La Spada, Gina (2009) FGAII: applicazione agli ambienti marini profondi ed estremi. [Tesi di dottorato] (Inedito)

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Tipologia del documento: Tesi di dottorato
Lingua: Italiano
Titolo: FGAII: applicazione agli ambienti marini profondi ed estremi
Autori:
AutoreEmail
La Spada, Ginagina.laspada@iamc.cnr.it
Data: 2009
Numero di pagine: 96
Istituzione: Università degli Studi di Napoli Federico II
Dipartimento: Scienze della Terra
Scuola di dottorato: Scienze della Terra "Giuseppe De Lorenzo"
Dottorato: Scienze e ingegneria del mare
Ciclo di dottorato: 21
Coordinatore del Corso di dottorato:
nomeemail
D'Argenio, Brunob.darbenio@iamc.cnr.it
Tutor:
nomeemail
Saggiomo, Vincenzosaggiomo@szm.it
Data: 2009
Numero di pagine: 96
Parole chiave: Microarray, GeoChip, Cicli Biogeochimici, N, S, C, Bacini anossici, DHABs
Settori scientifico-disciplinari del MIUR: Area 05 - Scienze biologiche > BIO/11 - Biologia molecolare
Area 05 - Scienze biologiche > BIO/19 - Microbiologia generale
Depositato il: 13 Nov 2009 17:08
Ultima modifica: 19 Giu 2014 07:29
URI: http://www.fedoa.unina.it/id/eprint/3347
DOI: 10.6092/UNINA/FEDOA/3347

Abstract

La vita sulla terra è inestricabilmente legata alle interazioni con l’ambiente e le sue modificazioni. Ciò è particolarmente vero per gli oceani ed i mari che nel loro insieme ricoprono il 70% della superficie terrestre, tale estensione, unita alle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche fa sì che l’ambiente marino agisca come un sistema recettore, con un ampia possibilità di memoria per le modificazioni ambientali dovute a fenomeni naturali o indotti dall’uomo, e al contempo capace di reagire prontamente con risposte a breve ed a lungo termine. La prima chiara evidenza dell’interazione tra esseri viventi e ambiente è l’interscambio di sostanza organica ed inorganica che ciclicamente va a comporre la parte vivente e quella non vivente della terra. Il trasporto e la trasformazione delle sostanze nell’ambiente attraverso la vita, l’aria, la terra, acqua e ghiaccio sono complessivamente noti con il nome di cicli biogeochimici: questi, insieme agli organismi viventi interpreti di tali processi, sono i primi a subire l’influenza delle modificazioni ambientali. Tipicamente, i feedback direttamente registrabili sono quelli che avvengono a carico delle comunità viventi marine e, in particolare, dei microrganismi che hanno un ciclo vitale breve (facilmente controllabile) e, sono inoltre dotati di elevate specializzazioni talvolta uniche e correlabili con una specifica causa. I batteri marini consumano il 75% del carbonio particolato (sink), sospeso nei primi 500m della colonna d’acqua, e sono responsabili del ricircolo dei principali elementi di cui sono costituiti gli organismi viventi (C, H, N, S, P) attraverso successioni di organicazione e mineralizzazione. In particolare, processi quali, azoto-fissazione, respirazione anaerobica, chemolitoautotrofia, nitrificazione, vengono mediati esclusivamente dai microrganismi. I cicli biogeochimici sui quali si è puntato l’interesse sono quelli relativi al carbonio, l’azoto e lo zolfo che costituisco la base delle principali attività delle comunità microbiche marine. Gli oceani giocano un ruolo predominante nel ciclo del carbonio, infatti, la quantità totale presente sulla terra è circa 49000 gigatonnellate, delle quali circa il 71% è contenuto negli oceani per lo più sotto forma di carbonati e bicarbonati che a loro volta diventano molto importanti nel controllo del pH, ed un 3% è contenuto nel fitoplancton e nella materia organica. Il ciclo del carbonio negli oceani ha due componenti principali, una fisica ed una biologica. La prima è costituita dalla dissoluzione della CO2. Lo scambio di carbonio fra atmosfera ed oceano può essere diretto sia all’assorbimento sia al suo rilascio, nelle regioni oceaniche di upwelling esso viene rilasciato verso l’atmosfera, al contrario nelle regioni di downwelling il trasferimento avviene in direzione delle acque profonde. Questo sistema di correnti oceaniche costituisce la pompa fisica marina del carbonio. La componente biologica costituita dal fitoplancton che attraverso la fotosintesi lo converte in carboidrati ed ossigeno; dal carbonio ridotto proveniente dalla decomposizione degli organismi vegetali ed animali morti; e dai procarioti marini che utilizzano idrogeno solforato, ammonio e alcuni composti inorganici ridotti per fissare la CO2 in assenza di luce negli ambienti profondi. Tutto ciò costituisce la pompa biologica marina del carbonio. L'azoto è un componente essenziale di molte biomolecole fondamentali come le proteine e gli acidi nucleici. Praticamente tutti i microrganismi, le piante e gli animali, richiedono azoto combinato