Saviano, Michele (2010) CRISTIANESIMI A CONFRONTO TRA DISSONANZE E DIALOGO. PRINCIPI E SCELTE BIOETICHE DELLA CHIESA CATTOLICA E DELLA CHIESA VALDESE. [Tesi di dottorato] (Unpublished)
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Item Type: | Tesi di dottorato |
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Resource language: | Italiano |
Title: | CRISTIANESIMI A CONFRONTO TRA DISSONANZE E DIALOGO. PRINCIPI E SCELTE BIOETICHE DELLA CHIESA CATTOLICA E DELLA CHIESA VALDESE |
Creators: | Creators Email Saviano, Michele michele.saviano@unina.it |
Date: | 24 November 2010 |
Number of Pages: | 220 |
Institution: | Università degli Studi di Napoli Federico II |
Department: | Filosofia "Antonio Aliotta" |
Scuola di dottorato: | Scienze filosofiche |
Dottorato: | Bioetica |
Ciclo di dottorato: | 22 |
Coordinatore del Corso di dottorato: | nome email Lissa, Giuseppe lissa@unina.it |
Tutor: | nome email D'Antuono, Emilia emilia.dantuono@unina.it |
Date: | 24 November 2010 |
Number of Pages: | 220 |
Keywords: | cattolicesimo valdesi fine vita |
Settori scientifico-disciplinari del MIUR: | Area 11 - Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche > M-FIL/03 - Filosofia morale |
Date Deposited: | 02 Dec 2010 10:40 |
Last Modified: | 30 Apr 2014 19:43 |
URI: | http://www.fedoa.unina.it/id/eprint/7947 |
Collection description
Il presente lavoro, dal titolo, Cristianesimi a confronto tra dissonanze e dialogo. Principi e scelte bioetiche della chiesa cattolica e della chiesa valdese, muove da un’analisi dei nessi che intercorrono tra la bioetica e le grandi tradizioni religiose. Indubbiamente un decisivo contributo alla costituzione ed allo strutturarsi del sapere bioetico viene, oltre che dalla riflessione etico-filosofica, dal diritto e dalla scienza, dalle grandi religioni e in particolare dal Cristianesimo, nelle sue diverse articolazioni confessionali, che ha da sempre riflettuto, secondo diverse modalità, per esempio sul rapporto tra medicina, progresso tecno-scientifico e morale. Posta questa premessa diviene di conseguenza essenziale uno sforzo di comprensione nel tentativo di capire i modi attraverso cui le diverse religioni approcciano le problematiche bioetiche nell'attuale temperie socio-culturale segnata dalla globalizzazione e dall’interdipendenza, non solo economica, all'interno della quale proprio il tema della multiculturalità, della convivenza tra stranieri morali, sembra rappresentare una delle sfide con le quali il nostro tempo è chiamato a misurarsi al punto da assumere il carattere di urgenza ineludibile. La ricerca in particolare ha indagato i nessi che intercorrono tra la riflessione del Magistero cattolico e quella riconducibile ad una realtà minoritaria ma senza dubbio significativa nel panorama del protestantesimo storico italiano, costituita dalla Chiesa valdese, in particolar modo su specifiche questioni etiche come le tematiche di fine vita. Punto di partenza dell’argomentazione è rappresentato da un’analisi contestuale, sviluppata nel primo capitolo, dell’orizzonte all’interno del quale si estrinseca la relazione tra bioetica e religioni . Un orizzonte culturale, che è appunto quello della modernità, segnato dalla crisi di tradizionali parametri culturali, valori sociali e dalla dissoluzione delle grandi costruzioni ideologiche. Quel mondo divenuto adulto, secondo la celebre espressione del grande teologo tedesco, martire della resistenza, Dietrich Bonhoeffer, attraverso processi di marginalizzazione e privatizzazione della sfera del sacro e in generale del ruolo della religione, ma all’interno del quale non si esaurisce il bisogno di senso, la domanda di significato, cui, tuttavia, la modernità sembra non essere in grado di rispondere . Uno scenario, quello contemporaneo, si tenga presente, caratterizzato dalla globalizzazione e dall’interdipendenza, nel quale il tema della multiculturalità, della convivenza con l’altro, rappresenta una delle sfide con le quali il nostro tempo è chiamato a fare i conti. E proprio quest’ultimo tema che, in contesti sociali nei quali l’omogeneità culturale ed etnico-religiosa è messa di continuo in discussione dai grandi movimenti migratori, sembra aver assunto il carattere di urgenza ineludibile. Il confronto interculturale nel mondo globalizzato diviene ancora più stringente quando l’attenzione si sposta sui problemi bioetici in particolare sulle modalità attraverso cui le diverse culture concepiscono il nascere e il morire, la salute o la malattia. L’analisi si dipana lungo un itinerario che muove, nel II capitolo, dalla consapevolezza che nel dibattito bioetico contemporaneo di certo un ruolo primario è assunto da quella che possiamo definire bioetica cattolica della sacralità della vita ovvero la bioetica ufficiale del Magistero cattolico; in realtà gli studiosi di parte cattolica preferiscono utilizzare l’espressione bioetica personalista, ravvisando nell’etichetta “cattolica” affibbiata alla loro riflessione sul tema della vita un tentativo di screditamento da parte del fronte laico. Il modello personalista, tentando di sganciarsi da qualsiasi