Manfredi, Francesco (2011) Società e stranieri morali. Per un'interpretazione critica della general secular bioethics di H. T. Engelhardt jr. [Tesi di dottorato] (Inedito)

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Tipologia del documento: Tesi di dottorato
Lingua: Italiano
Titolo: Società e stranieri morali. Per un'interpretazione critica della general secular bioethics di H. T. Engelhardt jr.
Autori:
AutoreEmail
Manfredi, Francescoorgpost@libero.it
Data: 28 Novembre 2011
Numero di pagine: 276
Istituzione: Università degli Studi di Napoli Federico II
Dipartimento: Filosofia "Antonio Aliotta"
Scuola di dottorato: Scienze filosofiche
Dottorato: Bioetica
Ciclo di dottorato: 24
Coordinatore del Corso di dottorato:
nomeemail
Lissa, Giuseppegiuseppe.lissa@unina.it
Tutor:
nomeemail
D'Antuono, Emiliaemilia.dantuono@unina.it
Data: 28 Novembre 2011
Numero di pagine: 276
Parole chiave: bioetica; Engelhardt; laicità
Settori scientifico-disciplinari del MIUR: Area 11 - Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche > M-FIL/03 - Filosofia morale
Depositato il: 05 Dic 2011 10:16
Ultima modifica: 30 Apr 2014 19:47
URI: http://www.fedoa.unina.it/id/eprint/8619
DOI: 10.6092/UNINA/FEDOA/8619

Abstract

Questa ricerca propone un'analisi della struttura complessiva, dei principi e delle ricadute applicative della proposta bioetica laica generale di Hugo Tristram Engelhardt jr. Partendo dalla disamina di The foundations of bioethics del 1996, che rappresenta la versione più esaustiva e sistematica della riflessione engelhardtiana, l'analisi procede, nella prima parte, all'individuazione e all'interpretazione critica dei presupposti categoriali socio-antropologici che definiscono le premesse concettuali dell'impianto laico generale. La liquidità (fluidità o leggerezza) proposta da Bauman, come dimensione socio-culturale essenziale alla definizione della contemporaneità, contribuisce alla configurazione di un orizzonte dell'umano i cui frammenti si riorganizzano, individualmente o comunitariamente, lungo le direttrici di una tensione processuale articolata secondo dinamiche pluralistiche (par 1.1). In uno spazio sociale in continuo assestamento, le nuove identità umane assumono la forma dell'individualizzazione che, descrivendo la riconfigurazione processuale dello status personale, veicola l'estraneità come condizione invasiva degli assetti sociali. Nello spazio dialettico che separa la società, come dimensione delle differenze, dalla comunità, in quanto struttura aggregativa, è possibile rintracciare il prodotto sociale dell'incontro tra estraneità ed individualizzazione: lo straniero morale incarna l'essenza problematica dello status relazionale di identità mutevoli, destinate ad interagire in forme e secondo logiche situazionali. Le differenze in termini di visione del mondo e, più specificamente, rispetto agli approcci alla vita morale caratterizzano una condizione sociologicamente rilevante, nella misura in cui l'estraneità prodotta all'interno dei processi di individualizzazione si definisce nel duplice orientamento verso l'inderogabile prassi interattiva dell'incontro con l'estraneo o verso la tendenza, di origine variabile, a forme aggregative ad assetto comunitario. Questo duplice andamento descrive, in sostanza, quella che Engelhardt definisce dialettica tra stranieri ed amici morali: da un lato le differenze strutturali in termini di visione ed approccio, dall'altro le spinte aggregative in direzione di identità e credenze comuni (par 1.2). Al centro di questa struttura socio-relazionale Engelhardt delinea i tratti fondamentali di un'antropologia minima fondata sul concetto di persona come categoria funzionale. Attori determinanti della dialettica sociale, tra individualizzazione, estraneità ed aggregazione, sono le persone, entità viventi e relazionali funzionalmente strutturate secondo un ordine quadruplice determinato dalle categorie di autocoscienza, libertà, razionalità e moralità. In questo modello antropologico minimo, la capacità di scegliere presupposti e condizioni determinanti per l'interazione sociale, sia essa tra stranieri o tra amici morali, costituisce un requisito moralmente essenziale. In tal senso, l'autocoscienza rappresenta la funzione centrale per la definizione categoriale della persona, in quanto nucleo decisionale minimo. Attraverso la consapevolezza del sé, la sua caratterizzazione e la sua ridefinizione progressiva, nella forma dell'individualizzazione, la condizione di autocoscienza definisce i margini della presenza situazionale. L'autocoscienza costituisce, quindi, la soglia primaria