Rivellini, Cira (2013) "IL TESTAMENTO BIOLOGICO". [Tesi di dottorato]

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Tipologia del documento: Tesi di dottorato
Lingua: Italiano
Titolo: "IL TESTAMENTO BIOLOGICO"
Autori:
AutoreEmail
Rivellini, Ciracirarivellini@gmail.com
Data: 2 Aprile 2013
Numero di pagine: 190
Istituzione: Università degli Studi di Napoli Federico II
Dipartimento: Diritto dell'economia
Scuola di dottorato: Scienze giuridico-economiche
Dottorato: Diritto dell'economia
Ciclo di dottorato: 24
Coordinatore del Corso di dottorato:
nomeemail
Blandini, Antonioblandini@unina.it
Tutor:
nomeemail
Ciancio, Mariostudiolegaleciancio@libero.it
Data: 2 Aprile 2013
Numero di pagine: 190
Parole chiave: TESTAMENTO BIOLOGICO
Settori scientifico-disciplinari del MIUR: Area 12 - Scienze giuridiche > IUS/01 - Diritto privato
Depositato il: 08 Apr 2013 09:05
Ultima modifica: 26 Mag 2014 09:39
URI: http://www.fedoa.unina.it/id/eprint/9375

Abstract

Il presente lavoro, tenterà di fornire una visione d’insieme quanto più completa possibile sulle cd. dichiarazioni anticipate di trattamento. La trattazione muoverà – ovviamente - dai dati normativi nazionali, primari e secondari, proseguendo poi verso l’analisi strutturale dell’istituto scansionando gli elementi costitutivi, quali il consenso, la forma, il diritto all’informazione ed i conseguenti risvolti applicativi, in particolar modo la figura dell’amministratore di sostegno, arrivando poi ai profili di responsabilità sia civile che penale; ma non tralasciando i profili comparatistici. Si presterà particolare attenzione, verso l’iter giurisprudenziale che ha contraddistinto la nascita nonché la giovane evoluzione dell’istituto, che ha prodotto la stesura dei due disegni di legge, che saranno oggetto di una valutazione giuridica, ma anche critica. Ed allora, la tematica del “fine vita” impone – necessariamente - una trattazione multilivello. L’analisi deve muovere dall’ordinamento positivo nazionale, dove l’evoluzione della materia è avvenuta attraverso l’introduzione, rectius creazione, dell’istituto del testamento biologico, ovvero più precisamente, delle dichiarazioni anticipate di trattamento. Questi ultimi interventi, rispondono anche e soprattutto all’esigenza di allineamento proveniente dall’Europa, impulsati dalla emanazioni delle fondamentali Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo, Convenzione di Oviedo, Carta Europea dei diritti dell’uomo; tali fonti, seppur in modo differente sottolineano la centralità del Soggetto-Uomo e la conseguenziale importanza del processo autodeterminativo dello stesso. La normativa positiva nazionale, si sedimenta nella Costituzione agli artt. 2,3,31 e 32; e degradando nel quadro delle fonti, si pone a livello della legge ordinaria con il codice civile che all’art. 5 disciplina gli atti dispositivi del corpo. Dal punto di vista penalistico si incentrerà l’attenzione sulle fattispecie del suicidio assistito e l’omicidio del consenziente. Non possono trascurarsi per la trattazione i pareri del comitato di bioetico,i quali sono stati fondanti nella discussione dottrinaria e giurisprudenziale, né tanto meno il codice di deontologia medica; da ultimo in ambito di responsabilità medica la legge 189/2012. L’incipit dell’approfondimento è la normativa nazionale in riferimento ai diritti della personalità, i quali sono fortemente caratterizzati dalla non patrimonialità, dalla immanenza, nonché immaterialità al punto che non è più concepibile una visione dell'essere umano a prescindere da questi diritti. Non tutti i diritti della personalità, trovano una loro disciplina codicistica, ma una maggioranza di questi sono emersi e si sono imposti grazie all’opera di dottrina e giurisprudenza. La dottrina, però, è attualmente divisa tra chi considera il diritto della personalità come un monolitico diritto considerando l'uomo in ogni sua espressione; e tra chi sostiene che sussistano tanti diritti della personalità quanti la legge ne prevede. Diatriba dottrinaria che ha trovato il suo naturale epilogo con l'entrata in vigore della Carta Costituzionale, la quale espressamente all'art. 2 prevede che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo in funzione dello sviluppo della sua personalità chiarendo, che non debba intendersi ogni singolo diritto, bensi'qualsivoglia interesse proteso alla realizzazione della personalità del soggetto. La protezione di questi diritti, come supra individuato, si lega alla Carta Costituzionale negli artt. 2,3 31 e 32. I requisiti fondamentali di tali diritti sono l’assolutezza tutelata erga omnes, l'indisponibilità derivante dall'impossibilità del trasferimento dell'oggetto-persona, nonché l’imprescrittibilità. Tra questi diritti, assume una particolare rilevanza, il diritto all’integrità fisica, che tradizionalmente è associato al diritto alla salute di cui l’art.5 costituisce punto di riferimento nella normativa codicistica; ma successivamente alla Costituzione è stato necessario un nuovo inquadramento dell'articolo, in orbita alla nuova concezione di personalità e di salute cosi come costituzionalmente interpretati. Attualmente in Italia la tematica del “fine vita” ha trovato in due disegni di legge; il primo di questi “S10” approvato al Senato nel marzo 2009 ed inviato alla camera per ulteriore approvazione, nonostante innumerevoli modifiche, nel luglio 2011. Nonostante la presenza di questi due disegni di legge la via per giungere ad un testo normativo risulta essere ancora lunga ed impervia. Approntato l‘inquadramento normativo generale, l’elaborato approfondirà questo nuovo istituto del testamento biologico; e già dalla nomenclatura però risulta giuridicamente inesatta, poichè il testamento così come disciplinato dall’art. 587 c.c. è un atto mortis causa destinato a produrre effetti per il tempo successivo alla morte, invece le disposizioni di fine vita producono il loro effetto prima della morte del soggetto. Pertanto, il termine <<testamento biologico>> risulta essere fortemente evocativo perché sottolinea un dato di fondamentale importanza cioè, l’ultrattività del volere che è un dato che unisce il testamento biologico al testamento come atto mortis causa. Ultra-attività del volere che deve avere effetto quando il soggetto non è più capace e non è più in grado di correggere, interpretare, rinnovare questa volontà; implicando in tal modo la sacralità di questo volere, l'esigenza di aumentare la soglia delle cautele procedimentali, perchè solo un volere consapevole e ponderato da parte del soggetto in ordine alle sue scelte esistenziale, è un volere autenticamente libero. Una delle prime definizioni di dichiarazioni anticipate di volontà si rinviene in un atto del comitato di bioetica del 2003, nel quale vengono definite come un documento con il quale il soggetto, dotato di piena capacità, esprime la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidera o non desidera essere sottoposto, nel caso in cui nel decorso di una malattia o a causa di traumi improvvisi, non fosse in grado di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso