Valletta, Angela (2013) il limite dell'ordine pubblico e delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale. [Tesi di dottorato]

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Tipologia del documento: Tesi di dottorato
Lingua: Italiano
Titolo: il limite dell'ordine pubblico e delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale
Autori:
AutoreEmail
Valletta, Angelaangelavalletta@libero.it
Data: 29 Marzo 2013
Numero di pagine: 154
Istituzione: Università degli Studi di Napoli Federico II
Dipartimento: Giurisprudenza
Scuola di dottorato: Scienze giuridico-economiche
Dottorato: Ordine internazionale e tutela dei diritti individuali
Ciclo di dottorato: 25
Coordinatore del Corso di dottorato:
nomeemail
Iovane, Massimomaiovane@unina.it
Tutor:
nomeemail
Tedeschi, Mariomario.tedeschi@unina.it
Data: 29 Marzo 2013
Numero di pagine: 154
Parole chiave: limite dell'ordine pubblico; delibazione
Settori scientifico-disciplinari del MIUR: Area 12 - Scienze giuridiche > IUS/11 - Diritto canonico e diritto ecclesiastico
Area 12 - Scienze giuridiche > IUS/13 - Diritto internazionale
Area 12 - Scienze giuridiche > IUS/15 - Diritto processuale civile
Depositato il: 03 Apr 2013 11:00
Ultima modifica: 22 Lug 2014 13:10
URI: http://www.fedoa.unina.it/id/eprint/9231
DOI: 10.6092/UNINA/FEDOA/9231

