Innammorato, Luigi (2011) Il peso del piccolo. Coalescenza territoriale e pianificazione urbanistica intercomunale. [Tesi di dottorato] (Unpublished)
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Item Type: | Tesi di dottorato |
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Resource language: | Italiano |
Title: | Il peso del piccolo. Coalescenza territoriale e pianificazione urbanistica intercomunale |
Creators: | Creators Email Innammorato, Luigi luigi.innam@hotmail.it |
Date: | 28 November 2011 |
Number of Pages: | 202 |
Institution: | Università degli Studi di Napoli Federico II |
Department: | Progettazione urbana e di urbanistica |
Scuola di dottorato: | Architettura |
Dottorato: | Urbanistica e pianificazione territoriale |
Ciclo di dottorato: | 24 |
Coordinatore del Corso di dottorato: | nome email Miano, Pasquale UNSPECIFIED |
Tutor: | nome email Gasparrini, Carlo UNSPECIFIED |
Date: | 28 November 2011 |
Number of Pages: | 202 |
Keywords: | Piccoli Comuni; Sistemi locali intercomunali; Piano urbanistico riformista |
Settori scientifico-disciplinari del MIUR: | Area 08 - Ingegneria civile e Architettura > ICAR/21 - Urbanistica |
Date Deposited: | 13 Dec 2011 15:57 |
Last Modified: | 30 Apr 2014 19:47 |
URI: | http://www.fedoa.unina.it/id/eprint/8631 |
DOI: | 10.6092/UNINA/FEDOA/8631 |
Collection description
Il territorio della penisola italiana, sin dall’età pre-romana, è stato caratterizzato dalla fitta presenza di centri abitati di piccola dimensione. Quest’ultimi, nello scorrere della storia, hanno attraversato anni di prosperità e anni di forti difficoltà. Nei primi anni del secondo dopoguerra, mentre il continente iniziava un periodo di rinascita dalle tremende distruzioni della guerra e gli interessi economici si concentravano principalmente nelle maggiori aree urbane, i Comuni italiani di piccola dimensione si incamminavano lungo una strada di forte declino che, ancora oggi, caratterizza la quasi totalità delle aree marginali del territorio italiano. I primi segnali di ripresa si cominciarono ad avere a partire dagli anni ’90 e solo nella parte settentrionale del Paese dove i collegamenti infrastrutturali, da sempre, sono meglio distribuiti e meglio manutenuti su tutto il territorio. Nel frattempo, anche gli equilibri mondiali hanno subito delle profonde trasformazioni. Il processo di globalizzazione e il processo di formazione dell’Unione Europea hanno influito non poco sulle condizioni economiche, fisiche e sociali. Si sono affermate politiche di sviluppo fondate sulla visione regionalistica e sulla crescita policentrica del territorio. Tutto ciò ha coinvolto anche le comunità di piccola dimensione del territorio italiano. Ma cosa si intende per Comune di piccole dimensioni? La definizione della dimensione di un centro abitato non può essere affidata ai soli numeri sulla grandezza del Comune (numero di abitanti, estensione territoriale, densità abitativa), ma è necessario prendere in considerazione anche la presenza o l’assenza di funzioni e servizi all’interno di esso. Per poter avere dei parametri di rifermento e di confronto accettabili è stato necessario classificare, come fanno le principali ricerche, l’ISTAT e le leggi nazionali, come piccoli Comuni tutti quegli enti comunali con una popolazione inferiore ai 5000 abitanti. A oggi i piccoli comuni in Italia sono 5.683, rappresentano il 70,2% delle amministrazioni comunali italiane, vi risiede il 17,1% della popolazione italiana (pari a 10.349.962 abitanti) e i loro territori coprono il 70% della penisola. Allo stesso modo, per comprendere la struttura del territorio italiano, è indispensabile considerare le interdipendenze sociali, economiche e fisiche esistenti tra i piccoli Comuni limitrofi. Questo intensificarsi delle relazioni tra centri abitati ha prodotto un fenomeno di “coalescenza territoriale” che, anno dopo anno, trasforma due unità urbane funzionalmente autonome in unico sistema locale. Questo fenomeno non ha la stessa intensità in tutti i sistemi locali. La sua forza “aggregatrice” può variare in base: al numero di centri abitati coinvolti; alla distanza tra i centri abitati; alla distribuzione delle sedi lavorate principali; alla distanza dei centri urbani minori dall’eventuale area urbana centroide; al grado di autocontenimento del sistema locale; al livello di centralità dell’eventuale Comune centroide e alla diffusione di infrastrutture di collegamento su tutta l’area interessata dal fenomeno. Tutto ciò impone di studiare e di pianificare il territorio con un diverso punto di vista. Si rende necessario avere uno sguardo non più concentrato sul singolo Comune, ma interessato a tutto il territorio del sistema locale che avrà dei confini a “geometria variabile” in base al tipo si funzione o di relazione sulla quale si sta ponendo l’attenzione. La