Tranchesi, Gregory (2011) Variazioni ed identità: la genetica tra determinismo e libertà. [Tesi di dottorato] (Inedito)

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Tipologia del documento: Tesi di dottorato
Lingua: Italiano
Titolo: Variazioni ed identità: la genetica tra determinismo e libertà
Autori:
AutoreEmail
Tranchesi, Gregorygregory.tranchesi@unina.it
Data: 29 Novembre 2011
Numero di pagine: 238
Istituzione: Università degli Studi di Napoli Federico II
Dipartimento: Filosofia "Antonio Aliotta"
Scuola di dottorato: Scienze filosofiche
Dottorato: Bioetica
Ciclo di dottorato: 24
Coordinatore del Corso di dottorato:
nomeemail
Lissa, Giuseppegiuseppe.lissa@unina.it
Tutor:
nomeemail
Donisi, Carminecarmine.donisi@unina.it
Data: 29 Novembre 2011
Numero di pagine: 238
Parole chiave: bioetica identità genetica determinismo brevettabilità
Settori scientifico-disciplinari del MIUR: Area 11 - Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche > M-FIL/03 - Filosofia morale
Area 12 - Scienze giuridiche > IUS/01 - Diritto privato
Depositato il: 05 Dic 2011 10:17
Ultima modifica: 17 Giu 2014 06:03
URI: http://www.fedoa.unina.it/id/eprint/8579

Abstract

Il presente lavoro prende le mosse da un’analisi filosofica del determinismo genetico sia nella forma che ha preso negli ambiti del razzismo scientifico e dell’eugenetica classica che nel paradigma che sembra configurarsi nella nuova eugenetica americana. L’esigenza di tale analisi nasce dalla considerazione che il modello deterministico dell’agire umano e la concezione meccanicistica del mondo risultano non aver mai abbandonato la cultura moderna e contemporanea, nonostante l’avvento della ragione illuminista e l’apparente liberazione dell’umanità dalle pastoie della tradizione della necessità e della superstizione. Da tale riflessione scaturisce il bisogno di una comprensione teoretica che abbracci non solo il doloroso e barbaro passato recente del razzismo e dell’eugenetica novecentesca ma anche quelle odierne correnti all’interno della scienza ufficiale che nel nostro presente ripropongono esplicitamente e sotto nuova forma modelli biologici ed etici ritenuti ormai superati ed invalidati. Uno dei concetti attorno a cui ha ruotato tale analisi è stato quello di identità personale, che declinato biologicamente nel credo razzista ed eugenetico diviene il fondamento e la soluzione alla krisis ed alle esigenze di conservazione politiche dello status quo, provando scientificamente in tal modo l’inutilità dei cambiamenti nell’organizzazione sociale, la necessità della stratificazione della società in classi e l’emarginazione socio-politica. Inoltre si è esaminato l’attuale orizzonte normativo relativo alla protezione giuridica del vivente e delle invenzioni biotecnologiche in Italia, approfondendo gli aspetti giuridici dell’istituto del brevetto quando applicato nei campi biochimico e biotecnologico. Nel primo capitolo si ripercorre, a mo’ di introduzione, la storia e la preistoria della genetica classica e moderna presentando le figure e le dottrine fondamentali che hanno caratterizzato le diversi fasi di tale disciplina. Dopo aver presentato ed esposta le diverse teorie sull’ereditarietà pre-mendeliane, sia antiche (come quelle di autori classici come Ippocrate, Aristotele e Teofrasto e di enciclopedisti arabi come Al-Jahiz), che moderne (i sistemi e le idee di van Leeuwenhoek, Linneo, Kolreuter, von Gartner, Haudin, Sageret e Lamarck), si passa ad approfondire il lavoro e le leggi di Mendel e del mendelismo, la fondazione della genetica classica (con le teorie di Boveri, Sutton, Morgan, Fischer e Dobzhansky), la scoperta del DNA da parte di Watson e Crick e le recenti teorie evolutive di Gould ed Eldredge. Successivamente si illustra la nascita della teoria e della prassi dell’eugenetica ottocentesca e novecentesca postulandone una natura tra scienza e scientismo che sarà poi confermata dal caso dell’eugenetica nazista. Infine, sempre in tale capitolo, si descrivono e riassumono lo sviluppo della genetica e delle biotecnologie attraverso i progressi tecnologici e scientifici dell’ingegneria genetica e la scoperta di nuove tecniche e metodologie di manipolazione del vivente (PCR e le scoperte di Cohen-Chang e di Boyer) che hanno condotto verso l’esigenza di una sempre maggiore e più approfondita conoscenza del patrimonio genetico umano, favorendo la nascita di grandi progetti di ricerca e di analisi, come lo Human Genome Project a partire dagli anni Novanta e l’International HapMap Project, con finalità di ricerca non solo nel campo della diversità genetica umana e fisico-antropologica ma anche e soprattutto nel settore medico e farmaceutico con lo studio delle variabili genetiche alla base di sintomi e malattie, favorendo in tal modo la nascita della farmacogenomica e della farmacogenetica. Nel secondo capitolo si affrontano le questioni relative agli effetti della dottrina del determinismo genetico (come paradigma filosofico-scientifico) in relazione