informato. Per attuare una attenta disamina dell’istituto è necessario dividere le direttive a seconda che siano impartite nel corso del rapporto terapeutico oppure vengano date indipendentemente come espressione di una libera scelta. Nella prima eventualità rientrerebbe nel rapporto tra medico e paziente. Dottrina prevalente ritiene di dover inquadrare questo tipo di direttiva all’interno della più ampia categoria dell’atto giuridico, concetto nel quale può ricomprendersi qualsiasi comportamento umano che assuma rilevanza per il diritto in quanto ad esso l’ordine giuridico ricollega una modificazione ad uno stato di cose preesistente. Ulteriore ripartizione fatta all’interno di questa categoria è stara tra negozio giuridico inteso come atto di natura negoziale e atto giuridico in senso stretto, scevro della natura negoziale. L’istituto del negozio giuridico, non ha mai trovato una collocazione sistematica nel codice civile; il legislatore ha sempre inteso il termine atto come categoria per ricomprendervi anche il negozio. Alla luce di ciò secondo alcuni la nozione di atto giuridico è da ricostruirsi in negativo cioè si è in presenza di un atto giuridico quando non ravvisabile nell’atto i caratteri degli atti negoziali. Altra tesi invece basa la catalogazione in base alla finalità perseguita dall’atto asserendo che, quando l’atto è espressione del potere di autoregolamentazione dei privati per creare un assetto vincolante dei loro interessi esso avrà natura negoziale; diversamente invece l’atto è semplicemente il presupposto per degli effetti giuridici già predisposti . L’atto giuridico in senso stretto trova la sua naturale espressione in fattispecie ad effetti tipici. Alla luce di quanto detto può quindi affermarsi che l’elemento distintivo tra atto e negozio è da valutarsi a seguito di una valutazione stutturale-funzionale. Il negozio ha la struttura di volontà precettiva ed è preordinato funzionalente a disporre di una determinata situazione giuridica, nell’atto invece la volontà e la consapevolezza rilevano come requisiti del comportamento poichè gli effetti prescindono dal contenuto volitivo dell’atto e sono determinati dalla legge, è il carattere dispositivo, quindi, l’elemento di discrimen tra le due figure. Alla luce di quanto sopra, si ritiene che in caso di direttive intervenute nel corso del rapporto medico-paziente, si sia in presenza di un atto giuridico in senso stretto, come tali si ritengono gli atti umani volontari i cui effetti sono stabiliti dalla legge. Di converso, sono da ritenersi di natura negoziale le direttive anticipate assunte dal soggetto come libera scelta avulsa da qualsiasi iter medico già in corso, l’ipotesi quindi di un soggetto perfettamente sano, fisicamente e psichicamente, perfettamente capace di intendere e di volere che decide, quale debbano essere o meno i trattamenti a cui sottoporsi nel caso e nel momento in cui non fosse più capace di esprimere la propria volontà. In questa visione viene proiettata la concezione del diritto all’identità da intendersi quale integrazione della personalità, come riscoperta del legame del corpo nella sua eccezione fisica e psichica. Il diritto all’identità porta con sé il principio di integrità, come potestà decisionale unica ed esclusiva del soggetto sulla propria sfera esistenziale. La dichiarazione è un atto che necessità dell’alterità, difatti viene definito come quell’atto che ha come scopo il far conoscere qualcosa a terzi, presupposto per la sua sussistenza è uno o più destinatari, che possono essere anche determinati. La dottrina nell’analizzare l’istituto della dichiarazione, in sé, ha più volte ribadito le tesi per la quale in realtà essa sia composta da due elementi, quello espressivo in cui si formula, e quello emissivo in cui si forma giungendo a maturazione. L’emissione quindi costituisce l’indice di maturità della dichiarazione e segna il momento dal quale questa esiste. Possono quindi distinguersi in dichiarazioni indirizzate per le quali la conoscenza da parte del terzo è condizione necessaria perché l’atto possa sussistere, oppure in dichiarazioni recettizie per le quali la direzione verso un terzo è strumentale alla produzione degli effetti in capo ad esso. L’elemento centrale è ovviamente il consenso, che presuppone un processo informativo, quale modalità di comunicazione bidirezionale che accompagna e sostiene il percorso di cura. È il processo comunicativo attraverso il quale il medico (e l’operatore sanitario, limitatamente agli atti di sua specifica competenza) fornisce al paziente notizie sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive terapeutiche e sulle verosimili conseguenze della terapia e/o della mancata terapia/atto sanitario, al fine di promuoverne una scelta pienamente autonoma e consapevole. Tale processo riguarda anche il minorenne, in forma adeguata all’età, l’interdetto giudiziale e l’incapace naturale, in forma proporzionata al loro livello di capacità, in modo che essi possano formarsi un’opinione sull’atto sanitario. Il consenso informato può definirsi come "esercizio del diritto del paziente all’autodeterminazione rispetto alle scelte diagnostico/terapeutiche proposte." La scelta viene attuata, al termine del processo informativo; tale procedimento che porta la persona assistita ad accettare l'atto sanitario, si articola essenzialmente in tre momenti, tra loro concatenati mediante ricorso ad una successione logica e cronologica. • Il primo momento consiste nella comunicazione al paziente di informazioni di rilevanza diagnostica e terapeutica. • Successivamente, deve sussistere la certezza che il paziente abbia capito il significato della suddetta comunicazione. • Infine, la decisione definitiva dell'interessato. Non si è in grado di acconsentire specificatamente, se non si dispone della informazione adeguata, senza la quale qualsiasi modulo di consenso sottoscritto risulta essere viziato e, conseguentemente, non valido sotto il profilo giuridico. Il consenso valido deve essere: informato, consapevole, personale, manifesto, specifico, preventivo, attuale e revocabile. Per soddisfare il requisito dell’informazione è necessario rispettare le caratteristiche della corretta informazione, la quale deve essere personalizzata, comprensibile, veritiera, obiettiva, esaustiva e non imposta. La personalizzazione, presuppone l’adeguatezza della stessa alla condizione fisica e psicologica, all’età ed alla capacità oltre che al substrato culturale e linguistico del paziente, nonché deve essere proporzionata alla tipologia della prestazione proposta. Per quanto possibile, va evitato il rischio di un involontario e non esplicito condizionamento, legato all’asimmetria informativa tra le figure del medico e del paziente, eventualmente accentuato dalla gravità della malattia e dalla complessità della terapia conseguente. L'informazione deve essere comprensibile, e cioè espressa con linguaggio semplice e chiaro, usando notizie e dati specialistici, evitando sigle o termini scientifici, attraverso anche l’utilizzo di schede