con idrogeno, (ammoniaca), o con l'ossigeno (nitrati). La trasformazione biochimica dell’azoto ha un'influenza notevole sulla produttività biologica degli ambienti marini, basti pensare che la fascia di atmosfera a noi più vicina contiene circa 78% di azoto molecolare, ma in questa forma è piuttosto inerte e solo pochissimi microrganismi sono in grado di utilizzarlo. La fissazione biologica dell’azoto molecolare avviene ad opera dei microrganismi azoto fissatori che, per mezzo dell’enzima dinitrogenasi reduttasi rendono disponibile la grande quantità di azoto atmosferico (N2), il quale altrimenti non sarebbe direttamente accessibile agli eucarioti ed agli altri procarioti. L’ammoniaca prodotta dai batteri azoto fissatori e dalla decomposizione della materia organica viene trasformata in nitrato dai batteri ammonio-ossidanti (AOB). Essi sono variamente distribuiti ed adattabili alle diverse caratteristiche ambientali, tanto che qualsiasi luogo in cui è presente sostanza organica mineralizzata potrebbe costituire un possibile habitat per gli AOB. Studi recenti avvalorano l’ipotesi che i Crenarchaeota, organismi che dominano gli ambienti marini profondi, siano in grado anch’essi di operare questa trasformazione. La denitrificazione costituisce la fase di ritorno dell’azoto nell’atmosfera, è un processo dove i composti ossidati dell’azoto (NO3- e NO2-) vengono utilizzati come accettori alternativi di elettroni per produrre energia, e ridotti a NO, N2O e N2 che vengono rilasciati contemporaneamente in atmosfera conducendo così ad una perdita in azoto molecolare. Nei sedimenti marini costieri, il 40-50% degli input di azoto inorganico disciolto viene rimosso dalla denitrificazione, sbilanciando così il contenuto di azoto nell’oceano. L’accumulo degli intermedi NO ed NO2 contribuisce, inoltre, al riscaldamento globale riducendo lo strato di ozono. Anche lo zolfo è un costituente essenziale della materia vivente ed in ordine di quantità è il quinto elemento sulla terra. Gli amminoacidi cisteina, metionina, omocisteina e taurina contengono zolfo, come anche alcuni enzimi molto comuni, questo lo rende un elemento indispensabile alla vita di qualsiasi cellula. I ponti solfuro fra polipeptidi sono estremamente importanti per l'assemblaggio e la struttura delle proteine. Lo zolfo tende ad accumularsi nei sedimenti marini profondi caratterizzati dall’assenza di ossigeno. La respirazione anaerobia in presenza di solfato è la componente principale del ciclo globale dello zolfo e viene effettuata unicamente dai procarioti, il suo riciclo prevede una serie di trasformazioni mediate da solfo batteri che ne determinano la stato di ossidazione da SO4 ad H2S. In alcuni ecosistemi, inclusi i sedimenti marini, i batteri solfato-riduttori (SRB) sono funzionalmente i più importanti. Inoltre, costituiscono un grande ed estremamente diverso gruppo fisiologico di microrganismi anaerobi capaci di degradare un ampio range di substrati organici, inclusi i prodotti del petrolio, come gli alcani, il toluene, il benzene e gli idrocarburi policiclici aromatici. Gli ambienti marini profondi occupano il 75% del volume totale degli oceani, queste acque sono caratterizzate da condizioni fisico-chimiche estreme come alta pressione, totale assenza di luce, condizioni di anossia. In una tale realtà è difficile immaginare la vita, ma al contrario di quanto si possa pensare questi non sono luoghi biologicamente inerti, ma costituiscono gli habitat per organismi unici e altamente specializzati, che giocano un ruolo chiave nel riciclo dei nutrienti. La maggior parte della sostanza organica proveniente dalla morte degli organismi marini, infatti, sedimenta e si accumula nelle profondità oceaniche. I composti essenziali per la vita sul nostro non sarebbero più reperibili se gli ambienti marini profondi fossero dei luoghi sterili. Le attività mediate dai microrganismi in questi ambienti, inoltre, influenzano la produttività dei mari profondi e il bilancio dei gas causa dell’effetto serra nell’atmosfera. Non bisogna dimenticare anche che le profondità oceaniche sono una miniera di minerali, gas, petrolio e sostanze bioattive. Anche le aree marine anossiche, con particolare riferimento ai bacini anossici iperalini profondi (DHAB) giocano un ruolo fondamentale nei cicli biogeochimici che si espletano all’interno degli oceani, essendo luogo di un’attiva solfato riduzione/ossidazione, metanogenesi e ossidazione di ferro e manganese. Oltre alle già citate condizioni di elevata pressione, assenza di luce e si ossigeno, presentano elevate concentrazione di sali (10 volte superiore all’acqua di mare), e concentrazioni ioniche variabili. Tutte queste caratteristiche unite alla poca conoscenza delle profondità oceaniche hanno aumentato, negli