all’identità biologica. Vengono ripercorse ed illustrate la nascita e lo sviluppo del concetto di razza (correlato a quello di specie) e dell’ideologia del razzismo scientifico a partire da autori come Ray e Bernier ed approfondendo la teorie di Linneo, Leclerc, Blumenbach, De Gobineau e Müller per giungere a trattare dei sistemi e cataloghi razziali di Broca, Deniker, von Eickstedt, Fritzsch, Stratz, Biasutti e Sergi. Segue il riferimento ai lavori ed ai risultati scientifici, che a partire dagli anni Cinquanta dello scorso secolo con Montagu, hanno da una parte dimostrato l’inesistenza delle razze umane e dall’altra sviluppato - a partire dagli anni Sessanta grazie a Cavalli-Sforza - un albero evolutivo su basi genetiche delle popolazioni della specie umana invalidando in tal modo alcuni dei modelli delle migrazioni umane alla base del razzismo scientifico (come anche il poligenismo di Coon e l’evoluzione multiregionale di Wulpoff). Ne risulta dunque rafforzato il recente modello teorico detto “Out of Africa” ovvero dell’ “origine africana recente”. Inoltre vengono citate le recenti posizioni scientifiche di autori e scienziati che a partire dagli anni Novanta hanno tentato di reintrodurre il concetto di razza in antropologia, biologia e nel campo della ricerca medica e della diagnostica clinica (Rushton, Lahn, Shriver e Risch) andando ad avvalorare in taluni casi tesi razziste di natura politica o economica (Herrnstein, Murray, Entine e Duke). Ed è a partire da questa ricostruzione storica e filosofico-scientifica che si vuole evidenziare come il determinismo genetico, proprio di una visione meccanicistica del mondo dei fenomeni fisici, naturali, sociali ed umani, sia il fattore più importante nella formazione e corroborazione scientifica delle ideologie razziste ed eugenetiche. Tale determinismo di natura biologica rientra nella categoria più ampia di tutte quelle concezioni culturali sul mondo di tipo meccanicistico volte a preservare l’ordine sociale e politico vigente e miranti a dare una spiegazione ragionevolmente sufficiente ed esauriente del motivo della diversità degli stati e delle condizioni degli uomini e delle diverse classi sociali. In tali prospettive anche il comportamento e la libertà di scelta dell’uomo vengono predeterminati in modo da ridurre ulteriormente le possibilità di variazione ed alterazione della struttura vigente. Inoltre l’utilizzo e la deformazione politica ed ideologica di alcuni dei risultati e dei dati della ricerca genetica, nonché l’individuazione e l’impiego dei soli dati e concetti isolati dal resto al fine di confermare concezioni e prassi politiche già consolidate, hanno fatto passare in secondo piano il progressivo affrancamento e la crescente liberazione dell’uomo dai vincoli naturali ed assoggettanti della materia avvenute a partire dalla modernità con lo sviluppo della scienza moderna, vanificando il concetto stesso di storia, la quale è storia degli individui e storia delle comunità, ovvero un percorso proprio unicamente all’umanità, che, come Vico ha insegnato, può conoscere con il massimo grado di approssimazione soprattutto ciò che essa stessa ha contribuito a creare. Nel terzo capitolo viene esaminato l’attuale panorama giuridico e normativo italiano relativo alla tutela del vivente globalmente inteso e alla tutela delle biotecnologie e degli organismi geneticamente modificati (considerati all’interno dell’istituto brevettuale sullo stesso piano delle invenzioni progettuali) evidenziando analogie e differenze tra il brevetto classico di origine e derivazione meccanica e quello più recente biotecnologico attraverso il confronto delle trasformazioni che il primo ha subito al subentrare delle pratiche ed interpretazioni brevettuali relative alle innovazioni prima in campo chimico e poi in quello biologico. Tale analisi giuridica si pone come necessaria nell’economia del lavoro di tesi in considerazione del fatto che l’adozione di una teoria sistemica che presenti aspetti sia meccanicistici che deterministici nella spiegazione generale dei fenomeni comporti inevitabilmente, nella sua considerazione e valutazione all’interno del panorama dei valori, la “caduta” del significato dell’uomo e del vivente (e delle metodologie manipolative su tale vivente) ad oggetto, quindi a prodotto o procedura brevettabile alla stregua di ogni altra merce. In una prima parte vengono approfonditi gli aspetti legislativi in riferimento sia alla tutela del vivente, in generale, che alla tutela dell’integrità genetica ecosistemica ed umana. Tali aspetti vengono rilevati a partire da come essi sono sanciti dalla Costituzione e dalle leggi italiane, tenendo conto anche delle specifiche direttive europee e dei principi sottesi a tale direttive: è il caso segnatamente del fondamentale principio di precauzione, che trova largo impiego in molte delle questioni pratiche connesse alla valutazione, alla gestione del rischio, all’immissione ed al rilascio o commercializzazione degli organismi