illustrate o materiale video che consentano al paziente di comprendere compiutamente ciò che verrà effettuato, soprattutto in previsione di interventi particolarmente invasivi o demolitivi. Nel caso di paziente straniero, è necessario l'interprete nonché il materiale informativo tradotto, affinché venga correttamente e completamente compreso ciò che viene detto. L'informativa deve essere altresì veritiera, ovvero non deve creare false illusioni, ma prudente e accompagnata da ragionevole speranza nelle informazioni che hanno rilevanza tale da comportare gravi preoccupazioni o previsioni infauste. Il requisito dell’obiettività deve riscontrarsi su fonti validate o che godano di una legittimazione clinico - scientifica; oltre che indicativa delle effettive potenzialità di cura fornite dalla struttura che ospita il paziente e delle prestazioni tecnico-strutturali che l’ente è in grado di offrire permanentemente o in quel dato momento; fornendo notizie inerenti l’atto sanitario proposto nell’ambito del percorso di cura intrapreso e al soddisfacimento di ogni quesito specifico posto dal paziente. In particolar modo sulla natura e lo scopo principale; sulle probabilità di successo; sulle modalità di effettuazione; e sul sanitario che eseguirà la prestazione. Esaustivamente precise devono essere le conseguenze previste e la loro modalità di risoluzione; i rischi ragionevolmente prevedibili, le complicanze e la loro probabilità di verificarsi e di essere risolti da ulteriori trattamenti; eventuali possibilità di trattamenti alternativi, loro vantaggi e rischi; conseguenze del rifiuto alle prestazioni sanitarie. Ció detto, al paziente é riconosciuta la facoltà di non essere informato, delegando a terzi la ricezione delle informazioni, dal momento che il diritto all’informazione non necessariamente deve accompagnarsi all’obbligo di riceverla. Traccia però deve essere lasciata in forma scritta. In tal caso egli esprimerà comunque il consenso, subordinatamente all’informazione data a persona da lui delegata. Il consenso deve essere espresso da un soggetto che, ricevute correttamente e completamente le informazioni con le modalità descritte in precedenza, sia capace di intendere e di volere; e tale capacità di intendere non è valutabile separatamente dalla capacità di volere. Del diritto ad esprimere il consenso ne é titolare solo il paziente; l’informazione a terzi (compresi anche i familiari), è ammessa solitamente previo consenso esplicitamente espresso dal paziente. Il consenso espresso dai familiari è giuridicamente irrilevante. Per i minorenni, gli interdetti e per le persone sottoposte ad una amministrazione di sostegno riferita ad atti sanitari si rimanda successivamente proposte manifestatamente e, in particolar modo per le attività che esulano dalla routine. La manifestazione di volontà deve essere esplicita ed espressa inequivocabilmente, e preferibilmente in forma scritta. L’assenso deve essere riferito allo specifico atto sanitario proposto e prestato per un determinato trattamento, e non può peraltro legittimare il medico all’esecuzione di una scelta terapeutica diversa dal percorso di cura intrapreso, per natura od effetti, fatto salvo il sopraggiungere di una situazione di necessità ed urgenza che determini un pericolo grave per la salute o la vita del paziente. Il consenso deve essere prestato prima dell’atto proposto. L’intervallo di tempo tra la manifestazione del consenso e l’attuazione dell’atto sanitario non deve essere tale da far sorgere dubbi sulla persistenza della volontà del paziente; nel caso lo sia, è opportuno ottenere conferma del consenso già prestato, in prossimità della realizzazione dell’atto. Il requisito della attualità del consenso, racchiude i maggiori dubbi sull'ammissibilità delle d.a.t. ( dichiarazioni anticipate di trattamento). Il paziente ha il diritto di revocare in qualsiasi momento il consenso prestato, eventualmente anche nell’immediatezza della procedura sanitaria che si sta ponendo in essere; la natura contrattuale del consenso determina che per essere giuridicamente valido esso debba inoltre rispondere ai requisiti “libero” e “relativo al bene disponibile” . Evidenziati i requisiiti del consenso, è necessario soffermarsi su quali soggetti possano essere esecutori di tale dichiarazioni;è emersa quindi, la figura del fiduciario; in un primo momento in sede dottrinale si era fatto riferimento all’istituto del mandato per trovare un istituto cui ricondurre il rapporto tra paziente e fiduciario: il mandante attraverso le istruzioni poteva rendere al fiduciario le proprio volontà in ordine ai trattamento di fine vita ed il mandatario può rendere queste dichiarazioni di volontà secondo uno schema tipico con effetti nella sfera giuridica del mandante, ma in realtà questa ricostruzione trova il suo limite nella sopravvenuta estinzione del mandato per incapacitò del osggetto che da l’incarico fiduciario,da qui allora l’attenzione di dottrina e giurisprudenza si è focalizzata sulla figura dell’amministratore di sostegnodisciplinato nel codice civile dagli artt. 404 e ss.. Lo strumento dell'art. 408 c.c.(scelta dell’amministratore di sostegno), avrebbe, al di là della sedes materiae, secondo alcuni, introdotto nel nostro ordinamento l'istituto del testamento biologico; ed, allora, non resterebbe che concludere in conformità al dettato legislativo, che lo stesso debba rivestire la forma solenne dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata. Da qui il ruolo del notaio quale soggetto deputato ad apporre sulla scheda biologica il sigillo di “fedeltà”. importante è Delibera del 23 giugno 2006 con la quale Il Consiglio Nazionale del Notariato, ritiene utile “in attesa di un’auspicabile iniziativa legislativa in materia ed al fine di garantire il medico nell’esercizio delle proprie responsabilità” – assicurare “la certezza della provenienza della dichiarazione dal suo autore, mediante intervento notarile e la reperibilità della medesima in un registro telematico nazionale”. Considerato, quindi, che l’intervento notarile – proprio perché volto ad assicurare il valore aggiunto della certezza fornito dalla pubblica funzione di certificazione - comporta il rispetto delle modalità operative fissate dalla legge (repertorio, trattamento fiscale, ecc.), ma “che nel contempo è necessario individuare forme che non comportino costi significativi ed aggravi di formalità burocratiche per il cittadino e la collettività”. Nel provvedimento di cui si tratta, emerge la volontà del notariato di contribuire a risolvere un’esigenza di grande rilevanza umana e sociale e la disponibilità a provvedere alla istituzione e conservazione del Registro Generale dei testamenti di vita, con costi a proprio carico, mediante le proprie strutture informatiche e telematiche. Un dato di rilievo è che, secondo il Consiglio, “alla luce della attuale normativa, il notaio, richiesto di autenticare la sottoscrizione di una dichiarazione relativa ad un testamento di vita”, può “farlo, non ravvisandosi alcuna contrarietà a norme di legge”. Propone, quindi, in