Vladovich Relja, Marco (2016) Famiglie ducali e forme di potere a Napoli e a Gaeta nel secolo X. [Tesi di dottorato]

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Tipologia del documento: Tesi di dottorato
Lingua: Italiano
Titolo: Famiglie ducali e forme di potere a Napoli e a Gaeta nel secolo X
Autori:
AutoreEmail
Vladovich Relja, Marcomarco.vladovich@gmail.com
Data: 31 Marzo 2016
Numero di pagine: 175
Istituzione: Università degli Studi di Napoli Federico II
Dipartimento: Studi Umanistici
Scuola di dottorato: Scienze storiche, archeologiche e storico-artistiche
Dottorato: Storia
Ciclo di dottorato: 28
Coordinatore del Corso di dottorato:
nomeemail
Rao, Anna Mariaannamrao@unina.it
Tutor:
nomeemail
Delle Donne, Roberto[non definito]
Loré, Vito[non definito]
Meriggi, Marco[non definito]
Data: 31 Marzo 2016
Numero di pagine: 175
Parole chiave: Napoli, Gaeta, ducati, tirrenici, publicum
Settori scientifico-disciplinari del MIUR: Area 11 - Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche > M-STO/01 - Storia medievale
Depositato il: 10 Apr 2016 17:05
Ultima modifica: 07 Nov 2016 10:46
URI: http://www.fedoa.unina.it/id/eprint/11053

Abstract

A Napoli, negli anni ’40 del secolo IX sale al potere una nuova dinastia che sembra essere espressione dei potentati locali, nello specifico della militia napoletana, la classe di combattenti che difende il piccolo ducato dalle istituzioni longobarde dell’entroterra. Sergio I, infatti, da quanto ci riferiscono le fonti cronachistiche, di ritorno da una missione diplomatica fu acclamato duca dalla militia stessa. A Gaeta la situazione è differente e l’origine della famiglia docibilea resta poco chiara: si è ipotizzato che essa derivasse dal mondo mercantile, come dall’aristocrazia locale o da quella guerriera napoletana. Nell’867, infatti, troviamo Docibile I al potere senza che di lui si abbiano notizie precedenti: alla sua prima apparizione in una carta scritta si presenta con il titolo di prefetturio, fino a quel momento mai incontrato nella documentazione gaetana. I componenti della precedente dinastia gaetana si fregiavano, invece, del titolo di “ipati”. Tale titolo fu assunto da Docibile e dal figlio Giovanni certamente a partire dall’890. I Docibili resteranno alla guida di Gaeta e del territorio circostante per oltre un secolo e mezzo; inoltre, a partire dagli anni ’30 del X, con Docibile II, acquisiranno il titolo di duca di cui si fregeranno per il resto della loro storia. A Napoli, invece, il titolo di dux, fino al secolo IX accompagnato da quello di magister militum che riapparirà nella documentazione solo nel secondo quarto dell’XI, risale all’invasione longobarda alla fine del VI. La sua origine deriva dalla struttura militare esarcale di quel periodo, come, d’altronde, molti dei titoli che incontriamo nella documentazione napoletana dei secoli IX e X: tribuni, prefecturi, comites. Questi titoli, però, che erano stati propri degli ufficiali dell’efficiente macchina amministrativo-militare bizantina, quasi certamente ormai sono divenuti puramente onorifici. La documentazione, infatti, non ci consente di teorizzare, ancora in questo periodo, una corrispondenza tra titolo e carica all’interno di un apparato istituzionale o militare. Se non di origine esarcale, sicuramente di derivazione bizantina sono anche altri titoli napoletani del secolo X: senatores, spatari, magnifici. In entrambe le città studiate le famiglie ducali ricorrono, per la conservazione del proprio ruolo, all’associazione al potere, da parte del duca in carica, di un proprio parente, normalmente il figlio primogenito. Mentre a Napoli queste associazioni manterranno nella grande maggioranza dei casi la formula padre-figlio, a Gaeta assumeranno, con il secolo XI, delle forme peculiari con diversi parenti contemporaneamente al potere. Caso emblematico in questo senso è quello della duchessa Emilia. Altro punto in comune tra Sergi e Docibili è la politica filo-saracena della seconda metà del