Cannovo, Nunzia (2010) Le BIOBANCHE: aspetti normativi, etici e medico-legali. [Tesi di dottorato] (Inedito)

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Tipologia del documento: Tesi di dottorato
Lingua: Italiano
Titolo: Le BIOBANCHE: aspetti normativi, etici e medico-legali
Autori:
AutoreEmail
Cannovo, Nunziadrncannovo@libero.it
Data: 29 Novembre 2010
Numero di pagine: 118
Istituzione: Università degli Studi di Napoli Federico II
Dipartimento: Filosofia "Antonio Aliotta"
Scuola di dottorato: Scienze filosofiche
Dottorato: Bioetica
Ciclo di dottorato: 23
Coordinatore del Corso di dottorato:
nomeemail
Lissa, Giuseppelissa@unina.it
Tutor:
nomeemail
Buccelli, Caludiobuccelli@unina.it
Data: 29 Novembre 2010
Numero di pagine: 118
Parole chiave: biobanche, dati genetici, garante, materiale biologico
Settori scientifico-disciplinari del MIUR: Area 06 - Scienze mediche > MED/43 - Medicina legale
Depositato il: 02 Dic 2010 10:42
Ultima modifica: 30 Apr 2014 19:45
URI: http://www.fedoa.unina.it/id/eprint/8177

Abstract

Nel passato la ricerca scientifica si basava sul paradigma “basic research to translational/clinical research”; mentre l’approccio rivoluzionario degli ultimi anni è caratterizzato dallo valutazione clinica della patologia per poi passare alla ricerca molecolare ed infine verificare sempre a livello clinico i dati di laboratorio. Lo scopo della moderna medicina è di arrivare ad un target molecolare di tumori per poi ricercare una terapia specifica, ossia di stratificare i sottotipi neoplastici e di trovare per ognuno una cura specifica, rivoluzionando il vecchio concetto di trattamento antineoplastico, dove ad un farmaco corrispondevano vari istotipi. In altri termini, si ha l’ambizione di passare da uno studio riduttivistico (gene per gene) ad uno olistico (patway del gene) per ricercare farmaci “intelligenti” cioè che modifichino l’espressione di una funzione cellulare etc. Tutto questo si traduce nella necessità di studiare i segnali delle cellule e quindi i tessuti dove esse si trovano. E’ intuitivo che collezionare materiale biologico sarà la base da cui partirà la nuova Medicina per ottenere i risultati tanto agognati. Chi avrà più materiale su cui studiare potrà giungere prima a risultati concreti. L’Italia è già la cenerentola degli studi di Fase I in Europa e non brilla per la realizzazione di biobanche, benché i campioni conservati presso le strutture di anatomia patologica siano cospicui; a fronte di ciò vi è la diffusa tendenza del nostro paese di rientrare in trials clinici internazionali che presentano studi ancillari di farmacogenetica, per i quali i campioni tessutali devono, di sovente essere trasferiti all’estero con un impoverimento evidente del nostro patrimonio scientifico. Il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB), già dal 2006, auspica che in Italia vengano preliminarmente censite le collezioni di materiale biologico e le banche dei tessuti, già oggi esistenti nelle strutture pubbliche e private, e venga possibilmente istituito un Registro Nazionale. Partendo da questo suggerimento, questa ricerca ha posto l’accento sulla conservazione di materiale biologico a fini di ricerca, esulando le biobanche deputate alla conservazione di organi per trapianti, di embrioni, spermatozooi od ovociti per la riproduzione medicalmente assistita, disciplinate da specifici riferimenti normativi. Le definizioni Con lo sviluppo delle nuove tecnologie, i cosiddetti “scarti operatori”, cioè il materiale biologico prodotto durante le operazioni chirurgiche, sono divenuti ambite fonti di informazioni biologiche e genetiche, tanto da realizzare una nuova “corsa all’oro”, per usare la metafora di Doroty Nelkin. In effetti le biobanche sono al centro del processo di collezione di campioni biologici umani per le ricerche traslazionali ed hanno già contribuito a numerose scoperte per il trattamento di differenti patologie. Le biobanche sono una collezione di campioni biologici (tessuti, sangue, liquidi biologici, raccolti durante le procedure di diagnosi e/o di terapia e/o nell’ambito di ricerche cliniche) ed esse sono associate a dati clinici e di esito. Generalmente i campioni sono raccolti in strutture pubbliche da pazienti che afferiscono al Sistema Sanitario Nazionale. Le biobanche sono disegnate ed usate sia per supportare lo studio clinico di una determinata patologia (es. cd biobanche cliniche come quelle presenti nei Servizi di Anatomia Patologica), sia per lo scopo primario di fare ricerca preclinica (cd research biobanks). In effetti, si tende a fare un’ulteriore differenziazione in base al disegno ed allo scopo delle biobanche partendo proprio dall’origine dei campioni, quindi avremo le cd biobanche cliniche, nate per supportare lo studio clinico di una determinata patologia (es. quelle