assenza di un divieto imperativo in materia, di utilizzare un testo di dichiarazione sottoscritta dal solo disponente, contenente la delega ad un fiduciario, incaricato di manifestare ai medici curanti l’esistenza del testamento di vita. Questi argomenti appena trattati, il consenso, la sua forma e il legittimato a porre in essere le volontà espresse sono tutti argomenti che sono stati oggetti di analisi giurisprudenziale in particolar modo nei casi Welby ed Englaro, che congiuntamente al caso Schiavo saranno approfonditi nell’elaborato finale. Bisogna comunque dire che il caso Welby è fondamentale per analizzare la responsabilità che coinvolge la tematica delle dichiarazioni anticipate di trattamento. Difatti, per la prima volta si è incentrato il problema sulla eutanasia, ed il dottore che aveva ”accompagnato alla morte” il soggetto, malato ormai da tempo e senza possibilità di guarigione o miglioramento alcuno, ma solo di peggioramento, accettandone la volontà di sospensione dei trattamenti salva vita, rispettando quindi il diritto al rifiuto dei trattamenti sanitari, facente parte dei diritti inviolabili della persona di cui all'art. 2 Cost, fu rinviato a giudizio con l’accusa ex 579 c.p. E’ da sottolineare che il “dissenso “di Welby possedeva tutti i requisiti necessari desumibili dalla Costituzione e dai principi generali dell'ordinamento, affinché la manifestazione di volontà del avesse rilievo giuridico onde escludersi l'applicazione dell'art. 579 in forza della scriminante dell'art. 51 c.p.. Il possibile rifiuto del malato deve essere esercitato con riferimento ad un «trattamento sanitario», potendo riguardare solo una condotta che ha come contenuto competenze di carattere medico e sempre all'interno di un rapporto di natura contrattuale a contenuto sanitario. Solo sul professionista e non su altri incombe, quindi, il dovere di osservare la volontà di segno negativo del paziente, in ragione della relazione instauratasi tra i due per l'espletamento di una condotta di natura sanitaria a contenuto concordato. Con la conseguenza che, se il professionista dovesse porre in essere una condotta direttamente causativa della morte del paziente per espressa volontà di quest'ultimo, risponderà ad un preciso dovere che discende dalla previsione dell'art. 32, comma 2 Cost., mentre la stessa condotta posta in essere da ogni altro soggetto non risponderà ad alcun dovere giuridicamente riconosciuto dall'ordinamento, non essendo stata esercitata all'interno di un rapporto terapeutico, nel quale solo nascono e si esercitano diritti e doveri specifici. Alla luce di queste premesse, può essere condivisa la soluzione proscioglitiva in ordine al reato di omicidio del consenziente. Il rifiuto di una terapia, anche se già iniziata, ove venga esercitato nell'ambito sopra descritto ed alle condizioni precedentemente illustrate, costituisce un diritto costituzionalmente garantito e già perfetto, rispetto al quale sul medico incombe, in ragione della professione esercitata e dei diritti e doveri scaturenti dal rapporto terapeutico instauratosi con il paziente, il dovere giuridico di consentirne l'esercizio. Con la conseguenza che, se il medico in ottemperanza a tale dovere, contribuisse a determinare la morte del paziente per l'interruzione di una terapia salvavita, egli non risponderebbe penalmente del delitto di omicidio del consenziente, in quanto avrebbe operato alla presenza di una causa di esclusione del reato e segnatamente quella prevista dall'art. 51 c.p. . La fonte del dovere per il medico, quindi, risiederebbe in prima istanza nella stessa norma costituzionale, che è di rango superiore rispetto alla legge penale, e l'operatività della scriminante nell'ipotesi sopra delineata è giustificata dalla necessità di superare la contraddizione dell'ordinamento giuridico il quale, da una parte, non può attribuire un diritto e, dall'altra, incriminarne il suo esercizio. Da ultimo, sull’argomento si è espressa nuovamente la Corte di Cassazione con la sentenza 20984/2012 la quale sembrerebbe affermare che l'intervento del medico è scriminato non solo nei casi di TSO (casi pacificamente scriminati) ma in tutti i casi in cui si incorra in uno stato di necessità ex art. 54 c.p.. Il consenso informato ha come correlato la facoltà, non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche, nell'eventualità, di rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla (n.b.: questa definizione di consenso informato è espressione di libertà positiva); e ciò in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale. Secondo la definizione della Corte Costituzionale (Corte Cost. 438/2008) il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell'art. 2 Cost., che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 Cost., i quali stabiliscono rispettivamente che la libertà personale è inviolabile e che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La responsabilità del sanitario (e di riflesso della struttura per cui egli agisce) per violazione dell'obbligo del consenso informato discende: a) dalla condotta omissiva tenuta in relazione all'adempimento dell'obbligo di informazione in ordine alle prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente sia sottoposto; b) dal verificarsi - in conseguenza dell'esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa - di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente. Non assume, invece, alcuna influenza, ai fini della sussistenza dell'illecito per violazione del consenso informato, se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno. Ciò perché, sotto questo profilo, ciò che rileva è che il paziente, a causa del deficit di informazione, non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti, una lesione di quella dignità che connota l'esistenza nei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica. Importante svolta in campo di responsabilità medica è stata data la legge 8 novembre 2012, n. 189 che ha convertito il Decreto Legge Balduzzi, n. 158/2012. La cosiddetta "colpa lieve" dell'esercente una professione sanitaria ne risulta, in certo qual senso, depenalizzata. Infatti, il dato testuale dell'art. 3, 1° co., il sanitario che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. Sulla responsabilità del medico e della struttura sanitaria, e della sua natura si tratterà esaustivamente nel corso dell’elaborato. In Italia, nonostante il problema sia sorto da tempo, e sia stato, come visto, oggetto di copiosa attività giurisprudenziale di merito e di legittimità, nonché dottrinaria, non si ha al momento, ancora un testo normativo che disciplini la materia in oggetto. L’iter normativo sul testamento biologico, in Italia ha inizio con il d.d.l. presentato al Senato (s.10) il 29 aprile del 2008 e dallo stesso approvato il 26 marzo 2009. Il disegno così come approvato è stato inviato alla Camera, che lo ha modificato il 12 luglio 2011, e da allora siamo stagnati sull’argomento, anche per la presenza di un governo cd. tecnico. Una timida ripresa, è stata impulsata dalla commissione permanente di igiene