Volpe, Giorgio (2010) Il sindacalismo rivoluzionario: dalle origini alla "settimana rossa". [Tesi di dottorato] (Unpublished)
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Item Type: | Tesi di dottorato |
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Resource language: | Italiano |
Title: | Il sindacalismo rivoluzionario: dalle origini alla "settimana rossa" |
Creators: | Creators Email Volpe, Giorgio volpe.giorgio@gmail.com |
Date: | 30 November 2010 |
Number of Pages: | 277 |
Institution: | Università degli Studi di Napoli Federico II |
Department: | Discipline storiche "E. Lepore" |
Scuola di dottorato: | Scienze storiche archeologiche e storico-artistiche |
Dottorato: | Storia |
Ciclo di dottorato: | 23 |
Coordinatore del Corso di dottorato: | nome email Tortorelli, Marisa UNSPECIFIED |
Tutor: | nome email Barbagallo, Francesco UNSPECIFIED |
Date: | 30 November 2010 |
Number of Pages: | 277 |
Keywords: | sindacalismo rivoluzionario |
Settori scientifico-disciplinari del MIUR: | Area 11 - Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche > M-STO/04 - Storia contemporanea |
Date Deposited: | 10 Dec 2010 09:24 |
Last Modified: | 30 Apr 2014 19:45 |
URI: | http://www.fedoa.unina.it/id/eprint/8259 |
Collection description
Nonostante il sindacalismo rivoluzionario costituisca un capitolo importante per la comprensione della storia dell’Italia liberale, la ricostruzione della sua lunga e complessa vicenda rappresenta ancora una questione storiografica aperta. Il carattere frammentario e disomogeneo del movimento sindacalista sembra riflesso nella bibliografia degli studi ad esso dedicati: a tutt’oggi, infatti, non è possibile rintracciare un’opera sistematica dedicata all’analisi delle sue diverse fasi, leaders, luoghi, etc.. L’unica, parziale eccezione è rappresentata da A. Riosa, Il Sindacalismo rivoluzionario in Italia, e la lotta politica nel P. S. I. dell'età giolittiana: la scelta di limitare lo studio agli eventi compresi nel lasso di tempo 1902-1908, però, lo rendono un testo non totalmente esaustivo, sebbene ricco di spunti interpretativi. Pur essendo stati fissati alcuni punti condivisi da gran parte degli studiosi che si sono interessati del movimento sindacalista, la sua storia conserva tuttora grosse lacune e notevoli luoghi oscuri degni di un approfondimento: l’origine meridionale di gran parte del gruppo dirigente; l’analisi delle sue componenti sociali; la geografia della sua espansione e del suo radicamento; lo studio dei metodi di lotta e la natura delle agitazioni da esso organizzate. Tutte questioni che, per essere comprese, vanno inquadrate nell’ambito più generale delle trasformazioni sociali che accompagnarono il movimento operaio italiano in età liberale. Per far questo bisogna uscir fuori dallo schema interpretativo classico, definito con il termine di “età giolittiana” e porsi piuttosto nell’ottica del processo carsico di polarizzazione allora in atto nella società italiana. Al di là delle diverse fasi e problematiche che ne segnarono le vicende, il tratto distintivo del sindacalismo rivoluzionario fu rappresentato da una progressiva radicalizzazione a sinistra, trasversale e parzialmente indipendente dal succedersi dei governi: nato in seno alla fazione intransigente, esso giunse ad assumere posizioni anarcoidi ed esterne al P. S. I.. Nonostante conservi ancora molteplici motivi d’interesse, il “giolittismo” si rivela una categoria sostanzialmente inadatta alla comprensione del fenomeno politico in questione, poiché rischia di non mostrare con la dovuta chiarezza la dinamica di contrapposizione sociale che caratterizzò in maniera crescente lo sviluppo economico del paese in quegli anni e di cui il sindacalismo rivoluzionario rappresentò uno dei fenomeni più significativi. Inoltre, come conferma della necessità di superare il “paradigma giolittiano”, va sottolineata anche l’importanza del contesto socialista europeo, spesso sottovalutato negli studi dedicati al problema del sindacalismo rivoluzionario in Italia. L’acceso dibattito interno alla II Internazionale sulla cosiddetta “crisi del marxismo” e le conseguenti ricadute sui partiti socialisti nazionali, ebbero naturalmente un influsso notevole nel determinare le scelte dei rivoluzionari italiani, soprattutto nei primi tempi. L’ottica più generale del mio lavoro, dunque, è rappresentata dall’evoluzione delle lotte sociali in Italia e dalla definizione dell’importanza del