Niccolai, Marco (2010) Élites e società civili ed ecclesiastiche nella Napoli tardoantica. Da Diocleziano alla caduta della pars Occidentis. [Tesi di dottorato] (Inedito)

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Tipologia del documento: Tesi di dottorato
Lingua: Italiano
Titolo: Élites e società civili ed ecclesiastiche nella Napoli tardoantica. Da Diocleziano alla caduta della pars Occidentis
Autori:
AutoreEmail
Niccolai, Marconiccolai.marco@libero.it
Data: 30 Novembre 2010
Numero di pagine: 160
Istituzione: Università degli Studi di Napoli Federico II
Dipartimento: Discipline storiche "E. Lepore"
Scuola di dottorato: Scienze storiche archeologiche e storico-artistiche
Dottorato: Storia
Ciclo di dottorato: 22
Coordinatore del Corso di dottorato:
nomeemail
Tortorelli, Marisa[non definito]
Tutor:
nomeemail
Storchi, Alfredinaalfredina.storchi@unina.it
Data: 30 Novembre 2010
Numero di pagine: 160
Parole chiave: élites; napoli; tardoantica
Settori scientifico-disciplinari del MIUR: Area 10 - Scienze dell'antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche > L-ANT/03 - Storia romana
Depositato il: 10 Dic 2010 09:21
Ultima modifica: 30 Apr 2014 19:45
URI: http://www.fedoa.unina.it/id/eprint/8275
DOI: 10.6092/UNINA/FEDOA/8275

Abstract

Per l’Italia sembra riconoscersi in maniera piuttosto concorde come momento iniziale della fase tardoantica, la “provincializzazione” della Penisola con i tetrarchi, che si è definita un “caso emblematico della forza morfogenetica delle strutture istituzionali sugli assetti economici e sociali” e da cui anche la nostra trattazione ha preso le mosse. All’estremo opposto, abbiamo ritenuto (attenti ad arginare derive “elefantiache” anche per la tarda antichità napoletana) di poter terminare la trattazione con la caduta della pars Occidentis, o meglio prima della dominazione ostrogota, in lieve controtendenza con la più diffusa periodizzazione fino al VI sec., adottata di recente anche per la Campania tardoantica. Se, infatti, dal più ampio punto di vista “provinciale”, la vita politico-istituzionale e socioeconomica campana nell’età tarda sembra potersi ben collocare tra l’età tetrarchica e l’insediamento dei Longobardi a Benevento (che spezzarono l’unità politica della Campania, portando a compimento processi di più lunga durata, senza con ciò negarne il valore di cesura, convinti che “il grande evento altro non è che un brusco acceleratore di processi in atto” ), le vicende della società napoletana presentano, a nostro avviso, già in età teodericiana delle variazioni, dettate da talune modifiche istituzionali spesso sottovalutate nelle loro conseguenze socioeconomiche. Cassiodoro ci ha permesso di serbare cospicue tracce del quarantennio gotico in città (circostanza già degna di nota rispetto alla tarda età imperiale, quando più flebili sono i riferimenti a Napoli nel contesto urbano campano), a cui sarà opportuno prestare rapidamente attenzione. Nel sesto libro delle Variae troviamo tre formulae indirizzate rispettivamente alla comitiva neapolitana, agli “honoratis possessoribus et curialibus civitatis neapolitanae” e al princeps militum o comes della comitiva citata(Cass.Var.VI, 23-25). Sono testi noti, ma la loro chiave di lettura, forse per il “peso della suggestione della città antica” , ha adombrato quelle che a noi sembrano “embrionali” espressioni di una forma diversa della città e della sua vita politica, sociale ed economica. Innanzitutto, di questi testi (al di là degli aspetti di continuità rilevabili e rilevati) non può essere sottovalutato il costante riferimento alle attività commerciali che dovevano svolgersi in città (anche se “peregrina commercia”, confermati poi dal siro Antioco di procopiana memoria, Proc. Bell. Goth., I, 8), dal momento che nel IV secolo cenni di questo tipo non se ne colgono, mentre solo dagli inizi del secolo seguente, quando cominciano a mutare le gerarchie urbane nella provincia, possiamo notare una graduale preminenza (non pensiamo complessivamente a uno sviluppo, ma piuttosto a una nuova centralità) di Napoli, le cui condizioni socioeconomiche iniziano a mostrare lievi segni di discontinuità rispetto al passato e la città comincia ad apparire come la “sola e peculiare eccezione” in un contesto di generale recessione (molto prima che si manifestasse quel “particolarismo napoletano altomedievale” di cui forse nel V secolo si pongono però le basi). Non possiamo affermare con certezza, nell’assenza di espliciti riferimenti nelle fonti, se con gli Ostrogoti Napoli sostituisse Capua come caput della provincia, ma lo