e sanità nell’ottobre del 2012. Pertanto, il giurista si deve attenere alle fonti a disposizione, e perciò, operando un raffronto di questi due testi, emerge l'allontanarsi del sistema positivo italiano - nonostante stia allineandosi all’Europa sotto molteplici aspetti - sul tema di «fine vita» non dimostrandosi ancora competitivo per la normativa europea. Si rimanda, indi alla trattazione finale per il lavoro comparatistico delle leggi in itinere. Il presente lavoro, tenterà di fornire una visione d’insieme quanto più completa possibile sulle cd. dichiarazioni anticipate di trattamento. La trattazione muoverà – ovviamente - dai dati normativi nazionali, primari e secondari, proseguendo poi verso l’analisi strutturale dell’istituto scansionando gli elementi costitutivi, quali il consenso, la forma, il diritto all’informazione ed i conseguenti risvolti applicativi, in particolar modo la figura dell’amministratore di sostegno, arrivando poi ai profili di responsabilità sia civile che penale; ma non tralasciando i profili comparatistici. Si presterà particolare attenzione, verso l’iter giurisprudenziale che ha contraddistinto la nascita nonché la giovane evoluzione dell’istituto, che ha prodotto la stesura dei due disegni di legge, che saranno oggetto di una valutazione giuridica, ma anche critica. Ed allora, la tematica del “fine vita” impone – necessariamente - una trattazione multilivello. L’analisi deve muovere dall’ordinamento positivo nazionale, dove l’evoluzione della materia è avvenuta attraverso l’introduzione, rectius creazione, dell’istituto del testamento biologico, ovvero più precisamente, delle dichiarazioni anticipate di trattamento. Questi ultimi interventi, rispondono anche e soprattutto all’esigenza di allineamento proveniente dall’Europa, impulsati dalla emanazioni delle fondamentali Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo, Convenzione di Oviedo, Carta Europea dei diritti dell’uomo; tali fonti, seppur in modo differente sottolineano la centralità del Soggetto-Uomo e la conseguenziale importanza del processo autodeterminativo dello stesso. La normativa positiva nazionale, si sedimenta nella Costituzione agli artt. 2,3,31 e 32; e degradando nel quadro delle fonti, si pone a livello della legge ordinaria con il codice civile che all’art. 5 disciplina gli atti dispositivi del corpo. Dal punto di vista penalistico si incentrerà l’attenzione sulle fattispecie del suicidio assistito e l’omicidio del consenziente. Non possono trascurarsi per la trattazione i pareri del comitato di bioetico,i quali sono stati fondanti nella discussione dottrinaria e giurisprudenziale, né tanto meno il codice di deontologia medica; da ultimo in ambito di responsabilità medica la legge 189/2012. L’incipit dell’approfondimento è la normativa nazionale in riferimento ai diritti della personalità, i quali sono fortemente caratterizzati dalla non patrimonialità, dalla immanenza, nonché immaterialità al punto che non è più concepibile una visione dell'essere umano a prescindere da questi diritti. Non tutti i diritti della personalità, trovano una loro disciplina codicistica, ma una maggioranza di questi sono emersi e si sono imposti grazie all’opera di dottrina e giurisprudenza. La dottrina, però, è attualmente divisa tra chi considera il diritto della personalità come un monolitico diritto considerando l'uomo in ogni sua espressione; e tra chi sostiene che sussistano tanti diritti della personalità quanti la legge ne prevede. Diatriba dottrinaria che ha trovato il suo naturale epilogo con l'entrata in vigore della Carta Costituzionale, la quale espressamente all'art. 2 prevede che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo in funzione dello sviluppo della sua personalità chiarendo, che non debba intendersi ogni singolo diritto, bensi'qualsivoglia interesse proteso alla realizzazione della personalità del soggetto. La protezione di questi diritti, come supra individuato, si lega alla Carta Costituzionale negli artt. 2,3 31 e 32. I requisiti fondamentali di tali diritti sono l’assolutezza tutelata erga omnes, l'indisponibilità derivante dall'impossibilità del trasferimento dell'oggetto-persona, nonché l’imprescrittibilità. Tra questi diritti, assume una particolare rilevanza, il diritto all’integrità fisica, che tradizionalmente è associato al diritto alla salute di cui l’art.5 costituisce punto di riferimento nella normativa codicistica; ma successivamente alla Costituzione è stato necessario un nuovo inquadramento dell'articolo, in orbita alla nuova concezione di personalità e di salute cosi come costituzionalmente interpretati. Attualmente in Italia la tematica del “fine vita” ha trovato in due disegni di legge; il primo di questi “S10” approvato al Senato nel marzo 2009 ed inviato alla camera per ulteriore approvazione, nonostante innumerevoli modifiche, nel luglio 2011. Nonostante la presenza di questi due disegni di legge la via per giungere ad un testo normativo risulta essere ancora lunga ed impervia. Approntato l‘inquadramento normativo generale, l’elaborato approfondirà questo nuovo istituto del testamento biologico; e già dalla nomenclatura però risulta giuridicamente inesatta, poichè il testamento così come disciplinato dall’art. 587 c.c. è un atto mortis causa destinato a produrre effetti per il tempo successivo alla morte, invece le disposizioni di fine vita producono il loro effetto prima della morte del soggetto. Pertanto, il termine <<testamento biologico>> risulta essere fortemente evocativo perché sottolinea un dato di fondamentale importanza cioè, l’ultrattività del volere che è un dato che unisce il testamento biologico al testamento come atto mortis causa. Ultra-attività del volere che deve avere effetto quando il soggetto non è più capace e non è più in grado di correggere, interpretare, rinnovare questa volontà; implicando in tal modo la sacralità di questo volere, l'esigenza di aumentare la soglia delle cautele procedimentali, perchè solo un volere consapevole e ponderato da parte del soggetto in ordine alle sue scelte esistenziale, è un volere autenticamente libero. Una delle prime definizioni di dichiarazioni anticipate di volontà si rinviene in un atto del comitato di bioetica del 2003, nel quale vengono definite come un documento con il quale il soggetto, dotato di piena capacità, esprime la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidera o non desidera essere sottoposto, nel caso in cui nel decorso di una malattia o a causa di traumi improvvisi, non fosse in grado di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso informato. Per attuare una attenta disamina dell’istituto è necessario dividere le direttive a seconda che siano impartite nel corso del rapporto terapeutico oppure vengano date indipendentemente come espressione di una libera scelta. Nella prima eventualità rientrerebbe nel rapporto tra medico e paziente. Dottrina prevalente ritiene di dover inquadrare questo tipo di direttiva all’interno della più ampia categoria dell’atto giuridico, concetto nel quale può ricomprendersi qualsiasi