presenti nei Servizi di Anatomia Patologica), nonché le cd research biobanks, il cui scopo primario è di fare ricerca preclinica. In relazione a quest’ultima fattispecie si riconosce una ulteriore classificazione in: -biobanche di popolazione (di cui abbiamo precedentemente parlato); -biobanche focalizzate su una malattia; -biobanche informali associate con piccoli o grandi studi; -biobanche relative alla ricerca di base di malattie; -biobanche quale studi ancillari dei trials clinici. In generale il loro utilizzo necessita di un piano di ricerca che deve essere approvato da un IRB/Comitato etico e l’attività di collezionamento presuppone il consenso del paziente. Invece, per biolibrary si intende una collezione che ingloba tutte le forme di biobanche ed i loro utilizzatori (ricercatori traslazionali) con accesso ai campioni biologici. Una biolibrary si differenzia dalla biobanca in quanto il suo primario interesse è limitato all’acquisizione, catalogazione e distribuzione dei biocampioni alle biobanche, mentre queste ultime si occupano del processo di campionamento e dell’annotazione dei dati relativi al donatore nonché nella conservazione a lungo termine. Il management di una biobanca Il Best Practice Guidelines for BRCs, edito dall’OCSE, fornisce le regole operative per l’attività di raccolta e conservazione del materile biologico; inoltre fissa gli standard qualitativi che devono seguire le strutture di raccolta (biorepositaries). Un altro contributo in tal senso è rappresentato dalle Linee guida per l’istituzione e l’accreditamento delle biobanche, redatto dal gruppo di lavoro istituito presso il Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie. Numerosi sono i pronunciamenti europei in tema, direttamente o indirettamente, di biobanche. La Direttiva europea 2004/23 del 31 marzo 2004 e la successiva 2006/17 hanno introdotto e chiarito che devono essere adottate tutte le misure necessarie ad assicurare la tracciabilità dei tessuti e delle cellule donate, anche attraverso l’attribuzione di uno specifico codice alla donazione ed al prodotto ad essa associato. Il Decreto ministeriale delle Attività Produttive del 26 giugno 2006 ha introdotto le procedure per la certificazione delle Biobanche come Centri di Risorse Biologiche (CRB). La Direttiva 98/44/CE traccia i confini della brevettabilità dei materiali biologici, intendendo per essi il corpo umano nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo, fino ai suoi elementi, “ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene” (art. 5, comma 1); tuttavia, un elemento isolato o “diversamente prodotto, mediante un procedimento tecnico” può “costituire un’invenzione brevettabile, anche se la struttura di detto elemento è identica a quella di un elemento naturale”(art.5, comma 2). La proprietà dei bio-campioni Il tema della proprietà dei tessuti asportati ad un paziente è centrale per determinare l’assetto delle biobanche. La vicenda Moore, più di venti anni fa, calamitò prepotentemente l’attenzione su un aspetto del tutto nuovo della ricerca. In generale, il mondo giuridico ritiene che i componenti corporei riproducibili, la cui privazione non intacca l’integrità fisica di un soggetto, possano essere considerati “commerciabili” (es. capelli). Questa asserzione, non è comunque, valida sempre, poiché il midollo spinale o il sangue, rinnovabili, prelevati a scopo di trapianto, di sicuro non sono considerati beni disponibili ed il loro donatore non può avanzare alcun diritto su di essi. Per ciò che concerne parti del corpo prelevate a fini diagnostico-terapeutici, la situazione è ancora più complessa. Prima dell’avvento delle attuali tecniche di indagine genetica, la stragrande maggioranza dei campioni prelevati durante un intervento chirurgico diveniva “rifiuto sanitario pericoloso”, mentre ora possono essere conservati e studiati. Per alcuni Autori, nell’atto stesso del distacco di una parte dal corpo (escissione o ablazione), il campione di tessuto derivato assume la natura di bene mobile disponibile (art. 810 cc) sempre nei limiti tracciati dall’art. 5 cc., restando comunque di proprietà del paziente. Per altri, invece, il campione sarebbe equiparabile a res nullius, il cui unico destino è il derelictio, salvo che qualcuno decida di impossessarsene (adprehensio). Secondo un’interpretazione estensiva dell’art. 2576 cc, il soggetto è proprietario anche del suo substrato biologico, così come lo è per i risultati del suo ingegno. L’art. 21 della Convenzione di Oviedo afferma che il divieto di trarre profitto dal corpo o dalle sue parti; sicché ad una interpretazione radicale di questo principio, si esclude la possibilità di accampare diritti patrimoniali sul corpo umano e sui tessuti che lo costituiscono, mentre, volendo essere più permissivi, il “principio