Fasanino, Francesca
(2017)
Recycle: nuove tematiche per l'architettura del paesaggio.
[Tesi di dottorato]

Abstract
Negli ultimi anni è possibile rintracciare diversi progetti, mostre, iniziative che rimandano al tema del
riciclo. Attraverso una breve storiografia delle esperienze più importanti che si riconoscono nel riciclo
è possibile segnare come questa strategia vada oltre l’eccezione.
La multidisciplinarietà del tema si colloca nel dibattito contemporaneo, in quelle riflessioni che
cercano di fissare i mutamenti del pensiero di una società in crisi perché si confronta
quotidianamente con l’esaurirsi delle risorse e con la necessità di reinventare, a partire dallo scarto,
nuove politiche di gestione dei territori e delle città.
I rifiuti, i resti, gli scarti costituiscono un tema centrale nelle attuali politiche di gestione dei territori e
delle città perché ritenuti elemento di distorsione e risorsa: possono interrompere il ciclo di
riproduzione della città o reintegrarsi nel suo sviluppo. Le città, come le campagne, hanno convissuto
con i loro scarti. Riuso e riciclo sono termini antichi, costantemente presenti nei diversi modi di
produzione economica e di vita sociale. Il suolo urbano è fatto di stratificazioni, di un’accumulazione
di resti: nelle mura delle costruzioni troviamo materiali ed elementi edilizi che provengono da
fabbriche più antiche, distrutte, abbandonate, saccheggiate. I depositi di rifiuti, come i cimiteri, fanno
parte della storia e della vita urbana, ma mentre per i cimiteri troviamo un’attenzione culturale,
religiosa, simbolica, per i rifiuti l’attenzione è stata da sempre solo funzionale.
Tra sviluppo della città e trattamento dei rifiuti c’è stato un lungo equilibrio; la città tradizionale
riusciva ad assorbire i suoi scarti. I rifiuti diventano un problema con la città moderna, con
l’industrializzazione, con l’espansione demografica, con la grande dimensione dei consumi. Alle origini
della città moderna i rifiuti urbani diventano un fattore negativo, sono un male da porre sotto
controllo, da occultare. L’urbanistica moderna trova i suoi primi fondamenti nella medicina e
nell’igiene. Le reti fognarie, come le strade, organizzano l’espansione urbana. Con lo sviluppo della
città, lo smaltimento e la gestione dei rifiuti diventano una pianificazione settoriale, specialistica; non
fanno più parte integrante del piano della città. Probabilmente anche questa scissione ha contribuito
a determinare la fine dell’equilibrio e della visione unitaria del ciclo vitale che teneva insieme sviluppo
urbano, produzione, consumo e smaltimento. Oggi i rifiuti sono al centro della crisi delle grandi città:
la loro produzione supera spesso la capacità di gestirli in modo efficace e sicuro. Hanno assunto una
dimensione economica rilevante al punto da diventare uno dei settori d’intervento più frequentati
dalle organizzazioni criminali. Il caso di Napoli e della Campania è per molti versi un vero paradigma
anche per questi aspetti. Qui i rifiuti generano altri rifiuti, altri sprechi, altri rischi. Il controllo sfugge
intenzionalmente di mano: aumenta l’inquinamento dei terreni e delle acque, crescono gli effetti
negativi sulla salute delle comunità locali, aumenta lo spreco di suolo e il degrado del territorio e del
paesaggio. La città, ma in fondo stiamo parlando del pianeta, potrebbe morire soffocata dai suoi
rifiuti. In un mondo sempre più urbanizzato (nel 2050 avremo circa 9 miliardi di abitanti di cui l’80%
vivranno in città) il tema dei rifiuti diventa determinante per la sopravvivenza dei sistemi urbani. Già
oggi troviamo due modelli: aree metropolitane come Tokio che riescono a controllare la gestione dei
rifiuti con tecnologie e logistiche avanzate e città come Il Cairo dove gran parte dei rifiuti della città
viene raccolta e trattenuta in appositi quartieri maleodoranti (Zabaleen City, non molto distante dalla
Cittadella) per essere selezionata, trattata e riciclata da una popolazione di oltre 50.000 persone che
vivono letteralmente nella spazzatura. Molto probabilmente sarà il modo di trattare i rifiuti a segnare
la differenza tra le grandi città. Ovunque nel mondo emerge, tuttavia, una questione assolutamente
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nuova: i rifiuti sono una rete decisiva per la vita della città, non più rete invisibile e oscurata, ma
sempre più evidente per la sua ingombrante presenza.
Tuttavia il tema dei rifiuti non si esaurisce con la spazzatura, le nuove forme di produzione e di
distribuzione dell’economia hanno determinato la dismissione di aree industriali, di terreni agricoli, di
infrastrutture obsolete, di interi quartieri residenziali, come a Detroit. Non sono anche questi resti,
elementi da recuperare, riciclare, riportare dentro un progetto, un piano?
L’arte ha già scoperto la centralità dei rifiuti nella nostra vita, facendone oggetto di riflessione
estetica: Kevin Lynch nel 1990 con Wasting away è stato tra i primi a restituire al tema dei rifiuti una
dignità disciplinare; Rem Koolhaas ne ha cinicamente intuito la omologante presenza, sublimandola
nello Junkspace; per Alan Berger il territorio è già un Drosscape.