geneticamente modificati, nonché alla biosicurezza ed al monitoraggio nel controllo della diffusione degli stessi. Nella seconda parte si illustrano poi le motivazioni ed i meccanismi che hanno portato all’impiego dei brevetti anche nelle procedure di innovazione biotecnologica e nelle modificazioni di organismi complessi, a partire dal primo brevetto di microrganismi biotecnologici negli anni Ottanta (con rimando alla sentenza statunitense “Diamond v. Chakrabarty”), brevetti che hanno trovato un utile e oggi diffuso impiego in campo farmaceutico. Come noto, il brevetto come diritto di proprietà intellettuale garantisce anche un diritto economico nello sfruttamento dell’opera da parte dell’inventore titolare a cui ne viene attribuita la “paternità” tutelando ed impedendo allo stesso tempo che terzi concorrenti traggano profitti dall’utilizzo o dalla vendita dell’opera. Questa protezione e temporanea esclusività dell’opera costituirebbe per alcuni anche un giusto riconoscimento da parte della collettività verso l’inventore (e verso l’imprenditore) per gli sforzi, l’impegno ed i costi affrontati nella ricerca necessaria al raggiungimento di tali risultati. Inoltre, per essere oggetto di brevetto un’invenzione deve presentare i tre requisiti di novità, non evidenza ed utilità. Come alcuni hanno notato, il brevetto relativo alle “risorse” biologiche e genetiche (ad esempio: materiale biologico, sequenze genetiche, OGM come microrganismi o animali) sono il risultato del “paradigma culturale dell’informazione”, in qui il mondo organico e vivente diventa sussumibile e rappresentabile solamente attraverso l’informazione (biologica, genetica o informatica) in esso virtualmente contenuta, ciò a detrimento del supporto dell’informazione stessa – supporto che tende a passare sempre di più in secondo piano. Il meccanismo di passaggio che ha portato la tipologia originale di brevetto artefattuale, ossia quello meccanico e progettuale nato nel Settecento dopo la Rivoluzione Francese, verso quello derivato biotecnologico ed “informatico” è costituito dalla categoria giuridica intermedia del brevetto del vivente vegetale, attraverso il Plant Patent Act del 1930 – atto in cui venne consentita negli Stati Uniti il brevetto di quelle piante che potevano essere ottenute attraverso la riproduzione asessuata, possibilità che inoltre fu successivamente estesa dal Plant Variety Protection Act nel 1970 anche a tutte quelle varietà vegetali in grado di riprodursi per via sessuale. Il brevetto di tipo biotecnologico è stato infine sancito definitivamente come brevetto di “informazione” nella Direttiva Europea 98/44/CE, nonché nella disciplina statunitense. Tale trasformazione ontologica del brevetto non rappresenta solamente il passaggio verso un diverso paradigma giuridico ma l’introduzione e l’adesione ad un modello filosofico-scientifico totalmente diverso nei suoi principi e nelle sue conseguenze. In tale modello il vivente presenta caratteri puramente meccanicistici, non probabilistici e deterministici, dato che la materia organica e quella inorganica giungono ad equivalersi in quanto strutturate e dirette dalla medesima composizione di elementi fisico-chimici e di forze in moto (gli organismi come macchine o bio-artefatti). Contro tale mutamento di paradigma si sono comunque verificati casi di opposizione in ambito giuridico, come nel caso della Corte Suprema del Canada che ha escluso di principio la brevettabilità di organismi biologici al fine di impedire la brevettazione dell’essere umano stesso, o di sue parti. Inoltre possiamo osservare che il modello della “macchina vivente” qui tratteggiato, quando viene applicato al mondo vivente ed organico, a partire dal mondo vegetale fino a quello umano, è animato dal principio di “riduzione” della complessità di tale vivente, riduzione che è frutto della distorsione teoretica ed epistemologica delle possibilità di variazione, che dapprima si presentano come errore e casualità nell’ambito vegetale ed animale, per configurarsi come intenzionalità, libertà ed autonomia nella strutturazione del pensiero e dell’azione decidente in ambito umano. Un ulteriore aspetto della brevettabilità biotecnologica è la critica economica e politica rivolta al modello economico all’interno del quale il brevetto ha origine e trova il suo luogo naturale e al fatto che la maggior parte dei brevetti vengano detenuti da società ed imprese multinazionali determinando in tal modo una nuova forma di colonialismo commerciale nei confronti dei paesi emergenti e del Sud del mondo - un colonialismo biologico e genetico definito bio-pirateria. Divenendo molte delle risorse genetico-biologiche sia vegetali che animali di tali paesi oggetto di brevetto da parte delle multinazionali occidentali, secondo alcuni teorici verrebbe a porsi l’esigenza di una revisione dell’istituto brevettuale alla luce dei principi della democrazia e della giustizia internazionale.

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