di gratuità esprimerebbe il mero divieto di disporre di una parte staccata del corpo umano a titolo oneroso, laddove la regola dell’extra-patrimonialità andrebbe intesa come regola di organizzazione del sistema di circolazione dei diritti sul corpo, atta a salvaguardare i soggetti coinvolti, garantendo la libertà e la spontaneità delle donazioni”. La soluzione non è, tuttavia, facile, perché il rapporto di proprietà sottende ad una serie di diritti e facoltà (diritto di godere e di disporre, diritto di escludere terzi dal godimento del bene, diritto di trasferimento etc) che devono potersi ritenere sussistenti per godere a pieno della proprietà di una cosa; ciò chiaramente è improponibile con i campioni biologici, che sono considerati beni extra commercium, incedibili a titolo oneroso, per evitare la lesione della dignità umana. Secondo i giuseconomisti il fatto stesso che la disponibilità di una “cosa” avvenga al di fuori del mercato, rende il diritto di proprietà senza un contenuto ontologico. La situazione si complica nel momento in cui analizziamo il valore del campione biologico in sé, ossia la qualità e quantità di informazioni che possa dare. La visione smaterializzata dei tessuti umani introduce nuovi diritti, quali quello di riservatezza e di autodeterminazione, facendoci spostare dal piano del property rights a quello dei diritti della personalità. Sempre i giusnaturalisti ritengono che sia inutile riconoscere un diritto di proprietà a coloro, i pazienti- i quali non avrebbero le capacità per utilizzare in modo efficace un “bene”. Né tuttavia, può proporsi un diritto di proprietà dei ricercatori, i quali potrebbero farsi sedurre da vantaggi economici e rendere così note informazioni riservate dei donatori dei campioni biologici studiati. La Regolamentazione Internazionale e la situazione italiana Il tema del genoma umano è stato affrontato in termini di rispetto della dignità e dei diritti fondamentali della persona da numerosi documenti internazionali, come le Raccomandazioni del Consiglio d'Europa sui dati e sui test genetici, la Convenzione sui Diritti Umani e la Biomedicina del 1997, la Dichiarazione Universale sul Genoma e i Diritti Umani dell'UNESCO del 1997 la Carta dei diritti fondamentali dell'UE del 2000 ed alla direttiva n. 2004/23/Ce del 31 marzo 2004, il Codice di condotta dell'Organizzazione internazionale del lavoro sulla protezione dei dati personali dei lavoratori del novembre 1996, la Dichiarazione di Helsinki dell'Associazione medica mondiale (giugno 1964 e successive modificazioni), il Documento di lavoro sui dati genetici adottato il 17 marzo 2004 dal Gruppo per la tutela delle persone con riguardo al trattamento dei dati personali. L’Italia non ha una normativa ad hoc sulle biobanche, sicché bisogna ricorrere alla Raccomandazione R (2006) 4. Solo il provvedimento del Garante 2007 (prorogata nell’efficacia il 30/06/10), pur se non finalizzato a disciplinare la ricerca genetica, prospetta delle indicazioni ben precise in merito alla protezione dei dati personali formalizzando sostanzialmente tutti i passi necessari per addivenire ad una corretta sperimentazione con materiale genetico. Il trattamento dei dati genetici è di regola consentito solo dopo aver acquisito il consenso scritto dell'interessato e dopo aver informato puntualmente quest'ultimo sugli specifici scopi perseguiti, sul suo diritto di opporsi al trattamento, sui risultati che si intendono conseguire e sul periodo di conservazione dei dati e dei campioni biologici. Inoltre, il soggetto ha il diritto di non voler conoscere i risultati dell'esame (comprese le eventuali "notizie inattese" che lo riguardano) e a revocare il consenso in qualsiasi momento. Aspetti Etico-Deontologici e Medico-Legali Il processo di acquisizione del consenso relativo all’uso dei bio-campioni per la ricerca si è tradizionalmente svolto in tre steps, permesso al contatto, intervista preliminare per accertare l’interesse, discussione finalizzata all’acquisizione del consenso con firma del modulo di consenso. La Dichiarazione sui dati genetici umani dell’UNESCO stabilisce che i dati genetici possono essere raccolti ed utilizzati solo dietro preventivo consenso del donatore. Anche la Convenzione di Oviedo, all’art. 11, detta che la raccolta, lo stoccaggio e l’utilizzo di tessuti umani a fini di ricerca possono essere effettuati solo con il consenso informato del soggetto al quale sono stati prelevati, tenendo ben presente il monito che non si possano trarre vantaggi economici dal corpo e dalle sue parti (art. 21). La Raccomandazione R (2006) 4 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa prevede la necessità di ottenere il consenso informato dell’avente diritto proponendo un format ad hoc. Qualora si intenda utilizzare i campioni in dotazione