comportamento umano che assuma rilevanza per il diritto in quanto ad esso l’ordine giuridico ricollega una modificazione ad uno stato di cose preesistente. Ulteriore ripartizione fatta all’interno di questa categoria è stara tra negozio giuridico inteso come atto di natura negoziale e atto giuridico in senso stretto, scevro della natura negoziale. L’istituto del negozio giuridico, non ha mai trovato una collocazione sistematica nel codice civile; il legislatore ha sempre inteso il termine atto come categoria per ricomprendervi anche il negozio. Alla luce di ciò secondo alcuni la nozione di atto giuridico è da ricostruirsi in negativo cioè si è in presenza di un atto giuridico quando non ravvisabile nell’atto i caratteri degli atti negoziali. Altra tesi invece basa la catalogazione in base alla finalità perseguita dall’atto asserendo che, quando l’atto è espressione del potere di autoregolamentazione dei privati per creare un assetto vincolante dei loro interessi esso avrà natura negoziale; diversamente invece l’atto è semplicemente il presupposto per degli effetti giuridici già predisposti . L’atto giuridico in senso stretto trova la sua naturale espressione in fattispecie ad effetti tipici. Alla luce di quanto detto può quindi affermarsi che l’elemento distintivo tra atto e negozio è da valutarsi a seguito di una valutazione stutturale-funzionale. Il negozio ha la struttura di volontà precettiva ed è preordinato funzionalente a disporre di una determinata situazione giuridica, nell’atto invece la volontà e la consapevolezza rilevano come requisiti del comportamento poichè gli effetti prescindono dal contenuto volitivo dell’atto e sono determinati dalla legge, è il carattere dispositivo, quindi, l’elemento di discrimen tra le due figure. Alla luce di quanto sopra, si ritiene che in caso di direttive intervenute nel corso del rapporto medico-paziente, si sia in presenza di un atto giuridico in senso stretto, come tali si ritengono gli atti umani volontari i cui effetti sono stabiliti dalla legge. Di converso, sono da ritenersi di natura negoziale le direttive anticipate assunte dal soggetto come libera scelta avulsa da qualsiasi iter medico già in corso, l’ipotesi quindi di un soggetto perfettamente sano, fisicamente e psichicamente, perfettamente capace di intendere e di volere che decide, quale debbano essere o meno i trattamenti a cui sottoporsi nel caso e nel momento in cui non fosse più capace di esprimere la propria volontà. In questa visione viene proiettata la concezione del diritto all’identità da intendersi quale integrazione della personalità, come riscoperta del legame del corpo nella sua eccezione fisica e psichica. Il diritto all’identità porta con sé il principio di integrità, come potestà decisionale unica ed esclusiva del soggetto sulla propria sfera esistenziale. La dichiarazione è un atto che necessità dell’alterità, difatti viene definito come quell’atto che ha come scopo il far conoscere qualcosa a terzi, presupposto per la sua sussistenza è uno o più destinatari, che possono essere anche determinati. La dottrina nell’analizzare l’istituto della dichiarazione, in sé, ha più volte ribadito le tesi per la quale in realtà essa sia composta da due elementi, quello espressivo in cui si formula, e quello emissivo in cui si forma giungendo a maturazione. L’emissione quindi costituisce l’indice di maturità della dichiarazione e segna il momento dal quale questa esiste. Possono quindi distinguersi in dichiarazioni indirizzate per le quali la conoscenza da parte del terzo è condizione necessaria perché l’atto possa sussistere, oppure in dichiarazioni recettizie per le quali la direzione verso un terzo è strumentale alla produzione degli effetti in capo ad esso. L’elemento centrale è ovviamente il consenso, che presuppone un processo informativo, quale modalità di comunicazione bidirezionale che accompagna e sostiene il percorso di cura. È il processo comunicativo attraverso il quale il medico (e l’operatore sanitario, limitatamente agli atti di sua specifica competenza) fornisce al paziente notizie sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive terapeutiche e sulle verosimili conseguenze della terapia e/o della mancata terapia/atto sanitario, al fine di promuoverne una scelta pienamente autonoma e consapevole. Tale processo riguarda anche il minorenne, in forma adeguata all’età, l’interdetto giudiziale e l’incapace naturale, in forma proporzionata al loro livello di capacità, in modo che essi possano formarsi un’opinione sull’atto sanitario. Il consenso informato può definirsi come "esercizio del diritto del paziente all’autodeterminazione rispetto alle scelte diagnostico/terapeutiche proposte." La scelta viene attuata, al termine del processo informativo; tale procedimento che porta la persona assistita ad accettare l'atto sanitario, si articola essenzialmente in tre momenti, tra loro concatenati mediante ricorso ad una successione logica e cronologica. • Il primo momento consiste nella comunicazione al paziente di informazioni di rilevanza diagnostica e terapeutica. • Successivamente, deve sussistere la certezza che il paziente abbia capito il significato della suddetta comunicazione. • Infine, la decisione definitiva dell'interessato. Non si è in grado di acconsentire specificatamente, se non si dispone della informazione adeguata, senza la quale qualsiasi modulo di consenso sottoscritto risulta essere viziato e, conseguentemente, non valido sotto il profilo giuridico. Il consenso valido deve essere: informato, consapevole, personale, manifesto, specifico, preventivo, attuale e revocabile. Per soddisfare il requisito dell’informazione è necessario rispettare le caratteristiche della corretta informazione, la quale deve essere personalizzata, comprensibile, veritiera, obiettiva, esaustiva e non imposta. La personalizzazione, presuppone l’adeguatezza della stessa alla condizione fisica e psicologica, all’età ed alla capacità oltre che al substrato culturale e linguistico del paziente, nonché deve essere proporzionata alla tipologia della prestazione proposta. Per quanto possibile, va evitato il rischio di un involontario e non esplicito condizionamento, legato all’asimmetria informativa tra le figure del medico e del paziente, eventualmente accentuato dalla gravità della malattia e dalla complessità della terapia conseguente. L'informazione deve essere comprensibile, e cioè espressa con linguaggio semplice e chiaro, usando notizie e dati specialistici, evitando sigle o termini scientifici, attraverso anche l’utilizzo di schede illustrate o materiale video che consentano al paziente di comprendere compiutamente ciò che verrà effettuato, soprattutto in previsione di interventi particolarmente invasivi o demolitivi. Nel caso di paziente straniero, è necessario l'interprete nonché il materiale informativo tradotto, affinché venga correttamente e completamente compreso ciò che viene detto. L'informativa deve essere altresì veritiera, ovvero non deve creare false illusioni, ma prudente e accompagnata da ragionevole speranza nelle