della capacità di scelta e dello status di persona. Funzionalmente complementare all'autocoscienza, la razionalità si riferisce alla capacità di connessione tra la concretezza della prassi decisionale e le conseguenze, altrettanto concrete, di tale prassi: è una ratio procedurale interna al sistema della scelta personale che comporta la facoltà di valutare le conseguenze. La capacità decisionale delle persone deve comportare anche l'imputabilità della scelta, presupponendo, in tal modo, la libertà: soltanto una decisione autonomamente presa può caricarsi delle proprie conseguenze, del proprio significato e può configurarsi coerentemente come atto autocosciente. La moralità, infine, sintetizza la funzionalità complessiva del modello antropologico nell'orizzonte valutativo della lode e del biasimo, veicolando prospetticamente il riferimento ad una comunità morale laica pacifica regolata dall'autorità morale laica delle persone in quanto entità funzionali (par 1.3). Una tale impostazione, determinando la centralità operativa e strutturale delle persone, implica un modello stratigrafico degli assetti sociali che si costruisce trasversalmente partendo, appunto, dalla composizione funzionale minima delle persone in quanto tali. In tal senso, Engelhardt propone una prima distinzione funzionale tra persone in senso stretto (dotate del pacchetto funzionale minimo) e persone per considerazione sociale (prive o dotate soltanto in forma parziale delle funzioni minime) e una seconda distinzione, tendenzialmente tipologica, tra persone "1" (le persone in senso stretto) e persone "2, 3, 4, 5" (persone per considerazione sociale) distinte in base a connessioni temporali con lo status funzionale delle persone 1 (entità che furono, entità che saranno ed entità che non saranno mai persone in senso stretto). La dialettico rispetto a cui si definisce la tensione dinamica di inclusione/esclusione per lo status di persone è determinata dal binomio funzione/considerazione: il possesso delle funzioni minime consente una presenza operativa nello spazio sociale, mentre la considerazione, priva delle funzioni, definisce uno status sociale derivato (operativamente compromesso) (par 1.4). Il ruolo sociale delle persone in senso stretto assume valenze differenti e problematiche non soltanto nella misura del confronto e dell'interazione generalizzata tra stranieri morali, né limitatamente alle dinamiche relazionali relative alla considerazione sociale di entità non funzionalmente personali; uno spazio cruciale per l'indagine bioetica - ma non solo - è rappresentato dall'universo sanitario-assistenziale e della ricerca biomedica. In questi contesti, irriducibili all'unità astratta di un modello esplicativo, all'estraneità morale si aggiunge, e spesso si sovrappone, l'estraneità professionale (i linguaggi teorici ed applicativi della medicalizzazione e della ricerca), generando una variabilità situazionale all'interno della quale la legittimità funzionale delle persone in senso stretto e i margini della considerazione sociale impongono interrogativi essenziali rispetto alla definizione di procedure giustificabili sul piano morale (dalle varie forme di paternalismo all'autonomia del consenso libero ed informato, dalla sperimentazione alla terapia) (par 1.5 e 1.6). Nella seconda parte della ricerca, i presupposti categoriali socio-antropologici introducono la struttura complessiva della general secular bioethics e contribuiscono alla determinazione e all'interpretazione critica dei suoi principi costitutivi. Partendo dalla constatazione della crisi delle pretese onnicomprensive dell'orizzonte morale cristiano e dalle difficoltà interne del progetto di unificazione morale di stampo illuministico, Engelhardt evidenzia le tendenze centrifughe e centripete che separano il piano sociale, pluralistico e mutevole, dagli spazi comunitari, caratterizzati dalla costruzione di identità collettive spesso significativamente stabilizzate, e individua la necessità di un'etica (e bioetica) laica generale come risposta ad una tale frattura strutturale. Analizzare la portata della proposta etica engelhardtiana significa, prima di tutto, comprendere la duplice accezione laica e generale che rappresenta la cifra costitutiva di uno schema procedurale aperto ai meccanismi funzionali delle persone. La laicità è una dimensione aperta, attraversata da una variabilità profonda e compatibile con la pluralità di proposte sostanziali: nello spazio della laicità ogni proposta etica ha il suo posto e la sua giustificazione nella comunità di persone che ne condividono i principi. La