Grossi, Micaela (2013) Impiego di foraggi e fonti proteiche alternative nell’allevamento bufalino: influenza sulle caratteristiche dietetico-nutrizionali del latte e della carne. [Tesi di dottorato]

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Tipologia del documento: Tesi di dottorato
Lingua: Italiano
Titolo: Impiego di foraggi e fonti proteiche alternative nell’allevamento bufalino: influenza sulle caratteristiche dietetico-nutrizionali del latte e della carne
Autori:
AutoreEmail
Grossi, Micaelamicaelagrossi@tiscali.it
Data: 25 Marzo 2013
Numero di pagine: 157
Istituzione: Università degli Studi di Napoli Federico II
Dipartimento: Medicina Clinica e Chirurgia
Scuola di dottorato: Medicina preventiva, pubblica e sociale
Dottorato: Scienze dell'alimentazione e della nutrizione
Ciclo di dottorato: 25
Coordinatore del Corso di dottorato:
nomeemail
Contaldo, Francocontaldo@unina.it
Tutor:
nomeemail
Infascelli, Federicoinfascel@unina.it
Data: 25 Marzo 2013
Numero di pagine: 157
Parole chiave: bufalo; caratteristiche dietetico-nutrizionali; latte; carne
Settori scientifico-disciplinari del MIUR: Area 07 - Scienze agrarie e veterinarie > AGR/18 - Nutrizione e alimentazione animale
Depositato il: 11 Apr 2013 10:48
Ultima modifica: 23 Lug 2014 10:32
URI: http://www.fedoa.unina.it/id/eprint/9104
DOI: 10.6092/UNINA/FEDOA/9104

Abstract

Negli ultimi anni, la crescente domanda dei consumatori nei riguardi dei prodotti dell’allevamento bufalino ha comportato l’adozione, anche in questo comparto zootecnico, di piani alimentari di tipo intensivo in grado di garantire elevate produzioni. Allo scopo, notevole risulta l’impiego dell’insilato di mais e della soia. Dal punto di vista dell’impatto ambientale delle attività agro-zootecniche, tuttavia, per il mais va considerato che: consuma elevate quantità di acqua; in caso di riduzione idrica associata ad una concimazione inadeguata, oppure per alte temperature ambientali o ancora per danni di ordine fitosanitario, la pianta del mais subisce fenomeni di stress con conseguente vulnerabilità alle infestazioni parassitarie e possibile sviluppo di aflatossine e fumonisine. Per quanto concerne la soia, essa è diventata la fonte proteica più utilizzata nei sistemi di allevamento intensivo da quando la Commissione Europea ha vietato l'uso di farine di carne e ossa e loro derivati nelle diete per animali d'allevamento (direttiva CE 999/2001) al fine di assicurare la sicurezza dei consumatori sui prodotti animali. Anche se in Europa la maggior parte della soia è importata, essa rappresenta la fonte di proteine meno costosa per il suo alto contenuto di proteina grezza (44-50% nel caso della farina di estrazione). Tuttavia i costi e la disponibilità di questo sottoprodotto sono fortemente correlati con l'andamento dei prezzi dei prodotti agricoli sul mercato mondiale. Inoltre, altro importantissimo fattore da valutare è che larga parte della soia presente sul mercato risulta geneticamente modificata; in merito, nonostante per diversi anni non vi è stata alcuna prova diretta che ciò possa rappresentare un potenziale pericolo per la salute, recentemente una serie di lavori sono stati pubblicati con risultati controversi. Alla luce di quanto sopra e tenendo presente che le favorevoli condizioni in cui si trova l’allevamento bufalino sono strettamente legate alla qualità del prodotto da esso fornito, nonché alla sua specificità territoriale, notevole interesse suscita l’utilizzazione di cereali raccolti precocemente come base foraggera delle razioni, in alternativa all’insilato di mais. Ugualmente avvertita è la necessità di ricorrere all’impiego, quali fonti proteiche, di quelle leguminose da granella (favino, pisello, lupino, cece), la cui produzione, fortemente compressa a causa dell’impiego generalizzato della farina di estrazione di soia, soltanto negli ultimi anni ha mostrato segni di ripresa, in linea con gli obiettivi fissati dall’Unione Europea. Queste colture mostrano notevole importanza agronomica in quanto migliorano la fertilità dei terreni e riducono la necessità di ricorrere alle concimazioni azotate, contribuendo in tal modo a diminuire l’impatto ambientale delle attività agro-zootecniche. Scopo del presente progetto di ricerca è stato pertanto quello di verificare la possibilità della sostituzione dell’insilato di mais e della soia nella dieta, rispettivamente di bufale in lattazione e di vitelloni bufalini in accrescimento allevati per la produzione di carne. In entrambi i casi si è voluto porre attenzione soprattutto alle caratteristiche dietetico-nutrizionali delle derrate ottenute attraverso tali piani alimentari alternativi, con particolare riguardo al profilo acidico dei grassi e al contenuto in CLA del latte e della carne, requisiti di