riferimento dogmatico, si presenta come una costruzione filosofica che “a partire dalla descrizione del dato scientifico, biologico e medico, «razionalmente» esamina la liceità dell’intervento dell’uomo sull’uomo” , riuscendo così a garantire la propria universalità e comunicabilità anche per i non credenti, come esplicitamente sostenuto da Giovanni Paolo II: “Il Vangelo della vita non è esclusivamente per i credenti: è per tutti. […] Nella vita c’è sicuramente un valore sacro e religioso, ma in nessun modo esso interpella solo i credenti”. La tradizione personalista pone al centro della sua analisi la persona umana ed il valore che le è proprio nella sua essenza e dignità ontologica, ossia l’individuo «immagine di Dio, figlio di Dio e fratello di Cristo», secondo una visione sacrale e creazionistica, in cui Dio dona esistenza ed essenza all’uomo, prevedendo che tale bene supremo non vada solo considerato come donum del Creatore all’uomo ma anche come una proprietà del Creatore, e subordinata ai suoi scopi, e di conseguenza sottratta alle decisioni dell’uomo, il quale non può disporre in modo arbitrario della propria vita o di quella altrui e deve limitarsi solo ad accoglierla, consapevole che di essa “Dio è l’unico signore” . Proprio la vita rappresenta il “fondamento di tutti i beni, la sorgente e la condizione necessaria di ogni attività umana e di ogni convivenza sociale” e di conseguenza compito proprio dell’uomo è adeguarsi consapevolmente ai limiti fissati dal volere divino e quindi accettare di buon grado l’ordine oggettivamente conoscibile delle cose, evitando qualsiasi atto che possa metterlo in discussione, quale può essere oggi rappresentato da qualsiasi forma di manipolazione della vita dalla sua origine alla sua fine. Assai proficuo è stato, inoltre, il confronto con le posizioni veicolate dalla Chiesa Valdese: la singolarità di quest’approccio, le cui coordinate teologiche sono riconducibili alla grande tradizione riformata, deriva oltre che da una specifica modalità di elaborazione teorica che, per la mancanza di una vera autorità magisteriale prevede un’ampia discussione pubblica che coinvolge le singole chiese nella loro totalità, anche da un atteggiamento nei confronti dei problemi etici posti dalla scienza sintetizzabile in due punti fondamentali: da un lato l’imprescindibile riferimento ad una continua riflessione etica sui temi sollevati dal progresso tecnologico, dall’altro la necessità di non demonizzare la scienza. Una riflessione sull’etica valdese e più in generale su quella protestante non può che muovere dall’esigenza di determinare i nessi tra l’annuncio evangelico e l’agire umano interpretato alla luce della rivelazione divina. Il nodo problematico del rapporto tra religione ed etica si staglia sullo sfondo del pensiero riformato che fin dalle origini presuppone una inequivalenza fra religione ed etica, l’impossibilità di identificare il credere con l’agire. In realtà la problematicità della relazione fra pensiero e prassi, intenzione e risultato, è già posta dalla tradizione biblica alla luce del comandamento divino dell’amore nella duplice accezione dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo. Le due dimensioni strutturanti il comandamento dell’amore si intrecciano, senza alcun dubbio, rimandando, come in un gioco di specchi, l’una all’altra, pur tuttavia rappresentano “aspetti distinti e non confondibili” . L’itinerario dialettico tra teologia ed etica muove, nel pensiero riformato delle origini, dalla disputa fra fides e caritas; mentre il primo polo della discussione sussume la relazione verticale Dio-Uomo, la caritas allude invece alla dimensione etica, mondana, dell’amore. La teologia luterana e più in generale quella riformata propone una radicale reinterpretazione dei concetti di fides e caritas e soprattutto una loro radicale distinzione. Una distinzione che, nel pensiero riformato, dice che l’uomo si trova nella condizione di essere il beneficiario della promessa divina. È l’azione divina che riscatta l’essere umano e a questo atto unilaterale iniziale della grazia di cui l’uomo, si diceva, è esclusivamente beneficiario, non inerisce un imperativo etico, un dover essere, che in quanto tale renderebbe l’azione umana in qualche modo determinante nell’economia della salvezza. L’etica protestante a partire dalle premesse teologiche poste dal pensiero luterano muove nella direzione di una radicale messa in discussione dell’etica teleologica e dell’idea che l’uomo possa, attraverso le opere, garantirsi in qualche modo la salvezza. Solo liberandosi dell’ossessione della perfezione morale da raggiungere attraverso le opere di giustizia e accettando il dono della grazia divina si apre per l’umanità un orizzonte di vera libertà e grazia. L’intero impianto teorico-dottrinale dell’etica cristiana è fondato esclusivamente su un principio, quello dell’«agàpe», l’amore del prossimo. Infine, oggetto del terzo capitolo, è la discussione su un segmento specifico della riflessione bioetica che può essere indicato come questioni di fine vita. La scelta del tema non è casuale, ma