informazioni che hanno rilevanza tale da comportare gravi preoccupazioni o previsioni infauste. Il requisito dell’obiettività deve riscontrarsi su fonti validate o che godano di una legittimazione clinico - scientifica; oltre che indicativa delle effettive potenzialità di cura fornite dalla struttura che ospita il paziente e delle prestazioni tecnico-strutturali che l’ente è in grado di offrire permanentemente o in quel dato momento; fornendo notizie inerenti l’atto sanitario proposto nell’ambito del percorso di cura intrapreso e al soddisfacimento di ogni quesito specifico posto dal paziente. In particolar modo sulla natura e lo scopo principale; sulle probabilità di successo; sulle modalità di effettuazione; e sul sanitario che eseguirà la prestazione. Esaustivamente precise devono essere le conseguenze previste e la loro modalità di risoluzione; i rischi ragionevolmente prevedibili, le complicanze e la loro probabilità di verificarsi e di essere risolti da ulteriori trattamenti; eventuali possibilità di trattamenti alternativi, loro vantaggi e rischi; conseguenze del rifiuto alle prestazioni sanitarie. Ció detto, al paziente é riconosciuta la facoltà di non essere informato, delegando a terzi la ricezione delle informazioni, dal momento che il diritto all’informazione non necessariamente deve accompagnarsi all’obbligo di riceverla. Traccia però deve essere lasciata in forma scritta. In tal caso egli esprimerà comunque il consenso, subordinatamente all’informazione data a persona da lui delegata. Il consenso deve essere espresso da un soggetto che, ricevute correttamente e completamente le informazioni con le modalità descritte in precedenza, sia capace di intendere e di volere; e tale capacità di intendere non è valutabile separatamente dalla capacità di volere. Del diritto ad esprimere il consenso ne é titolare solo il paziente; l’informazione a terzi (compresi anche i familiari), è ammessa solitamente previo consenso esplicitamente espresso dal paziente. Il consenso espresso dai familiari è giuridicamente irrilevante. Per i minorenni, gli interdetti e per le persone sottoposte ad una amministrazione di sostegno riferita ad atti sanitari si rimanda successivamente proposte manifestatamente e, in particolar modo per le attività che esulano dalla routine. La manifestazione di volontà deve essere esplicita ed espressa inequivocabilmente, e preferibilmente in forma scritta. L’assenso deve essere riferito allo specifico atto sanitario proposto e prestato per un determinato trattamento, e non può peraltro legittimare il medico all’esecuzione di una scelta terapeutica diversa dal percorso di cura intrapreso, per natura od effetti, fatto salvo il sopraggiungere di una situazione di necessità ed urgenza che determini un pericolo grave per la salute o la vita del paziente. Il consenso deve essere prestato prima dell’atto proposto. L’intervallo di tempo tra la manifestazione del consenso e l’attuazione dell’atto sanitario non deve essere tale da far sorgere dubbi sulla persistenza della volontà del paziente; nel caso lo sia, è opportuno ottenere conferma del consenso già prestato, in prossimità della realizzazione dell’atto. Il requisito della attualità del consenso, racchiude i maggiori dubbi sull'ammissibilità delle d.a.t. ( dichiarazioni anticipate di trattamento). Il paziente ha il diritto di revocare in qualsiasi momento il consenso prestato, eventualmente anche nell’immediatezza della procedura sanitaria che si sta ponendo in essere; la natura contrattuale del consenso determina che per essere giuridicamente valido esso debba inoltre rispondere ai requisiti “libero” e “relativo al bene disponibile” . Evidenziati i requisiiti del consenso, è necessario soffermarsi su quali soggetti possano essere esecutori di tale dichiarazioni;è emersa quindi, la figura del fiduciario; in un primo momento in sede dottrinale si era fatto riferimento all’istituto del mandato per trovare un istituto cui ricondurre il rapporto tra paziente e fiduciario: il mandante attraverso le istruzioni poteva rendere al fiduciario le proprio volontà in ordine ai trattamento di fine vita ed il mandatario può rendere queste dichiarazioni di volontà secondo uno schema tipico con effetti nella sfera giuridica del mandante, ma in realtà questa ricostruzione trova il suo limite nella sopravvenuta estinzione del mandato per incapacitò del osggetto che da l’incarico fiduciario,da qui allora l’attenzione di dottrina e giurisprudenza si è focalizzata sulla figura dell’amministratore di sostegnodisciplinato nel codice civile dagli artt. 404 e ss.. Lo strumento dell'art. 408 c.c.(scelta dell’amministratore di sostegno), avrebbe, al di là della sedes materiae, secondo alcuni, introdotto nel nostro ordinamento l'istituto del testamento biologico; ed, allora, non resterebbe che concludere in conformità al dettato legislativo, che lo stesso debba rivestire la forma solenne dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata. Da qui il ruolo del notaio quale soggetto deputato ad apporre sulla scheda biologica il sigillo di “fedeltà”. importante è Delibera del 23 giugno 2006 con la quale Il Consiglio Nazionale del Notariato, ritiene utile “in attesa di un’auspicabile iniziativa legislativa in materia ed al fine di garantire il medico nell’esercizio delle proprie responsabilità” – assicurare “la certezza della provenienza della dichiarazione dal suo autore, mediante intervento notarile e la reperibilità della medesima in un registro telematico nazionale”. Considerato, quindi, che l’intervento notarile – proprio perché volto ad assicurare il valore aggiunto della certezza fornito dalla pubblica funzione di certificazione - comporta il rispetto delle modalità operative fissate dalla legge (repertorio, trattamento fiscale, ecc.), ma “che nel contempo è necessario individuare forme che non comportino costi significativi ed aggravi di formalità burocratiche per il cittadino e la collettività”. Nel provvedimento di cui si tratta, emerge la volontà del notariato di contribuire a risolvere un’esigenza di grande rilevanza umana e sociale e la disponibilità a provvedere alla istituzione e conservazione del Registro Generale dei testamenti di vita, con costi a proprio carico, mediante le proprie strutture informatiche e telematiche. Un dato di rilievo è che, secondo il Consiglio, “alla luce della attuale normativa, il notaio, richiesto di autenticare la sottoscrizione di una dichiarazione relativa ad un testamento di vita”, può “farlo, non ravvisandosi alcuna contrarietà a norme di legge”. Propone, quindi, in assenza di un divieto imperativo in materia, di utilizzare un testo di dichiarazione sottoscritta dal solo disponente, contenente la delega ad un fiduciario, incaricato di manifestare ai medici curanti l’esistenza del testamento di vita. Questi argomenti appena trattati, il consenso, la sua forma e il legittimato a porre in essere le volontà espresse sono tutti argomenti che sono stati oggetti di analisi giurisprudenziale in particolar modo nei casi Welby ed Englaro, che congiuntamente al caso Schiavo