laicità, nella sua accezione funzionale più ampia, descrive un territorio denucleato, all'interno del quale realizzare processi di interazione e negoziazione tra persone spesso accomunate soltanto dalla reciproca estraneità. Allo stesso tempo, l'accezione generale definisce la legittimità sul piano applicativo della proposta etica: nella definizione dello spazio operativo di un'etica laica generale si configura la possibilità di fondare un'autorità etica valida per stranieri morali che descriva la grammatica minima capace di fondare giustificatamente un orizzonte coesistenziale. In tal senso, l'impianto morale complessivo sarà essenzialmente procedurale e formale, ossia privo di riferimenti sostanziali e orientato secondo un modello generale di comunità morale laica pacifica incentrata sulla prassi del rispetto reciproco (par 2.1). Attraverso l'analisi critica di alcuni dei principali modelli fondativi di un'oggettività etica sostanziale (par 2.2), la ricerca giunge all'individuazione dei principi costitutivi dell'etica laica procedurale: il permesso, la beneficenza, la proprietà, l'autorità politica e l'allocazione in campo sanitario. Il principio del permesso incarna e sintetizza il senso procedurale complessivo di un'etica formale del rispetto reciproco; in quanto rielaborazione (più terminologica che strutturale) del precedente principio di autonomia (1986), il principio del permesso racchiude tre livelli funzionali essenzialmente affini (permesso, consenso, accordo) che descrivono i meccanismi minimi di interazione legittima - in quanto fondata sull'autorità morale delle persone concretizzata nel permesso - tra stranieri morali (par 2.3). Il principio di beneficenza, subordinato - come tutti gli altri principi - al permesso, definisce l'ineliminabile e fondamentale tensione morale verso il bene, ma ne evidenzia anche la strutturale problematicità in un orizzonte laico pluralistico. Permesso e beneficenza coesistono all'interno di una tensione dialettica radicale, mitigata da una costitutiva complementarietà (par 2.4). Tra permesso e beneficenza si colloca la libertà, che Engelhardt considera vincolo collaterale essenziale alla legittimità procedurale del permesso e declinabile nella classica distinzione libertà da/libertà per, ma fondamentalmente rappresentabile nell'assenza di vincoli (par 2.5). Il principio di proprietà e quello di autorità politica esprimono, in contesti specifici, modalità applicative del permesso connesse alla legittimità procedurale della sua prassi fondata sull'autorità morale delle persone (legittimità della proprietà privata e limiti dell'autorità statale sulle persone) (par 2.6). Discorso a parte merita, in conclusione, il principio concernente le allocazioni in campo sanitario: la proposta engelhardtiana di un sistema sanitario a più livelli (legittimato da un'applicazione diretta del principio del permesso, della proprietà e dell'autorità politica) e le aporie allocative riguardanti il sistema sanitario pubblico si incrociano con il tema della diseguaglianza naturale e sociale e con gli interrogativi sulla giustizia sociale. La priorità funzionale del permesso sulla beneficenza (in considerazione della problematicità laica generale dell'applicazione e valutazione del bene in contesti pluralistici) comporta l'accettazione tendenziale delle diseguaglianze e un conseguente rischio di collasso della giustizia sociale. Nella prospettiva laica generale, l'impossibilità di rintracciare un criterio oggettivo di valutazione della giustizia (se non nella forma procedurale del rispetto della libertà come vincolo) e le critiche al modello della giustizia come equità proposto da John Rawls conducono Engelhardt all'elaborazione di un modello debole di giustizia ridotta sostanzialmente alla beneficenza e attraversata dalla stessa fragilità strutturale. L'uscita da questo riduzionismo sarebbe possibile a condizione di adottare l'approccio delle capacità proposto da Amartya Sen che permetterebbe di misurare sulla base della libertà effettiva (capacità) di acquisire funzionamenti (stati d'essere e stati d'azione) il livello di diseguaglianza e, dunque, di giustizia sociale. In tal modo, gli interventi pubblici sarebbero individuati, orientati e legittimati secondo un criterio formale (che evita la riduzione sia ad uno spazio limitato del rispetto procedurale che a una giustizia distributiva fondata esclusivamente su beni o risorse) compatibile con la libertà come vincolo quale fondamento del principio del permesso e dell'autorità morale delle persone.

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