risponde a due ordini di motivi, il primo riconducibile alla più stretta attualità, dal momento che proprio la riflessione sulle questioni di fine vita sembra produrre lacerazioni violentissime ed aspre contrapposizioni nel dibattito pubblico, si pensi ad esempio ai recentissimi casi Englaro e Welbi, l’altro attiene all’originalità della posizione, teologicamente motivata, espressa dalla Chiesa Valdese nei documenti riportati. Le scelte etiche di fine vita stimolano una serie di riflessioni su temi in cui sono in gioco il valore da attribuire alla vita, la dignità del morire e il diritto di richiedere la sospensione di trattamenti finalizzati al solo prolungamento di un’esistenza senza possibilità di guarigione, l’opportunità di porre un argine alle possibilità illimitate della medicina, la necessità per l’istituzione medica di affrontare un tema spinoso e scomodo come quello del morire oggi in contesti ipermedicalizzati. Ed in effetti lo snodo attorno a cui ruota l’intera riflessione sulla fine della vita resta la possibilità offerta dalla medicina contemporanea e dalle tecniche da essa applicate di posporre il momento della morte in situazioni nelle quali, in un passato piuttosto recente, ben poco poteva essere fatto per prolungare la vita. La posizione ufficiale della Chiesa cattolica riguardo a queste tematiche, in particolare rispetto all’eutanasia e al suicidio assistito, è ancorata ad un rigoroso rifiuto. Le ragioni di questa decisa opposizione vanno ricercate nel fatto che questi atti, affidando alla volontà dell’uomo la decisione del momento in cui abbandonare la vita, negherebbero la potestà del Dio creatore sulle proprie creature e di conseguenza violerebbero il principio della sacralità e dell’indisponibilità della vita che rappresenta il fondamento su cui posa l’intero edificio teorico che va sotto il nome di modello bioetico personalista; condanna che trova la sua più compiuta espressione nella famosa enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II: “In conformità con il Magistero dei miei Predecessori e in comunione con i Vescovi della Chiesa cattolica, confermo che l’eutanasia è una grave violazione della Legge di Dio, in quanto uccisione deliberata moralmente inaccettabile di una persona umana. Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal Magistero ordinario e universale” . A fronte di una polarizzazione, quella tra laici e cattolici, che catalizza il dibattito bioetico, soprattutto in Italia, diversi documenti della Chiesa valdese hanno, invece, chiarito come su tali questioni, centrale sia l’autodeterminazione del soggetto; essa deve essere vissuta in un contesto nel quale la comunità che assiste il malato alla fine della sua vita possa sostenere ed accompagnare la sua scelta. Il richiamo ad un’astratta idea di sacralità della vita, in ambito religioso, a sostegno di un atteggiamento di netto rifiuto dell’eutanasia e del suicidio assistito, viene rigettato, anzitutto, a partire dall’assunto che non si ha una visione chiara della vita - e dunque della morte - se non si opera una opportuna distinzione tra vita biologica e vita relazionale (biografica). In secondo luogo si chiarisce che il pensiero biblico attesta che nulla vi è di sacro nella natura se non la relazione che Dio stesso ha stabilito con l’uomo; la Bibbia, dunque, nel collocare la natura nell’ambito della creaturalità e riconoscendo l’alterità del Creatore (solo Dio è sacro), palesa il rapporto tra vita biologica e vita biografica proprio nell’esperienza dell’incontro tra Dio e l’uomo. L’esperienza relazionale è perciò essenziale al progetto di un’umanità che si definisce a partire dall’oltrepassamento del mero biologismo e dalla possibilità di aprirsi all’Altro. La riflessione su un’etica di fine vita chiama in causa drammaticamente e irreversibilmente la responsabilità umana e la nostra coscienza di uomini, credenti o non credenti. Una responsabilità che restando confinata nel dominio dell’umano e del finito non mette nessuno, e tantomeno il credente, al riparo dal rischio di errori. Questo appare forse il contribuito più originale offerto dalla riflessione bioetica valdese che dimostra l’assunto di partenza del presente lavoro ovvero la possibilità di pensare un approccio alle questioni eticamente sensibili che muovendo da premesse teologicamente fondate apre alla prospettiva di un cristianesimo aperto e dialogante che davvero arricchisce il dibattito interdisciplinare divenendo seme fecondo. Come ha scritto il teologo valdese Sergio Rostagno: “L’individuo deve situare la sua assolutezza altrove che nelle sue scelte; deve invece mantenere alle scelte la loro caratteristica di elementi contingenti della realtà. Questa distinzione non potrà essere ulteriormente semplificata. Essa aiuta nelle scelte, che sono e devono restare contingenti per loro natura, anche quando inevitabilmente comportano un aut aut e qualche volta devono mettere sulla bilancia la vita e la morte. C’è sempre, oltre la morte, una diversa e più fondamentale concezione della vita da far valere” .
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