secolo IX. Il ducato napoletano, ai tempi del vescovo-duca Attanasio II e grazie ai mercenari islamici, riuscirà non solo a garantire la propria difesa ma anche a portare avanti un’aggressiva politica ai danni del nemico longobardo che riporterà la regione settentrionale del ducato, la Liburia, sotto totale controllo napoletano. Per i Docibili, invece, il ricorso ai Saraceni come forza armata mercenaria significò la salvezza dell’indipendenza gaetana, minacciata verso la fine degli anni ’70 e i primi ‘80 dalle truppe del conte di Capua Pandolfo, inviate per ordine del pontefice. Le forze saracene, inoltre, ribaltando le sorti del conflitto con il papa a favore dei Docibili, consentirono a questi ultimi di imporre le loro condizioni al termine dello scontro e di ottenere così beni mobili e immobili pontifici. Di questi doveva di certo far parte il patrimonio di Fondi e Traetto, da cui derivano le terre pubbliche – il publicum – studiate nel secondo capitolo. Infatti, è molto probabile che, sfruttando le vicende politiche legate alla guerra anti-saracena voluta dal pontefice Giovanni VIII, Docibile I fosse riuscito, a partire di certo dall’890 forse già dall’877 o 879, a farsi affidare dal pontefice, con l’attribuzione della carica di rector, la gestione del patrimonio papale di Fondi e Traetto. La proprietà dei fondi restava al pontefice e i Docibili, in quanto rectores, quindi beneficiari di terre del patrimonio papale, dovevano probabilmente versare un tributo annuale per la gestione di queste terre, come sembra facessero i loro predecessori. Dagli anni iniziali del secolo X – forse proprio dal 915 con la battaglia del Garigliano – da un controllo strategico dei possedimenti pontifici, i Docibili passano a un vero e proprio possesso di questi. È probabile che dinanzi a una realtà di fatto, che li vedeva come gli effettivi proprietari dei terreni, il pontefice Giovanni X, promotore di una lega anti-saracena destinata ad avere maggiore successo rispetto a quella del predecessore Giovanni VIII, avesse stabilito di cedere anche formalmente il patrimonio di Fondi e Traetto a Giovanni I e Docibile II in cambio di una loro partecipazione attiva nel conflitto contro i saraceni del Garigliano. Grazie a questo patrimonio, distinto da quello detenuto a titolo privato, la famiglia docibilea può disporre d’ingenti ricchezze: è così che tali terre divengono d’importanza strategica per la conservazione del potere. I Docibili porranno, almeno fino all’ultimo quarto del secolo X, una particolare attenzione all’alienazione di queste proprietà fondiarie. Anche a Napoli troviamo delle terre pubbliche ma qui la loro funzione e il loro utilizzo sembrano essere meglio documentati: sono terre militari poste lungo i confini del ducato e finalizzate al sostentamento degli armati, la militia napoletana. Benché non sia possibile affermare con certezza quale sia l’origine di queste terre – bizantina o longobarda – sembra certo che furono istituite nel corso del VII secolo. Ancora nel X troviamo lungo tutte le frontiere ducali evidenze di terre militari con i particolari istituti che le contraddistinguono. Molte delle terre di pertinenza delle forze armate, per lo più concentrate nella regione settentrionale del ducato, la Liburia, sono condivise dalla militia napoletana con l’esercito longobardo. Su questi fondi vige l’istituto della tertia e vivono spesso dei coltivatori di statuto servile, i tertiatores. Una delle prime testimonianze della tertia è presente nei Capitolari di Arechi, databili al 784 - 787, nei quali si cerca di regolamentare la concessione a terzi delle terre militari condivise tra napoletani e longobardi. I concessionari, qualora ci fosse stato l’accordo tra le due parti, avevano diritto a entrare in possesso di un terzo del bene, gli altri due terzi restavano di pertinenza, rispettivamente, della militia napoletana e dell’esercito longobardo. La tertia sopravviverà a lungo: abbiamo testimonianze relative ad essa ancora alla