riteniamo probabile, così come si ritiene verosimile che questo avanzamento dal punto di vista commerciale (con il declino di Puteoli) e istituzionale (con l’insediamento della militum turba e del suo comes) non potesse lasciare inalterata la fisionomia del ceto dirigente locale. Scorrendo la lista delle Variae si può constatare l’esistenza di generiche formulae per l’insediamento nelle diverse città delle comitivae e del comes goto, informandone le élites locali con la solita formula agli “honoratis, possessoribus et curialibus”, ma a ben guardare solo per Napoli vengono compilate tre specifiche formulae, attentamente calibrate sulle peculiarità di quella società, con un’attenzione eccessiva che per noi si spiega agevolmente con una “promozione istituzionale” di un centro la cui élite dirigente non era già da prima abituata a convivere direttamente con l’autorità ed a rappresentare il caput provinciae . Entro questi limiti cronologici, l’intento che ci siamo proposti con questa ricerca è stato quello di fornire un quadro (senza alcuna pretesa di storia “totale”, essendo molti gli aspetti meritevoli di ulteriori approfondimenti) degli aspetti più caratterizzanti della vita sociale napoletana, osservata con particolare attenzione alle dinamiche della sua classe dirigente civile ed ecclesiastica, di cui si è cercato di cogliere gli sviluppi in quella fase della città che abbiamo indicato come più propriamente tardoantica e per la quale mancava forse una messa a fuoco più circoscritta . Nella prima parte della tesi, abbiamo analizzato la società civile attiva a Napoli nel periodo prescelto, partendo dal discutere le diverse attestazioni dei personaggi distintisi in città per le loro attività evergetiche e perciò spesso onorati dall’ordo et populus con il titolo di patroni municipali. In una prospetttiva che ha provato a focalizzarsi il più possibile su Napoli, per poi ampliare il suo angolo visuale a realtà urbane limitrofe (solo nel caso in cui dal confronto potesse emergere più chiaramente la fisionomia dell’élite neapolitana), si è tenuto conto anche delle attestazioni di quei governatori provinciali (che si poterono fregiare del rango di consulares e, per brevi momenti, di proconsules) che ci sono apparsi in rapporto più diretto con la città per legami familiari o in quanto possessores. Non si poteva prescindere poi da una lettura approfondita dell’epistolario di Q. Aurelio Simmaco, che pur non insignito di funzioni pubbliche in provincia, fu ben inserito anche nelle vicende della comunità napoletana, la quale in un caso ne richiede espressamente l’arrivo in città probabilmente in virtù di rapporti clientelari (purtroppo non meglio indagabili); tanto più che l’oratore, così come il suo congiunto e amico fraterno Flaviano seniore , figurava in qualità di proprietario di una villa nello stesso territorio suburbano, oltre alle tante altre proprietà, destinate alla delectatio, sparse in tutta l’area flegrea. Nel V sec., anche la vita di alcuni centri campani risentì delle incursioni alariciane e vandaliche, con ripercussioni non trascurabili su alcune zone dell’entroterra (Capua e Nola in primis) e che, contestualmente al declino di Puteoli (non immune dai Germani poiché priva di mura e colpita dal crescente bradisismo), finirono per favorire un rafforzamento (“esteriore” certo, ma non solo) di Napoli, la cui società poté trarre nuova linfa dall’afflusso di popolazione dai territori circostanti e giovarsi della nuova cinta muraria (CIL X 1485, per la quale oggi le indagini archeologiche sembrano ammettere un ampliamento a sud-ovest dell’abitato). Fattori che produssero conseguentemente un incremento dei traffici (in special modo con l’Africa vandalica) nel porto urbano, che comincia a riacquistare importanza nel contesto Mediterraneo, sulla base anche dei riscontri forniti negli ultimi decenni dall’archeologia urbana, che ha portato nuove conoscenze sulla vitalità socioeconomica della città e della sua area portuale tra la tarda antichità e l’alto medioevo . La seconda sezione della tesi riguarda, invece, l’analisi della società ecclesiastica, anch’essa osservata con particolare attenzione ai suoi vertici, rappresentati ovviamente dagli episcopi attestati nel periodo indicato, nella convinzione che anche la componente religiosa vada acquisendo una consapevolezza crescente dalla fine del IV a quella del V secolo, quando l’arrivo nel Lucullanum delle spoglie di Severino del Norico, su richiesta della “illustris femina Barbaria” (Eug., Vita S. Severini, XLVI) e suggestivamente in connessione con l’esilio