Attraverso l’analisi del rapporto tra città, produzione, scarti e reti infrastrutturali coadiuvato da una
strategia di azioni programmatiche è possibile pensare ad “un ripensamento tecnico e procedurale del
“progetto di bonifica” per superare le pratiche settoriali tradizionalmente utilizzate e identificarlo
quindi come un sostrato irrinunciabile di un più complessivo progetto urbano e di paesaggio
ecologicamente orientato” come insegna Carlo Gasparrini.
È necessario quindi definire attraverso la ricerca, che sto portando avanti, una chiave di lettura ed una
visione condivisa del territorio a partire da un’azione combinata di strumenti operativi e concettuali
che portano alla definizione di un progetto contemporaneo di paesaggio attento al rapporto tra
ecologia, progetto, pianificazione e paesaggio stesso.
Oggetto e obiettivi della ricerca
Negli ultimi trenta anni, i vocaboli che hanno raccontato quello che in italiano significa “scarto” si
sono spesso alternati, prendendo forza o scomparendo dal dizionario urbano e architettonico,
ritornando sommessamente nelle pagine dei libri e in quelle delle riviste di settore o assurti a titoli:
Blanc, dèchet, drosscape, espaces delaisses, friches, garbage, junkspace, non-lieu, ruines, terrains
vagues, tiers paysage, vacant land, vides, wasting away, zone, sono alcune delle voci utilizzate nella
letteratura per raccontare la necessità di un dialogo del progetto con realtà marginali.
Ognuno dei termini individuati da Sara Marini in Nuove Terre, riportano con forza la condizione di
indeterminazione e di appartenenza a determinati ambiti del sapere pur mantenendo la possibilità di
travalicare i confini. Ad esempio il termine “Friches” ricorre in testi che si occupano in particolare della
dismissione industriale nonché del verde incolto, spontaneo così come spesso possiamo leggere nei
testi di Gilles Clement, “Zone” resta legato agli studi di Geoges Betaille, “Non lieu” ha avuto
particolare fortuna con Marc Augè grazie agli scritti che hanno avuto come oggetto lo studio del
territorio.
Ed è in questo contesto che le cosiddette zone di scarto si presentano come territori senza ruolo, in
attesa di definizione, in attesa di una nuova opportunità: ed è solo attraverso il cambiamento di
ordine economico, ecologico, sociale, che si può ottenere un nuovo disegno del reale che porta alla
definizione di nuove linee di sviluppo.
La cronaca racconta di un mondo nel quale la dismissione e lo scarto che ne consegue viene generato
ad una velocità incompatibile con le tempistiche con le quali si costruiscono gli strumenti di gestione
dei territori. Eppure è negli anni settanta del Novecento che Matta Clark decide di guardare ai luoghi
abbandonati come materia architettonica sui quali costruire il proprio manifesto di ricerca.
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Egli focalizza attraverso la sua ricerca due passaggi chiave del rapporto scarto/progetto: l’attenzione a
spazi dimenticati come materia di nuove azioni e la messa in evidenza di nuove logiche normative
rispetto all’attribuzione di senso dei suoli. Questo artista, proponendo come opere d’arte documenti
catastali, fotografie e mappe di un territorio, rende esplicita la relazione che intercorre tra i diversi
livelli di pianificazione e percezione del reale.
Tali esperienze sullo scarto sottolineano come il tempo si fa materia di progetto nonché strumento
vero e proprio sia nella costruzione del paesaggio sia nella determinazione del ciclo vitale di un
oggetto. Il ruolo del tempo nel progetto di paesaggio segna una distinzione netta con il progetto
architettonico: se il primo tende ad un istante preciso di realizzazione dell’opera, il secondo si attua
con un percorso nel quale insistono fattori che possono definire l’esatto tracciato processuale.
Ed è in questo contesto che l’opera esaspera la mutazione dei grandi fatti urbani in spazi
dell’abbandono, dove riprende campo un mondo primitivo fatto di spazzatura e pratiche arcaiche,
minute. Viene, quindi, naturale pensare che è giunto il momento di apprendere dallo scarto, dalla sua
storia (che è la nostra), dalla sua contraddizione, dal suo male, ma anche dalla sua risorsa.
Come riportare la sua ingombrante presenza all’interno del progetto di architettura, di paesaggio, di
città, di territorio? Come trasformare la sua organizzazione in una rete integrata e strutturante il
sistema insediativo? Cosa impedisce di trasformare le loro infrastrutture di raccolta, distribuzione e
smaltimento in opere di qualità?
Come reintegrare nella città e nel paesaggio i manufatti, le infrastrutture, le aree un tempo produttive
e ora abbandonate e inquinate? E’ possibile attraverso una linea di ricerca che muovendo dalla
nozione di scarto e da uno scenario sempre più degradato e sommerso dai rifiuti, la promozione di
strategie per riportare nel piano e nel progetto la pluralità dei materiali che compongono il territorio
dei drosscapes?
È possibile una concettualizzazione metodologica dello scarto? Sono queste alcune delle domande a
cui vorrei rispondere attraverso una ricerca volta a chiarire il ruolo che occupa il riciclo all’interno
della questione ambientale provando a concettualizzare il significato che nel tempo ha acquisito il
termine scarto in rapporto al progetto architettonico e di paesaggio.
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