ruolo avuto dai sindacalisti rivoluzionari in tale processo. All’interno di questa cornice generale è possibile suddividere la storia del sindacalismo italiano in tre grandi periodi. Il primo, relativo alle sue origini, è caratterizzato dal forte nesso fra lo sviluppo del movimento sindacalista ed il contesto meridionale: il suo gruppo primigenio, infatti, fu costituito quasi esclusivamente da gente del Sud – omogenei fra loro per età, estrazione sociale e formazione culturale. Per cercare di comprendere se a tali riscontri, ottenuti sul piano culturale, corrispondesse un’effettiva collaborazione di tipo politico, si rende necessario un livello d’analisi più profondo. A tal fine ho scelto un approccio prosopografico, grazie al quale ho ricostruito l’attività politica dei futuri sindacalisti dai suoi albori repubblicani sino alla creazione del giornale «La Propaganda», cercando di comprenderne le ragioni e le dinamiche di fondo. In questo modo, dunque, ho appurato il forte legame tra l’elaborazione teorica sindacalista ed il contesto economico-sociale in cui si sviluppò: tale connessione, anche se non fu stabile nel tempo, costituì un tratto originario ed irriducibile, senza il quale non è possibile intendere appieno gli sviluppi successivi del sindacalismo. Il secondo periodo è costituito dal lasso di tempo che va dalla nascita di «Avanguardia socialista» sino al Congresso sindacalista di Ferrara nel 1907, e rappresenta indubbiamente il periodo del sindacalismo rivoluzionario maggiormente studiato. La ragione di tale anomalia storiografica non risiede tanto in un interesse specifico per il fenomeno sindacalista, quanto nell’intrecciarsi della sua storia con quella del P. S. I.. Come è noto, infatti, questo periodo fu caratterizzato dalla presenza dei sindacalisti all’interno del partito e dalla loro costituzione come corrente nazionale. La tendenza a far coincidere la storia del socialismo necessariamente con quella del partito, però, non ha permesso di porre sempre nella giusta prospettiva il fenomeno sindacalista e di comprendere così le ragioni alla base della sua evoluzione in senso radicale. Mi è parso più opportuno, dunque, inserire le vicende di questi anni nel continuum della storia sindacalista, come parte del più ampio processo di polarizzazione in atto nella società italiana. Posto in quest’ottica, il “sindacalismo intramoenia” non appare più come un’eccezione storico-politica, bensì assume una sua precisa logica rispetto agli eventi che l’avevano preceduto ed agli sviluppi che determinerà. Procedendo in questo modo, a mio avviso, è possibile giungere alla definizione del ruolo e dell’importanza che ebbe il sindacalismo rivoluzionario nell’evolversi delle lotte sociali in Italia. L’ultima fase è caratterizzata dal fenomeno dell’anarco-sindacalismo, successivo alla fuoriuscita della corrente rivoluzionaria dal P. S. I.. Anche in questo caso va fatta una precisazione relativa alla storiografia sull’argomento: spesso quest’ultima ha utilizzato il termine anarco-sindacalismo con riferimento all’intera storia del sindacalismo rivoluzionario in Italia. Tale atteggiamento ha generato una certa confusione nella comprensione del fenomeno politico, poiché non si è data la giusta importanza agli elementi di profonda discontinuità. Non a caso, in questo periodo salgono alla ribalta nuove personalità politiche (De Ambris, Corridoni, etc.), mentre i vecchi leaders parzialmente si defilano; mutano gli scenari geografici: dalla Milano di Labriola e Lazzari ci trasferiamo nella Parma di De Ambris; cambiano le riviste, che smettono di avere ambizioni nazionali e divengono più simili a fogli di propaganda locale. Posto in quest’ottica si comprende come l’anarco-sindacalismo costituirà non solo l’ultima tappa del sindacalismo in Italia, ma anche la fase più acuta del processo di polarizzazione allora in atto nella società italiana. Non a caso nella ricostruzione storiografica di tale periodo si avverte immediatamente l’abbassamento del livello del dibattito teorico-politico, a fronte dell’emersione prepotente delle lotte sociali. Nello scorcio di tempo che va dallo sciopero di Parma del 1908 alla “settimana rossa”, infatti, la storia del sindacalismo è cadenzata dal succedersi frequente delle agitazioni popolari. Per compiere il suddetto lavoro mi sono avvalso sostanzialmente di tre differenti tipologie di fonti: documenti di pubblica sicurezza, carteggi, riviste; omogeneamente distribuite all’interno dei tre periodi in cui ho suddiviso la storia del sindacalismo rivoluzionario in Italia. 