Cappelluzzo, Adriana (2020) Dialetto e «regressione»: Andrea Zanzotto e Pier Paolo Pasolini a confronto. [Tesi di dottorato]
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Item Type: | Tesi di dottorato |
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Resource language: | Italiano |
Title: | Dialetto e «regressione»: Andrea Zanzotto e Pier Paolo Pasolini a confronto |
Creators: | Creators Email Cappelluzzo, Adriana adriana.cappelluzzo@unina.it |
Date: | 13 March 2020 |
Number of Pages: | 300 |
Institution: | Università degli Studi di Napoli Federico II |
Department: | Studi Umanistici |
Dottorato: | Filologia |
Ciclo di dottorato: | 32 |
Coordinatore del Corso di dottorato: | nome email Gargano, Antonio antgarga@unina.it |
Tutor: | nome email Saccone, Antonio UNSPECIFIED Gennaro, Rosario UNSPECIFIED |
Date: | 13 March 2020 |
Number of Pages: | 300 |
Keywords: | poesia-dialetto-novecento |
Settori scientifico-disciplinari del MIUR: | Area 10 - Scienze dell'antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche > L-FIL-LET/11 - Letteratura italiana contemporanea |
Date Deposited: | 24 Mar 2020 14:54 |
Last Modified: | 08 Nov 2021 14:29 |
URI: | http://www.fedoa.unina.it/id/eprint/13118 |
Collection description
Questo lavoro di ricerca ha come tema centrale la poesia dialettale di Andrea Zanzotto e Pier Paolo Pasolini, dal 1940 al 1970.La prima parte del lavoro di ricerca, dunque, affronta la questione della lingua divisa tra il dialetto e un’istanza di regressione. Nelle prime due raccolte analizzate, La meglio gioventù di Pasolini e La Beltà di Zanzotto, emerge un atteggiamento sperimentale rispetto alla scelta del linguaggio poetico. Pasolini, infatti, scrive i primi versi nel dialetto di Casarsa rinnovando una tradizione poetica dialettale che si contrapponeva alla paludata poesia in lingua nazionale. Zanzotto, invece, attraverso uno sperimentalismo che abbraccia i più disparati codici linguistici, giunge all’invenzione del petèl. In entrambi gli autori, insomma, ragionare sui codici linguistici significa giungere ad una forma di «regressione». La seconda parte riflette sulla nozione di «corporeità». Gli anni ’70 rappresentano un momento in cui la realtà socioeconomica si impone sulle dinamiche culturali. Negli anni corsari, ma già con la contestazione giovanile del movimento studentesco del ’68, Pasolini sperimenta una «dissociazione»: il nuovo potere capitalista sta invadendo tutti gli spazi della cultura limando ogni differenza sociale e linguistica. Persino i corpi dei giovani, che erano apparsi incorrotti nella Trilogia della vita (1971-1974), vengono sottoposti ad una severa abiura. Non resta che ripiegare in un «tetro entusiasmo», La nuova gioventù (1975). Zanzotto, d’altro canto, scopre con il Filò il dettato materno, il dialetto di Soligo, e lo fa attraverso il cinema di Fellini. Insieme con il «parlar vecio» ecco imporsi sulla pagina zanzottiana una prospettiva geologica, tellurica, quasi viscerale. È il pesante corpo lagunare che irrompe nei versi del lungo filò. La terza parte riguarda i rapporti tra Pasolini, Zanzotto e la cultura del loro tempo. In questo capitolo si evidenziano i punti di contatto tra i due autori ma anche i luoghi critici che rendono peculiari le differenti esperienze poetiche. Ci si sofferma sulle modalità con cui la poetica di Zanzotto e di Pasolini risente dell’influenza degli autori della tradizione, in particolare di Leopardi, Ungaretti, Pascoli e Montale. Si affronta, inoltre, la necessità pedagogica sentita dai due autori come fondativa del loro discorso poetico. Altresì si indaga sul rapporto di Pasolini con l’antropologia e in particolare con l’esperienza di Ernesto De Martino. In ultima istanza si propone un serrato confronto tra i due poeti rispetto ai reciproci rapporti interpretativi ed epistolari. Nell’appendice conclusiva la poesia dei due autori viene fatta agire in relazione al paesaggio. Il borgo di Casarsa, per Pasolini, e Pieve di Soligo, per Zanzotto, rappresentano quell’eden dialettale che lentamente sta scomparendo. Se Zanzotto riflette sulla dimensione geografica da una prospettiva poetica ed ecologista; Pasolini, attraverso la sua feroce accusa al mondo neocapitalista, coglie, nel suo ultimo apparire, un universo, quello contadino, che sta inesorabilmente scomparendo.
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