Abstract

Le sentenze ecclesiastiche di declaratoria di nullità matrimoniale canonica, dopo i Patti Lateranensi del 1929 e fino agli anni ‘70, venivano recepite automaticamente dallo Stato Italiano ed erano riconosciute agli effetti civili, qualunque ne fosse la motivazione. Successivamente agli accordi di Villa Madama dell’84, recepiti dalla l. 25 marzo 1985, n. 121, la delibazione delle sentenze canoniche di nullità matrimoniale emesse da un Tribunale Ecclesiastico è possibile solo dopo che sul provvedimento canonico vi sia stato il vaglio della Corte d’Appello italiana (c.d. giudizio di delibazione). Infatti, ai sensi dell'articolo 8, n. 2), dell'Accordo di revisione del Concordato (l.121/1985), le sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio possono essere rese esecutive nella Repubblica Italiana mediante uno speciale procedimento innanzi la Corte di Appello territorialmente competente. La domanda di delibazione, introdotta con ricorso o citazione a seconda che le parti siano concordi o meno circa l’efficacia civile della sentenza canonica di nullità, impone alla Corte d’Appello italiana di accertare che: a) "il giudice ecclesiastico era il giudice competente a conoscere della causa"; b) "nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di agire e resistere in giudizio"; c) "ricorrono le condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere". Nel caso che ci occupa, relativamente alle “condizioni” di cui alla suddetta lettera c), occorre fare cenno al principio di “ordine pubblico” interno e preme osservare che anche precedentemente al Concordato del 1984, in virtù delle sentenze della Corte Costituzionale n. 32/1971, 16 e 18 del 1982, sussisteva un procedimento ufficioso di controllo sulla sussistenza di detto limite che aveva trasformato l’ancora precedente automatismo recettivo della sentenza canonica in un vero e proprio giudizio di delibazione, in cui il giudicante italiano aveva l’obbligo di verificare se il collega ecclesiastico avesse rispettato il diritto di difesa e se avesse mantenuto una conformità con l'ordine pubblico. La Corte Costituzionale con la Sentenza 18/82 aveva definito il concetto di ordine pubblico come l'insieme «delle regole fondamentali poste dalla Costituzione e dalle leggi a base degli istituti giuridici di cui si articola l'ordinamento positivo nel suo perenne adeguarsi all'evoluzione della società», chiarendo che i principi fondamentali essenziali e caratterizzanti l'ordinamento giuridico italiano sono posti non solo dalla Costituzione, ma anche dalle leggi. La Corte di Cassazione, già dal lontano 1982 con la sentenza n. 5026/1982, ha ritenuto fare parte dell’ordine pubblico il principio della buona fede e dell’affidamento incolpevole, sostenendo che non può essere resa esecutiva la sentenza ecclesiastica che dichiari la nullità del matrimonio concordatario per esclusione unilaterale dei bona matrimonii, laddove la riserva mentale sia rimasta nella sfera psichica del suo autore e non sia stata conosciuta o non era conoscibile dall’altro coniuge. Peraltro le Sezioni Unite, con sentenza 6128/1985, hanno precisato che il limite dell'ordine pubblico così inteso non risulta invece travalicato laddove il coniuge incolpevole abbia rinunciato a far valere la sua buona fede, promuovendo egli stesso il giudizio di nullità, ovvero aderendo al giudizio promosso dall'altro coniuge o non opponendosi alla declaratoria di esecutività; ciò in quanto il principio di tutela dell'affidamento «ancorché inderogabile (...) appartiene alla sfera di disponibilità del soggetto» . Con la sentenza a Sezioni Unite 19809/08 la Cassazione, diversificandosi rispetto al precedente orientamento, ha dichiarato che costituisce ostacolo insormontabile per la delibazione della sentenza canonica la coabitazione o la convivenza intervenuta tra i coniugi dopo la celebrazione. In questi casi ci si troverebbe di fronte a un caso di incompatibilità assoluta con l'ordine pubblico interno. Tale assunto era già stato affermato, con diverse e più ampie motivazioni, in alcune sentenze precedenti ( Cass. Civ. nn. 5358/1987; 5354/1987; 5823/1987, tutte in «Il Foro italiano», 1988, I, pag. 474), il cui indirizzo è stato riconfermato dalla sentenza di legittimità n. 1343/11. In detta pronuncia, che si richiama a quanto già espresso dalla sentenza 19809/2008, è stato affermato il principio di diritto per cui l’ordine pubblico interno matrimoniale evidenzia un palese “favor” per la validità del matrimonio quale fonte del rapporto familiare incidente sulla persona e oggetto di rilievo e tutela costituzionali. Tutto ciò comporta che i motivi per i quali esso si contrae, che, in quanto attinenti alla coscienza, sono rilevanti per l’ordinamento canonico, non hanno di regola significato per l’annullamento in sede civile. Si chiarisce che non si può annullare il matrimonio allorquando la convivenza è già iniziata, e ancora di più se si è protratta per un certo tempo. Poiché riferita a date situazioni invalidanti dell’atto matrimonio, la successiva prolungata convivenza è considerata espressiva di una volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito e con questa volontà è incompatibile il successivo esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione, altrimenti riconosciuta dalla legge. Si tiene a precisare che la sentenza canonica di nullità prescinde dai principi di ordine pubblico suaccennati ed è fondata su un vizio del consenso esistente al momento del matrimonio (quod nullum est nullum producit effectum). Tale vizio del consenso non si prescrive mai con il decorso del tempo e dunque può essere rilevato dai giudici ecclesiastici, con debite risultanze istruttorie, anche a distanza di molti anni dalla celebrazione del matrimonio. Pertanto nel momento in cui si è intenzionati ad introdurre una causa di nullità matrimoniale per simulazione ex can. 1101 C.I.C. con l’intento di fare delibare successivamente la sentenza nello Stato italiano, occorrerà valutare se l’altro coniuge era a conoscenza della riserva mentale, se intende opporsi ovvero presta il consenso alla causa. In difetto si rischia di ottenere un provvedimento canonico che non può esplicare alcun effetto civile, quale ad esempio il matrimonio putativo (art. 128 c.c.) ed i conseguenti diritti del coniuge in buona fede, quale la corresponsione di somme di denaro per un periodo non superiore a tre anni (art. 129 c.c.). L’articolo 16 l. 218/1995 ha la funzione di operare da “filtro” tra il concetto di ordine pubblico internazionale italiano e l’ordinamento giuridico straniero. In sintesi, se la norma che appartiene all’ordinamento giuridico straniero contiene dei principi che non possono essere applicati nel nostro ordinamento giuridico deve, pertanto, essere disapplicata. Di conseguenza, nella prima ipotesi si applica la legge richiamata mediante altri criteri di collegamento previsti per la medesima ipotesi normativa. Invece, nella seconda ed ultima ipotesi, in mancanza di tali collegamenti si deve necessariamente applicare la legge italiana. L’articolo 16 l. 218/1995 nasce dall’espressa esigenza di regolamentare fattispecie sempre più soggette a contaminazioni di principi, istituti e regole di provenienza straniera per l’effetto combinato dell’integrazione europea, dei flussi migratori sempre più consistenti, della globalizzazione dei mercati e dei suoi operatori. Pertanto, i principi essenziali che sono alla base del nostro ordinamento vengono così tutelati proprio dall’articolo 16 l. 218/1995 che pone un limite tassativo all’applicazione del diritto straniero ed è stato collocato dal nostro legislatore a salvaguardia dell’identità giuridica, sociale ed economica più intima dello Stato Italiano. Nel contempo bisogna affermare che l’ordine pubblico presenta dei caratteri di relatività nello spazio e nel tempo, ciò sta a significare che il concetto di ordine pubblico internazionale (italiano) si evolve e muta in relazione alle concezioni sociali dominanti e, dunque, è precipuo compito degli operatori del diritto (Avvocati, Magistrati ed anche i Notai) coglierne gli aspetti più concreti per applicarli, poi, nei casi pratici. L’ordine pubblico internazionale (italiano) può essere inteso come una clausola generale che ha la finalità di preservare l’armonia interna del nostro ordinamento giuridico dall’applicazione di norme straniere che produrrebbero nel caso concreto (e non in astratto) dei risultati inconciliabili ed antitetici nei confronti delle nostre concezioni sociali dominanti ed anche delle nostre più elementari regole giuridiche. Il principio di ordine pubblico è sicuramente un concetto abbastanza complesso da definire ma non di certo “indefinito”, “un concetto che non può essere determinato a priori e che quindi non sia, alla fine, altro se non ciò che emerge cristallizzato nelle decisioni giurisprudenziali, accompagnate dai contributi dottrinali in materia”. E’ un principio che invece coinvolge qualsiasi branca del diritto, incidendo sulla risoluzione di controversie che apparentemente sembrano semplici ma che invece esigono una conoscenza attenta ed approfondita non solo delle norme dell’ordinamento italiano ma soprattutto di quelle straniere, in virtù del multiculturalismo che ormai contraddistingue la nostra società. Il fine primario di tale principio è sicuramente quello di preservare l’armonia interna dell’ordinamento, precludendo l’applicazione da parte del giudice italiano di norme straniere suscettibili di produrre effetti in contrasto con principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico senza violare però altri principi fondamentali, difatti nell’ultima parte del mio lavoro ho analizzato i rapporti intercorrenti tra l’ordine pubblico italiano e la delibazione delle sentenze delle altre confessioni religiose, sottolineando come sia importante il considerare tale principio l’elastico che deve riuscire a sostenere e contenere le evoluzioni continue della società.

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