qualità questi ultimi tra quelli maggiormente richiesti attualmente dal consumatore, per le ripercussioni che eserciterebbero sulla salute umana. Sono state effettuate due indagini sperimentali in vivo, entrambe precedute da valutazione nutrizionale, mediante la tecnica in vitro della produzione cumulativa di gas, degli alimenti impiegati per formulare le diete degli animali. Nella prima prova è stata valutata l’influenza della sostituzione dell’insilato di mais con quello di orzo nella dieta di bufale in lattazione sulla produzione quanti-qualitativa di latte. Come detto in precedenza è stata effettuata una preventiva valutazione chimico-nutrizionale degli alimenti che avrebbero costituito le diete per gli animali. In particolare, per quanto concerne l’orzo sono state valutate dieci cultivar diverse con ognuna della quali è stato approntato un microsilo, all’apertura del quale si è proceduto alle analisi del foraggio così conservato. La percentuale di sostanza secca è ricaduta in un range compreso tra 24.3% e 28.4%, quelle di proteine grezze e di NDF, rispettivamente tra 8.2 - 9.8 e 62.1 - 69.1. Impiegando l’equazione formulata da Menke e Staingass (1988) che prende in considerazione il contenuto in protidi grezzi e il dato della produzione di gas in vitro dopo 24 h di fermentazione, è stato calcolato per le dieci cultivar in esame, il valore nutritivo espresso come energia netta per la lattazione (ENl). Quest’ultimo è risultato compreso in un range tra 3.58 e 4.25 MJ/kg s.s., con un valore medio di 4.16 MJ/kg s.s.. Tale risultato è apparso molto interessante; è, infatti, da sottolineare che esso è perfettamente sovrapponibile al valore nutritivo (4.14 MJ/kg s.s.) calcolato per l’insilato di mais ottenuto dalla pianta coltivata nella stessa azienda ospitante la prova. L’impiego dell’insilato di orzo nella formulazione di razioni per bufale in lattazione in eventuale sostituzione dell’insilato di mais, pertanto, almeno nel comprensorio nel quale è stata effettuata la nostra ricerca, non comporterebbe la necessità di integrare le diete con altre fonti energetiche. Gli insilati di orzo, inoltre, hanno mostrato una degradabilità della sostanza organica media pari al 63%, contro il 64.1% dell’insilato di mais. Nella prova in vivo, della durata di 150 giorni, sono state impiegate 40 bufale pluripare (PV: kg 650 ±12) che subito dopo il parto sono state suddivise equamente in due gruppi in funzione dell’ordine di parto e della produzione lattea ottenuta nella precedente lattazione. I due gruppi hanno ricevuto per tutta la durata della prova due diete isoenergetiche e isoproteiche (ENl: 6.39 MJ/kg SS; 15.4 PG %SS), costituite da 18 kg t.q./capo di insilato di mais o insilato di orzo, mangime concentrato (7 kg t.q./capo; PG 22%) formulato a partire da materie prime presenti in azienda, fieno di erba medica (4 kg t.q./capo) e supplemento vitaminico-minerale. La produzione media di latte è risultata sovrapponibile (7.94 vs 8.09 kg/d, per i gruppi mais e orzo, rispettivamente), così come il suo contenuto in lattosio (5.01 vs 5.0%), mentre gli animali alimentati con insilato di orzo hanno fatto registrare contenuti significativamente superiori di grasso (8.39 vs 9.06%; P<0.01) e di proteine (4.41 vs 4.60%; P<0.01). In merito al maggior contenuto in grasso, è probabile che a tale risultato abbia contribuito la maggiore digeribilità dell’NDF dell’insilato di orzo che, tra l’altro ha fatto registrare valori superiori di emicellulose. Per quanto concerne il profilo acidico del grasso del latte in funzione del tipo di foraggio impiegato nell’alimentazione delle bufale, non sono state rilevate differenze significative tra i gruppi. In merito è da sottolineare che tale risultato è linea con quanto rilevato dalle analisi riguardanti la composizione acidica dei due insilati oggetto della prova. In conclusione, la sostituzione dell’insilato di mais con quello integrale di orzo nella dieta per bufale in lattazione ha fornito risultati incoraggianti. Infatti, mentre la produzione quantitativa non è stata influenzata dalla dieta, il latte fornito dai soggetti alimentati con l’insilato di orzo ha mostrato contenuti significativamente superiori di grasso e di proteine. Caratteristiche queste ultime che, alla luce della esclusiva destinazione alla trasformazione casearia del latte di bufala, rappresenta un risultato di indubbio interesse. I risultati di questa prima prova, pertanto, assumono particolare importanza in aree dove, per gli elevati costi di irrigazione la coltura del mais risulta economicamente poco vantaggiosa. Il secondo contributo sperimentale è stato, invece, volto a studiare l'effetto della sostituzione totale della soia con leguminose da granella nella dieta del bufalo in accrescimento, sulla composizione