Gioielli, Rossella (2011) Initial Public Offering: dal valore economico al market value delle società neoquotate. [Tesi di dottorato] (Inedito)

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Tipologia del documento: Tesi di dottorato
Lingua: Italiano
Titolo: Initial Public Offering: dal valore economico al market value delle società neoquotate
Autori:
AutoreEmail
Gioielli, Rossellarossella.gioielli@unina.it
Data: 30 Novembre 2011
Numero di pagine: 156
Istituzione: Università degli Studi di Napoli Federico II
Dipartimento: Economia aziendale
Scuola di dottorato: Scienze economiche e statistiche
Dottorato: Scienze aziendali
Ciclo di dottorato: 24
Coordinatore del Corso di dottorato:
nomeemail
Caldarelli, Adeleacaldare@unina.it
Tutor:
nomeemail
Caldarelli, Adeleacaldare@unina.it
Data: 30 Novembre 2011
Numero di pagine: 156
Parole chiave: IPO; Market value; Underpricing
Settori scientifico-disciplinari del MIUR: Area 13 - Scienze economiche e statistiche > SECS-P/07 - Economia aziendale
Depositato il: 05 Dic 2011 14:39
Ultima modifica: 15 Lug 2015 01:00
URI: http://www.fedoa.unina.it/id/eprint/8858