risposta istituzionale a questo processo evolutivo del territorio non è mai stata molto incisiva. Tant’è che uno dei principali limiti alla crescita e alla pianificazione del territorio, in molti casi, risulta essere proprio la mancata “coalescenza istituzionale”. Le proposte normative per un’aggregazione istituzionale non sono mai mancate. Fin dal 1934, con il Regio decreto n. 383, i Comuni hanno la possibilità di istituire dei consorzi per la collaborazione sull’esercizio di servizi. Ma il passo più importante dal punto di vista normativo è stato compiuto solo nel 1990 con la riforma dell’ordinamento degli enti locali, legge 142/1990, con la quale sono state normate le forme associative comunali, tra cui troviamo l’Unione dei Comuni. Per quanto riguarda i piccoli Comuni, solo nell’ultimo decennio, per puri motivi finanziari, si è introdotta l‘obbligatorietà delle gestione delle funzioni fondamentali che ha avuto un rafforzamento importante nelle manovre economiche varate nel 2010 e nel 2011. Anche la pianificazione urbanistica, fin dall’emanazione, nel 1942, della legge fondamentale prevede la possibilità, anche se in maniera poco chiara, di redigere i piani urbanistici intercomunali. Nonostante negli anni, tramite le leggi regionali sul governo del territorio, si sia cercato di incentivare la pianificazione urbanistica intercomunale, attualmente i casi di piani intercomunali non sono molto diffusi sul territorio nazionale. Un’impronta decisiva per la diffusione della pianificazione intercomunale è stata data con la “nuova forma di piano” proposta dall’Inu nel 1995 e successivamente recepita da molte Regioni nelle proprie leggi regionali. La proposta di riforma del piano consiste nella strutturazione di quest’ultimo in tre componenti fondamentali: la componente strutturale, il regolamento urbanistico edilizio e la componente operativa. Vista questa tripartizione, la componente strutturale del piano urbanistico, a livello comunale e in particolar modo per quanto riguarda i piccoli Comuni limitrofi caratterizzati da forti interdipendenze, si presta ad avere un’applicazione intercomunale capace di avere una visione completa del territorio che si dovrà regolamentare. I piccoli Comuni affinché possano superare i limiti cognitivi e la marginalità in cui - la maggior parte di essi - si trovano, devono imparare e prendere coscienza che è indispensabile “fare rete” con le piccole municipalità limitrofe. A questo punto, viste le caratteristiche insediative del territorio italiano fortemente caratterizzato dalla fitta presenza di piccoli centri abitati, visti i processi di “coalescenza territoriale” e la conseguente necessità di approcciarsi al territorio su base di sistemi locali intercomunali, vista la possibilità per gli enti comunali di associarsi per la gestione delle funzioni e per l’esercizio dei servizi e, infine, vista la strutturazione riformista del piano urbanistico in tre componenti fondamentali ritengo che, per i piccoli Comuni che si trovano in situazioni di forte dipendenza uno dall’altro, sia necessario pensare alla componente strutturale essenzialmente su base intercomunale, in modo da avere una migliore salvaguardia e un’adeguata strutturazione della rete insediativa, della rete infrastrutturale, della rete ambientale e della rete energetica. Affinché tutto ciò sia possibile e quindi avere una corretta redazione, un’efficace attuazione e una buona gestione, è preferibile che il tutto sia supervisionato o redatto da un ufficio di piano unico per tutti Comuni interessati. Tale ufficio, al fine di accrescerne i poteri decisori, andrebbe inserito in un ente intercomunale dotato di organi decisori che possano dettare delle direttive di funzionamento immediate ed eseguibili. L’ente sovra locale maggiormente rispondente a tali esigenze è senz’altro l’Unione dei Comuni. Quanto infine alla componente operativa del piano urbanistico, è opportuno precisare che essa si applica negli ambiti di trasformazione delimitati nella componente strutturale e in base a essi si potrà stabilire anche se debba riguardare un solo Comune o più Comuni. Alla base dell’attuazione del piano pongo la tecnica della perequazione urbanistica che, proprio grazie alla dimensione intercomunale, potrebbe trovare la forza per essere applicata e garantire la realizzazione delle attrezzature pubbliche di cui necessitano gli abitanti e le opere di compensazione ambientale di cui necessita il territorio fortemente caratterizzato dal dissesto idrogeologico. Il procedimento proposto potrebbe risultare utile a superare lo stallo istituzionale in cui versano i piccoli Comuni e tutti gli enti pubblici in genere nonché fornire quella spinta necessaria affinché i piccoli enti municipali si risollevino dalla tremenda crisi in cui sono caduti.
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