con ricerca che esulano i limiti del consenso precedentemente espresso dall’avente diritto, non potendo però ricontattare gli interessati, nonostante si compiano ragionevoli sforzi per far ciò (art. 22), il materiale biologico può essere impiegato, secondo la Raccomandazione, solo se sono soddisfatti i seguenti requisiti: 1. la ricerca è finalizzata ad un importante scopo scientifico; 2. il risultato della ricerca non possa essere ottenuto utilizzando materiali biologici per i quali il consenso sia già stato ottenuto; 3. non esista alcun elemento tale da lasciar presumere che la persona coinvolta si sarebbe espressamente opposta a tale tipo di ricerca. Chiaramente, il donatore può revocare il consenso prestato o negare il permesso all’utilizzo del campione di sua derivazione in ogni momento. Nel caso di materiale non più identificabile, è possibile effettuare ricerche aggiuntive solo se queste sono in linea con le eventuali restrizioni poste dal donatore in sede di prelievo. I tessuti raccolti nelle biobanche possono essere utilizzati per acquisire informazioni relative allo stato di salute del soggetto, al grado di predisposizione a determinate malattie, di qui la possibilità di utilizzare tali conoscenze per ledere la privacy o vessare con discriminazioni il titolare di tale patrimonio genetico. Tali peculiarità hanno dato vita a quel filone culturale conosciuto in letteratura come genetic exceptionalism, secondo il quale, per le intrinseche caratteristiche del patrimonio genetico, tutte le informazioni reperite sul DNA devono essere particolarmente tutelate e costituirebbero una categoria separata dalle comuni informazioni deducibili da un’approfondita anamnesi familiare. Il DNA, infatti, costituisce “il patrimonio più profondo ed essenziale della persona umana” , perché è condiviso con altre persone della nostra stirpe; potrebbe predire futuri eventi o la possibilità che essi accadano; può essere facilmente ottenibile; può essere interessante per terze persone (es. assicurazioni, datori di lavoro). Murray lo definisce un “future diaries”, perché entra nell’intimità di un individuo, mentre Troy preferisce considerarlo un “blueprint”, perché molte delle informazioni sono in comune con gli altri e quindi non necessitano di un grado elevato di protezione. Simili osservazioni, che possono essere considerate banali, hanno suscitato un ostruzionismo senza precedenti nei confronti dell’impiego di informazioni genetiche (specie in ambito assicurativo oppure occupazionale). Il ruolo dei Comitati etici e l’esperienza del Comitato etico per le attività biomediche “Carlo Romano” Un lavoro congiunto con la Scuola di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Camerino – nella persona della Dott.ssa Giovanna Ricci- ha posto in evidenza la necessità di un ruolo attivo dei Comitati Etici nell’ambito sia della costituzione che dell’utilizzo delle biobanche. Con l’attuale disciplina (provvedimento del Garante del 22/2/07) è previsto che le ricerche compiute mediante l'utilizzo di dati genetici siano effettuate secondo le metodologie proprie del pertinente settore disciplinare, sulla base di progetti che indichino le specifiche misure da adottare nel trattamento dei dati per garantire il rispetto dell'autorizzazione e, più in generale, della normativa sulla riservatezza. La normativa in materia di attività dei Comitati Etici non prescrive esplicitamente che gli studi effettuati su materiale genetico siano soggetti a valutazione preventiva dagli stessi. Per vero, il Comitato Etico per le attività biomediche dell’Università di Napoli Federico II, ha da anni adottato un modello di informativa e di consenso informato che ben si adatta anche ai nuovi sviluppi normativi in merito. Si è proposto di unire informativa e modulo di consenso al fine di rendere meno dispersivo l’approccio del paziente alla ricerca genetica. Lo schema di modello adottato, costituito da più sezioni, prevede per ognuna più opzioni, garantendo, con un sistema di steps di accettazione la possibilità di espressione di progressivi consensi specifici con esclusione di quelle fasi dello studio o delle ricerche per le quali l’avente diritto sia in disaccordo. Un tale processo informativo può apparire farraginoso, ma sostanzialmente esso risponde alle esigenze del soggetto donatore di avere una completezza di informazioni prima di decidere sul destino di “materiale biologico” che ancora gli appartiene. In letteratura è stato dimostrato che l’informativa rende i soggetti più coscienti dell’azione operata ed è probabile che invogli altri ad optare per un simile gesto. In effetti, la strada da percorrere è ancora lunga, non tanto per la ricerca scientifica, quanto per la maturazione di riflessioni etiche in materia.

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