1) Documenti di pubblica sicurezza In quest'ambito, un ottimo punto di partenza mi è parso rappresentato dai fascicoli personali del Casellario politico centrale (CPC), riguardanti i sindacalisti rivoluzionari e conservati all’Archivio centrale dello Stato (ACS). Una ricerca che si è rilevata particolarmente proficua, poiché sono stato in grado di rintracciare numerosi nominativi: Oltre alle carte conservate al CPC, è stato possibile rinvenire interessanti documenti nelle diverse annate del Fondo del Ministero dell’interno \ Direzione generale di pubblica sicurezza e nell’Ufficio della cifra. In particolare, ho trovato ampia documentazione di alcune importanti agitazioni che caratterizzarono la fase del cosiddetto anarco-sindacalismo: Lo studio dei profili biografici e dei rapporti di pubblica sicurezza riguardanti le agitazioni mi ha fornito una serie di preziose indicazioni, grazie alle quali ho costruito una prima griglia interpretativa fatta di nomi, date, luoghi, riviste, etc.. Sulla base di queste informazioni ho proceduto ad un’analisi più approfondita del sindacalismo rivoluzionario in Italia, con un approccio che cercasse di narrarne la storia in forma di biografia collettiva. Per queste ragioni, la seconda tappa delle mie peregrinazioni archivistiche ha fatto capo all’Archivio di Stato di Napoli (ASN). Anche in questo caso la ricerca ha dato i frutti sperati: nel fondo Anagrafe dei sovversivi del Gabinetto della Questura (GQ, II serie), nonostante l’ancora parziale sistemazione, è possibile consultare i fascicoli relativi a: Inoltre, il carattere localistico del fondo ha fatto in modo che in esso siano presenti numerosi fascicoli dedicati alle diverse associazioni, circoli, gruppi politici, etc. a cui i futuri sindacalisti diedero vita nei primi anni della loro attività politica, documenti particolarmente interessanti ai fini dello studio della loro formazione politico-culturale: 2) Carteggi Partendo dalle tracce che ho rinvenuto nei documenti legati più propriamente alla loro attività politica (elenco degli iscritti alle associazioni, controlli di polizia sulle corrispondenze, collaborazioni con professori dell’Università di Napoli, etc.), ho cercato di approfondire ulteriormente la ricerca, tentando di decifrare e ricostruire la rete delle relazioni personali intrattenute dai sindacalisti. In tal senso ho preso in esame innanzitutto il fondo «Robert Michels», custodito presso La «Fondazione Luigi Einaudi» di Torino. La militanza del sociologo tedesco fra le file del movimento sindacalista italiano ha fatto in modo che all’interno del fondo siano presenti numerose corrispondenze interessanti ai fini della mia ricerca: Il secondo “archivio personale” che ho visitato è stata la «Fondazione Biblioteca Benedetto Croce» in Napoli che, per la mole dei documenti conservati, rappresenta una punto di riferimento imprescindibile per una qualunque analisi storica che abbia a che fare con la Napoli a cavallo fra il XIX e XX secolo. In particolare, nel caso della mia ricerca, la corrispondenza crociana si è rivelata particolarmente utile per lo studio della “fase napoletana” dei sindacalisti, presentando un numero notevole di documenti: Rimanendo nella prospettiva dei primi anni di formazione politica dei futuri sindacalisti e del loro iniziale repubblicanesimo, altrettanto interessanti appaiono i documenti custoditi alla «Domus mazziniana» di Pisa e, se pur in modo minore, alla «Sezione Manoscritti» della «Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III» di Napoli. Nel primo caso le corrispondenze afferiscono quasi esclusivamente al fondo «Ghisleri»: mentre nel secondo si tratta del fondo «Imbriani» e di quello Mirabelli: 3) Riviste Considerato il ragguardevole numero di riviste d’area sindacalista pubblicate in quegli anni, ho scelto di concentrarmi sulle maggiori, in maniera differenziata rispetto al periodo trattato: negli anni della “formazione napoletana” ho lavorato prevalentemente su «La Propaganda»; durante il periodo del sindacalismo intra moenia su «Avanguardia socialista», «Divenire sociale» e «Lotta di classe»; invece nella fase anarco-sindacalista, a causa dell’assenza di organi di stampa a carattere nazionale, ho fatto riferimento a riviste come «L’idea», «L’Internazionale», etc..
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