Korinthios, Annalisa (2013) Il respingimento dei migranti nel diritto internazionale. [Tesi di dottorato]

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Tipologia del documento: Tesi di dottorato
Lingua: Italiano
Titolo: Il respingimento dei migranti nel diritto internazionale
Autori:
AutoreEmail
Korinthios, Annalisaannalisakorinthios@alice.it
Data: 30 Marzo 2013
Numero di pagine: 259
Istituzione: Università degli Studi di Napoli Federico II
Dipartimento: Giurisprudenza
Scuola di dottorato: Scienze giuridico-economiche
Dottorato: Ordine internazionale e tutela dei diritti individuali
Ciclo di dottorato: 25
Coordinatore del Corso di dottorato:
nomeemail
Iovane, Massimomaiovane@unina.it
Tutor:
nomeemail
De Sena, Pasqualepadesena@tin.it
Data: 30 Marzo 2013
Numero di pagine: 259
Parole chiave: refoulement
Settori scientifico-disciplinari del MIUR: Area 12 - Scienze giuridiche > IUS/13 - Diritto internazionale
Area 12 - Scienze giuridiche > IUS/14 - Diritto dell'unione europea
Depositato il: 03 Apr 2013 11:40
Ultima modifica: 17 Giu 2014 06:04
URI: http://www.fedoa.unina.it/id/eprint/9202

Abstract

Nel ripercorrere le principali tappe della giurisprudenza in materia di respingimento e la prassi degli organi a tutela dei diritti umani è emersa una certa evoluzione del principio di non refoulement: da divieto di espellere i rifugiati nei Paesi in cui gli stessi corressero il rischio di subire torture o altri trattamenti degradanti esso si è, in un certo senso, trasformato in divieto tout court di espellere qualsiasi persona nelle medesime condizioni. In particolare, la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha promosso un ampliamento della portata del principio di non-refoulement attraverso il ricorso al divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti, così come al diritto al rispetto della vita privata e familiare, fino a ricomprendervi situazioni in precedenza escluse dalla sua sfera di operatività. Ad ogni buon conto, residuano ancora spazi di criticità e “vuoti” di tutela. E’ noto che, per non incorrere nella violazione del principio di non-refoulement, molti Stati richiedono allo Stato di destinazione assicurazioni che gli individui oggetto di provvedimenti di espulsione o rinvio o estradizione non saranno sottoposti a tortura o a pene e trattamenti disumani e degradanti. Le ONG sono molto critiche verso le assicurazioni diplomatiche, perché considerate non sufficienti a garantire, da sole, il rispetto del divieto di tortura. E diversi Autori hanno sottolineato la poca affidabilità di questo espediente. Questa forte perplessità deriva dal fatto che, malgrado il ricorso alle assicurazioni diplomatiche, in diversi casi i migranti espulsi o estradati sono stati sottoposti ugualmente a trattamenti inumani e degradanti. Nonostante la sentenza resa sul caso Hirsi Jamaa et al. c. Italia sia stata salutata come una “pietra miliare” per la tutela dei migranti, va rilevato, comunque, che essa ha in un certo senso comportato una involuzione per quel che concerne l'utilizzo delle assicurazioni diplomatiche. Infatti, i Giudici di Strasburgo hanno ritenuto che, nel caso di specie, sarebbe stato sufficiente (per vedere scongiurati i rischi di tortura) che il Governo italiano si fosse adoperato per ottenere dalle autorità libiche tali assicurazioni, cosa che, peraltro, non è avvenuta. Di diverso avviso il Comitato contro la tortura, il cui atteggiamento altalenante è emblematico. Infatti, in taluni casi tale organo ha ritenuto che le assicurazioni fossero inadeguate, in altri ha affermato che il rischio di tortura fosse del tutto scongiurato per via del ricorso all’assicurazione diplomatica. Fa riflettere, infine, la più recente giurisprudenza di Lussemburgo. La sentenza della Corte di Giustizia del 21 dicembre 2011, laddove ha affermato che spetta allo Stato membro che deve trasferire un asilante nel Paese competente per la domanda di asilo verificare se tale Paese sia effettivamente rispettoso dei diritti umani, parrebbe indurre ad un progressivo abbandono del ricorso alle assicurazioni diplomatiche. Infatti, la Corte di Lussemburgo pone come condizione essenziale per procedere al trasferimento l’aver positivamente verificato quanto meno se il migrante corra il rischio di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. Sicchè, in tal caso, vi sarebbe un vero e proprio obbligo di derogare ai criteri di competenza di cui al regolamento Dublino II. Se questa impostazione troverà conferma nella giurisprudenza successiva, il principio di non-refoulement non potrà che uscirne rafforzato, in quanto le decisioni di respingimento da parte degli Stati membri verranno più attentamente calibrate.

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