saranno approfonditi nell’elaborato finale. Bisogna comunque dire che il caso Welby è fondamentale per analizzare la responsabilità che coinvolge la tematica delle dichiarazioni anticipate di trattamento. Difatti, per la prima volta si è incentrato il problema sulla eutanasia, ed il dottore che aveva ”accompagnato alla morte” il soggetto, malato ormai da tempo e senza possibilità di guarigione o miglioramento alcuno, ma solo di peggioramento, accettandone la volontà di sospensione dei trattamenti salva vita, rispettando quindi il diritto al rifiuto dei trattamenti sanitari, facente parte dei diritti inviolabili della persona di cui all'art. 2 Cost, fu rinviato a giudizio con l’accusa ex 579 c.p. E’ da sottolineare che il “dissenso “di Welby possedeva tutti i requisiti necessari desumibili dalla Costituzione e dai principi generali dell'ordinamento, affinché la manifestazione di volontà del avesse rilievo giuridico onde escludersi l'applicazione dell'art. 579 in forza della scriminante dell'art. 51 c.p.. Il possibile rifiuto del malato deve essere esercitato con riferimento ad un «trattamento sanitario», potendo riguardare solo una condotta che ha come contenuto competenze di carattere medico e sempre all'interno di un rapporto di natura contrattuale a contenuto sanitario. Solo sul professionista e non su altri incombe, quindi, il dovere di osservare la volontà di segno negativo del paziente, in ragione della relazione instauratasi tra i due per l'espletamento di una condotta di natura sanitaria a contenuto concordato. Con la conseguenza che, se il professionista dovesse porre in essere una condotta direttamente causativa della morte del paziente per espressa volontà di quest'ultimo, risponderà ad un preciso dovere che discende dalla previsione dell'art. 32, comma 2 Cost., mentre la stessa condotta posta in essere da ogni altro soggetto non risponderà ad alcun dovere giuridicamente riconosciuto dall'ordinamento, non essendo stata esercitata all'interno di un rapporto terapeutico, nel quale solo nascono e si esercitano diritti e doveri specifici. Alla luce di queste premesse, può essere condivisa la soluzione proscioglitiva in ordine al reato di omicidio del consenziente. Il rifiuto di una terapia, anche se già iniziata, ove venga esercitato nell'ambito sopra descritto ed alle condizioni precedentemente illustrate, costituisce un diritto costituzionalmente garantito e già perfetto, rispetto al quale sul medico incombe, in ragione della professione esercitata e dei diritti e doveri scaturenti dal rapporto terapeutico instauratosi con il paziente, il dovere giuridico di consentirne l'esercizio. Con la conseguenza che, se il medico in ottemperanza a tale dovere, contribuisse a determinare la morte del paziente per l'interruzione di una terapia salvavita, egli non risponderebbe penalmente del delitto di omicidio del consenziente, in quanto avrebbe operato alla presenza di una causa di esclusione del reato e segnatamente quella prevista dall'art. 51 c.p. . La fonte del dovere per il medico, quindi, risiederebbe in prima istanza nella stessa norma costituzionale, che è di rango superiore rispetto alla legge penale, e l'operatività della scriminante nell'ipotesi sopra delineata è giustificata dalla necessità di superare la contraddizione dell'ordinamento giuridico il quale, da una parte, non può attribuire un diritto e, dall'altra, incriminarne il suo esercizio. Da ultimo, sull’argomento si è espressa nuovamente la Corte di Cassazione con la sentenza 20984/2012 la quale sembrerebbe affermare che l'intervento del medico è scriminato non solo nei casi di TSO (casi pacificamente scriminati) ma in tutti i casi in cui si incorra in uno stato di necessità ex art. 54 c.p.. Il consenso informato ha come correlato la facoltà, non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche, nell'eventualità, di rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla (n.b.: questa definizione di consenso informato è espressione di libertà positiva); e ciò in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale. Secondo la definizione della Corte Costituzionale (Corte Cost. 438/2008) il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell'art. 2 Cost., che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 Cost., i quali stabiliscono rispettivamente che la libertà personale è inviolabile e che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La responsabilità del sanitario (e di riflesso della struttura per cui egli agisce) per violazione dell'obbligo del consenso informato discende: a) dalla condotta omissiva tenuta in relazione all'adempimento dell'obbligo di informazione in ordine alle prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente sia sottoposto; b) dal verificarsi - in conseguenza dell'esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa - di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente. Non assume, invece, alcuna influenza, ai fini della sussistenza dell'illecito per violazione del consenso informato, se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno. Ciò perché, sotto questo profilo, ciò che rileva è che il paziente, a causa del deficit di informazione, non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti, una lesione di quella dignità che connota l'esistenza nei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica. Importante svolta in campo di responsabilità medica è stata data la legge 8 novembre 2012, n. 189 che ha convertito il Decreto Legge Balduzzi, n. 158/2012. La cosiddetta "colpa lieve" dell'esercente una professione sanitaria ne risulta, in certo qual senso, depenalizzata. Infatti, il dato testuale dell'art. 3, 1° co., il sanitario che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. Sulla responsabilità del medico e della struttura sanitaria, e della sua natura si tratterà esaustivamente nel corso dell’elaborato. In Italia, nonostante il problema sia sorto da tempo, e sia stato, come visto, oggetto di copiosa attività giurisprudenziale di merito e di legittimità, nonché dottrinaria, non si ha al momento, ancora un testo normativo che disciplini la materia in oggetto. L’iter normativo sul testamento biologico, in Italia ha inizio con il d.d.l. presentato al Senato (s.10) il 29 aprile del 2008 e dallo stesso approvato il 26 marzo 2009. Il disegno così come approvato è stato inviato alla Camera, che lo ha modificato il 12 luglio 2011, e da allora siamo stagnati sull’argomento, anche per la presenza di un governo cd. tecnico. Una timida ripresa, è stata impulsata dalla commissione permanente di igiene e sanità nell’ottobre del 2012. Pertanto, il giurista si deve attenere alle fonti a disposizione, e perciò, operando un raffronto di questi due testi, emerge l'allontanarsi del sistema positivo italiano - nonostante stia allineandosi all’Europa sotto molteplici aspetti - sul tema di «fine vita» non dimostrandosi ancora competitivo per la normativa europea. Si rimanda, indi alla trattazione finale per il lavoro comparatistico delle leggi in itinere.

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