Abstract

Il tema della valutazione d’azienda, nella prospettiva di tutti i finanziatori e in quella dei soli azionisti, è stato oggetto di numerosi studi in ambito accademico e professionale. La rilevanza e l’attualità del tema deriva dalla considerazione che la stima del valore aziendale è un momento fondamentale nella vita di un’impresa condizionandone le scelte sia strategiche che operative. Altra circostanza che rende il tema quanto mai attuale, anche alla luce della crisi dei mercati finanziari degli ultimi anni, è che la valutazione dei fondamentali d’impresa dovrebbe essere alla base del prezzo delle sue azioni sui mercati regolamentati. Si utilizza il condizionale in ragione della sempre minore relazione esistente tra il valore dei fondamentali d’impresa e la sua quotazione di borsa. Questo fenomeno, di sicuro non recente, può avere diverse cause generatrici in gran parte riconducibili alle asimmetrie informative determinate dalle imperfezioni del mercato che fanno sì che il market value si discosti, in misura significativa dal valore intrinseco (fondamentale) e talvolta anche da quello di prima emissione sul mercato regolamentato (prezzo di IPO). In un mercato inefficiente, in cui sono presenti asimmetrie informative tra gli operatori, valore intrinseco, valore di emissione e prezzo di mercato possono divergere e scostarsi - in positivo o in negativo - dal true value obiettivo. Il primo, il valore intrinseco, riflette i fondamentali aziendali ovvero le performance reddituali e finanziarie e la credibilità e sostenibilità del business; il secondo, il valore di emissione, è il risultato di un processo dialettico di combinazione tra gli interessi dei vari attori che partecipano alla quotazione; per ultimo il prezzo di mercato è risultato dell’incontro tra la domanda e l’offerta di borsa sul titolo oggetto di valutazione. Valore intrinseco, prezzo di emissione e prezzo di mercato coincidono solo in presenza di mercati perfetti e perfettamente efficienti. La constatazione secondo cui le quotazioni di borsa in talune fasi di mercato non siano in grado di esprimere un fair market value, si scontra, però, con l’approccio prevalente nella 5 pratica valutativa di molti operatori professionali che vedono nei prezzi di mercato un imprescindibile riferimento per la determinazione del valore di ogni azienda. Tali professionisti anche quando il mercato esprime quotazioni inequivocabilmente disallineate rispetto ai fondamentali dell’impresa, non accettano l’idea di poter stimare il valore aziendale prescindendo dai prezzi di borsa. Il risultato è che questi analisti inseguono con le loro valutazioni la dinamica dei prezzi, in luogo di anticiparla, come invece ogni buona ai prezzi è una convinzione così radicata da richiedere un approfondimento. John Maynard keynes ha affermato “ Non c’è niente di più pericoloso della ricerca di una strategia di investimento razionale in un mondo irrazionale”. Keynes non fu l’unico a credere che la ricerca del vero valore basata sui fondamentali finanziari fosse un’attività priva di significato in mercati in cui i prezzi spesso non sembrano seguire una dinamica razionale. Sono sempre esistiti investitori nei mercati finanziari convinti che i prezzi di mercato fossero determinati dalle percezioni, giuste o errate, dei compratori e dei venditori, e non invece da fattori banali come flussi di cassa o utili. In molti concordano sull’importanza delle percezioni ma di sicuro non è condivisibile che questo sia l’unico elemento importante alla base delle decisioni degli investitori. È possibile stimare il valore a partire dai fondamentali finanziari per la maggior parte delle attività e pertanto il prezzo di mercato non può deviare da questo valore nel lungo periodo. La tesi affronta il tema delle valutazioni d’azienda connesse all’offerta pubblica iniziale, evidenziando come dal processo di valutazione finalizzato alla misurazione del valore economico del capitale, si giunga ad una singolare configurazione di valore: il prezzo di mercato del titolo azionario. In particolare, ci si soffermerà sull’evoluzione del concetto di valore nell’ambito degli studi di ragioneria ed economia aziendale, sulle modalità di determinazione del capitale economico, per poi indagare sulle cause delle anomalie connesse alla fissazione del price e del successivo andamento del titolo neo quotato. Una “regola” storicamente molto seguita è che la fissazione del prezzo di emissione consenta, almeno nella fase iniziale, una positiva performance del titolo: da ciò la necessità di 6 una sistematica sottovalutazione dei titoli emittenti (underpricing) seppur contenuta entro limiti ragionevoli. Sul piano storico, la regola dell’underpricing è sistematicamente applicata in tutti i principali paesi. Ciò implica l’adozione di criteri applicati con prudenza, ma sostanzialmente sempre in linea con le pratiche valutative tipiche degli operatori finanziari, ai quali competono l’organizzazione e il successo del collocamento. Così per esempio, il ricorso ai tipici moltiplicatori di società comparabili o di transazioni comparabili avviene su livelli più ridotti rispetto ai livelli medi correnti. L’aspetto sul quale si intende focalizzare l’attenzione nel seguito è che il prezzo stabilito per l’offerta è solo in prima battuta il frutto di una valutazione realizzata dallo sponsor dell’operazione o dal financial advisor che assiste l’impresa e gli azionisti di controllo. Successivamente tale stima viene aggiustata attraverso una serie di contatti con i grandi investitori che assicurano il collocamento dei titoli. Si tratta dunque di un valore negoziato tra più parti e quindi di un prezzo. La presenza nella fase valutativa, che precede la scelta finale di prezzo, sia di stime relative a mezzo di moltiplicatori, sia di stime assolute, è fuori discussione. Se così non fosse, il processo valutativo risulterebbe certamente carente. Ma qui viene in luce un’uniformità tanto evidente quanto spesso negletta: il fatto cioè che la valutazione relativa è tipicamente orientata da considerazioni di breve termine e perciò contingenti, mentre quella assoluta, sempre basata sui flussi reddituali (o di cassa) attesi nel medio-lungo termine, è orientata da considerazioni che guardano anche lontano nel tempo e perciò meno influenzate da fatti e opinioni contingenti. Le conseguenze che ne derivano confrontando, per esempio, valutazioni relative con valutazioni assolute sono: in periodi di euforia dei mercati finanziari, le valutazioni assolute tipicamente sono inferiori a quelle relative. Questo accade perché in queste ultime si trasfonde l’ottimismo e l’euforia pro tempore del mercato (che si traduce, sul piano quantitativo, in uno specifico paradigma di mercato, valido in quel momento). Le valutazioni assolute sono invece 7 superiori a quelle relative in periodi di depressione dei mercati finanziari e questo ovviamente accade per le ragioni opposte. Il divario è influenzato dal fatto che, almeno in Europa, le IPO avvengono spesso senza che gli azionisti di riferimento sacrifichino il controllo della società. Le stime assolute basate sia sul capitale economico sia sui valori potenziali prescindono, ovviamente da tale circostanza, mentre i multipli di società comparabili, basati sulle quotazioni borsistiche, ne tengono conto. Questo fatto svolge una funzione di contenimento del divario nella fase dell’euforia e lo esalta nella fase depressiva. Le stime finalizzate alla definizione dei prezzi che accompagnano le offerte pubbliche iniziali, di vendita o di sottoscrizione, si collocano quindi in uno spazio a due dimensioni, definite l’una dal valore economico del capitale dell’impresa e l’altra dalla disponibilità del mercato a riconoscere quell’apprezzamento nel particolare periodo considerato. Dal valore economico del capitale discende perciò una particolare figura di valore di scambio, che tiene conto dei criteri di valutazione degli operatori nel particolare contesto. In linea di principio, una società da avviare alla quotazione può essere valutata con un qualsiasi procedimento generale di stima, di tipo assoluto o relativo. La limitata conoscenza da parte degli analisti e la difficoltà da parte loro di formulare autonome proiezioni inducono tuttavia a lasciare spazio a stime comparative basate su altri casi recenti di presentazione al mercato, ancorché talora di contenuto eterogeneo. Tale asimmetria informativa spesso si traduce nella richiesta da parte degli investitori del cosiddetto “sconto IPO”. A volte opera in questo senso anche la volontà di massimizzare la percentuale del capitale collocato. Nel caso di offerte pubbliche volontarie di acquisto, l’acquirente dovrebbe essere razionalmente sospinto dal valore potenziale di acquisizione della società target. Il prezzo offerto per contanti di regola contiene un premio rispetto alle più recenti quotazioni, il cui contenuto deve peraltro essere indagato. Da un lato infatti può rappresentare solo una rettifica di una temporanea contrazione del valore di mercato delle società, che l’offerta può riportare maggiormente in linea con il valore economico del capitale. Dall’altro il prezzo può contenere un vero e proprio premio strategico per il controllo, e dunque andare oltre il predetto valore economico. Le valutazioni relative ad offerte pubbliche iniziali, di vendita o di sottoscrizione devono fare riferimento al valore economico del capitale della società quotanda, derivandone 8 tuttavia un valore di offerta accettabile dagli investitori alla luce delle condizioni di incrocio della domanda e dell’offerta, osservate in situazioni analoghe nel particolare periodo considerato. La valutazione relativa ad offerte pubbliche volontarie di acquisto sono ispirate, da lato del soggetto proponente, al valore di acquisizione della società target. Dal lato dei soci di quest’ultima deve essere sottoposto ad analisi il premio offerto rispetto al valore corrente di mercato dei titoli azionari, al fine di verificare la congruità della proposta rispetto al valore economico del capitale della società stessa e l’eventuale presenza di un effettivo premio strategico per il controllo. Nel caso delle offerte pubbliche di scambio i giudizi non possono prescindere da una valutazione con criteri omogenei anche delle contropartite prospettate. Va comunque ricordato, a proposito di tutte le operazioni che nella sostanza comportano uno scambio che la congruità della proposta attiene all’equilibrio dei rapporti fra le parti. La sua convenienza economica è invece legata alle prospettive di creazione di valore che l’operazione offre, in merito alle quali dovrebbero essere fornite ai soci deliberanti adeguate informazioni.

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