ultimi anni, l’interesse verso lo studio di tali ecosistemi. Al fine di comprendere la dinamica di questi cicli e i fattori che governano l’entità ed il bilancio dei nutrienti nell’acqua e nei sedimenti marini, è necessario ottenere informazioni quantitative o semi-quantitative sulle attività biologiche coinvolte nei cicli biogeochimici. Lo studio dei geni funzionali coinvolti in queste attività può essere un approccio interessante per la comprensione del ruolo dei microrganismi nel riciclo della sostanza organica. A questo proposito a supporto delle comuni tecniche di studio biomolecolari è stato proposto l’utilizzo della tecnica microarray. Questa tecnica è di recente sviluppo ed è ampiamente utilizzata nello studio dell’espressione genica in campo medico che per monitorare i processi ambientali. Il chip utilizzato in questo studio è un FGAII, denominato anche GeoChip, è stato messo a punto nei laboratori del dipartimento di Genomica Ambientale diretto dal Prof. Zhou, presso l’Università dell’Oklahoma. L’FGAII contiene 24243 sonde oligonucleotidiche, di queste, 10345 si riferiscono ai geni funzionali coinvolti nel ciclo dell’azoto, dello zolfo, del carbonio, del fosforo, nella degradazione dei composti organici e nella resistenza ai metalli E’ il primo microarray strettamente correlato allo studio dei processi biogeochimici, ai cambiamenti climatici globali ed alla gestione degli ecosistemi. Il GeoChip è particolarmente utile per stabilire un legame diretto fra microrganismi/geni/processi e funzioni. Il limite di applicabilità agli ambienti marini dell’FGAII è che è stato progettato sulla base di geni specifici di organismi terresti o di acqua dolce, nonostante ciò si è voluta applicare la tecnica a campioni marini in modo da poterla apprendere e valutare la possibilità di progettare chip specifici per gli ambienti oceanici in genere, siano essi profondi, di superficie o estremi. L’obiettivo di questo lavoro è quello di monitorare gli ambienti marini profondi, con particolare attenzione ai DHAB, per evidenziare l’attività di alcuni geni target del ciclo del carbonio, dell’azoto e dello zolfo. Considerando che l’espressione di essi è indice di una determinata attività e della presenza di microrganismi specifici, si possono, quindi, ottenere delle informazioni riguardo le vie metaboliche attive in questi luoghi estremi. Contemporaneamente si eseguirà l’analisi delle sequenze codificanti per il 16S rRNA in modo da ottenere delle informazioni sulla diversità microbica di questi ambienti. Soltanto attraverso lo studio dell’RNA è possibile ottenere delle informazioni sulla presenza di comunità metabolicamente attive, poiché il DNA potrebbe anche appartenere ad organismi ormai morti. Le sequenze ottenute da queste analisi verranno raccolte ed utilizzate per la progettazione di un chip microarray che contenga geni specifici degli ambienti marini profondi. I geni target scelti sono i seguenti: Per quanto riguarda il ciclo dello zolfo, sappiamo che questo elemento tende ad accumularsi nei sedimenti marini dove si trova in grandi quantità. I bacini anossici sono sede di un’elevata riduzione/ossidazione dello zolfo, per questo motivo sono stati scelti i geni dsrA/B, che codifica per la sulfito reduttasi, APS il codifica per l’ adenosinae-59-fosfosolfato reduttasi e il gene APS che codifica per l’APS reduttasi. I tre geni nel loro insieme sono responsabili della completa riduzione del solfato ad idrogeno solforato (H2S). Per il ciclo dell’azoto, invece, abbiamo scelto i geni AmoA ed Ure. Il primo codifica per l’ammonio monoossigenasi l’enzima che interviene nell’ossidazione batterica dell’ammonio. E’ stato visto che i bacini anossici sono sede di un’intensa attività ammonio ossidante associata ai Crenarchaeota, molto probabilmente questo composto è utilizzato come accettore di elettroni per la fissazione della CO2 in assenza di luce; il gene Ure, è potenzialmente associato a questo processo. Per il motivo sopracitato per il ciclo del carbonio e stato scelto il gene cbbl, che codifica per la ribulosio bifosfato carbossilasi/ossigenasi, la forma I della RuBisCo, l’enzima che catalizza la prima tappa del ciclo di Calvin, cioè l’organicazione della CO2. La presenza di questo enzima, associato ad amoA fornisce una prova di un’intensa attività di chemoautotrofia. Come indice dell’attività metanogena è stato scelto il gene mcr che codifica per l’enzima metil Co M reduttasi, il quale catalizza l’ultima tappa della metano genesi. Le aree oggetto di studio, sono state quelle relative ai bacini anossici ipersalini (DHABs) L’Atalante e Medea per quanto concerne gli ambienti estremi, e del Mediterraneo orientale per quanto riguarda le acque profonde.

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