. 9.53. Carta di distribuzione dei siti nel corso del II sec. a.C. 271 Fig. 9.54. Visualizzazione hillshading della distribuzione dei luoghi di culto del II sec. a.C. (elaborazione in ARCGIS su formato grid). 272 Fig. 9.55. Carta di distribuzione dei santuari di I sec. a.C. 273 Fig. 9.56. Visualizzazione hillshading della distribuzione dei luoghi di culto nel corso del I sec. a.C. (elaborazione in ARCGIS su formato grid). 274 ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE I titoli delle riviste sono quelle dell’Archäologische Bibliographie. ACT Atti del Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia, Taranto. ADAMO MUSCETTOLA 1985 S. Adamo Muscettola, Il tempio dei Dioscuri, in Napoli antica, Catalogo della Mostra, Napoli 1985, 196-208. ADAMO MUSCETTOLA 2007 S. Adamo Muscettola, Maschere a Cuma. Il teatro instabile di Silla?, in Studi cumani 1, 209 228. ADRIANI 1939 A. Adriani, Cataloghi del Museo Provinciale Campano. Sculture in tufo, Alessandria d’Egitto 1939. Ager Campanus 2002 Ager Campanus. Atti del Convegno Internazionale. La storia dell’ager Campanus. 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