dell’ultimo rappresentante della pars Occidentis, Romolo Augustolo, testimoniano una ormai più che matura compenetrazione tra società laica ed ecclesiastica nella compagine urbana. Ma prima di giungere a ciò, abbiamo ripercorso quelle che ci sono sembrate le tappe più caratterizzanti di questo processo (non sempre facilmente individuabile soprattutto nella sua prima fase, prima dell’episcopato di Severus a fine IV sec.), tentando di ricostruire il grado di radicamento all’interno della realtà locale dei principali protagonisti della vita cristiana della città, cercando di comprendere, nei limiti concessi da una documentazione non sempre generosa in questo senso, quale potesse essere di volta in volta il contesto da cui emersero i primi rettori della cattedra napoletana. Se nel caso di Agrippinus, primo vescovo a lasciare tracce più evidenti nella memoria cittadina, abbiamo riconosciuto una sua probabile origine autoctona e i possibili legami con la regio Herculanensium (forse la regio urbana più attiva, che negli stessi anni mostrava gratitudine anche a membri dell’ordo neapolitano come i Munatii ), abbiamo poi discusso della vicenda del martirio di Ianuarius, di cui abbiamo ribadito l’origine non neapolitana e dalla cui passio si è potuti risalire ad alcune famiglie di possessores con terreni distribuiti nel territorio agricolo tra Napoli e Puteoli (una delle aree più adatte allo sviluppo di praedia ) quali i Marciani ed i Patulci, legati forse da vincoli di parentela e alla base della formazione di toponimi prediali testimoniati da fonti anche più tarde. Nell’intento di valutare consistenza e distribuzione della proprietà fondiaria della Chiesa napoletana nel primo IV sec. (in una fase ancora di assestamento per le élites ecclesiastiche), si è fornita una rilettura della Vita Silvestri nel Liber Pontificalis (Lib.Pont.,170-187), in cui sono notoriamente ricordate le donazioni costantiniane alla Chiesa di Napoli e di cui, in un caso, si è avanzata una proposta di localizzazione, sulla scia di riscontri più tardi nell’epistolario gregoriano . Più ampio è stato poi il discorso sul fondamentale episcopato di Severus per il quale, dopo aver sgombrato il campo da supposizioni non ritenute accettabili, abbiamo supposto, solo come spunto di riflessione, l’appartenenza al clarissimato in virtù di alcune considerazioni sui suoi contatti con personaggi dello spessore di Ambrogio di Milano, Paolino nolano e lo stesso Simmaco (nonostante il paganesimo di quest’ultimo) e taluni riscontri sui contemporanei consulares campani. Cercando di non perdere di vista quanto detto sulla società civile, si può constatare come l’episcopato severiano coincida con la fase di maggior attenzione da parte delle élites provinciali per la nostra città, rilevando però che, se tra fine IV e inizio V sec., l’aristocrazia senatoria di Roma visse le sue ultime significative apparizioni sulla scena urbana (ma non si tratta di un fenomeno riguardante solo Napoli), in maniera opposta a partire da questo momento la componente ecclesiastica appare sempre più pronta a sostituirsi ad essa nella gestione della vita della comunità. E ciò è stato possibile mostrarlo, infine, a proposito della fase centrale del V secolo, che per la Chiesa fu, forse più chiaramente che per altri attori sociali, un momento di potenziamento delle sue strutture (non si dimentichi l’intensa attività edilizia religiosa tra la fine del IV e l’avanzato VI secolo, che doveva presupporre possibilità economiche non così scarse), quando il venerabile Nostrianus, accolta ed integrata la componente africana esule dall’Africa vandalica , dimostrò quello che ci è piaciuto definire un deciso “attivismo”, diretto sia alla realizzazione delle prime “terme cristiane” nei pressi del foro (un segno evidente del “passaggio di consegne” tra élites civili ed ecclesiastiche nella promozione di nuove evergesie, frutto adesso dell’etica cristiana), sia alla repressione di fermenti eretici nell’area costiera campana (ormai sempre più sotto il controllo di Neapolis), per contrastare i quali agirono congiuntamente esponenti del clero napoletano, il vescovo Nostriano (probabilmente coadiuvato dalla “maxima turba clericorum” africana residente in città, Vict.Vit., Hist.pers.Afr.prov., I,5) e il fratello di costui, titolare di qualche incarico di controllo dell’ordine pubblico, in un avvicinamento tra sfera laica ed ecclesiastica, che preannuncia i futuri sviluppi medievali e che perciò abbiamo eletto a momento conclusivo della nostra trattazione.

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