Criscuolo, Giulia (2017) Trust e crisi di impresa. [Tesi di dottorato]

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Tipologia del documento: Tesi di dottorato
Lingua: Italiano
Titolo: Trust e crisi di impresa
Autori:
AutoreEmail
Criscuolo, Giuliagiulia.crisc@hotmail.it
Data: 10 Ottobre 2017
Numero di pagine: 152
Istituzione: Università degli Studi di Napoli Federico II
Dipartimento: Giurisprudenza
Dottorato: Diritto delle persone, delle imprese e dei mercati
Ciclo di dottorato: 29
Coordinatore del Corso di dottorato:
nomeemail
Quadri, Enricoenrico.quadri@unina.it
Tutor:
nomeemail
Guizzi, Giuseppe[non definito]
Data: 10 Ottobre 2017
Numero di pagine: 152
Parole chiave: Trust liquidatorio; vincoli di destinazione; autonomia privata e crisi di impresa.
Settori scientifico-disciplinari del MIUR: Area 12 - Scienze giuridiche > IUS/04 - Diritto commerciale
Depositato il: 16 Ott 2017 10:48
Ultima modifica: 08 Mar 2018 09:52
URI: http://www.fedoa.unina.it/id/eprint/11912
DOI: 10.6093/UNINA/FEDOA/11912