chimica e sul profilo acidico delle carni e sul suo contenuto in CLA. In merito a quest’ultimo, le ricerche più attuali avrebbero dimostrato un elevato contributo alla sua formazione ad opera della Stearoil-CoA-desaturasi (SCD) presente a livello del tessuto adiposo intramuscolare. Si è voluto pertanto corredare l’indagine in vivo con una prova di nutrigenomica, andando a valutare l’espressione del gene SCD in funzione della dieta impiegata. Anche per questo contributo si è provveduto ad effettuare preventivamente una prova in vitro, mediante la tecnica della produzione cumulativa di gas, con la quale sono state studiate alcune granelle di leguminose: lupino dolce (Lupinus spp.) varietà Lublanc, Luteur e Multitalia; favino (Vicia faba L.) varietà Chiaro di Torre Lama, Irena, Lady, ProtHABAT69, Scuro di Torre Lama e Sicania; pisello proteico (Pisum sativum) varietà Alembo, Alliance, Attika, Corallo, Iceberg, Ideal e Spirale. Considerando per ciascuna granella i pool delle varie cultivar la degradabilità della sostanza organica (dSO) è risultata molto elevata (favino: 90.9 % s.s.; lupino: 91.8% s.s.; pisello: 95.1 % s.s.) ma in ogni caso più bassa rispetto alla soia (96.5 %). La produzione di gas reale statisticamente (P<0.01) più elevata è stata osservata nel pisello (VCSO: 394 ml/g; P<0.01), in linea con l’elevata degradabilità della sua sostanza organica. Nel lupino, invece, il gas prodotto è risultato più basso (VCSO: 284 ml/g), probabilmente a causa dell’elevato contenuto in proteine grezze, che vengono degradate ma non contribuiscono alla produzione di gas. In linea generale, le diverse proteaginose esaminate hanno mostrato alcune differenze fra loro in termini di contenuto proteico e di frazioni fibrose che hanno influenzato in modo anche statisticamente significativo alcuni parametri di fermentazione in vitro. Complessivamente il pisello è quello che ha mostrato i risultati migliori in termini di degradabilità e fermentescibilità. Dai dati ottenuti, è stato possibile concludere che le leguminose da granella testate pur mostrando alcune differenze rispetto alla soia (maggiore produzione di gas e minore degradabilità della SO) possono essere prese in considerazione per sostituire, in modo totale o parziale, la soia nella formulazione di diete per ruminanti. Sulla scorta dei risultati di tale prova sono quindi stati formulati piani alimentari per i vitelloni bufalini da sottoporre alla prova in vivo. Per la nostra prova, la fava e stata scelta quale granella di leguminosa da confrontare con la soia in base alle maggiori similarità delle cinetiche di fermentazione. Da sottolineare, tuttavia, che lo studio del profilo acidico della soia e della fava ha fatto emergere alcune differenze: nella prima sono risultate concentrazioni (mg/g sostanza secca) più elevate di acido miristico (0.068 vs 0.023), palmitico (2.98 vs 2.87), oleico (4.75 vs 2.37) e linoleico (14.57 vs 12.33), mentre nella fava sono risultati maggiori i livelli di acido linolenico (1.63 vs 2.14) e stearico (0.93 vs 0.64). Per la prova in vivo sono stati impiegati 16 vitelloni bufalini che raggiunti i 6 mesi di età, sono stati suddivisi in due gruppi omogenei (F e S) ed alimentati (100 g ss/kg di peso metabolico) con 2 diete isoenergetiche (0.85 Unità Foraggere Carne/kg sostanza secca) e isoproteiche (Proteine grezze/sostanza secca: 14.1%) costituite da insilato di mais, fieno di avena e un mangime concentrato diverso per i due gruppi per fonte proteica: Fava (Gruppo F; 50% di concentrato) vs Soia (Gruppo S; 25% di concentrato). Gli animali sono stati sacrificati al raggiungimento del peso vivo di circa 400 kg. Per quanto concerne l’analisi chimica delle carni, così come per il contenuto di colesterolo, per il profilo acidico dei grassi e il contenuto di CLA e, di conseguenza, anche per gli indici aterogenico e trombogenico, i valori sono risultati sovrapponibili nei due trattamenti a confronto. Da sottolineare che anche la concentrazione degli acidi linoleico e linolenico nella carne è risultata simile, nonostante fossero state rilevate differenze in merito all’analisi acidica effettuata sulla soia e la fava. Anche il livello di espressione del gene SCD non è stato influenzato (4,85 ± 1,37 vs 5,81 ± 2,15 UA) dal trattamento dietetico. In ogni caso, a prescindere dal trattamento alimentare, le carni bufalini hanno fatto registrare caratteristiche dietetico-nutrizionali molto favorevoli per la salute umana (grasso tra 1.82 e 1.98%; colesterolo 32.2-33.7 mg/100g; IA: 0.53; IT: 1.34). In conclusione, si confermerebbe la possibilità di impiegare le granelle di leguminose in alternativa alla soia, senza pregiudicare le caratteristiche dietetico-nutrizionali delle carni.

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