metà del secolo XI. Le fonti, però, ci restituiscono un quadro estremamente complesso e difficilmente inquadrabile a proposito di quest’istituto, che sembra essere particolarmente mutevole, subire alterazioni nel corso del tempo e discostarsi molto dalle disposizioni dei Capitolari di Arechi. Molto probabilmente, infatti, i concessionari della tertia, nel periodo di nostro interesse, ricevevano non più un terzo del bene, bensì un terzo delle rendite da esso generate. I tertiatores risultano essere, invece, dei coltivatori di statuto servile fundati – insediati – sulle terre militari. Le condizioni giuridiche a cui sono sottoposti, sono ben enunciate in alcuni articoli del pactum di Sicardo. Il termine sparisce dalle fonti già alla metà del secolo IX, eppure, troviamo coltivatori sottoposti a uno statuto giuridico molto simile fino alla metà dell’XI. Nella documentazione continuano a persistere tracce di terre militari fino al 1050 circa, è molto probabile, però, che esse sparissero già nella seconda metà del secolo X, avendo di fatto perso del tutto la loro funzione: sostenere le forze armate. Infatti, questo tipo di fondi di pertinenza militare era quasi certamente funzionale a un esercito pubblico – probabilmente composto da coscritti – che aveva una struttura bipartita in truppe equestri e pedestri. Sembra coerente ipotizzare che le terre militari servissero al sostentamento della fanteria, data la parallela scomparsa dalle fonti delle prime come della seconda alla metà del secolo X. In questo periodo, per un fenomeno che investe tutta la penisola italiana, l’elemento pedestre sparisce dalle forze armate, si afferma invece un esercito di cavalieri professionisti provenienti dall’aristocrazia locale e uniti da legami personali con i duchi. Nell’amministrazione della giustizia, infine, riscontriamo similitudini e difformità tra le testimonianze processuali di ambito gaetano e quelle di ambito napoletano. Abbiamo visto, infatti, che in entrambe le città troviamo come strumento di composizione delle liti, oltre ai processi, degli accordi extragiudiziali probabilmente condotti da arbitri privati. Per entrambi i ducati, delle varie fasi del processo non è rimasta traccia scritta – probabilmente non era uso trascrivere le singole fasi – ad eccezione forse dell’esito finale che veniva trascritto a posteriori. Quelli che probabilmente sono da considerarsi atti processuali, o che comunque trascrivono l’esito del giudizio erano quasi certamente redatti a posteriori./Nella documentazione di entrambi i ducati, troviamo dei testi che citano i processi e sembrano riportarne l’esito. Ad eccezione di questi non abbiamo altre testimonianze scritte per le altre fasi del processo. Sia a Napoli che a Gaeta sono sostanzialmente due le tipologie di documento rimaste: le chartule securitatis e le chartule convenientia. Le prime riportano sempre la vittoria di una parte sull’altra e sembrano essere, se non una fase del processo, quanto meno la sua trascrizione. Le seconde, invece, testimoniano un accordo tra le parti e solo in alcuni casi sembrano essere redatte a seguito di un processo. Le divergenze tra le due città, invece, riguardano soprattutto l’amministrazione dei processi. A Gaeta, la quasi totalità delle dispute giudiziarie è presieduta dai duchi, mentre a Napoli solo in due testimonianze i Sergi appaiono in veste di giudici. Ciò potrebbe essere dovuto alla presenza, nel ducato napoletano, di funzionari preposti all’amministrazione della giustizia, che probabilmente costituivano una vera e propria struttura chiamata a tale compito. Le fonti, infatti, in alcuni casi ci indicano/ci parlano di iudices publici a presiedere i giudizi. Tale definizione – così come il semplice termine iudex – non è presente nella documentazione del Codex Diplomaticus Cajetanus relativa all’arco cronologico di nostro interesse, ad eccezione di due carte che risentono, però, di influenze longobarde.

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