Abstract

Il presente lavoro trae origine dalle molteplici sentenze dei Tribunali di merito sullʹutilizzo del trust nellʹambito della crisi dʹimpresa e mira a verificarne la legittimità al fine di gestire sia una situazione di crisi che di insolvenza. Lʹargomento tocca trasversalmente diversi aspetti rilevanti dellʹordinamento italiano quali, tra gli altri, il principio di responsabilità patrimoniale generica, la tutela dei creditori ed il rischio di impresa. I negozi di destinazione comportano infatti una segregazione patrimoniale funzionale al perseguimento di un determinato scopo. Si permette cioè una divisione allʹinterno dello stesso patrimonio di un soggetto in virtù della quale solo alcuni beni e rapporti giuridici vengono separati dal resto per essere destinati ad uno scopo determinato. Ne consegue che i creditori generali, del patrimonio ʺnon separatoʺ, non potranno aggredire il patrimonio destinato. Lʹaspetto caratterizzante della destinazione è che comportando una segregazione del patrimonio dellʹimprenditore incide sullʹart. 2740 c.c. ovvero sulla responsabilità patrimoniale generica. Il lavoro in oggetto prende le mosse proprio da tale principio e dal ruolo che attualmente riveste, soprattutto alla luce delle riforme che lo hanno coinvolto. Il legislatore ha infatti previsto, in diversi ambiti, molteplici fattispecie di negozi di destinazione. Lʹutilizzo di tali negozi nellʹambito dellʹattività di impresa comporta poi unʹulteriore conseguenza in quanto si incide sul rischio di impresa limitandolo ad un determinato patrimonio. Con i negozi di destinazione si permette di selezionare e destinare al perseguimento di un determinato affare solo parte del patrimonio sociale limitando così i rischi che vi possono derivare. Si è quindi provveduto ad analizzare, dopo aver affrontato gli aspetti caratterizzanti dei negozi di destinazione c.d. atipici, se ed entro quali limiti il trust possa essere collegato alla crisi di impresa. Recependo la nomenclatura utilizzata dallʹunica pronuncia della Suprema Corte sullʹargomento, la sentenza n. 10105 del 9 maggio 2014, si è analizzato il trust costituito da una società che si trovava in stato di insolvenza, c.d. anticoncorsuale; quello costituito da una società in stato di crisi reversibile, c.d. endoconcorsuale; il trust costituito da una società in bonis per gestire la liquidazione della stessa e quello costituito nellʹambito di una procedura da sovraindebitamento. Inoltre ci si è interrogati sulle conseguenze del fallimento dellʹimprenditore su un trust costituito precedentemente. Il frequente utilizzo del trust e del vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. in genere e principalmente nel contesto in oggetto è dovuto principalmente alle diverse riforme che nel corso degli anni hanno riguardato il fallimento e le altre procedure concorsuali. Si è infatti assistito ad un processo di ʺmodernizzazioneʺ di tali procedure in forza del quale sono mutati gli equilibri caratterizzanti i rapporti tra i privati e gli organi giurisdizionali. Si è cioè riconosciuto un ruolo sempre più importante allʹaccordo tra il debitore ed i creditori in unʹottica di risanamento dellʹimpresa che deve preferirsi alla liquidazione ed alla cessazione dellʹimpresa. Le modifiche alla procedura fallimentare, al concordato preventivo, lʹampiezza e soprattutto lʹautonomia riconosciuta ai privati in merito al contenuto del piano, lʹintroduzione ed il successivo ampliamento degli accordi di ristrutturazione dei debiti e le procedure da sovraindebitamento, rendono esplicito lʹintento del legislatore di permettere un intervento preventivo nella gestione della crisi e di voler attribuire un ruolo centrale al creditore ed ai debitori. Alla luce di tale scenario ci si è chiesti fino a che punto si possa spingere lʹautonomia privata e soprattutto, se oltre a coordinarsi con le procedure previste dalla legge, potesse talvolta sostituirsi completamente ad esse. Lʹistituto oggetto della presente analisi, oltre a rendere necessaria una riflessione sui suddetti argomenti, pone ulteriori problematiche derivanti dal fatto che è un negozio di origine anglosassone che non ha una compiuta disciplina nellʹordinamento italiano. Il legislatore, infatti, dopo averlo recepito con la ratifica della Convenzione dellʹAja, si è poi limitato a prevederlo in determinate fattispecie senza però disciplinarlo. Ne è derivato un accentuato dibattito sulla sua ammissibilità che sembrerebbe, però, soprattutto alla luce delle più recenti sentenze che indirettamente si sono occupate del tema, essersi concluso in senso affermativo. Premessa lʹammissibilità del trust interno un ulteriore passaggio preliminare alla verifica del se ed a che condizioni è ammesso come strumento di gestione della crisi, riguarda la meritevolezza dellʹinteresse perseguito. Aderendo allʹorientamento ormai consolidato, come meglio si vedrà nel corso del presente lavoro, si ritiene che la causa dei negozi giuridici e quindi anche del trust debba essere valutata in concreto (la causa rappresenta la funzione economico individuale del negozio). Dunque, lʹanalisi che deve essere effettuata per valutare la validità di un trust liquidatorio e la sua liceità riguarda la valutazione dellʹinteresse concretamente perseguito ed il bilanciamento degli interessi coinvolti con riferimento allo specifico negozio. In linea generale si può però ammettere la validità del c.d. trust endoconcorsuale, costituito dallʹimprenditore per garantire la buona riuscita di una procedura concordata di risoluzione della crisi o comunque collegato a tali procedure. Si ritiene in realtà ammissibile anche quando viene previsto come alternativa alle procedure di cui alla legge fallimentare. Si afferma, quindi, che in presenza di una situazione di crisi lʹautonomia privata ed in particolare la predisposizione di un trust sia, in determinati casi specifici e per le motivazioni di cui in seguito, una valida alternativa per poter gestire una crisi dʹimpresa. Inoltre si ritiene che il trust endoconcorsuale raggiunga la sua massima utilità qualora sia efficace in un momento precedente rispetto allʹinizio della procedura concorsuale. Non si può però dire lo stesso in caso di insolvenza (trust liquidatorio anticoncorsuale) in quanto in tal caso ci si trova in una situazione irreversibile dove la segregazione e la destinazione patrimoniale non potrebbero essere utili al perseguimento di alcun fine meritevole ma, al contrario, servirebbero solo ad aggirare le procedure previste in tali casi dalla legge creando un possibile pregiudizio per i creditori. Tale tipologia di trust si ritiene essere nullo per illiceità della causa in quanto è in frode alla legge. Quanto al trust costituito per liquidare il patrimonio di una società in bonis, lʹipotesi problematica ed inammissibile, a parer di chi scrive, riguarda solo il caso di liquidazione delle società di capitali, mentre è una strada percorribile, anche se non se ne ravvisa lʹutilità, per le società di persone. Un ulteriore aspetto controverso del trust liquidatorio, oggetto di analisi nel presente lavoro, riguarda gli effetti del successivo fallimento dellʹimprenditore su un trust considerato lecito. Dopo aver analizzato le diverse tesi sostenute si è giunti ad affermare che, qualora lʹatto costitutivo non individui espressamente il fallimento quale causa di risoluzione del negozio, la soluzione va ricercata tra gli strumenti ʺgeneraliʺ predisposti dal legislatore a tutela dei creditori e diretti a recuperare i beni sottratti allʹattivo fallimentare. Il trust, come si cercherà di dimostrare, rientra cioè nella previsione dellʹart. 64 della l. fall. e, pertanto, se è stato compiuto nei due anni precedenti la dichiarazione di fallimento, diviene inefficace di diritto ed i beni segregati sono attratti nel fallimento mediante la trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento. Invece, in caso di trust dinamico a titolo oneroso non troverà applicazione il suddetto articolo 64, ma il curatore potrà comunque esercitare lʹazione revocatoria prevista per tali tipologie di atti o, se la fattispecie concreta è oggettivamente incompatibile con la liquidazione fallimentare, ravvisandosi un difetto funzionale della causa, si potrà chiedere la risoluzione per impossibilità sopravvenuta.

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